Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Omicidio in Piazza Sant'Elena: Genova, Pagani e Marino indagano
Omicidio in Piazza Sant'Elena: Genova, Pagani e Marino indagano
Omicidio in Piazza Sant'Elena: Genova, Pagani e Marino indagano
E-book169 pagine2 ore

Omicidio in Piazza Sant'Elena: Genova, Pagani e Marino indagano

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Rientrato a Genova dopo aver trascorso quindici anni lavorando come ricercatore e professore tra Londra e Barcellona, Lorenzo viene coinvolto nell’inchiesta che dovrebbe risolvere il caso della morte del figlio della sua nuova vicina di casa, Alba, avvenuta nei pressi del mercatino di Shangai. La prima analisi del medico legale parla di overdose, ma il commissario Pagani, intervenuto sul posto poco dopo il ritrovamento, non la pensa nello stesso modo e inizia a indagare. Le ricerche rischiano di svelare verità scottanti e per questo vengono ostacolate dal PM, che ha fretta di chiudere il caso senza troppo clamore. Ma Pagani non si dà per vinto e, grazie all’apporto di Lorenzo, trova la soluzione del caso tra le pagine di un classico del romanzo poliziesco. La trama noir si intreccia con la storia del ritorno del protagonista nella sua città, in cui rivive con nostalgia alcuni momenti della sua infanzia e riprende contatto con i luoghi che lo hanno visto diventare adulto. In compagnia del fantasma di un vecchio filosofo e della sua nuova compagna, Lorenzo Marino inizia a ricostruire l’intricato puzzle della sua vita.
LinguaItaliano
Data di uscita12 lug 2016
ISBN9788869431425
Omicidio in Piazza Sant'Elena: Genova, Pagani e Marino indagano

Leggi altro di Alessio Piras

Correlato a Omicidio in Piazza Sant'Elena

Ebook correlati

Noir per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Omicidio in Piazza Sant'Elena

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Omicidio in Piazza Sant'Elena - Alessio Piras

    NOTA DELL’AUTORE

    Omicidio in Piazza Sant’Elena. Genova, Pagani e Marino indagano è un’opera di finzione. Tutti i riferimenti a persone realmente esistenti o esistite devono considerarsi puramente casuali. Corrispondono invece al vero i nomi delle strade e della maggior parte dei locali frequentati dai personaggi, sia a Genova che a Barcellona.

    Il vero commissariato di Genova Prè si trova in via Balbi 38b, mentre quello della finzione si trova all’interno dell’ex Hotel Colombia, al civico 40 della stessa strada.

    Ringrazio Laura per il suo costante e indispensabile appoggio.

    Barcellona, 21 giugno 2015

    Prologo

    Barcellona, febbraio 2014

    Conobbi Lorenzo Marino il giorno di San Valentino del 2014. Il mercantile Orillas, sul quale mi ero imbarcato un anno prima, aveva attraccato al porto di Barcellona da tre giorni. Mi ero congedato dal capitano della nave, Aziz, un vecchio libanese che aveva fatto il giro del mondo innumerevoli volte; aveva trascorso in mare così tanto tempo che anche il suo fiato sapeva di salsedine.

    Avevo bisogno di una vacanza, erano un paio d’anni che non mi fermavo più di due giorni nello stesso posto. Pianificai di stare una settimana a Barcellona e poi imbarcarmi su un traghetto per Genova. Conti alla mano ero sicuro di poter vivere senza dover ripartire per un anno. Mi sarei stabilito nell’appartamento di mia sorella in piazza Stella, un minuscolo trilocale nel cuore del capoluogo ligure. Avevo un bagaglio ridotto al minimo: due valigie e uno zaino che contenevano vestiti, lattine di acciughe, barattoli di olive, libri e manoscritti.

    Appena sbarcato mi diressi verso il barrio chino: in carrer de l’Hospital c’era una vecchia pensione gestita da un uomo ormai anziano e dal figlio, Jordi e Joan Pojades. In dieci anni di navigazione e almeno una cinquantina di soste a Barcellona non avevo mai visto donne al loro fianco. Lasciai le valigie e lo zaino alla pensione, presi un libro, me lo misi nella tasca interna del cappotto e uscii. Non faceva freddo, ma l’alto tasso di umidità rendeva l’aria spessa: il Tibidabo era completamente coperto da nubi, della torre di Collserola si intravedeva solo la punta, alta quaranta metri. Montjuic era avvolta da una fitta nebbia che la colorava di un grigio opaco e la bandiera catalana (la senyera), issata sul castello da Lluís Companys il 23 agosto del 1936 in memoria delle prime vittime del golpe di Francisco Franco, sventolava come a strapparsi per il forte vento.

    Percorsi carrer de l’Hospital e in pochi secondi fui sulla Rambla. I balconi delle case del Raval esibivano fiere l’estelada a sottolineare che dentro quegli appartamenti del barrio chino vivevano dei catalani. Il lungo marciapiede, che come un serpente discende da piazza Catalunya al mare sotto due file ininterrotte di platani, era pieno di turisti. Anche a febbraio non mollavano la presa. Resistetti fino al Mercat de Sant Josep, poi rientrai nel Raval e presi Carrer d’en Xuclà diretto alla Granja M. Viader: avevo voglia di leggere intingendo xurros in una tazza di Cacaolat fumante.

    Entrai e mi sedetti in uno dei tavoli vicino alla finestra. Neanche il tempo di iniziare a leggere un poema tratto da Metropolitano di Carlos Barral e mi sentii chiamare dal fondo del locale: un ragazzone gridava a squarciagola il mio nome. Era Andreu, un vecchio compagno di navigazione che conobbi al porto di Genova cinque anni prima.

    – Come stai amico?

    – Bene! Sono appena sbarcato, tu?

    – Ah io alla grande. Guarda qua! – mi mostrò un luccicante anellino d’oro perfettamente indossato dal suo anulare sinistro. Si era sposato.

    – Con Pilar?

    – E con chi se no!

    – Navighi ancora?

    – No amico, sposarmi mi è costato questo. Ho trovato un lavoro come gruista nel porto tre anni fa. Sempre navi sono.

    – L’importante è quello.

    – Dobbiamo festeggiare. Il 14 organizziamo una cena, da O’Toxo, qui in Carrer del Carme. Sei dei nostri?

    – Contaci. Dai, cosa prendi, offro io!

    – Un vermut!

    – Fai due! – addio xurros, ma ero felice di averlo ritrovato. Parlammo tutto il pomeriggio, mi raccontò per filo e per segno le nozze, il viaggio e gli ultimi tre anni della loro vita. Aveva gettato radici dopo aver navigato per tutto il Mediterraneo: non era mai andato oltre Gibilterra, non ne voleva sapere dell’Atlantico. Non poteva che stanziarsi a Barcellona, lui che in quella città ci era nato e cresciuto. Perfino il suo nome era legato alla storia della capitale catalana: i suoi genitori vollero infatti onorare la memoria di Andreu Nin a quarant’anni dalla sua morte.

    Chiamò Pilar per chiederle se poteva invitarmi a cena. Lei acconsentì e ci dirigemmo, in parte già ubriachi, verso il loro appartamento di carrer d’en Tarròs.

    Tre giorni dopo ci fu la cena da O’Toxo e fu in quell’occasione che mi venne presentato Lorenzo, un professore italiano di filosofia, genovese come me. Era con la sua compagna, Maria Teresa, per gli amici Mary, ma tutti gli spagnoli che conoscevano si ostinavano a chiamarla Maite. Si sarebbero fermati solo pochi giorni e poi sarebbero rientrati verso Genova.

    Attaccammo a parlare molte ore dopo aver finito di cenare, intorno alle quattro del mattino, seduti al bancone del bar Kentucky, uno dei pochi a Barcellona aperto fino all’alba.

    – E così sei un marinaio.

    – Già, lo sono. E anche quel tizio seduto là in fondo, quello con la barba bianca e la pelle bruciata dal sole. Eravamo nello stesso equipaggio durante la sua ultima tratta. Gli facemmo una festa che se la ricorderà tutta la vita anche se la sua, di vita, è di quelle vissute per davvero. E tu, che ci fai da queste parti? – gli chiesi più per cortesia che non per interesse.

    – Io, a recuperare cose e a riprendere contatto con la realtà. Negli ultimi mesi mi è parso di vivere dentro un romanzo, ma non nel senso buono. È stato come rivivere scene già lette, non viste e vissute, ma lette, che è peggio perché ti si stampano nella mente e non se ne vanno più. Hai presente?

    – Posso solo immaginare. Ti va di parlarne?

    Mary sorrise e appoggiò la testa sulla spalla del suo uomo mentre questi iniziò a raccontare.

    Il fatto

    Genova, 28-29 settembre 2013

    – Mi hai portato tutto?

    – Sì. Dammi i soldi.

    – Eccoli.

    – Sono giusti, controlla la roba.

    L’uomo dà una sniffata e assaggia.

    – Perfetto.

    Ognuno per la sua strada, come se non si conoscessero. Lo spacciatore svanisce nell’oscurità di via Prè. Così nero che la notte lo inghiotte senza lasciare traccia. L’uomo sale in macchina.

    – Allora?

    – Fatto.

    Il ragazzo è impaurito, non sa se sta facendo la cosa giusta. È solo per una sera, per dimenticare per qualche ora la merda che gli è piombata in testa negli ultimi mesi. Proprio quando si era pulito. Spaventato ma eccitato. Fermano l’auto in un parcheggio isolato, li raggiungono altri tossici della zona di Voltri, del CEP. Iniziano a drogarsi. In un angolo alcuni si baciano: uomini con donne, donne con donne, forse il principio di un’orgia. Paco non è interessato, la coca non ha l’effetto eccitante di sempre, non lo sballa, non lo trasforma in animale. Anzi, le cose iniziano ad essere molto più lucide, più chiare e trasparenti. Ma proprio quando è a un passo dalla verità, quando anche l’ultimo tassello sta prendendo il suo posto nel complicato puzzle della sua vita, Paco sente una stretta al cuore che lo stronca. Cade a terra. Notte, per sempre.

    Silenzio. Il corpo accasciato, i capelli fradici. L’asfalto bagnato, la notte fonda, il freddo, la pioggia. Una siringa accanto alla mano e una bruciatura di sigaretta sulla fronte.

    Il telefono squillò che era ancora notte.

    – Commissario, sono Pittaluga.

    – Pitta, dimmi, che succede?

    – È stato trovato un cadavere.

    – Dove, Pitta? Si sa chi è?

    – In piazza Sant’Elena, un ragazzino ispanico, Francisco Grandes.

    – Ok Pitta. Arrivo subito.

    Il commissario Andrea Pagani, un uomo alto quasi un metro e novanta e magro come un chiodo, si alzò di scatto. Aprì la finestra della sua stanza, il mare ancora scuro e mosso da un libeccio che non lasciava presagire nulla di buono. All’orizzonte una pallida foschia impediva di distinguere il confine tra il cielo e il mare. Un grido ripetuto e proteso verso l’infinito annunciò l’arrivo di un gabbiano che si posò sulla ringhiera del balcone di Pagani. Stazionò vicino al commissario pochi secondi, poi spiccò di nuovo il volo verso il mare perdendosi nel buio delle nubi grigie, timidamente illuminate dalla luna.

    Rientrò in casa, si sciacquò la faccia, si infilò un paio di jeans e una polo blu. Arraffò un pezzo di focaccia del giorno prima che stazionava in cucina dal mattino e uscì. Mangiò in ascensore; aprì la portiera della sua Punto grigia che ancora aveva le mani unte. Si mise al volante mentre timidamente iniziava ad albeggiare, i raggi solari penetravano le nuvole in una lotta che probabilmente li avrebbe visti sconfitti, a meno che non fosse cambiato di nuovo il vento.

    Arrivò nella piccola piazza intitolata a Sant’Elena in meno di un quarto d’ora. Sul posto c’erano già l’ispettore di turno e il medico legale.

    – Sembra un’overdose.

    – Va bene. Domani mattina, cioè tra un’ora, mi metto in contatto con il PM per iniziare le indagini.

    – Ci sarà poco da indagare, commissario.

    – E perché?

    – Mi sembra evidente. C’è stato un rave e questo ha esagerato. Non mi sorprenderebbe se si trattasse di una ricaduta.

    – Lei si limiti a fare l’autopsia, che alle indagini ci penso io.

    – Certo commissario, non volevo...

    – Va bene, va bene. Mi faccia avere i risultati quanto prima, ora ho bisogno di un caffè.

    Si diresse verso Porta dei Vacca e percorse tutta via del Campo fino a piazza Fossatello. I fratelli proprietari del piccolo Caffè all’angolo con via Lomellini stavano alzando le saracinesche. L’edicola nella piazzetta iniziava a vendere le prime copie de Il Secolo XIX e La Repubblica. Pagani entrò nel locale e ordinò un caffè e una striscia di focaccia. Mangiò appoggiato con i gomiti al bancone, guardando fuori il pigro risveglio della città al ritmo del lento strisciare della saggina dello spazzino comunale.

    1

    22 settembre 2013

    L’aereo da Madrid era arrivato a Genova con quasi tre ore di ritardo, alle due passate del mattino. Le prime raffiche di tramontana dell’autunno levigavano il mare, che dall’alto appariva come una enorme lastra d’ardesia. Il cielo era limpido, di una trasparenza che lasciava intravedere la via lattea: un fiume di stelle e pianeti in secondo piano rispetto alle costellazioni più vicine alla Terra.

    All’uscita dall’aeroporto Cristoforo Colombo il deserto. Niente taxi, niente autobus, solo tre, quattro persone che attendevano altrettanti passeggeri del volo appena sbarcato. Un poliziotto, nessun finanziere. I bar e gli autonoleggi chiusi. Dopo quindici anni, Lorenzo era di nuovo nella sua città, era contro-emigrato in Italia. Si aspettava che qualche cosa fosse cambiata, per ora, al primo sguardo, non era cambiato nulla: Genova immobile, ma superba, e controversa, sì perché, nonostante tutto, si sentiva a casa dopo aver passato gli ultimi tre lustri senza mai metter piede in Italia, senza avere notizie da Genova, se non nel 2004 quando la città fu nominata Capitale europea della cultura e ci mancò poco che non dovesse tornare brevemente per un convegno sulle relazioni tra la Repubblica di Genova e la Spagna di Carlo V. Declinò l’invito a causa di una brutta influenza. Erano trascorsi nove anni da quel 2004; prima della Vuelta, con la maiuscola, come l’avevano chiamata Pedro e Felipe, i suoi colleghi più stretti all’Università di Barcellona. Vuelta, ritorno, ritorno definitivo in una patria che non sapeva più se sentire sua;

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1