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C’è un cadavere sui Bastioni di Porta Venezia: Un cold case per la magliaia Delia
C’è un cadavere sui Bastioni di Porta Venezia: Un cold case per la magliaia Delia
C’è un cadavere sui Bastioni di Porta Venezia: Un cold case per la magliaia Delia
E-book244 pagine3 ore

C’è un cadavere sui Bastioni di Porta Venezia: Un cold case per la magliaia Delia

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Info su questo ebook

Nel quartiere milanese di Porta Venezia, la vecchia e bizzarra magliaia Delia osserva tutto e tutti dal suo laboratorio di via Lecco. Un giorno, il ritrovamento di alcune vecchie Polaroid in una cantina, finite per caso nelle sue mani, le riporta alla memoria un delitto del passato: quello di Tommaso Marangon, un diciannovenne veneto trasferitosi a Milano nel 1984 per studiare alla Bocconi, sgozzato con un coccio di bottiglia sui Bastioni di Porta Venezia. All’epoca l’omicidio fu archiviato come un caso di rapina finita male. Ma se Delia aveva già dubitato a suo tempo di quella tesi, ora più che mai è convinta che i fatti andarono diversamente. Comincia così quella che il suo amico commissario Attilio Masini definirà un’indagine impossibile. Tra ricordi, incontri con persone ormai ̀ quasi dimenticate, colpi di scena e un nuovo efferato omicidio, che darà ancora più consistenza alla versione della magliaia. In una storia che alterna le vicende della Porta Venezia anni ’80 - quando era definita la casbah - a quelle del presente - con la vivacità dei locali alla moda - Delia riuscirà a ricostruire i pochi mesi di vita di ̀ Tommaso a Milano, dove il ragazzo aveva trovato il suo “paese dei balocchi” come un novello Pinocchio. Fino a che, grazie a un intuito investigativo fuori dal comune, la magliaia non arriverà a scoprire la tragica verità.

Mauro Biagini è nato a Genova e dopo la laurea in Lettere Moderne si trasferisce a Milano, nel quartiere di Porta Venezia, dove ama ambientare le sue storie noir. Creativo pubblicitario fin dalla fine degli anni ’80, ha lavorato nelle più importanti agenzie internazionali, firmando popolari spot televisivi per clienti quali Averna, Fastweb, Mercedes-Benz. Attualmente è consulente di comunicazione per diverse aziende e tiene corsi di “Copywriting”. Nei suoi “romanzi con delitto” (come gli piace definirli) ha dato vita a una figura di detective particolare, l’anziana magliaia Delia, che fa il suo esordio con Il rumeno di Porta Venezia (Fratelli Frilli Editori, 2019), La ragazza del Club 27 (2020) e Morte a Porta Venezia (2021), finalista al Concorso Letterario “Crimini d’Amare”. Il personaggio è poi protagonista anche dei racconti presenti nelle antologie 44 gatti in noir, Tutti i sapori del noir e I luoghi del noir, sempre per la Fratelli Frilli Editori. Ha pubblicato anche i romanzi Soprattutto viole (goWare) e Marcantonio detto Toni (Robin Edizioni, scritto con Silvia Colombini), oltre a racconti inseriti in antologie edite da Edizioni della Sera, Covo della Ladra e Neos Edizioni.
LinguaItaliano
Data di uscita6 giu 2022
ISBN9788869436215
C’è un cadavere sui Bastioni di Porta Venezia: Un cold case per la magliaia Delia

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    C’è un cadavere sui Bastioni di Porta Venezia - Mauro Biagini

    1.

    Mancavano pochi minuti alla mezzanotte

    Mancavano pochi minuti alla mezzanotte e la dolcezza si respirava nell’aria: il primo giorno di primavera stava volgendo al termine.

    Era il 21 marzo del 1985, un giovedì, e i Bastioni di Porta Venezia pullulavano di ombre in movimento.

    La passeggiata, realizzata nel Settecento per permettere ai signori milanesi di ammirare le Alpi nelle giornate più limpide, aveva visto mutare nel tempo i suoi frequentatori, e i loro scopi.

    Adesso, con un tetto di ippocastani che ondeggiavano a ogni colpo di vento e allo sfrecciare delle sparute automobili, i ciottoli del vialetto superiore crepitavano sotto i passi dei tanti uomini alla ricerca di altri uomini che, al calare del sole, erano soliti darsi appuntamento lì.

    Come d’abitudine in ambienti come questi, le età e le classi sociali si fondevano democraticamente.

    Sui Bastioni si incontrava di tutto. Dal pensionato allo studente; dal ricco imprenditore al semplice operaio; dall’impiegato del terziario avanzato, che negli anni Ottanta a Milano avanzava sempre di più, fino all’ultimo dei balordi.

    Molti giovanotti, seduti sulla balaustra di pietra oppure in piedi, sul ciglio della strada, offrivano senza pudori prestazioni sessuali mercenarie per cifre che oscillavano tra le trentamila e le centomila lire. Era tutta una questione di marketing, come in ogni campo ormai. Più eri bravo a curare l’immagine, a proporre i migliori servizi al tuo target, a fidelizzare la clientela, e più riuscivi a guadagnare.

    Poi c’erano gli spacciatori. A loro non interessava vendere il proprio corpo, bensì il fumo. Ventimila lire per un grammo di cioccolato, tagliato più del dovuto a dire il vero, ma la cifra richiesta poteva salire con gli acquirenti più sprovveduti.

    E infine, ogni due per tre, facevano irruzione anche i rapinatori. Quelli dal colpo facile, non certo i professionisti. Perché sapevano bene che un uomo derubato di orologio e portafogli sui Bastioni non avrebbe mai sporto denuncia. Meglio incassare il danno senza fiatare che ritrovarsi in commissariato a dover rispondere alla fatidica domanda: E lei che cosa ci faceva in quel posto di notte?. Il più delle volte accompagnata da un sorrisetto tanto malizioso quanto accusatorio.

    Sui Bastioni di Porta Venezia, insomma, prendeva vita ogni sera un mondo parallelo. A suo modo innocente, ma non del tutto privo di pericoli.

    Gli abitanti del quartiere ne erano a conoscenza, e per questo, da una certa ora in poi, persino chi portava a spasso il cane evitava di inoltrarsi tra le aiuole e i cespugli sottostanti.

    Non c’era ancora scappato il morto. Ma nessuno poteva prevedere fino a quando.

    La signora Melina Fusco, vedova Penna, giaceva immobile sull’ampio divano in velluto rosso di Gio Ponti, anche se lei era inconsapevole di quella firma così prestigiosa. Quando si era sposata lo aveva scelto per la qualità e nient’altro, come tutto il resto della mobilia.

    Illuminata dai bagliori del televisore acceso, sembrava un cadavere, con il volto pallido, come di cera, le orbite e gli zigomi scavati, la bocca dischiusa in uno strano ghigno. Oppure una di quelle bambole dell’Ottocento con la testa in porcellana e l’abito di pizzo, considerando la sua corporatura minuta e la foggia della camicia da notte che indossava.

    Invece, se la ronfava beata, tutto qui. Cullata dalla voce di Enzo Biagi con il suo tono sempre gentile, anche se stava parlando di stragi di Stato.

    Guardare la tv in soggiorno anziché in camera da letto, per non addormentarsi troppo presto, non era servito a niente. Dopo pochi minuti del programma di prima serata, lei cadeva in catalessi. Non c’era spettacolo capace di tenerla sveglia. Nemmeno il festival di Sanremo, che il mese prima era stato vinto dai suoi amati Ricchi e Poveri, e lei non era riuscita a vederli festeggiare sul palcoscenico.

    Del resto, gli anni si facevano sentire.

    Erano quasi novanta – li avrebbe compiuti a settembre – anche se non li dimostrava.

    Ma a svegliarla di soprassalto, ci pensò lo squillo del telefono a muro nel piccolo disimpegno.

    Era il suo incubo, anche se ormai avrebbe dovuto abituarsi dopo tanti anni. Sempre foriero di cattive notizie, soprattutto quando era così tardi che nessuno poteva chiamare solo per un saluto.

    Non fece in tempo ad alzarsi per andare a rispondere che lo squillo cessò di urtare i suoi timpani, e la voce di Enzo Biagi tornò a primeggiare indisturbata.

    Nicola aveva risposto con il secondo apparecchio telefonico dell’abitazione, collocato nella sua stanza.

    Abbassato al minimo il volume del televisore, la signora Melina riuscì a cogliere qualche parola.

    Quando?… Come?… Arrivo subito, e pochi istanti dopo la porta della stanza si aprì.

    Nicola, già vestito di tutto punto, era pronto per uscire.

    Ci vediamo domani mattina, adesso mettiti a letto sussurrò, e intanto spense la tv con la punta di un dito.

    Ma dove vai a quest’ora? Dovresti riposare, che sei così sciupato lo supplicò la donna, accompagnandolo fino alla porta.

    Lui si fermò sulla soglia e la guardò negli occhi.

    Sono un commissario di polizia e a Milano uccidono anche a quest’ora disse, per poi aggiungere amorevolmente con un mezzo sorriso: Mamma…, e andò via senza perdere tempo.

    Un lungo sospiro e la signora Melina riaccese immediatamente il televisore. Sapeva che non avrebbe più preso sonno fino a quando il figlio non fosse rientrato a casa.

    Raggiungere i Bastioni fu questione di pochi minuti. Distavano meno di un chilometro dalla sua abitazione di via Kramer e le strade erano deserte.

    Fu la luce della sirena di una volante ferma sul posto a segnalargli a quale altezza della passeggiata fosse stato ritrovato il cadavere.

    Quasi alla fine, verso piazza della Repubblica.

    Il commissario Penna parcheggiò sotto un albero la sua Golf GTI, dello stesso colore delle foglie, e si avviò rapido verso gli agenti. Erano in due, molto diversi l’uno dall’altro. Tanto uno era giovane e vagamente a disagio nella divisa che indossava, quanto l’altro, sulla cinquantina e dal fisico massiccio, ostentava grande baldanza. Fu quest’ultimo, naturalmente, a prendere subito la parola, mentre faceva strada scendendo i gradini della scalinata che conduceva a un’aiuola più piccola delle altre.

    "Siamo stati avvisati da una telefonata anonima, commissario. C’è un cadavere sui Bastioni di Porta Venezia, ha detto una voce camuffata, poi ha buttato giù."

    Accese la torcia che stringeva in mano e, senza troppo riguardo, la puntò sul volto della vittima che giaceva tra i cespugli folti e malcurati.

    Era un ragazzino, poco più che adolescente. Gli occhi sbarrati, vitrei, che dovevano essere stati limpidi e vivaci, fino a poche ore prima; i lineamenti delicati come un marinaretto dipinto da De Pisis; i capelli biondi, e la gola squarciata, con il sangue che sembrava ancora zampillare.

    Nessun testimone, Scognamillo? domandò Penna.

    Certo che no, commissario rispose lui. "Quando vedono arrivare un’auto della polizia, questi qui, lo sottolineò con disprezzo, scappano tutti come conigli" e ridacchiò sotto i baffi.

    Poi illuminò il corpo intero per terra. Aveva addosso un bomber nero, con il marchio Moncler sulla manica sinistra, tenuto aperto su una camicia verde a righe bianche, blue jeans dal taglio classico e scarponcini Timberland ai piedi. Una gamba ripiegata in modo strano lo faceva sembrare un burattino a cui erano stati bruscamente spezzati i fili.

    Penna si chinò sul morto e tastò le tasche di giubbotto e pantaloni. Sembravano vuote, come si poteva immaginare.

    C’era poco da dire, e nel silenzio si udì il gracchiare di una cornacchia.

    Poi, una brusca frenata. Erano già arrivati il medico legale e quelli della Scientifica.

    Seguì la solita routine.

    Le foto con il flash, la ricerca di reperti, i cartellini gialli sull’erba umida insanguinata.

    Penna e i due agenti si allontanarono di qualche metro, e il commissario si accese una MS. Ne offrì una anche ai suoi sottoposti.

    Salvatore Scognamillo la accettò volentieri, ringraziando. L’altro, invece, nemmeno se ne accorse. Era rimasto come paralizzato, gli occhi lucidi che brillavano nel buio, e il commissario li notò.

    Berton, cosa c’è? lo stuzzicò. Le fa impressione il sangue?

    Lui fece cenno di no con la testa.

    E allora perché piange?

    Non sto piangendo, commissario rispose l’agente con un filo di voce, mentre Scognamillo cominciò a osservarlo sprezzante.

    Ne è proprio sicuro? insistette Penna, e gli porse un fazzolettino di carta.

    È che… grazie, commissario, prese il fazzolettino e si soffiò il naso, …è che… non si può morire così giovani…, balbettò, … il primo giorno di primavera.

    E l’agente Michele Berton si passò un dito sulla palpebra sinistra, come se gli prudesse. O forse asciugava una lacrima.

    TRENTASETTE ANNI DOPO

    2.

    Sembrava un giocatore di rugby

    Sembrava un giocatore di rugby – o forse un legionario – per la solidità delle spalle e l’ampiezza del torace, messe ancor più in risalto dalla maglietta blu che gli andava stretta. I capelli chiari a spazzola, il volto già abbronzato su cui spiccavano i denti candidi, e goccioline di sudore sulla fronte, come perle.

    Aveva parcheggiato il furgone bianco sul passo carrabile davanti a un portone di via Lecco e faceva avanti e indietro ammassando nel vano di carico una grande quantità di mobili, oggetti, scatoloni.

    La parrucchiera Monia, ferma sull’uscio del negozio, se lo mangiava con gli occhi.

    Erano le nove del mattino, sotto il cielo limpido di marzo, e le prime clienti sarebbero arrivate più tardi.

    Si era appena accesa una sigaretta quando vide la magliaia Delia che usciva dal suo laboratorio insieme al suo cagnolino.

    Il piccolo Andy si precipitò subito verso il giovane lavoratore, intento a imballare alla bell’e meglio con della carta di giornale un fragile lampadario a gocce di cristallo, e cominciò a saltellargli intorno festoso.

    Perché i cani non si sbagliano mai, come amava ripetere la magliaia, e sia lei sia Andy conoscevano Costantino – così si chiamava il ragazzo – e la sua purezza d’animo.

    Lo si vedeva spesso a Porta Venezia, dove gli sgomberi di negozi, appartamenti e cantine erano frequenti, con il mutare costante di un quartiere sempre in movimento.

    Aiutandosi con le stampelle, Delia lo raggiunse a fatica, per via di quella maledetta artrite degenerativa che in primavera si faceva sentire più del solito.

    Ma questo non le impedì di sfoderare un sorriso che sgorgò spontaneo.

    Il nostro Costantino! Che bello rivederti e lui, che si era chinato per accarezzare Andy, si rimise in piedi, strofinandosi le mani, sporche di polvere, sui blue jeans.

    Grazie, Delia. È bello anche per me ribatté con una dolce inflessione dell’Est. Molto leggera peraltro, visto che ormai, dopo tanti anni a Milano, parlava perfettamente l’italiano.

    Intanto richiuse il portellone del furgone con un gomito, senza nemmeno voltarsi indietro. Il suo lavoro era terminato.

    A chi hai fatto le pulizie di primavera?

    A un signore che ha comprato casa qui da poco. Gli ho svuotato la cantina. Quasi non si riusciva a entrare tanto era piena. È dall’alba che porto su cose, ma lo disse sereno, non per lamentarsi della fatica.

    Spero che ti abbia pagato bene, almeno.

    Costantino sorrise.

    No, io li faccio gratis questi lavori disse, e Delia corrugò la fronte perplessa.

    Ma… che te ne viene in tasca?

    Lui tornò serio e parlando più a bassa voce, come se temesse di essere ascoltato dalla concorrenza, rivelò il proprio tornaconto.

    Tu non sai quanti pezzi di design riesco a trovare. Soprattutto in cantine come questa, dove c’era roba sepolta da una vita e avvicinò la bocca all’orecchio di Delia.

    Oggi, a occhio e croce, mi sono guadagnato: quattro sedie di Vittorio Dassi, una libreria di Franco Albini, una lampada Fontana Arte di Gianni Celada e… lasciami il tempo di controllare… ma la matita su carta potrebbe essere un originale di Ottone Rosai.

    Delia strabuzzò gli occhi.

    Di tutti quei nomi non ne conosceva nemmeno uno, ma doveva trattarsi di grandi artisti, a giudicare dal tono con il quale erano stati pronunciati.

    Altro che sgomberare cantine. Tu stai diventando un mercante d’arte coi fiocchi esclamò, sinceramente ammirata dalle competenze acquisite dal ragazzo.

    Ma subito dopo la voglia di scherzare prevalse, come sempre.

    Seppure con una nota di macabro umorismo.

    Quando sarò morta e ti faranno svuotare il mio laboratorio, stai sicuro che non ci ricaverai un bel niente e scoppiarono a ridere insieme.

    Fu a quel punto che Monia si fece avanti.

    Passo felpato, da pantera, e l’abituale ampia scollatura che metteva in bella vista il seno prosperoso. Si rivolse direttamente a Costantino, con una punta di civetteria nella voce.

    Se gradisce sciacquarsi il viso, il mio salone è a sua disposizione..., ed esitò un istante, …giovanotto.

    Delia scrollò la testa sconsolata, ma si vedeva bene che era divertita. Ormai conosceva ogni sfumatura del carattere della sua amica.

    Non le sfuggì che Costantino era arrossito un poco, e preferì anticipare la sua risposta.

    Mia cara Monia le disse, "questo giovanotto, e lo scandì imitando il tono sensuale usato dalla parrucchiera, sicuramente ha fretta. Lasciamolo tornare alla base senza disturbarlo."

    Ma no… grazie… non mi disturbate affatto balbettò lui. Anzi, mi laverei le mani volentieri, se posso.

    Monia gli fece cenno di entrare tranquillamente nel suo negozio, e aspettò fuori insieme a Delia.

    Ora sei una donna sposata, ricordatelo. Se fai l’oca in giro, telefonerò al tuo Stefano la minacciò ironicamente la magliaia.

    Cosa ho fatto di male? Avrà pur bisogno di darsi una rinfrescata, poverino si giustificò lei. L’avessi visto: ha trasportato da solo quintali sulle spalle e sembrò provare un brivido di piacere.

    Pochi secondi e Costantino tornò da loro.

    Adesso, se me lo permettete, vorrei fare a entrambe un regalo e riaprì il portellone del furgone.

    Frugò velocemente in uno scatolone e trovò subito ciò che cercava.

    Questa è per lei e porse a Monia una Barbie da collezione vestita da hostess, a dire il vero un po’ spelacchiata.

    Poi si concentrò su una pila di pesanti volumi rilegati in pelle, andando a sfilare proprio quello che stava più in basso.

    E questo lo do a te, Delia. Ho sentito dire che da qualche tempo ti diverti a fare l’investigatrice…

    Di che si tratta? domandò la magliaia incuriosita.

    È un libro di Diritto Privato, roba da universitari precisò Costantino e lo affidò a Monia, visto che Delia avrebbe faticato troppo a reggerlo per via delle stampelle.

    Il nuovo proprietario mi ha detto che sono passati tanti studenti in quella casa.

    Ah, certo, ora ho capito esclamò la magliaia ed ebbe un lampo negli occhi. Hai svuotato la cantina della vecchia Magda, pace all’anima sua. Ha affittato stanze per quasi mezzo secolo.

    Poi accarezzò il ragazzo su una guancia, come una nonna tenera.

    Sei molto gentile, Costantino. Mi metterò a studiare già da questa sera, e con una buffa smorfia aggiunse: O al massimo da domani...

    Mentre io darò subito una sistemata ai capelli di questa signorina sussurrò Monia, sventolando felice la sua Barbie.

    Ancora un buffetto sul muso di Andy, e Costantino salì sul furgone, mettendolo immediatamente in moto.

    A vederlo al volante, così in alto, con la manona che salutava dal finestrino aperto, sembrava uscito da un film americano degli anni Cinquanta.

    La parrucchiera lo guardò a bocca aperta, fino a che, svoltato l’angolo con via Panfilo Castaldi, non sparì dalla sua vista.

    Vai, Monia. Non vedi che sta arrivando una cliente? la riportò alla realtà Delia, indicandole con un cenno della testa la Teresa, pensionata del quinto piano, che si avviava a passi lenti verso il negozio della parrucchiera.

    Prima che raggiunga la porta, faccio in tempo a lasciarti questo librone in laboratorio ribatté la parrucchiera, pungente come al suo solito. Troppo pesante per te.

    E così fece.

    Rimasta sola, la magliaia decise di sistemare il volume in un angolo, perché non desse fastidio. Tra montagne di stoffe, vestiti,

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