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Fear of falling
Fear of falling
Fear of falling
E-book327 pagine5 ore

Fear of falling

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Info su questo ebook

Lea non conosce il suo passato, non ricorda nulla di quando era più piccola.
Non sa chi è la madre biologica né dove è nata.
Gli unici ricordi che ha, cominciano da poco prima di venire adottata dalla famiglia Fins. 
Da tutta la vita lotta con il desiderio di ricordare e la sensazione di non appartenere a quel mondo, di non riuscire a trovare dei legami con gli altri e di sentirsi costantemente fuori posto.
Finché non incontrerà loro. 
Appena trasferita nella nuova città, convinta che la vita non abbia in serbo nulla di straordinario per lei, incrocerà degli occhi chiari sentendosi per la prima volta a suo agio con delle persone.

Chris e Ed non sono molto più di due sconosciuti e il loro incontro inizierà a scatenare in lei visioni di un'altra vita vissuta in un altro mondo.
Red Moon era stata casa loro. Un luogo felice dove la luna era sempre presente nei cieli rossi e dove erano stati felici, mentre Chris e Ed si contendevano il suo amore.
Una grave minaccia li aveva costretti a fuggire sulla terra dove erano stati inspiegabilmente separati.

Lea dovrà scoprire cosa è successo e soprattutto capire perché Chris sembra odiarla tanto.
Ma la stessa minaccia che li aveva obbligati ad abbandonare il loro pianeta incombe anche sulla terra a loro insaputa.
 
LinguaItaliano
Data di uscita25 nov 2017
ISBN9788827522509
Fear of falling

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    Anteprima del libro

    Fear of falling - Bonny Zero

    Ringraziamenti

    1

    Terra chiama Lea, terra chiama Lea!

    Papà! Sospirai aprendo gli occhi di scatto e mettendomi a sedere.

    Il libro mi cadde dal grembo facendomi perdere la pagina che stavo leggendo.

    Tesoro sono quasi le sette di sera. Avevi promesso a mamma di darle una mano al bar

    Sbuffai alzandomi ed entrando in quella che era la mia nuova casa.

    Non era così male come volevo far credere ai miei genitori.

    Era grande, finalmente avevamo un giardino e non mi pesava particolarmente essermi trasferita.

    Per papà il lavoro nuovo era un occasione e mamma era talmente entusiasta della novità, da aver deciso di lanciarsi ed aprire un piccolo bar in centro.

    Era il suo sogno da una vita e io non volevo sicuramente rovinare i loro piani.

    D'altronde, non avevo lasciato tanto alle mie spalle.

    A scuola ero considerata strana.

    Nessuno voleva avere particolarmente a che fare con me.

    Quando ero piccola, mi evitavano perché ero diversa.

    Non avevo dei genitori biologici ma ero stata adottata. Non ricordavo nemmeno quale fosse il mio nome né da dove venissi. I miei ricordi partivano dalla casa famiglia in cui ero stata per alcuni mesi.

    Mi avevano trovata davanti al cancello d'entrata. Nessun documento, nessun ricordo, nessun idea di chi fossi.

    I dottori avevano accertato il mio stato di salute. Avevo all'incirca sei anni e stavo bene, era l'unica cosa che si sapesse su di me..

    Si accorsero presto che non sapevo nemmeno parlare.

    Non pronunciavo una parola. Nemmeno una.

    Pensavano che ci fossero gravi traumi dietro al mio silenzio, ma la realtà era che io non li capivo.

    Nessuno mi aveva mai insegnato quella lingua sconosciuta e quindi il mio mutismo era forzato.

    Insomma, non un caso facile da trattare.

    Per tutti, ma non per la famiglia Finn.

    Arold Finn era un prestigioso psicologo di successo.

    Marito amorevole e uomo compassionevole dagli ideali saldi e la voglia di cambiare il mondo.

    Ana invece era la sua segretaria ormai da una vita e moglie adorata.

    Filantropa instancabile e amante dei bambini, ne aveva desiderato uno tutto suo arrendendosi poi al crudele destino che l'aveva resa sterile.

    Ma quando mi incontrarono durante una delle mie prime sedute, Ana si rese conto che non era necessario partorire per stipulare un legame con un bambino e che l'istinto materno e di protezione potevano instaurarsi tra due persone non legate dal sangue.

    Così in pochi mesi, sbrigate le pratiche più improtanti, mi ritrovai con un uome e un cognome nuovo e due genitori pronti a darmi tutto ciò di cui avessi bisogno.

    Non mi mancò mai nulla con loro.

    Amore, attenzione, svaghi e studi.

    Si impegnarono per realizzarmi nella vita e crescermi con i loro stessi ideali e principi.

    Ma non tutto andò per il meglio.

    Per quanto loro amassero la compagnia e il calore umano, io mi sentivo sempre fuori posto in mezzo alla gente e preferivo starmene da sola.

    Per quanto loro mi forzassero a ricordare e ad aprirmi, io continuavo a chiudermi in me stessa e nel mio silenzio.

    Imparai a parlare ovviamente, ma non a stare con gli altri.

    Quando iniziai ad andare a scuola, il mio disagio non accennò a diminuire. Troppo timida, dicevano le insegnanti. Chissà cosa è successo a questa povera bambina.

    Nonostante gli sforzi, più diventavo adulta, più mi chiudevo a riccio su me stessa.

    Ovviamente durante l'adolescenza la cosa andò sempre peggio.

    Sfigata era il termine migliore con il quale si rivolgevano a me.

    Mi evitavano tutti come un appestata, mi prendevano in giro nonostante gli ignorassi bellamente e nessuno era in grado di capirmi.

    Mi chiesi spesso a cosa servisse parlare quando le persone in realtà non ti ascoltavano e così smisi di farlo, o per lo meno, non parlai più con chiunque non ritenessi degno di ascoltare le mie parole.

    Papà era uno psicologo e vedeva questo mio problema come un suo fallimento.

    Il mio modo di vivere non gli apparteneva e continuava a sostenere che l'essere umano era un animale che necessitava di un branco e che non sarei mai stata felice se non mi fossi sforzata di più.

    Per questo aveva colto la palla al balzo quando gli avevano proposto di trasferirsi in una piccola cittadina dall'altra parte del mondo.

    Era sicuro che ricominciare ci avrebbe fatto bene e che forse mettendo alcuni chilometri con il mio passato sarei riuscita a lasciarlo andare liberandomi dei miei fardelli.

    Eravano partiti colmi di speranze.

    Forse Lea ce la può fare, forse diventerà la ragazza più popolare della scuola.

    Io avevo sorriso e li avevo seguiti senza il coraggio di smontare le loro illusioni.

    Li amavo troppo per deluderli. Avrei fatto qualsiasi cosa per farli felici, o almeno, ci avrei provato.

    Stai benissimo vestita così. Vieni piccola, ti do uno strappo in città.

    2

    È un occasione tesoro

    Ripetè per la millesima volta mio padre.

    Sorrisi augurandomi che il tragitto in macchina fosse il più breve possibile.

    Non mi ero ancora ambientata in quella città, seppur piccola.

    Eravamo lì solo da otto giorni e nonostante mamma mi avesse già scortata in ogni angolo, sia in macchina che a piedi, non mi localizzavo bene sulle strade.

    O almeno, non quanto nel bosco.

    Dietro casa iniziava un grande e fitto bosco che avevo esplorato per ore facendo preoccupare i miei genitori con le mie assense.

    Mi perdevo guardando le foglie degli alberi e ascoltando il rumore degli uccelli e lo sgorgare dei ruscelli intorno a me.

    La natura aveva sempre avuto il potere di calmarmi, di fermare il battito veloce del mio cuore e di donarmi la sensazione che alla fine, tutto sarebbe andato per il meglio.

    Mi stai ascoltando?

    Chiese papà stringendo il volante e lanciandomi in occhiata inquisitrice.

    Feci un cenno d'assenso con la testa e tirai giù il finestrino.

    Si moriva di caldo, in una delle tante giornate afose di luglio.

    Ma per quanto ne sapevo, in quella città la temperatura era la stessa tutto l'anno quindi avrei dovuto abituarmici.

    Estrassi dalla borsa un pezzo di carta avvolgendoci la gomma da masticare.

    Da quando mi avevano detto che gli uccellini scambiandole per delle molliche di pane, spesso mangiavano le gomme gettate dagli umani morendo poco dopo, avevo smesso di lanciarle per terra.

    Era importante salvaguardare il pianeta su cui vivevamo.

    Era uno dei principi che avevano cercato di insegnarmi e che avevo appreso subito di buon grado.

    So che sei preoccupato per me

    Mi convinsi a dire infine sapendo che papà avevo bisogno di sentirmi parlare. Sulle mie parole riusciva a ricamarci una diagnosi e pensava di essere in grado di capire i miei stati d'animo.

    Ma come se nemmeno io ci riuscivo?

    Infatti strizzò gli occhi scrutando centimetro per centimetro la mia espressione per cercare di cogliere qualcosa di anomalo.

    Ho solo paura che tu non ci provi, che parti prevenuta. Socializzare..

    È una cosa naturale per noi umani

    Terminai per lui la frase voltandomi per dargli un bacio sulla guancia e slittai verso il bar sentendo il nervosismo attanagliarmi lo stomaco.

    Mia madre non aveva realmente bisogno di aiuto.

    Il bar era piccolo e aveva già due cameriere, aveva organizzato ogni minimo dettaglio prima ancora di partire mesi fa e si era recata sul posto un infinità di volte per accertarsi che tutto andasse per il meglio, ma la scuola sarebbe ricominciata solo alcuni mesi più tardi e questo significava troppo tempo passata da sola.

    Volevano che stringessi delle amicizie e lo volevano subito.

    Ma mi chiesi come fosse possibile mentre indossavo un grembiule bianco sopra i miei pantaloncini in jeans e Dasy, una delle cameriere, mi osservava come se fossi una lebbrosa.

    Eravamo negli spogliatoi insieme da oltre quindici minuti ma non ci eravamo dette molto.

    Non assomigli molto a tua madre

    Constatò l'ovvio per cercare di placare il silenzio.

    Mi ritrovai a pensare che fosse stata proprio mia madre a chiederle di farmi compagnia e mi innervosii all'istante.

    Sono stata adottata

    Osservai la sua bocca spalancarsi in un mi dispiace come se essere adottato fosse una cosa brutta o sbagliata.

    Uscii velocemente da quella stanza prima che si lanciasse nelle mille domande alle quali non avrei mai e poi mai risposto.

    Eccoti tesoro

    Mamma mi prese per mano dandomi un bacio sulla guancia e non potei fare a meno di sorridere notando le evidenti differenze tra di noi e non solo caratteriali.

    Quanto lei era bionda, tanto il mio caschetto lungo era nero corvino così come i miei occhi azzurri facevano contrasto con i suoi scuri e profondi.

    Lei era alta e dalle ossa grosse, io bassa ed esile.

    Così magra che alle volte mio padre prendendomi in giro urlava al nostro vecchio labrador di attaccarmi e poi concludeva che le mie ossa erano troppo piccine per risultare appettitose persino per un cane.

    Volevo bene a quel cane, con lui ero riuscita a far crescere qualcosa e gli avevo confidato gran parte dei miei pensieri che si era portato nella tomba.

    Mi strinsi la cintura alla vita infilando nelle grandi tasche il bloc notes, la penna e i soldi che mi servivano per dare il resto.

    Sarebbe stata una serata dura.

    Stava arrivando della gente, troppa gente, e avrebbero chiesto di mangiare e poi di bere e poi di giocare a biliardo.

    Si sarebbero ubriacati con gli amici facendosi quattro risate e poi avrebbero finito la serata in una qualche discoteca.

    E io?

    Io sarei stata spettatrice della gioventù altrui sentendomi fuori luogo e sbagliata, sorridendo per obbligo e resistendo alla voglia di scappare.

    Pronta per iniziare?

    I denti della donna luccicarono sotto la luce soffusa della camera.

    Cercai di ricambiare il sorriso finendo per mordermi la lingua.

    3

    Allora? Che c'è? Il gatto ti ha mangiato la lingua?

    Guardai con tutto il mio odio la giovane donna seduta di fronte a me mentre i suoi amici scoppiavano a ridere.

    Erano così scontate le persone, per questo non riuscivo proprio a farmele piacere.

    Sempre gli stessi luoghi comuni, gli stessi gusti, la stessa musica...

    Il primo giorno di elementari, appena entrata in classe, l'insegnante obbligò ad andare alla cattedra e davanti a tutti mi chiese di presentarmi.

    Mi ricordo di aver fissato quei volti per diversi minuti. Tutti quei occhi puntati verso quella bambina strampalata che parlava ancora male e che aveva paura di dire qualcosa di sbagliato. L'ansia mi aveva attanagliato lo stomaco e mi ero sentita sul punto di scoppiare in lacrime.

    Che c'è, il gatto ti ha mangiato la lingua?

    Aveva chiesto spazientita Rosy.

    Così come aveva fatto Bill, diversi anni dopo, quando si era fissato che lui essendo il ragazzo più popolare della scuola sarebbe riuscito a raddrizzare la ragazza più storta che avesse mai incontrato.

    Dopo avermi chiesto di uscire innumerevoli volte, dopo avermi seguita per tutti i corridoi della scuola, aveva deciso di farmi fare la più grande e grossa figuraccia della mia vita.

    Durante la pausa pranzo si era avvicinato a me che come un imbranata me ne stavo in fila col vassoio del cibo in mano.

    Mi aveva messo le mani sulle spalle e prima che potessi dire qualsiasi cosa, aveva avvicinato le sue viscide e unte labbra alle mie praticamente leccandole e lasciandomele umide tra gli ohh generali del pubblico.

    Bhè? Il gatto ti ha mangiato la lingua? Aveva chiesto mentre lasciavo cadere il vassoio e fuggivo tramutando da quel giorno il mio sopranome da Lea la sfigata a Speedy Lea.

    Avevo leggermente apprezzato il lato ironico del nome ma mi ero continuata a chiedere quando mai fosse successo che un gatto avesse mangiato la lingua di qualcuno.

    Così, senza alcun motivo apparente, un micio avrebbe potuto attaccare un essere umano per staccargli la lingua e cucinarla alla griglia insieme alla senape da condimento e a due strisce di zucchine che fanno tanto bene alla salute.

    Allora? Hai sentito o no la domanda?

    Il ragazzo seduto accanto alla barbie umana picchiettò le dita sul tavolo nervosamente attirando la mia attenzione.

    Mi scusi, può ripetere? Chiese soltanto al posto di raccontargli tutte le mie teorie che avevo appena sognato.

    Che birre avete? Tentò di nuovo la ragazza.

    Quelle che stanno sulla carta.

    Senti ragazzina..

    Per fortuna Dasy intervenne mandandomi fuori scena con un movimento dell'anca e calmando il tavolo ormai furibondo.

    Mi recai in cucina lasciando il foglietto con gli ordini presi e mi appoggiai al muro un istante.

    Bambina mia, sta andando bene non trovi?

    Guardai mia madre chiedendomi se a lei invece il gatto avesse preso il cervello.

    Di questo passo chiuderai il bar entro fine mese

    Non essere sciocca. Ora va, al tavolo cinque sono entrato tre bei ragazzi. Forza!

    Uscii spintonata da quella pazza furiosa che voleva ad ogni costo credere in me e mi avvicinai al tavolo segnato.

    Alzai lo sguardo solo quando mi ci ritrovai di fronte e per poco non caddi a terra.

    Tre ragazzi, con gli occhi più azzurri che avessi mai visto mi fissavano a bocca aperta.

    Ciao dissi rompendo il silenzio e sorprendendomi della mia audacia.

    Qualcosa mi spinse a sorridere sentendo uno strano calore irradiarsi nella mia cassa toracica.

    Osservai i tre sconosciuti sempre con il sorriso sulle labbra.

    Io sono Lea continuai imperterrita sentendomi una perfetta idiota.

    Ciao Lea. Io sono Ben disse il più adulto dei tre attirando il mio sguardo.

    Aveva i capelli rasati a zero e un dente scheggiato. Probabilmente aveva una quarantina d'anni mentre i suoi vicini sembravano della mia stessa età.

    Appariva alto e massiccio, come gli altri due d'altronde, e il volto seppur stupito sembrava gentile.

    Lui è Ed e lui invece è Chris

    Il mio sguardo scivolò sugli altri due ragazzi.

    Ed aveva le iridi molto più chiare degli altri due, quasi bianche, i capelli erano dello stesso colore del grano e aveva alcuni pircing sul volto.

    Ma fu Chris a rapire la mia attenzione.

    Mi osservava con sguardo severo, quasi accusatore. Sembrava così autoritario mentre con le braccia tatuate strette sopra al tavolo mi studiava da capo a piedi.

    Gli occhi erano luminosi e contrastavano con i suoi capelli scuri.

    Aveva delle sopracciglia folte che rendevano il suo volto ancora più severo e le labbra carnose.

    Tentai di sorridere sentendomi di nuovo una perfetta idiota e non capendo dove fosse finito il mio contegno.

    Avevo perso l'utilizzo del mio corpo?

    Ma Chris non fece alcun cenno, né un mezzo sorriso, né null'altro.

    Restammo semplicemente fermi, ad osservarci come se un magnete ci avesse incollato gli occhi insieme.

    Sbattei le palpebre per interrompere quel contatto, ma restammo nella stessa posizione anche quando sentii Ben dire che volevano mangiare.

    All'improvviso scattò in piedi facendo cadere la sedia per terra e facendo sussultare il tavolo dietro di noi.

    Sembrava una furia mentre i suoi pugni chiusi tremavano e il volto si faceva ancora più scuro, ma stranamente non avevo paura.

    Era come se mi fidassi di lui, cosa da pazzi dato che non lo conoscevo e non aveva l'aria più tranquilla della città.

    Me ne vado disse soltanto spostandosi il ciuffo scuro che era ricaduto in avanti e allontanandosi come una furia.

    Scusa

    Sussurrò Ben passandomi una banconota da venti nonostante non avessero consumato nulla e correndo fuori insieme agli altri.

    Solo alcuni istanti più tardi, mi accorsi che stavo ancora sorridendo come un ebete.

    4

    Alzai gli occhi verso il cielo guardando le stelle.

    Le conoscevo a memoria ormai da tanto che le avevo osservate e le salutavo come se fossero amiche di vecchia data.

    Era incredibile come continuassero a brillare imperterrite senza mai perdersi d'animo.

    Per chi lo facevano? Per se stesse? Per noi umani?

    Le davamo per scontate in continuazione, come se non un miracolo della natura.

    Ci dimenticavamo di loro e non ne sentivamo nemmeno la mancanza quando la nebbia ci impediva di vederle.

    Ma loro restavano li comunque, luminose e tranquille.

    Mi ero sempre chiesta cosa ci fosse al di là di ciò che vedevamo.

    Oltre i satelliti, oltre le sonde, vicino al sole o a marte.

    C'era qualcun'altro che guardava le stelle da ben altra prospettiva?

    La natura era così straordinaria. Aveva pensato a tutto e lasciato nulla al caso.

    Bastava pensare solamente agli esseri umani. Macchine perfette programmate per la sopravvivenza in grado di andare avanti anche se danneggiate, mutilate o con organi in meno.

    Tutto si rigenerava, era un circuito di energie senza fine.

    Allungai la mano disegnando il profilo della luna sul vetro della camera.

    Forse, molto lontano da qui, un altra Lea stava facendo lo stesso identico gesto.

    Proprio in quel momento notai con la coda dell'occhio il cespuglio sotto casa muoversi e un ombra allontanarsi velocemente.

    Balzai in piedi facendo cadere di nuovo il libro che avevo iniziato a leggere in quei giorni.

    Scrutai l'orizzonte in lontananza non vedendo più nulla.

    Notte Lea urlò mamma passando accanto alla porta di camera mia.

    Tirai le tende con l'orribile sensazione di essere spiata e mi misi a dormire.

    Pancake? Avena? Pane e marmellata?

    Mio padre mi indicò il tavolo ricco di prelibatezze con un grande sorriso stampato sulle labbra.

    Ricambiai afferrando una fetta di pane e mettendomela subito in bocca.

    Era il suo modo di ringraziarmi per averci provato. Ogni volta che riuscivo a combinare qualcosa che lo compiacesse, cucinava qualcosa di buono per ringraziarmi dello sforzo.

    Dove vai principessa?

    Chiese indicando le scarpe da corsa e i pantaloncini della tuta.

    Nel bosco

    Risposi allontanandomi velocemente. Sapevo che mi avrebbe rimproverata per questo ed infatti i suoi commenti non tardarono ad arrivare.

    Ci sono animali velenosi nel bosco. Serpenti per esempio e non sappiamo nemmeno chi si aggira nei dintorni. Non puoi andare al centro commerciale? O al bar di mamma?

    Non risposi fiondandomi giù dal porticato.

    Lea Finn, fermati immediatamente e voltati.

    Obbedii sbuffando e allontanando una ciocca di capelli ribelli dal volto

    Ti prego di non andare nel bosco.

    ok risposi soltanto con un sorriso osservando le spalle di mio padre alzarsi ed abbassarsi in uno sbuffo nervoso. È per te piccola, non voglio preoccuparmi di ciò che può succederti.

    Andrò al centro commerciale

    Mi voltai velocemente girando l'angolo verso la città ma quando lo vidi rientrare in casa iniziai a correre verso quegli alberi

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