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In carne e ossa
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In carne e ossa
E-book113 pagine1 ora

In carne e ossa

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Info su questo ebook

Matteo fa il suo dovere, anche se non gli piace, anche se deve infilare la mano nelle viscere di bestie che servono per nutrire “le bestie” umane. Lavora alla Bovinia S.p.A., grande industria alimentare del Paese, ed è un problem solver, un termine che significa: sveglia presto, motosega, piccone, maschera antigas, bigattini, sangue, piscio di animali, in un riuso di carne per ditte farmaceutiche, vestiti e tante altre cose. Col passare dei giorni, sotto lo sguardo lucido e cinico del protagonista, complici anche gli strani biglietti che comincia a ricevere, si manifesta sempre più l’ipocrisia del proprio contesto; Matteo inizia così un’evoluzione del tutto personale, costellata da sogni deliranti, come fosse precipitato in un film di Lynch o di Cronenberg. E quando la Bovinia, orrorifico e sanguinoso girone dantesco per animali, verrà minacciata da un branco di lupi, il protagonista dovrà decidere qual è il male peggiore da affrontare.
LinguaItaliano
EditoreNero Press
Data di uscita18 dic 2017
ISBN9788885497122
In carne e ossa

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    Anteprima del libro

    In carne e ossa - Alessandro Maria Artistico

    Insania

    In carne e ossa

    di Alessandro Maria Artistico

    Immagine di copertina: elaborazione grafica di Laura Platamone

    Editing: Simona Focetola

    Produzione digitale: Daniele Picciuti

    ISBN: 9788885497122

    Nero Press Edizioni

    http://neropress.it

    © Associazione Culturale Nero Cafè

    Edizione digitale: dicembre 2017

    Il volume contiene varie citazioni dalle canzoni del gruppo rock alternativo dei Ministri. I brani sono: La pista anarchica; La casa brucia; Il futuro è una trappola; Meglio se non lo sai; I giorni che restano; I tuoi weekend mi distruggono; Una palude; Gli alberi.

    Alessandro Maria Artistico

    In carne e ossa

    Indice

    Capitolo 1 - Ordinaria amministrazione

    Capitolo 2 - Il miglior problem solver dell’azienda

    Capitolo 3 - Aria

    Capitolo 4 - Il branco

    Capitolo 5 - Uccidere il drago

    L'Autore

    Capitolo 1 - Ordinaria amministrazione

    Lavoro per Bovinia, una delle più grandi multinazionali di allevamento e produzione di carne e, sì, le mie competenze sono ascrivibili alla categoria: leggende metropolitane, barra cazzate da pub dopo la seconda pinta, barra lavori incredibili che poveraccio chi li fa.

    Sono lo sviluppatore. Creo nuovi prodotti dagli scarti che puntualmente mi trovo a maneggiare. Con scarti, intendo gli animali che dovranno per forza di cose diventare tali. Sì, perché quando hai a che fare con loro, sai già che si riprodurranno sempre di più e lo spazio serve, l’azienda non è uno zoo, lo sappiamo tutti; così come sappiamo che non sono molti quelli disposti a comprare gli animali.

    In qualche modo, quindi, è necessario liberarsene perché occupano spazio, sporcano e anche perché le povere bestiole vanno nutrite. L’azienda, e non lo fa solo quella in cui lavoro, assume persone con l’incarico di risolvere la situazione: cerca impiegati abili nel problem solving. Alla ditta, come ai tifosi della domenica, importa solo del risultato: non si fanno domande. Si convive meglio con una cattiva coscienza che con una cattiva reputazione.

    Il mio compito non si limita a far sparire un po’ di animali in eccesso: diciamo che io, con grande maestria, riutilizzo le scorte.

    Il capannone è il mio ufficio: un tendone di plastica molto spessa, per filtrare i raggi del sole, e condizionatori sempre accesi, per evitare che all’interno diventi un forno. Il forno dentro il forno. I colleghi prendono il montacarichi o i furgoni e mi portano di tutto: pulcini, cani, galline, pecore, gatti, mucche, cavalli, maiali e, a volte, roditori. In realtà alcuni sono animali domestici che gli stessi colleghi o i loro parenti non vogliono più tenere, ma ormai non dico più nulla: mi limito a eseguire.

    Me la cavo piuttosto bene anche con gli esserini a sangue freddo. Il cesso di casa non è adatto per iguane e serpenti. Hanno scoperto che alcune specie di questi ultimi, in particolare, non muoiono e c’è il rischio di vederseli rispuntare quando si è seduti sul trono di porcellana. Comunque, il miglior modo per liberarsi di rettili e anfibi è sicuramente l’ebollizione: li butti nel pentolone con l’acqua tiepida, giusto per farli star buoni, e piano piano alzi la fiamma, non se ne accorgono nemmeno. Li lasci in ammollo e, quando la piscina si svuota, si squamano, si accartocciano come fazzoletti; poi, carbonizzati, li puoi riutilizzare per accendere il fuoco della partita successiva. È sorprendente quanta gente abbia in casa un nipote di dinosauro addormentato nel camino o sotto la griglia del barbecue.

    Qui al capannone sono tre anni che vedo un viavai di gente. Anzi, novellini, stagisti, dal termine stage, detto alla francese, che lo rende più altisonante e rispettabile a chi lo ascolta e soprattutto a chi lo pronuncia. Poveretti. Venivano, questi sbarbatelli, e non resistevano più di una settimana: una manna per l’azienda che così, da contratto, non avrebbe in nessun modo versato loro alcunché. Qualcuno vomitava per le esalazioni, altri nel vedere le carnine bianche dei gatti stese su fili paralleli nella struttura. Altri ancora mi dicevano: «Ma perché non chiamiamo quelli della protezione animali o quegli hippy di volontari baciacaninbocca, che fanno i sit-in per ogni vespa esplosa sui parabrezza?». Illusi. Pivelli che si credono di essere in un film, di quelli in cui il cattivo poi muore o perde.

    Ecco, se proprio dovessimo immaginare di essere in un film, credo che quello più adatto sarebbe The mist: un male si nasconde in una nebbia creata dal governo; più concretamente, dalla spessa caligine escono cose mostruose che uccidono e mangiano le persone.

    A ogni modo il diritto di protestare lo hanno tutti, come quello di difendersi. Così, un giorno vado a cambiarmi e davanti all’armadietto dello spogliatoio trovo una scatola di cartone col mio numero di matricola scritto sopra. La apro: una divisa da poliziotto, tenuta antisommossa completa di casco, fazzoletto con il simbolo delle forze dell’ordine e manganello. Su un foglietto mi viene assicurato, nero su bianco, che lo scudo me lo daranno la mattina seguente, perché pare che qualcuno abbia spifferato qualcosa a quei perdigiorno di no global e terroristi ecologici.

    Secondo me, le proteste fatte con risse andavano bene, forse, cinquant’anni fa. Quello che serve ora è un cambiamento di pensiero e di metodologia e alcune innovazioni nel campo della democrazia facinorosa applicata. Sì, le virgolette ci vogliono quando si parla di democrazia. Una bella parola per dire che, se nove su dieci pensano che tu devi morire, tu crepi e in fondo è giusto così.

    Quale forma di governo, allora, può controllare i biechi e naturali impulsi dell’uomo? Eh sì, perché, per natura, l’uomo è violento. È così. Punto. Niente mito del buon selvaggio che, a dire il vero, ha creato più confusione e più sette new age di quanto non abbiano fatto i capelli lunghi negli anni Sessanta. Basta strutture piramidali: un po’ di orizzontalità, ecco quello che serve. Uno al potere, semmai, con gli altri che gli dicono: Sì, bravo oppure Vattene a casa, coglione e quello che agisce di conseguenza. Che poi, tanto, con questi gruppi e partiti e movimenti si creano solo le scuse per tirare sampietrini e sfasciare funghi di calore dei pub del centro e finisce che poi ognuno ha riversato la sua dose di rabbia repressa in un rave party di violenza grida e ossa.

    Per conto mio, ho già superato la fase dello sconforto per non essere allineato alle aspettative, per non aver successo e per essere un violento. Ed è per questo che ho accettato la pagliacciata del travestimento-salva-l’azienda-dalla-berlina-mediatica-che-poi-chiudiamo-e-andiamo-tutti-a-casa.

    La mattina successiva sono davanti al cancello. Fino alle due del pomeriggio sarò un celerino che deve proteggere l’operato di un’azienda travolta da un’orda di protestanti radunatisi in una manifestazione non autorizzata. Altri, invece, sono stati incaricati di sostenere il ruolo dei picchettatori un po’ più movimentati.

    Abbiamo a disposizione alcuni vecchi furgoni che possiamo anche danneggiare, purché parabrezza e specchietti rimangano intatti: la ditta che li ha noleggiati, se li trova rotti, li mette in conto alla ditta, che poi li mette in conto a noi, in una spirale di transfer di sopraffazione degna della più classica catena animale; solo che qui non è la forza fisica a decidere le sorti, ma quanto più in alto si trova la poltrona sulla quale si poggia il culo. Noi siamo quelli stesi a terra, a guardarci in faccia con topi e scarafaggi.

    La vernice sui furgoni, nonostante il poco preavviso, è stata passata con sapienza e, a parte qualche punto, li fa sembrare veramente unità mobili. Hanno persino montato delle griglie che ricordano i paraurti rinforzati dei blindati in dotazione alle forze dell’ordine. L’ingegno umano è sorprendente.

    Bandiere colorate, fischietti, gente con la faccia truccata da animale, pupazzi degli amici a quattro zampe sanguinolenti e smembrati, appesi a lunghe aste all’inizio del corteo. Sento montare la rabbia. Alcuni si sono portati il loro Fuffy da casa perché, secondo i cinofili, anche lui vuole dire No a queste ingiustizie. Uno è venuto a dorso di mulo. Chi ti credi di essere, Gesù Cristo? Tu sarai il primo che verrò a cercare e, con me, non ho né mantelli da stendere né palme con cui sventolarti.

    Fumogeni rossi e verdi, tamburi. Noi rimaniamo fermi, devono essere loro a iniziare. Lo sappiamo, come sappiamo che il tipo con la telecamera che ci sta riprendendo è il collega dell’amministrazione. Hanno pensato proprio a tutto pur di non finire in un’aula di tribunale.

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