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Cicerone - Memorie di un gatto geneticamente potenziato
Cicerone - Memorie di un gatto geneticamente potenziato
Cicerone - Memorie di un gatto geneticamente potenziato
E-book232 pagine3 ore

Cicerone - Memorie di un gatto geneticamente potenziato

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Fantascienza - romanzo (179 pagine) - Divertente come “La guida galattica per gli autostoppisti”, le avventure tra le stelle di un gatto geneticamente potenziato

Protagonista e narratore in prima persona di questa storia caleidoscopica è Cicerone, un gatto geneticamente potenziato. Sfuggito da un laboratorio terrestre, s’imbatte nei meravigliosi piedi di Myrina Cacace e la sceglie come sua Umana domestica. Myrina è un’autentica figlia delle stelle, cresciuta su un’astronave, abituata a ogni sorta di stranezze, e piuttosto disinibita nei rapporti interspecie. Purtroppo, a causa di un chip di memoria difettoso è diventata suo malgrado la maggiore esperta vivente del grande oratore romano M. Tullio Cicerone e ne ha assorbito in parte la personalità, andando incontro a fastidiosi dissidi interiori. Giusto per non farsi mancare nulla, ai due protagonisti si aggiunge presto un buffo vecchietto, Ben, o meglio Benedetto Ventitreesimo, convinto di essere il capo di una religione ormai estinta. Cominciano così le avventure dei nostri eroi, a cui presto si affiancheranno altri personaggi non meno variopinti, come Flint, l'insospettabilmente tenero allevatore di mostri da combattimento, o Leeira, la raffinata figlia dell’odioso Presidente della Galassia. E poi ci sono gli alieni: aracnidi giganti carnivori ma amanti della famiglia, esseri gelatinosi con un piede in faccia, spocchiosi Aldebariani, amebe senzienti…
Il tutto condito da una buona dose di ironia e umorismo.

Maria Caterina Mortillaro è nata a Milano nel 1972. Insegnante, giornalista, traduttrice e antropologa esperta di cristianesimo, nel campo della narrativa ha pubblicato alcuni racconti di fantascienza e un romanzo per ragazzi, Gli amici della torre normanna.
LinguaItaliano
Data di uscita20 gen 2015
ISBN9788867756292
Cicerone - Memorie di un gatto geneticamente potenziato

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    Cicerone - Memorie di un gatto geneticamente potenziato - M. Caterina Mortillaro

    Capitolo I. Questioni di… piedi!

    È proprio vero che il nostro Umano domestico non ce lo scegliamo noi, ma spesso ci capita tra capo e collo quando e dove meno ce l’aspettiamo. Quindi, se siete parte di quella piccola cerchia di eletti costituita dai gatti potenziati geneticamente, non sprecate il vostro Q.I. e attingete alla saggezza dei nostri padri felini. Infatti, non esiste una situazione che il vero felino non sappia volgere a suo vantaggio, o comunque manipolare per renderla meno sgradevole possibile. Basta usare le tre I: Intelligenza, Istinto, Iniziativa.

    Vedo una zampa alzata. – Perché proprio un Umano domestico?

    Be’, cari amici, ci sono moltissime ragioni. Un Deotariano potrebbe costringervi a passare ore nella sua vasca da bagno; l’atmosfera di Triton è davvero puzzolente; i Gioviani vivono a temperature che ci bruciacchierebbero il pelo e hanno la brutta abitudine di respirare ammoniaca; i Mong hanno istinti predatori che ci farebbero finire presto fritti in padella; gli Yl–yo giocano a football con piccoli animaletti pelosi… al posto della palla… E la lista potrebbe continuare.

    No, un alieno pieno di zanne e di squame non fa per noi. Mentre, pur con tutti i suoi difetti da scimmia evoluta a metà, l’uomo resta il compagno ideale, colui che abbiamo addomesticato per primo, colui che, insomma, si presta meglio a nutrirci e coccolarci. Per non parlare della sua tendenza a lasciarsi abbindolare con quattro miagolii e una strusciatina.

    A ogni modo, tornando alla scelta, io mi sono trovato proprio nella condizione di chi rischia di doversi accontentare. Ma, sebbene fossi solo un cucciolo, un cucciolo pieno di guai, è bene dirlo, ho messo in atto le tre I. O almeno ci ho provato.

    Pioveva, e voi sapete quanto noi odiamo l’umidità. E faceva anche un freddo cane, cosa frequente a Siberiade, sulla Terra. Io, infatti, non appartengo a quella categoria di gatti potenziati che hanno avuto la fortuna di nascere in una placida colonia extraterrestre. Sono frutto di un esperimento condotto in laboratorio.

    Vi chiederete chi era quel pazzo che ancora al giorno d’oggi si diverte a fare cocktail di geni su un pianeta dove questi giochetti sono proibiti. Vi rispondo subito: Riko Asinov… un nome che è tutto un programma. Un individuo capace di circolare in Siberia con mocassini color ciclamino.

    Capirete quindi in che situazione mi trovavo. Mia madre, quella povera gatta, era stata privata dei piccoli dopo aver subito ogni sorta di assurdi esperimenti. E i miei fratelli, meno robusti di me, non ce l’avevano fatta. Poi, come se non bastasse, la Genpol, la polizia genetica, aveva fatto irruzione e nel fuggi fuggi generale di codici 46 (questo è il numero di riconoscimento degli animali potenziati sul prontuario della Genpol) ero riuscito a sgattaiolare via nel migliore stile della nostra razza.

    Il problema adesso era sopravvivere. E per sopravvivere avevo bisogno di un cantuccio caldo, di cibo… e di un Umano domestico.

    Lo so, lo so, le altre razze potenziate dicono che siamo inferiori perché ricorriamo agli Umani per sopperire ai nostri bisogni, ma credo che inferiore sia chi si ostina a sgobbare con mezzi insufficienti senza accettare alcun aiuto esterno. Non è un mistero che non abbiamo il pollice prensile né tentacoli per afferrare tutto ciò che ci pare. E sappiamo bene che le nostre corde vocali sono limitate, per cui ci tocca comunicare con la telepatia. Poi non si può dire che siamo grossi e forzuti o che mostriamo una particolare abilità con le armi… Per farla breve, siamo esseri meravigliosi, e non intendo negarlo, ma loro ci servono… gli Umani, intendo.

    Così, sentito odore di cibo e vista una luce in fondo al vicolo, nella speranza di trovare, con un pizzico d’iniziativa, l’Umano che faceva per me, mi ficcai senza esitazione in quella che si rivelò una delle peggiori bettole che avessi mai visto.

    E qui dovetti operare la mia scelta in base a ciò che avevo: una gran quantità di piedi.

    I piedi, e le relative calzature, di un Umano dicono molto di lui. Come fidarsi di mocassini color ciclamino? E una ragazza con tacchi a spillo e borchie avrà una quantità sufficiente d’istinto materno? Uno che non si lava i piedi, ci cambierà mai la sabbia nella cassetta? E chi se ne va in giro con le scarpe bucate, avrà i soldi per darci da mangiare?

    Una scarpa ci rivela chi abbiamo di fronte. Soprattutto se siamo piccoli, non possiamo saltare sui tavoli per guardare le persone negli occhi e non è prudente mandare messaggi telepatici. Purtroppo, là dentro c’era ben poco da scegliere…

    Mi aggiravo così disgustato tra zamponi alieni e scarpacce di quarta categoria che stavo per desistere e cercare un’altra zona di caccia, quando li vidi. Erano due stivali di una pelle sintetica così perfetta e morbida che solo l’odore ne rivelava l’origine chimica. Roba costosa. Al loro interno i piedi erano al sicuro, protetti, carezzati. E che piedi! Intanto non erano cosoni lunghi e larghi e neppure cosini striminziti. Erano perfettamente proporzionati alle lunghe gambe di cui costituivano le estremità. E profumavano. Sì, profumavano! Avevano un vago sentore di talco e menta che parlava di quella pulizia e attenzione ai particolari che un gatto potenziato pretende nel suo Umano: una cuccia morbida e linda, scodelle lucenti, acqua sempre fresca, cassetta immacolata…

    Lei (perché erano stivali da donna) non poteva che essere una visione, in quel postaccio. Una dea in mezzo ai trogloditi. La mia Umana domestica ideale.

    Purtroppo, devo ammetterlo, ero un cucciolo ingenuo, e delle tre I avevo prediletto l’Istinto sull’Intelligenza. Saltai dunque nella borsa della sconosciuta proprietaria di quei meravigliosi stivali senza pormi troppi problemi. E solo allora vidi arrivare quegli scarponi fetenti che si piazzarono sotto il tavolo proprio davanti a lei.

    Dire fetenti è un eufemismo. Gli scarponi erano luridi, puzzoni e avevano visto tempi migliori. Ospitavano piedacci grossolani, di certo non troppo puliti. Colui che li portava, poi, aveva una voce sgradevole e quando aprì bocca avvertii l’odore del synthalcol fin nella borsa. – Ehilà, pupa, quanto tempo è che non vedi il tuo vecchio? Vieni ad abbracciarmi!

    Mi sentii rizzare il pelo dappertutto. Figlia di quello lì? Se aveva solo uno dei geni di quell’essere ero perduto. Eppure, sembrava proprio così…

    Rizzai le orecchie per capire meglio la situazione e rimasi ancora più sconvolto. – Che cavolo vuoi, pa’ – fu infatti la risposta intrisa di amore filiale. – Non recitare la parte del genitore affettuoso, se no ti stampo il mio stivale sul posteriore. – Povero stivale!

    – Che modi di trattare il tuo vecchio! Vergognati! Hai dimenticato con quanta dedizione ti ho tirato su?

    – Certo! Ricordi quando volevi vendermi a quel Deotariano spacciandomi per un pesce esotico? E quando mi hai dipinta di viola per farmi intrufolare nel tempio degli Uri per rubare la statua del loro dio? O forse hai dimenticato la volta in cui mi hai offerta al tenutario di quel bordello in cambio di un carico di programmi olografici porno? E ancora…

    – Basta, basta! Mi spezzi il cuore! Sai bene che bluffavo! Non ti ho mai abbandonata… be’, quasi mai. E poi ti sei scordata di tutte le caccole che ti ho asciugato, delle mutande che ho lavato, dei buoni consigli…?

    – Buoni consigli, figurati! Gli unici buoni consigli erano quelli su come combinare i cocktail. Ringrazio solo quell’errore, quando mi hai imbottito la memoria, difettosa, di notizie su Cicerone.

    – E io, invece, non sai come maledico quel giorno! Non sei stata più la stessa! Non sembri neppure mia figlia! Guardati: abiti firmati, colori sobri, modo di parlare raffinato e… bevi persino tè di Mong, invece che un buon whisky. A proposito, robocameriera, portami un synthwhisky! Triplo!

    Ero avvilito. Invano cercavo di uscire dalla borsa e, ora che ci ero quasi riuscito, un paio di anfibi della Genpol mi dicevano che era meglio restare dove mi trovavo.

    Intanto quei due continuavano coi loro convenevoli a suon di insulti.

    – Sai che ti dico, pa’ – concluse alla fine lei, – facciamola finita e dimmi quanto vuoi.

    – Quanto voglio? Io voglio lavorare con te, come ai vecchi tempi.

    – Ma sei matto? Io faccio il mercante d’arte, non la venditrice di siero di puzzola tritoniana! Ho un’immagine da salvaguardare. Non ho lavorato tutti questi anni per farmi rovinare da un vecchio ubriacone pronto a scappare col malloppo. Sai che cosa penso? Che neanche io ti trovo molto somigliante a me. Sei sicuro che sia tua figlia?

    Era chiaro che il tono era provocatorio, ma Scarpe Fetenti si bloccò e prese a farfugliare, una cosa strana per un tale marpione e pure mezzo ubriaco. – Be’… Myrina… in effetti…

    – Frena! Mi hai chiamata per nome. E lo fai solo quando devi darmi una brutta notizia. Non vorrai dirmi quello che penso, vero?

    – No… cioè… sì… Ma che importa, un padre è chi ti vuole bene, no?

    Questa volta la ragazza era imbufalita, e credo a ragione. – Porca miseria, pa’, non vorrai dirmi che mi hai fatto fare quella vitaccia senza neanche essere mio padre?

    – Sì, cioè… cioè non abbiamo proprio lo stesso patrimonio genetico… tutto qui!

    Silenzio.

    – Myrina…?

    Silenzio.

    – Pupa…?

    – E dove mi avresti trovata? Dubito che una persona sana di mente ti affiderebbe una bambina in adozione.

    – In un centro commerciale intergalattico. Ti ho tenuta perché speravo nella ricompensa, ma poi nessuno ti ha ripresa e io mi sono affezionato e… il resto lo sai.

    Silenzio. Poi all’improvviso una risata, di quelle agghiaccianti. Un risata isterica.

    Dal Glossario sul comportamento umano per alieni

    Edizioni Tri–Starr S.r.l., pag.235

    Risata isterica: l’Umano medio può reagire in molti modi a una notizia scioccante. Uno di questi è una risata convulsa, simile per suono al verso della iena palmipede di Wotan. Non denota allegria, ma sgomento. Può essere indice di gravi malattie psicologiche già esistenti o incipienti.

    Avete capito in che situazione mi trovavo? Ero angosciato. Anche perché, dopo quella risata, lei si alzò, chiuse la cerniera della borsa, con me dentro, e si allontanò dal tavolo. Poi, giunta ormai alla soglia, fece una cosa che al momento giudicai folle. Tornò indietro e chiese: – Che centro commerciale era?

    – Il Super Galaxy 9000, dalle parti di Gonga, nel Quadrante Beta. Perché?

    Dal rumore che seguì e dall’ondata di rabbia che percepii, credo di potere affermare che lo stese, non so se con un cazzotto o con un calcio sferrato dai suoi adorabili piedi. Poi se ne andò definitivamente, sballottandomi fino alla sua camera d’albergo… dove l’attendeva una nuova sorpresa.

    Gli accoppiamenti tra specie diverse sono un’invenzione aberrante dell’era spaziale. Gli esseri senzienti si sono convinti che sia l’intelligenza il criterio per scegliersi un compagno o un amante e ammantano la cosa di significati nobili. Credo che sotto sotto il vero motivo sia la voglia di novità e trasgressione che accomuna molte razze. Personalmente non ci trovo nulla di eccitante.

    So bene che molti di noi accettano di buon grado coccole, grattatine e bacetti dal loro Umano, ma non c’entra niente col sesso! Chi cambierebbe una gattina tigrata con un bipede quasi senza peli?

    Parecchi Umani, come molte specie senzienti, credono invece che sia esaltante sollazzarsi con gli alieni.

    Il fidanzato di Myrina, evidentemente, era della stessa opinione.

    Quando entrammo nella camera d’albergo, infatti, fu subito chiaro che il giovanotto non stava facendo conversazione con la sua ospite squamosa. La serpentessa di Draconia era talmente attorcigliata a lui che non c’era modo di districarsi in breve tempo. Così, l’idiota cercò di darsi un contegno ed esclamò: – Già di ritorno, cara?

    Questa volta non ci furono risate isteriche, ma solo una sequela d’insulti in molte lingue, alcune delle quali per me tutt’ora incomprensibili.

    – Perché te la prendi tanto? – insistette l’idiota. – Anche tu hai avuto incontri interrazziali. Ti credevo una di larghe vedute.

    – Larghe vedute un cavolo! Io non ti avrei mai tradito con una lingua biforcuta a sangue freddo!

    – Peggio per te. Ci sanno fare. Sai, cara, non so se potrò vivere ancora con una persona così razzista. Se gentilmente ci puoi lasciare soli, tra una decina di minuti ci vediamo nella hall per parlare di separazione.

    In quel momento credo che si siano affollate dentro la povera Myrina una tale quantità di emozioni che non riuscì più a far funzionare il cervello. Prese infatti la borsa e scese davvero nella hall, facendo un grossissimo errore tattico.

    Due ore dopo – e molte birre dopo – infatti, il portiere olografico l’informava che il signor Hans Hertel era salpato dallo spazioporto lasciandole i bagagli e il conto da pagare. La nave, che avevano acquistato insieme un anno prima, con tutto il carico di opere d’arte, si era volatilizzata con lui.

    E io? Ero chiuso in quella cavolo di borsa, su un pianeta ostile, con un’Umana che, a parte gli stivali, appariva ogni momento più inaffidabile. Ma anche su questo mi sbagliavo, o meglio avevo fatto male i miei calcoli. Accantonato l’Istinto, nella speranza di non prendere altri abbagli, mi basavo ormai solo sull’Intelligenza, cioè, in altre parole, sulla razionalità.

    Quando, infatti, Myrina infilò la mano nella borsa in cerca di qualcosa… un fazzoletto per asciugarsi le lacrime? Ne dubito, più probabilmente una pistola laser per uccidere il fidanzato una volta raggiuntolo… A ogni modo, quando infilò quella mano nella borsa, e, inevitabilmente, trovò il mio corpicino peloso, si limitò a tirarmi fuori, a guardarmi nei miei occhioni verdi con i suoi occhioni nocciola, e a dire: – E tu chi sei? Sappi che ho chiuso coi tipi pelosi da anni.

    Non m’interrogai su quella frase sibillina. Mi chiesi invece se fosse più opportuno scioccarla con un messaggio telepatico o impietosirla con un miagolio. Optai per la seconda ipotesi.

    – Non mi sembra una grande risposta. E io ho troppe cose per la testa per cercare di imparare una nuova lingua. Allora? Che ci facevi nella mia borsa? Volevi fregarmi il portafogli dopo che quel bastardo mi ha fregato l’astronave?

    Il portafogli? sbottai telepaticamente. Io sono un gatto onesto!

    – Anche il mio ex era uno onesto. Spero che tu abbia altri argomenti.

    Cercavo un rifugio sicuro. Sono rimasto solo e ho pensato che tu fossi la persona giusta.

    – Bella questa! E su quale base?

    Già, su quale base? Mi giocai tutto d’azzardo. Hai delle bellissime scarpe. Si capisce molto dalle scarpe della gente.

    – Hai ragione! Non avrei dovuto fidarmi di uno che indossa stivali di lucertola bavosa con guarnizioni di pipistrello. Un vero schifo. Inguardabili. E quanto a pa’, non ha mai avuto alcun riguardo per i suoi piedi. – Mi guardò di nuovo. – Mi sembri un tipo sveglio. Sicuro che non vuoi farmi qualche scherzetto?

    Giuro! Voglio solo un Uman… un padrone affettuoso.

    – Ti ho già detto che non vado a letto con tipi pelosi.

    Oh, non in quel senso. Mi basta un angolino caldo, una ciotola di croccantini e qualcuno con cui scambiare due parole ogni tanto. Sono pulito, educato e non faccio rumore. Insomma, cerco una casa.

    In condizioni normali vi sconsiglio di dilungarvi tanto coi vostri futuri Umani domestici, ma capirete che erano circostanze estreme… e che Myrina non era un’Umana qualsiasi.

    – Una casa… Chi l’ha mai avuta una casa vera? Avevo un’astronave, ma ho perso pure quella. Non credo di avere molto da offrirti, piccoletto. Sei sicuro che io sia la persona giusta?

    Non so che mi prese, ma sentivo che lo era, a dispetto dell’evidenza. Feci quindi un sospirone e le mandai la mia risposta telepatica: Sì, sei la migliore che potesse capitarmi.

    – Be’, se non altro non mi hai scelta in un supermercato per avere una ricompensa e neppure per rubarmi la nave con tutto il carico. Come ti chiami?

    Ehm, non lo so… Di solito è l’Umano che ci dà il nome.

    – Che cavolata! Puoi sceglierti il nome e lo lasci fare a me? Okay, se proprio insisti, ti chiamerò col nome di un grande filosofo, uno che ha cambiato la mia vita.

    E sarebbe?

    – Cicerone, naturalmente. – Mi rificcò nella borsetta e aggiunse: – Andiamo a trovarci una cuccia per la notte, Cicerone, che da queste parti fa un freddo becco. Poi troveremo il modo di guadagnarci da vivere.

    Credi che lungo la strada potremmo procurarci dei croccantini?

    – Credo di sì. Ma non mi chiedere di andare in un centro commerciale, perché oggi non è giornata.

    Non risposi. Mi bastava l’idea di una cuccia calda e di un buon pasto. E la consapevolezza che Myrina si sarebbe occupata di me.

    Capitolo II. Bolle e balle

    Dal Compendio di storia terrestre

    Edizioni Il Fungo Allucinogeno & C., pag.8

    Cicerone: filosofo, politico e avvocato vissuto a Roma* nel primo secolo a.C.**, ventiduesimo p.E.S.***

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