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Il ponte dei cadaveri
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Il ponte dei cadaveri
E-book435 pagine5 ore

Il ponte dei cadaveri

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Info su questo ebook

Per «The Times», l'autore dell'anno

Un grande thriller

L’ispettore capo Roberta Steel ha cercato di incastrare Jack Wallace in modo da chiuderlo in una cella per sempre, ma è stata pizzicata a falsificare le prove. Adesso lei ha perso il suo grado e lui è a piede libero. Dal giorno stesso in cui Wallace è stato rimesso in libertà, le aggressioni alle donne sono ricominciate. La detective Steel non ha dubbi sul fatto che sia lui il responsabile, ma la legge ha stabilito che se dovesse avvicinarglisi ancora le verrebbe tolto del tutto il distintivo. Le alte sfere, oltretutto, non hanno nessuna intenzione di ascoltarla, non dopo il disastro che ha combinato l’ultima volta. Preferiscono riempirla di casi e tenerla lontana dalla sua ossessione: d’altronde non è meglio rendersi utile che tormentare un uomo innocente? Ma Roberta Steel sa che Wallace è colpevole. Ne è sicura. E più aspetta ad agire, maggiore sarà il numero di donne aggredite. La domanda è: che cosa è disposta a sacrificare per fermarlo una volta per tutte? 

Un autore tradotto in tutto il mondo
Numero 1 in Inghilterra

Roberta Steel conosce la verità, ma nessuno è disposto a crederle

Hanno scritto dei suoi romanzi:

«Stuart MacBride è quanto mai abile nell’usare la penna alla stregua di un machete, nel nutrire le sue “invenzioni” di raccapricciante ferocia, nel far soffrire d’insonnia i suoi fan. Un concentrato di cattiveria narrativa.»
Il Sole 24 Ore

«Stuart MacBride è l’autore di una serie infallibile di storie criminali intrise di umorismo.»
Il Corriere della Sera

«Stuart MacBride è la stella nascente del noir europeo, un Quentin Tarantino con humour scozzese.»
Il Venerdì

«Secondo James Ellroy, MacBride è tra i protagonisti del “tartan noir” contemporaneo.»
Il Giornale
Stuart MacBride
È lo scrittore scozzese numero 1 nel Regno Unito ed è tradotto in tutto il mondo. La Newton Compton ha pubblicato numerosi suoi thriller, tra cui Il collezionista di bambini (Premio Barry come miglior romanzo d’esordio), Il cacciatore di ossa, Scomparso e Il cadavere nel bosco, con protagonista Logan McRae. Il ponte dei cadaveri è il nuovo thriller che approfondisce il personaggio di Roberta Steel, presente in altri romanzi. MacBride ha ricevuto il prestigioso premio CWA Dagger in the Library.
LinguaItaliano
Data di uscita4 giu 2018
ISBN9788822720610
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    Anteprima del libro

    Il ponte dei cadaveri - Stuart MacBride

    «A-hem!»

    Nell’autunno del 2016, ho fatto una Cosa Molto Stupida. Mi sono fatto convincere a comparire su Celebrity Mastermind.

    Forse a voi potrebbe non sembrare una Cosa Molto Stupida, perché siete cittadini sofisticati che sapete ricordare le Cose Importanti, per esempio la data della battaglia di Hastings, o quello che avete mangiato ieri a colazione. Io no, non ne ho la più pallida idea, anche se credo fosse un uovo (ma non ne sono sicuro). Ho una memoria terribile e odio i quiz televisivi, perché mi basta guardarli per sentirmi male.

    Ma mi sono fatto convincere comunque. Ho cercato di tirarmi indietro quando mi sono reso conto di quello che stavo facendo. E poi mi sono fatto convincere di nuovo. Santo cielo.

    A quel punto, è arrivata la Grande Domanda: quale sarebbe stato il mio argomento speciale? Ho scelto La vita e le opere di A.A. Milne, perché il primo libro che ricordo di aver letto è stato Winnie-the-Pooh. Quello è il mio libro: il libro che se ne sta dentro di me, sul fondo del mio cuore nero e appiccicoso. Il primo libro che ho amato, e che mi ha reso un lettore. E così, mi sono messo a studiare, sgobbare e ripassare, e ho Lavorato Molto Sodo per non fare una figuraccia e mettermi totalmente in ridicolo sulla televisione nazionale.

    Ora, dovete sapere che io sono un grande fan del riciclo, e non poteva assolutamente accadere che sprecassi tutte quelle ore di studio dopo aver superato l’orrore di sedermi nella Grande Sedia di Pelle Nera (ho ancora gli incubi in merito), quindi ho deciso di incanalare tutto in un romanzo.

    Si dà il caso, tra l’altro, che avessi giusto una storia da raccontare, e che mi sembrava potesse funzionare bene con le nuove conoscenze della vita e delle opere di A.A. Milne che ancora mi giravano per la testa.

    Si tratta della storia che narra cosa succede all’ispettore capo Roberta Steel dopo che è stata beccata con le mani nella marmellata in Il cadavere nel bosco. Dopotutto, l’avevo lasciata piuttosto in sospeso, ed era molto impaziente di andare avanti con la vicenda.

    Logan, d’altra parte, ha fatto capire chiaramente di aver Lavorato Molto Sodo negli ultimi due libri, e gli sarebbe piaciuto molto andarsene in vacanza in un posto piacevole e soleggiato, dove nessuno potesse finire assassinato, picchiato con un martello, minacciato dai criminali, preso a schiaffi dalla sorella, o dovesse perquisire Persone Terribilmente Puzzolenti in cerca di armi e/o droga. Quindi, non comparirà in questa storia (a parte un minuscolo cameo, dove è capitato in un capitolo o due per sbaglio [e poi se ne è andato, quando ha capito che questa storia non riguarda lui {perché riguarda Roberta}]).

    Ma non temete, con lei ci sarà l’agente Stewart Quirrel, a tenerle compagnia e a impedirle di fare cose che dispiacerebbero a tutti noi. O almeno, farà Del Suo Meglio, ed è il massimo che potremmo chiedere a chiunque…

    Oh, cielo: Roberta mi sta guardando male e indica l’orologio. Ritiene, evidentemente, che io mi sia preso fin troppo tempo per questa introduzione, e debba cominciare il libro vero e proprio.

    E direi che ha ragione.

    S.B. MB.

    Siete seduti comodi?

    A metà delle scale

    Jack fischietta mentre scende le scale, un gradino alla volta: è la Marcia funebre di Chopin, ma non riesce a portarla avanti perché non ce la fa a smettere di sogghignare.

    D’accordo, la giornata era cominciata male, ma si direbbe che stia andando a finire in modo perfetto. Da applausi. Da fuochi d’artificio. Da urlo. Fantastica.

    La casa è graziosa, magari un po’ trasandata, ma grande. Di sicuro vale un sacco di soldi. E nessun poliziotto onesto potrebbe permettersi una casa del genere. Ma lei non è affatto onesta, giusto? No, è una sporca bugiarda corrotta, una vera stronza.

    Jack sposta la presa sulle sue caviglie e si guarda alle spalle. Continua a trascinarla giù per le scale, con deliberata lentezza, così che la testa della Stronza sbatta su ogni dannato gradino.

    Bump. Bump. Bump.

    Avrebbe potuto vestirsi più da lesbica, se ci avesse provato? Una salopette? Davvero, certa gente non ha un minimo di stile. Indossa perfino delle scarpe comode, santo Dio. Che cliché.

    E i suoi capelli? È come se qualcuno avesse messo un Terrier scozzese nell’asciugatrice e poi lo avesse incollato su uno scimpanzé rugoso. Le lesbiche dei film porno non hanno affatto questo aspetto. Sono esili e giovani e sbarazzine. Docili. Volenterose. Grate. Del tutto diverse dal sergente Io-Sono-Speciale Roberta Fottuta Steel, con la sua salopette da lesbica camionista.

    Ma non la indosserà ancora a lungo.

    Le sue palpebre tremano, quando la testa rimbalza sul gradino successivo. La bocca che si muove come se non fosse ben imbavagliata. «Unnngggghhhh…».

    Ah… il fetore che emana: come se qualcuno avesse annegato un senzatetto in una vasca di Chardonnay dozzinale e profumo ancora più dozzinale.

    Eppure, Jack è pronto a passare sopra tutto questo, perché è un vero gentiluomo. Ed era tanto tempo che sognava questo momento.

    Le rivolge un sorriso. «Oh, ci divertiremo così tanto!».

    Bump. Bump. Bump.

    Capitolo 1

    In cui ci vengono presentati Roberta Steel e il suo Orribile Nuovo Lavoro

    i

    Ciuffo si lanciò avanti, con le braccia tese e le punte delle dita che sfioravano lo zaino… solo per chiudersi sul nulla. Troppo lento.

    Il piccolo bastardo scoppiò a ridere, spinse via due pensionati che stavano controllando i loro telefonini prepagati, e irruppe oltre le porte. Il suo compagno saltò oltre i due vecchietti caduti, strillando ed esultando. Toccò di nuovo il marciapiede e scattò a destra, girandosi nel mentre a mostrare il medio – anzi, entrambi i medi – attraverso la vetrina del negozio Vodafone.

    Ciuffo li inseguì. Uscì dalle doppie porte, ritrovandosi su Union Street.

    Il viale a quattro corsie era fiancheggiato da edifici a quattro piani in granito leggero, al cui pianterreno c’era una serie infinita di negozi. Gli autobus passavano rombando, insieme a furgoni bianchi, taxi e auto.

    I passanti sul marciapiede non erano così fitti da permettere ai due di scomparire tra la folla. Non ci provarono neanche. Correvano e ridevano, con i cappucci delle felpe che ondeggiavano dietro di loro. Due cellulari piombarono sul lastricato, schiantandosi in mezzo a un’acne di gomme da masticare calpestate.

    Non potevano avere più di tredici anni, e si comportavano come se quello fosse il momento più divertente che avessero mai vissuto. Scarpe da ginnastica costose, jeans strappati, uno con una felpa di un blu acceso e i capelli rosso carota, l’altro con una felpa rosso fuoco e i capelli neri con le punte bionde, ed entrambi con stupidi tagli alla moda. Orecchini e piercing che scintillavano nel sole del mattino.

    Ciuffo prese a correre più veloce. «Ehi! Voi!».

    Il ticchettio di scarpe cubane gli rimbombò alle spalle.

    Si girò e la vide: il sergente Steel, che per una volta si dava davvero a un inseguimento. Ma non sembrava fatta per quel genere di cose. La giacca del completo grigio scuro era aperta, la camicia di seta gialla scintillava al sole e i capelli grigi puntavano in tutte le direzioni, come la pelliccia di un furetto impazzito. Era probabile che non facesse una vera corsa da quando era bambina… e cercava di non farsi divorare dai dinosauri.

    Un uomo si pulì del caffè dalla giacca. «Piccoli stronzi fottuti! Lo stavo bevendo!».

    Una vecchietta cercò di tenere insieme la busta della spesa lacerata, mentre il contenuto rotolava sul marciapiede, giù dal gradino e sulla strada. «Tornate qui a raccogliere tutto, o vi faccio il sedere a strisce!».

    Più avanti, il ragazzino con la felpa blu si lanciò in mezzo a un gruppetto di persone ferme in mezzo al marciapiede a chiacchierare, facendone piombare una contro la vetrina di uno studio legale, con un sonoro boinnnngggggg, mentre gli altri si disperdevano, facendo cadere le buste dello shopping. Altri due cellulari ancora inscatolati si unirono al disastro, scivolando fuori dallo zaino aperto.

    Il ragazzino con la felpa rossa corse oltre il negozio di sigarette elettroniche dove gli edifici di granito si interrompevano di colpo. C’era una pausa, sulla strada, sottolineata da una breve fila di recinzioni di ferro battuto nero, un piccolo vuoto, poi una sorta di finta facciata neoclassica a due piani, con un cimitero che si estendeva oltre le sue colonne corinzie.

    Un sogghigno, e il ragazzo con la felpa rossa si lanciò a destra, nello spazio vuoto e giù per le scale.

    Ciuffo digrignò i denti. Avanti: più veloce.

    Si bloccò di colpo davanti alla ringhiera.

    Il ragazzino era ancora lì, a saltellare da un piede all’altro, incapace di scendere più di un quarto della scalinata per via di un gruppetto di mamme che risalivano i gradini con i loro passeggini.

    Le scale scendevano per forse quindici o sedici gradini verso uno stretto vicolo lastricato che spariva sotto Union Street.

    Ah! Preso!

    Il ragazzo fece una smorfia, mostrò di nuovo il medio a Ciuffo e saltò. Superando la ringhiera e piombando, dopo un salto di quasi due metri, sul tetto di un furgone Transit parcheggiato al di sotto. Ci fu un’eco metallica, poi il teppistello rotolò via, atterrando in piedi e correndo sotto il passaggio, mentre ancora rideva.

    Il conducente del furgone si sporse dal finestrino, agitando un pugno. «Ehi!».

    Il ragazzo con la felpa blu non sprecò tempo. Si lanciò a sinistra, scattando oltre la corsia degli autobus e sghignazzando mentre i clacson delle auto gli urlavano addosso. Un taxi e un camion frenarono di colpo, appena in tempo per evitare di trasformarlo in trenta chili di pâté in felpa.

    Rosso o blu? Rosso o blu?

    La voce della Steel si fece sentire al di sopra dei clacson. «Spostatevi! Polizia! Dobbiamo passare!».

    Un rapido sguardo gli permise di vederla mentre si spingeva oltre un paio di passanti a bocca aperta e qualche buon samaritano che stava aiutando l’anziana signora a raccogliere la spesa dal marciapiede.

    Rosso o blu?

    Le scale erano ancora affollate di madri e passeggini.

    Rosso.

    Un respiro profondo. «Oh, Dio…».

    Ciuffo piantò una mano sulla ringhiera e slanciò le gambe nel vuoto.

    L’aria gli fischiò intorno, e poi il tetto del Transit lo accolse con un tonfo metallico, proprio mentre il furgone si muoveva. Ebbe il tempo di strillare, mentre il mondo si rovesciava. Poi il lastricato interruppe il suo volo con un impatto da svuotare i polmoni

    Argh…

    Era freddo, contro la sua schiena. Piccole luci gialle lampeggianti danzavano agli angoli del cielo di un azzurro intenso, pulsando a ritmo con il ronzio acuto nelle sue orecchie.

    Il volto della Steel comparve oltre la ringhiera, lanciandogli un’occhiataccia. «Non startene lì disteso, corri dietro a quel piccolo bastardo!». Agitò un pugno e sparì di nuovo.

    Urgh…

    Ciuffo si rialzò in piedi. Scosse la testa, facendo vorticare le piccole luci gialle, e si affrettò sotto al tunnel.

    Roberta scosse il capo. Stupido idiota. Farsi un pisolino in mezzo alla strada mentre quei due ladruncoli scappavano. Mai fidarsi di un agente secco e dal culo piatto. Soprattutto quelli biondi, poi, con i capelli così corti da sembrare un kiwi ammuffito, e con occhi azzurri chiarissimi e acquosi, come frammenti di Blu-Tack bagnati di piscio.

    Ecco cosa aveva ottenuto, a portarsi il novellino a fare un giro.

    Be’, Ciuffo avrebbe fatto bene ad acchiappare Felpa Numero Due, perché se Ciuffo non l’avesse fatto, Ciuffo si sarebbe beccato una supposta di cuoio da scarpe.

    E nel frattempo…

    Avanzò oltre il marciapiede, facendosi strada in mezzo al traffico di metà mattinata, con le mani ai lati degli occhi per non guardarsi intorno. «Vi prego non mi uccidete, vi prego non mi uccidete, vi prego non mi uccidete…». I clacson strillarono. Qualcosa di enorme frenò di botto, con le ruote che stridevano come maiali e sibilavano come draghi.

    Una voce furiosa: «dannata idiota!».

    E… marciapiede! Meraviglioso, stupendo marciapiede.

    Lasciò ricadere le mani lungo i fianchi.

    Non le fu difficile scoprire da che parte era fuggito Felpa Numero Uno: le bastò seguire la scia di persone che imprecavano lungo il meraviglioso marciapiede, a ovest lungo Union Street.

    Roberta tirò fuori il cellulare, digitando con una mano mentre correva oltre il McDonald’s. Superò con un salto una giovane donna con un bimbetto urlante in braccio, a terra accanto alla pensilina dell’autobus.

    Una donna annoiata sbuffò, al ricevitore, e poi esordì: «Centrale».

    «Ho bisogno di rinforzi su Union Street, ora!».

    «L’autopattuglia più vicina è a due minuti. Quanto è grave la situazione? Avete bisogno di una squadra armata?».

    Roberta zigzagò in mezzo a un gruppo di idioti fuori dal negozio delle Clarks, che fissavano tutti Felpa Numero Uno. «Si tratta di un taccheggiatore: circa tredici anni, felpa blu, capelli rossi, jeans strappati…».

    «Mi sta prendendo in giro? Non mandiamo un’autopattuglia per un taccheggiatore!».

    Il tunnel sotto Union Street fece uscire Ciuffo tra due alti edifici di granito. Di un freddo grigio-azzurro nell’ombra, con le finestre al pianterreno murate o coperte di assi. Corse zoppicando fino in fondo, sibilando tra i denti a ogni passo. Era come se il suo calzino sinistro avesse sviluppato delle zanne e gliele stesse piantando nella caviglia.

    Oh, sì, inseguiamo il ladruncolo con la felpa rossa. Saltiamo giù da un ponte…

    Ecco cosa si otteneva a fare i coraggiosi: un volo sul marciapiede e un calzino carnivoro.

    Uscì di corsa dal passaggio tra i due edifici e si ritrovò sulla Green. Aberdeen Market era un gigantesco scatolone di cemento anni Settanta sulla sinistra, che formava il vertice spuntato di un rozzo triangolo, con vecchi edifici di granito sui lati e…

    Eccolo lì: Felpa Rossa. Saltellava su e giù dietro una fila di cassonetti. Ancora rideva. Lo vide girarsi sul posto e alzare di nuovo entrambi i medi. Lo stava aspettando. Lo provocava.

    E poi scattò via, correndo in mezzo alla Green. Allontanandosi.

    Oh, no, non stavolta.

    Ciuffo ci mise tutte le forze. Avanti, coraggioso Sir Quirrel!

    Saltò, scivolando con l’anca sopra uno dei cassonetti con la scritta carta, in stile Starsky e Hutch. Atterrò sulla caviglia malmessa. Sibilò.

    Riprese a correre.

    Il ragazzino si guardò alle spalle, sogghignò, lanciandosi a tutta velocità verso un’area recintata con dei tavoli fuori da un piccolo bar ristorante pieno di coppiette che si godevano la colazione al sole. Felpa Rossa saltò oltre la barriera, passando sui tavoli e rovesciando piatti e bicchieri ovunque.

    I clienti cercarono di afferrarlo.

    Un uomo saltò indietro, mentre il suo Bloody Mary gli finiva tra le gambe. «Ehi! Ma che diavolo…?».

    Una donna mostrò i denti. «Togli quei piedi schifosi dalle mie uova alla Benedict!».

    E poi, con un balzo, il ragazzino passò dall’altra parte.

    Ciuffo corse ancora di più. Si piegò in avanti per lo scatto, superando l’area esterna del ristorante. Ignorando il calzino che gli divorava la caviglia. Sempre più vicino…

    Il maledetto Felpa Numero Uno girò agile intorno a un vecchio con il bastone, continuando a ridere e a strillare. Poi sparì dietro l’angolo della Thorntons.

    Dannazione…

    Roberta serrò più forte il telefono. «Ha sceso le scale per la Green».

    Un altro sospiro da parte della donna annoiata all’altro capo della linea. «Non mi interessa se sta scendendo delle scale o sta inseguendo il fantasma di Nelson Mandela: non avrà comunque quell’autopattuglia».

    Il viso del piccolo bastardo fece capolino dall’angolo, insieme a un saluto fatto di due medi sollevati. Li agitò verso di lei e sparì.

    «Ma…».

    «Non è una bambina, Dio santo. Sono certa che può arrestare un taccheggiatore senza l’aiuto di un team di swat!».

    Roberta girò di corsa l’angolo, aggrappandosi a un grosso tizio barbuto per restare in piedi. «Be’, e allora se ne vada al diavolo!».

    L’uomo sussultò, arretrando. «Che ho fatto di male?».

    Lei si infilò in tasca il cellulare e si fermò in cima alle scale.

    Oh… wow, era una lunga discesa.

    La scalinata era parecchio alta, in effetti, qualcosa come tre piani e mezzo di stretti scalini di granito, con due ringhiere ai lati e una al centro. Se fosse caduta lì, sarebbe stata un’apoteosi di salti, schiocchi, tonfi, colpi, strilli, schegge, ossa rotte e un bel capitombolo finale. Il tutto seguito dalle sirene di un’ambulanza e da nove mesi in trazione.

    Felpa Numero Uno era già a metà della scalinata. Scendendo due gradini alla volta.

    Un iPhone nella sua scatola cadde fuori dal suo zaino e rotolò sui gradini di granito.

    Gah…

    Allargò le braccia, portando le mani sopra le ringhiere. E corse.

    Sto per morire, sto per morire, sto per morire…

    In fondo alle scale, Felpa Numero Due, quello vestito di rosso, schizzò via, mentre la sua risata riecheggiava tra gli edifici grigi.

    E Felpa Numero Uno era quasi in fondo anche lui, mentre si girava a mostrarle un ghigno.

    Dove diavolo era Ciuffo, quando serviva?

    Come poteva un agente di polizia essere così completamente, totalmente e disperatamente

    Lo vide arrivare di corsa, con lo sguardo fisso in avanti. E fu un peccato, perché neanche Felpa Numero Uno stava guardando dove andava, e gli piombò addosso.

    bang!

    Piombarono entrambi sul selciato in una sorta di contorta stella marina di braccia e gambe. Rotolando, agitandosi e dimenandosi mentre lei scendeva le ultime due rampe della scalinata, raggiungendo la Green.

    I due finirono contro il palo del segnale che indicava la Fine della zona pedonale con un lieve tonfo metallico.

    «Aaaargh, lasciami! Lasciami!».

    Roberta si fermò ai piedi delle scale. Guardò a destra.

    Felpa Numero Due era ormai solo una macchia rossa indistinta, in fondo al tunnel che conduceva sotto al St Nicholas Centre e sul viale a due corsie. Si girò e mostrò ancora una volta il medio. Poi si udì la sua voce, amplificata da tutto il cemento e il granito del passaggio: «ci si vede a tutte le ore, masturbatore!». A quel punto, la macchia rossa svanì nella semioscurità.

    «Dannazione…». Roberta si piegò in due, posando le mani sulle ginocchia e ansimando come un vecchio Labrador.

    Ciuffo fece rialzare in piedi Felpa Numero Uno, ammanettato con le braccia dietro la schiena.

    Un colpo di tosse, poi l’agente si passò una mano sulla fronte imperlata di sudore. Scrollò il ragazzino. «Sei in un mare di guai».

    Il piccolo bastardo si limitò a sogghignare e si alzò sulla punta dei piedi, gridando dietro all’amico: «e pure con la tramontana, figlio di puttana!».

    I ragazzini di oggi.

    Ciuffo aprì le porte scrostate e grigie che conducevano in una stanza altrettanto scrostata e grigia. Delle voci riecheggiavano dalle celle di sotto, rimbalzando sulle pareti di blocchi di cemento. Qualcuno cantava, qualcuno urlava, imprecava o piangeva. La si sarebbe potuta chiamare Sinfonia da cella in do maggiore arrestato della Divisione Nordest.

    L’agente serrò la presa sul ladruncolo in felpa blu, conducendolo verso il bancone dell’ala di detenzione, alto fino al petto e coperto di una varia selezione di volantini e note della Polizia di Scozia attaccati con il nastro adesivo all’impiallacciatura di betulla della sua superficie. falsari, truffatori e ladri, avete visto quest’uomo?, la violenza domestica non è amore, ‘no’ significa ‘no!’.

    Un uomo enorme era chino sul bancone, con addosso la maglietta nera della polizia e le mostrine da sergente sulle spalline. Non ci sarebbe stato bisogno di chiedere a Hercule Poirot di indagare su chi avesse divorato tutte le torte: la risposta era elementare, caro Watson: Big Gary. Sporgeva la punta della lingua di lato mentre scribacchiava qualcosa.

    La Steel si raddrizzò, si sollevò sulle punte e lanciò un’occhiata oltre il bancone. «Ehilà…». Allungò una mano e afferrò il quaderno su cui il sergente stava scrivendo. «Cos’è, un albo da colorare per adulti?». Poi girò le pagine. «Temo che questo sia un po’ troppo complicato per te, Gary. Dovresti stare dentro le linee».

    Big Gary cercò di riprendersi il maltolto, ma lei arretrò, fuori dalla sua presa, con un gran sogghigno.

    «Ciuffo, fai tu gli onori. Io vado a disegnare qualche uccello sui disegni di Big Gary».

    Lui tentò di nuovo di afferrare l’albo, senza successo. «Non ci provi neanche!».

    Ciuffo spinse avanti Felpa Blu, portandolo più vicino al bancone. Poi finse di premere il campanello del desk di un hotel. «Ding. Stanza singola con bagno e vista sul lago, grazie».

    Un lieve sorriso sollevò un angolo delle labbra di Big Gary. «A nome di chi è prenotata?».

    Silenzio.

    Ciuffo spinse di nuovo Felpa Blu. «Questo gentile signore vuole sapere il tuo nome».

    Il ragazzino sollevò le spalle. Poi fece sentire la voce: esile e cupa. «No comment».

    Un sospiro. Big Gary prese un modulo da sotto il bancone e lo sbatté sulla superficie. «Molto bene, figliolo. Ma dovresti risparmiarti quelle due paroline per quando arriverà il tuo avvocato. Allora: il tuo nome?».

    Un sogghigno. «Succhia Miluccello. Terzo».

    «Oh, calmati, cuore mio». Big Gary indicò uno dei tanti volantini che lo circondavano.

    dire il falso alla polizia è reato.

    «Non peggioriamo le cose, eh?».

    Felpa Blu si strinse di nuovo nelle spalle. Abbassò gli occhi verso le sue scarpe da ginnastica bianche. «Charles Roberts».

    «Grazie. E dove vivi, Charles Roberts?»

    «No com…».

    Big Gary indicò di nuovo il volantino.

    «Al numero tredici di Froghall Crescent».

    «Ora si ragiona».

    Ciuffo indossò un paio di guanti di nitrile e infilò le mani nello zaino, ancora appeso alle spalle del ragazzino.

    «Ehi, giù le mani!».

    Tirò fuori un paio di iPhone, nuovi e ancora nella loro scatola, e li posò sul bancone. Seguiti da una mezza dozzina di Samsung inscatolati, tre Nokia inscatolati e otto smartphone assortiti usati, più quattro portafogli. E poi un altro portafogli e due altri smartphone usati dalle tasche della felpa blu.

    «Non li ho mai visti prima in vita mia. Sei stato tu a mettermeli addosso».

    «Ah, sì?». Afferrò una delle maniche della felpa e la tirò su. Una fila di tre orologi scintillò alla romantica luce al neon sopra di loro.

    «Mi hai messo addosso anche quelli».

    «Non fare lo…».

    Le doppie porte si spalancarono e un peso massimo in completo scuro e cravatta azzurrina entrò a passo di marcia. Naso rotto, occhi stretti e capelli pettinati all’indietro su una stempiatura incipiente. Due mostri in borghese lo seguirono, entrambi in completo grigio e cravatta rossa, con dei tagli da hipster e un’espressione da Sono-un-duro in faccia. Come una boy band di soli due membri. I due condussero al bancone un ometto con il viso sporco. I polsini della sua camicia erano lisi e macchiati di rosso scuro. Altre macchie simili erano in bella mostra sul suo maglione consumato.

    Il peso massimo puntò l’indice contro Big Gary. «Sergente McCormack, voglio che il signor Forrester sia registrato, visitato dal medico di turno, affidato a un avvocato e messo in una sala interrogatori entro un’ora».

    La Steel si arruffò. «Ehi, aspetti il suo turno. Eravamo qui prima di lei».

    Lui la fulminò con lo sguardo. «Ha detto qualcosa, sergente?»

    «Sì. Che deve mettersi in fila».

    L’uomo le si avvicinò, torreggiando su di lei. «Mi pare che lei sia un po’ confusa, sergente. Non è più un ispettore capo». Le puntò addosso l’indice. «E mentre lei se ne va in giro ad arrestare taccheggiatori e tossici, io mi preoccupo di fermare degli assassini».

    Uno dei suoi aiutanti ridacchiò.

    L’espressione della Steel si inacidì.

    Ma lui si limitò a sorridere. «Adesso sono molto al di sopra del suo grado, e se decido che il mio sospettato deve passare avanti, lui passa avanti. Siamo intesi?».

    La Steel gli restituì l’occhiataccia, con le labbra e la mandibola che si muovevano come se stesse masticando qualcosa di orribile.

    «Ho detto: siamo – intesi?».

    La risposta fu appena udibile: «Sì, capo».

    «O preferisce tornare a fare visita agli Affari Interni?».

    Lei strinse gli occhi e snudò i denti.

    Oh, Dio, stava per saltare tutto in aria, vero?

    Ma la Steel si costrinse a ingoiare il rospo. Fece schioccare il collo muovendo la testa da un lato. «No, capo».

    «Bene. Sono lieto che abbiamo avuto modo di scambiare queste due chiacchiere, e lei?».

    Non prenderlo a pugni, ti prego, non prenderlo a pugni…

    Ciuffo si ficcò un dito nell’altro orecchio e appoggiò quello libero contro la parete della sala riunioni. Accanto alla lavagna magnetica con un enorme uccello disegnato sopra in pennarello nero e rosso. «Sì… no… credo che sia a posto così, giusto? …eravamo? Mi scusi, non lo sapevo».

    Idiota.

    Roberta rovesciò la testa all’indietro, oltre lo schienale della poltroncina di cuoio, e fissò il soffitto, con la sua griglia regolare di pannelli bianco dentifricio. Okay, era una vista un po’ noiosa, ma sempre meglio che fissare Harmsworth.

    Comunque gli lanciò un’occhiata.

    Era seduto dall’altra parte del lungo tavolo da riunioni ovale, con i piedi sollevati su uno dei grossi taccuini, intento a spulciare una copia dell’«Aberdeen Examiner» come qualcuno che avesse dimenticato gli occhiali. Un dannato grassone, con una calvizie incipiente e una faccia che faceva pensare non avesse mai sorriso in vita sua. Un miserabile mastino spelacchiato in completo stropicciato marrone, che si metteva le dita nel naso quando pensava che nessuno lo stesse guardando.

    Oh, aveva davvero tutti i bambini speciali nella sua squadra, eh?

    Sentì il cellulare avvertirla dell’arrivo di un messaggio di testo:

    Ho battuto Lizzy Horsens di otto colpi! E ora piagnucola come una stronzetta viziata! Scommetto che impazzirà, quando vincerò di nuovo il trofeo! Sono un ninja del golf!!!

    Roberta sorrise e digitò la risposta:

    Susan, la ninja del golf!

    Allora festeggiamo, stasera? Potresti indossare una camicia da notte sexy e io potrei fingere di essere l’idraulico venuto a riparare la lavatrice.

    Invio.

    Harmsworth si stava di nuovo mettendo le dita nel naso. Be’, se stava tentando di cercarsi il cervello, stava scavando nell’estremità sbagliata del corpo.

    Ding-ding, messaggio:

    Non fare la monella. E poi, Logan verrà a trovare le ragazze, stasera, ricordi? Sto facendo il pasticcio di pollo, quindi vedi di non arrivare tardi.

    Cosa? E lei si sarebbe dovuta sedere a tavola con Logan Bastardo Traditore McRae? Piuttosto, gli avrebbe schiantato su quella dannata testa il piatto di pasticcio.

    E poi gli avrebbe fatto mangiare tutti i cocci…

    Oh, al diavolo: Harmsworth continuava a scavarsi nel naso.

    L’uomo alzò lo sguardo e notò che lei lo stava osservando. Staccò il dito dal naso. Sospirò, e poi cominciò, in quel suo tono deprimente da Marvin l’Androide Paranoico: «Sentite qui», piegò il giornale, «Gli abitanti di Blackburn vivono nel terrore dei pervertiti sessuali. Non posso neanche cucinare con le tende aperte, ha detto Janice Wilkinson, tra parentesi, trentun anni. E se uno dei miei figli guardasse fuori dalla finestra e lo vedesse?». Un altro sospiro. «Bisogna proprio essere un po’ toccati in testa, no?».

    Roberta gli rivolse una smorfia. «Io una volta andavo in giro ad arrestare assassini. E ora guardate un po’ come sono finita: bloccata qui con voi due teste di rapa».

    Ciuffo ridacchiò. «Lo so… Già. Forse, ecco».

    «Insomma, chi è che si sveglia la mattina e pensa: Sai cosa farò oggi? Mi infilerò una maschera da supereroe e andrò a farmi una sega davanti alla finestra della cucina di qualcuno mentre fa i piatti?».

    Il ragazzino idiota posò una mano sul ricevitore del suo telefono. «Sergente? Il bambino è pronto per essere interrogato».

    «Oh, che felicità». Roberta rovesciò di nuovo la testa indietro, prima di emettere una sonora pernacchia. «Prrr…». Una pioggia di fredda saliva nebulizzata le ripiombò in faccia. Si raddrizzò e se la asciugò dal viso.

    Ciuffo tornò al telefono. «Sì, arriviamo».

    Harmsworth diede un’altra scossa teatrale al suo giornale. «A proposito di segaioli, l’avete visto questo?». Mostrò loro due pagine affiancate. C’era la foto di un uomo secco e insignificante, sotto il titolo: «la corruzione è la peggiore piaga della polizia di aberdeen», dichiara una vittima della giustizia. Jack Fottuto Wallace, con il suo bel completo da tribunale, fuori dagli uffici amministrativi di Broad Street. Teneva bene in mostra un foglio di carta, come se significasse qualcosa, e lo guardava con aria seria e preoccupata. Piccolo bastardo stupratore.

    Harmsworth tirò su con il naso. «Jack Wallace afferma che siamo tutti un mucchio di inutili e loschi bastardi».

    «Jack Wallace può arrotolarsi su se stesso e ficcarsi nel buco del culo di un lama!».

    «Dice che non facciamo altro che incastrare persone innocenti e prendere mazzette».

    Roberta puntò l’indice verso Harmsworth. «Non voglio ripetermi, agente».

    Uno sbuffo, e l’uomo tornò al suo giornale. «Non so neanche perché me ne preoccupo. Nessuno lo apprezza mai».

    Ciuffo mise via il cellulare e indicò la porta. «Sergente?».

    Harmsworth stava ancora borbottando. «Dovrei buttarmi sotto a un autobus, punto e basta. Così avreste modo di farvi una risata. Oh, ma guarda Owen, tutto schiacciato e morto. Non è esilarante? Ah, ah, ah».

    «Be’, nessuno potrà mai impedirci di sognare», commentò Roberta, alzandosi. Si agitò un po’, poi si grattò la coppa sinistra del suo reggiseno traditore. Chiunque avesse inventato i ferretti per reggiseno avrebbe meritato un serio calcio nel sedere. «Nel frattempo: muovi le chiappe. Due tè, nella sala interrogatori…?». Guardò Ciuffo.

    «Tre».

    «E vedi se riesci a trovare anche qualche biscotto».

    Un grugnito, e poi Harmsworth piegò con teatrale fatica il giornale e si alzò, piazzandosi un’espressione da martire su quella faccia triste che si ritrovava.

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