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E-book338 pagine5 ore

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Info su questo ebook

È lunedì due gennaio quando Lucy Marshall abbandona in lacrime la casa di Liam dopo aver scoperto i segreti che lui custodiva. Ora sa il perché è stata stuprata, sa chi l'ha tratta in salvo, e quelle verità hanno provocato un dolore pungente radicatosi in profondità, così grande da spingerla a lasciare l'uomo che ama.

Liam Harper aveva promesso di non ferire Lucy, ma è accaduto il contrario. È deluso da se stesso, non sa come rimediare perché Lucy non si lascia avvicinare in nessun modo. Soffre, ma ha un unico desiderio: riconquistare la donna che gli ha permesso di sentirsi vivo. Lui ha bisogno di lei, vuole amarla, sentirla.

I ruoli si invertono: Liam agisce ascoltando il suo cuore mentre Lucy ascolta solo la sua razionalità.

Il destino li farà incontrare sulla strada chiamata Amore?

Liam riuscirà nel suo intento o Lucy si lascerà trasportare dalle forti emozioni nate da un misterioso incontro?
LinguaItaliano
Data di uscita31 gen 2018
ISBN9788827811023
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    Anteprima del libro

    Fireworks - Alice Scanavini

    Bukowski

    Prologo

    Io e Liam siamo seduti nella stanza adibita a studio. C’è tutto il necessario. Libri, enciclopedie, quaderni, penne, matite colorate, computer sempre aggiornati.

    Abbiamo solo otto anni, ma sappiamo entrambi leggere dall’età di tre. La nostra preparazione scolastica è di molto superiore rispetto agli altri bambini di questa età. Papà desidera che noi studiamo più del dovuto, ci chiede di impegnarci al massimo, di spremere le meningi perché vuole vederci sempre un gradino più in alto degli altri, o almeno mamma dice così.

    Papà ripete sempre che da piccoli si apprendono meglio determinate nozioni; nozioni delle quali, secondo lui, avremo bisogno sia io sia mio fratello quando entreremo nel mondo di Wall Street proprio come lui. Credo sia il suo sogno per noi, ma non sono certo che sarà poi quello il mio futuro. Liam invece sembra molto affascinato dal settore finanziario.

    Io, al momento, preferisco il lavoro della mamma. Lei gestisce una catena di alberghi fondata dai suoi genitori e ne va fiera.

    La nostra tata Beth, invece, la pensa diversamente. Lei dice che quando io e mio fratello saremo grandi decideremo cosa fare delle nostre vite e che ora siamo troppo piccoli per capirlo o, come sostiene lei, anche solo per immaginarlo. La sua frase ricorrente è: diamo tempo al tempo.

    La penso esattamente come lei.

    Oggi è un giorno particolare. Deve esserlo per forza perché siamo nella sala studio come tutti i pomeriggi dopo la scuola, ma non stiamo facendo i compiti. Mamma, prima di uscire di casa con papà, ha chiesto a me e a mio fratello di fare un disegno che rappresenti, per noi, la felicità.

    Una richiesta insolita e tutt’altro che semplice, almeno per me.

    Liam è molto bravo, ama disegnare e adora i colori, infatti li sta usando tutti sul foglio che mamma ci ha consegnato. Ha raffigurato un bellissimo arcobaleno che riempie tutta la parte alta del foglio, in basso invece un prato verde e una macchina rossa nel mezzo. Mio fratello ha una vera passione per le auto, quindi non sono meravigliato della sua scelta.

    Guardo il pezzo di carta appoggiato di fronte a me, sul tavolo: è ancora bianco. Tengo in mano la matita con la punta appena fatta, ma non ho idee. Non mi viene in mente nulla.

    Che cosa mi rende davvero felice?

    Beth, perché dobbiamo fare questi disegni? domando, e anche Liam si ferma un attimo per alzare lo sguardo sulla tata.

    Non ve lo posso dire, però lo scoprirete presto risponde prima di accarezzare le onde bionde di entrambi con un gesto amorevole. Beth è un po’ come una seconda mamma. Ogni mattina ci prepara la colazione, ci aiuta a vestirci, ci accompagna a scuola e ci dà una mano a fare i compiti. Solo quando mamma rientra dal lavoro si congeda per tornare nel suo appartamento.

    Sei in difficoltà Damien? mi domanda, alludendo alla mia momentanea mancanza di idee.

    Io annuisco sospirando, mentre lei mi offre un sorriso timido invitandomi con un movimento della mano ad avvicinarmi.

    Chiudi gli occhi e fai dei bei respiri intima stringendomi le braccia. Lo faccio subito e la voce calma di Beth mi arriva sussurrata alle orecchie. Pronuncia termini come amore, pallone, sole, sorrisi, cielo, scuola, libri, videogiochi, mani, vacanze, giocare insieme... Mi chiedo perché stia elencando quelle parole, poi colgo il senso da solo. Quando la sua voce si interrompe, so esattamente cosa disegnare.

    Beth è riuscita a creare l’ispirazione dentro di me.

    Quando sentiamo il rumore provocato dai tacchi che picchiettano sul pavimento di marmo dell’ingresso di casa, la tata ha appena terminato di aiutare sia me sia mio fratello a pulirci e a cambiarci. In pochi minuti siamo passati dall’indossare una maglietta e pantaloncini corti sportivi, a polo bianca immacolata – guai a sollevare il colletto – e bermuda di lino blu.

    Bambini, vi aspettiamo in sala! urla la mamma con tono allegro. Questa mattina era particolarmente raggiante e bellissima, non che gli altri giorni non lo sia, ma oggi molto di più. Anche papà lo era, ci aveva baciato sulla testa, poi aveva appoggiato il braccio sulle spalle della mamma ed erano usciti di casa con un sorriso luminoso.

    Beth ci accompagna fino alla porta chiusa della sala, poi si allontana dopo aver donato una carezza a tutti e due.

    Io e mio fratello ci guardiamo con i nostri disegni in mano, arrotolati e chiusi da un nastro rosso.

    Cosa sta succedendo? domanda Liam sporgendosi verso di me.

    Non lo so, ma c’è qualcosa di strano. Penso che ora scopriremo di cosa si tratta gli rispondo prendendolo per mano. È molto agitato e impaurito.

    Perché ha paura? Dovrei forse averne pure io?

    Dopo pochi secondi lo sento smettere di tremare. Mamma dice che io e Liam abbiamo una connessione molto potente tra di noi. Del resto, siamo gemelli. Nessuno può ferire uno di noi due senza che anche l’altro non stia male. Nessuno potrà mai dividerci. Ci vogliamo bene e sono certo che ci saremo sempre l’uno per l’altro. O perlomeno mamma dice che sarà così e noi le crediamo.

    Fin da piccoli ci sono state insegnate le buone maniere, come per esempio la regola che davanti a una porta chiusa bisogna bussare e attendere che qualcuno venga ad aprire o dica la parola avanti.

    Batto piano il pugno sulla porta della sala e, dopo qualche secondo, è papà ad aprire.

    Incrocio subito i suoi occhi lucidi. Sembra commosso. Commosso veramente tanto, e non l’ho mai visto così. Papà è un uomo forte, importante e potente, che non mostra mai il suo stato d’animo così apertamente, o perlomeno non lo ha mai fatto di fronte a me o a mio fratello prima d’ora.

    Tende il braccio verso l’interno della stanza invitandoci a entrare con un sorriso tenero e, dalla nostra posizione, vedo solo le spalle della mamma adagiate allo schienale del divano rivolto verso il camino. La mia mano rimane intrecciata a quella di Liam e il mio cuore batte forte come il suo.

    Lo sento.

    Mamma, percepita la nostra vicinanza, inclina la testa verso di noi ed entrambi riusciamo a notare che anche lei ha gli occhi lucidi e arrossati.

    Mamma, stai bene? domandiamo in coro io e Liam. Qualcosa non va… adesso provo la sensazione che stiano per dirci qualcosa di brutto. Forse qualcuno sta male?

    Mai stata meglio, bambini miei. Venite avanti. Venite da me.

    Io e mio fratello ci avviciniamo cauti senza correre, ma improvvisamente ci blocchiamo sul posto. O meglio, io mi blocco e il mio braccio sinistro si tende frenando anche l’avanzata di Liam.

    Un bambino più o meno della nostra età, con i capelli neri come il carbone e due occhi verdi impauriti, è seduto accanto alla mamma. Papà ci oltrepassa e va a sedersi al suo fianco.

    Mamma guarda prima il papà sorridendogli, poi il bambino sorridendogli, poi di nuovo noi: incrocia gli occhi di Liam e i miei sempre con lo stesso identico sorriso sulle labbra e gli occhi carichi di emozione.

    Liam, Damien, vi presentiamo il nuovo membro della famiglia.

    Nuovo membro della famiglia? Cosa vuol dire?

    Percepisco Liam irrigidirsi e rafforzare la presa, mentre io avverto il mio corpo come fosse diventato un blocco di ghiaccio. Mamma prende la mano destra del ragazzino e gli spazzola i capelli folti e lisci all’indietro; lui la guarda con estrema ammirazione, sembra ammaliato dalla mamma.

    Lui si chiama John e da oggi sarà a tutti gli effetti vostro fratello.

    Con un movimento del capo appena accennato punto gli occhi su Liam, ancora fermo sul posto ma con lo sguardo puntato su John. Vedo che poco alla volta le sue labbra iniziano a schiudersi abbozzando un sorriso. La paura che provava fino a qualche minuto prima di entrare in questa sala sembra essere sparita.

    Perché io invece mi sento così triste?

    Lascio la presa dalla mano di mio fratello, poi noto gli occhi azzurri di mia madre farsi seri mentre mi guarda togliere il nastro rosso con cui avevo legato il mio disegno. Lo srotolo per quanto mi è possibile cercando di distenderlo, poi mi avvicino a John osservandone l’abbigliamento trasandato e la pelle olivastra. Glielo porgo senza dire una parola e lui lo prende sussurrando un timido grazie, poi indietreggio serrando i pugni.

    Sento una rabbia potente aumentare dentro di me. Una rabbia che non sapevo si potesse provare.

    Forse è così che si sente papà quando al lavoro le cose non vanno bene.

    Mi giro e mi avvio al di fuori della sala lasciandomi alle spalle le voci di mamma, papà e Liam che mi invitano a tornare indietro. Ma io accelero ancora di più la corsa verso la mia camera con le lacrime che pungono gli occhi e la consapevolezza che, da oggi, tutto cambierà.

    1

    Lucy

    30/01/2016, quattro settimane dopo la scoperta dei segreti.

    Sono seduta su uno sgabello, con i gomiti appoggiati sul bancone della cucina, la testa sorretta dalle mani e le dita intrecciate nei capelli che sembrano paglia.

    Guardo in basso e osservo il pigiama con le scimmiette buffe. Già, quello che di solito indosso la notte di Natale o quando sono ammalata. Non è Natale, ma un po’ malata lo sono.

    Il mio cuore lo è.

    Dal due gennaio tutto è cambiato. Da quella rivelazione legata alla ragione del mio stupro, il mio intero mondo è cambiato. Sono precipitata dalla vetta più alta senza un paracadute e mi sono schiantata al suolo ferendomi un solo muscolo, il cuore.

    Il mio cuore è privo di vita, di palpiti, di vibrazioni. Non prova più alcuna emozione. Non prova più rabbia, né dolore. Non prova più nulla. So che c’è, ma non lo sento.

    È la mia testa al momento a provare tutte le emozioni che un tempo sentivo con il cuore.

    Da un mese a questa parte ho deciso che è bene pensare solo con quella e lasciar perdere l’organo pulsante che mi ha preso in giro. Prima mi ha donato felicità e amore, poi mi ha fatto sprofondare nell’abisso e ora devo perlomeno tentare di risalire in superficie, ma non so ancora cosa fare per riuscirci.

    Cerco di riprendere in mano la mia vita, cerco un modo per ritrovare me stessa, cerco di non pensare alla bomba che è scoppiata squarciando il mio cuore in un milione di pezzi e, più di ogni altra cosa, cerco un modo per non pensare a Liam.

    Ma non ci riesco.

    Per paura di incontrarlo non ho più messo piede in palestra, pur avendo un bisogno disperato di eliminare tutto lo stress accumulato in queste settimane. Mi farebbe bene un allenamento di Kick Boxing con Robbie, il mio istruttore di difesa personale, perché almeno potrei scaricare la rabbia contro un sacco e far finta che si tratti di qualcuno in carne e ossa.

    Esco di casa tutti i giorni a orari diversi e allo stesso modo vi rientro. Mi reco in ufficio, mi siedo alla scrivania ed eseguo il mio lavoro, ma la mente è spesso altrove e questo non mi permette di dare il massimo: è una cosa che non tollero.

    In pratica non sto riprendendo in mano la mia vita. Sto semplicemente cercando di scappare dai problemi.

    Finora, lui non ha mai pensato di appostarsi fuori casa o fuori dall’agenzia. O almeno così credo, perché tendo a non alzare mai lo sguardo per paura di incrociare i suoi occhi azzurri.

    Ogni giorno, a fine turno, varco la porta dell’ufficio e inizio a camminare con lo sguardo costantemente puntato sui miei piedi che corrono veloci fino all’auto. Li rialzo solo quando entro nell’abitacolo e ho chiuso la portiera con la sicura. Agli occhi della gente sembrerò una pazza, ma chi mi conosce sa che sono solo una ragazza ferita nel profondo, che merita di essere lasciata stare e di crogiolarsi nei suoi problemi di cuore.

    Lana è finalmente tornata a casa da quasi tre settimane. Per fortuna la mia amica che considero più una sorella è qui con me, perché la prima settimana dopo Liam è stata, se possibile, ancora più infernale senza di lei. Ero diventata l’incubo delle infermiere e dei dottori del General Hospital; mi presentavo ogni giorno a orari assurdi nel reparto in cui lei era ricoverata, ma non potevo farne a meno, sentivo la necessità di parlarle e vederla.

    Il dott. Barrett – o dottor B, come l’ho soprannominato, – prima di dare conferma della dimissione, ha ammesso di essere rimasto piacevolmente colpito dalla rapidità con la quale Lana si è ripresa dall’incidente. Di certo l’essere in buona salute e in perfetta forma fisica ha inciso parecchio durante la fase di convalescenza.

    Michelle e Peter, i genitori della mia migliore amica, sono partiti ieri per la Nuova Zelanda e torneranno a farci visita questa estate, sempre se io e Lana non decideremo di far loro una sorpresa, raggiungendoli non appena ne avremo la possibilità. Mi piacerebbe allontanarmi da Boston per un po’, cambiare aria, osservare paesaggi diversi e, sopra ogni cosa, frequentare persone diverse. Sarebbe davvero stupendo e, soprattutto, benefico.

    Salutarli in aeroporto e vederli allontanarsi con le loro valigie è stato più difficile questa volta, perché oltre a stare accanto alla figlia si sono occupati moltissimo anche di me. Hanno tentato di risollevarmi il morale con ogni mezzo possibile, standomi accanto e coccolandomi come fossi anche io figlia loro, ma non hanno ottenuto grossi risultati. Quando mi metto in testa di non voler essere aiutata, non permetto a nessuno di avvicinarsi. Lana spesso si prende gioco di me dicendo che è come se indossassi una tuta protettiva dalla quale esco solo per parlare con lei, quando glielo permetto.

    La vibrazione del telefono sul marmo della cucina mi riporta al presente. Butto lo sguardo alla mia sinistra sullo schermo illuminato dell’iPhone e leggo la scritta NON RISPONDERE.

    Liam.

    Come faccio a smettere di pensare a te, se mi ricordi della tua esistenza tutte le mattine?

    Lascio per l’ennesima volta partire la segreteria telefonica, consapevole che non ascolterò nessuno dei suoi messaggi. Ho deciso però di non cancellarli, almeno per il momento. So che potrei bloccare il suo numero in modo da impedirgli di contattarmi, ma ho deciso che non farò nemmeno quello.

    Testa o Cuore?

    Scivolo giù dallo sgabello e mi avvio verso la camera di Lana con la mia ricarica di energia preferita stretta tra le mani: una tazza gigante di cioccolata calda.

    Salgo le scale con estrema lentezza come se avessi le gambe stanche di una persona in là con gli anni, come se non dormissi bene la notte da quando lui non mi è più accanto – questo però è vero. Raggiungo la stanza, mi appoggio allo stipite della porta e rimango ferma a osservare l’unica certezza della mia vita.

    Se lei non fosse qui avrei già perso la testa, e se mi fermo a pensare a come sarebbe potuta andare la notte dell’incidente ancora rabbrividisco. All’impatto violento dell’auto uscita di strada per cause tuttora sconosciute, aggiungiamo l’arresto cardiaco, il coma farmacologico e la possibilità che al suo risveglio non riuscisse più a camminare. Grazie al cielo – e ai dottori, come disse Lana al suo risveglio, – tutto è andato per il meglio.

    La mia migliore amica si muove lentamente allungando le braccia verso l’alto sopra la testa, poi si sposta verso sinistra tenendo gli occhi chiusi e solleva le coperte invitandomi a raggiungerla. È diventata un’abitudine nuova passare qualche minuto insieme prima di iniziare la giornata.

    Ti ha già chiamata? mi domanda con voce assonnata.

    Mi avvicino al letto, appoggio la tazza fumante sul suo comodino e mi stendo accanto a lei sospirando. Sì, puntuale come tutte le mattine.

    Vi fate del male a vicenda. Lui perché continua a non sentire la tua voce e a non sapere come stai, e tu perché anche se ti manca terribilmente, sei così orgogliosa da non voler farglielo sapere.

    Mi giro osservandola in cagnesco. Come posso non stare male, Lana? Ti rendi conto di quello che mi ha detto, delle cose che sono successe?

    Sì, me ne rendo conto e credo abbia già pagato abbastanza per i suoi errori. Non lo pensi anche tu? Il suo tono, ora, è più acceso.

    Esasperata, punto lo sguardo in alto sul soffitto bianco. È vero, Liam mi manca troppo, mi manca a tal punto che quando riesco ad addormentarmi perché la stanchezza ha la meglio su di me, sogno le sue mani morbide sul mio corpo, le sue labbra perfette sulle mie, le sue braccia forti attorno alla mia vita, la sua voce suadente, il suo profumo delicato. Mi manca da impazzire, ma l’orgoglio e la paura di essere ferita di nuovo non mi permettono di seguire il mio cuore che, nonostante tutto, lo desidera moltissimo.

    Questa volta non posso tornare da lui.

    Le motivazioni che stanno dietro al mio stupro sono a dir poco raccapriccianti e non riesco ad assimilarle, non riesco a capirle perché non posso spiegarle.

    Ho preso appuntamento con la psicologa e mercoledì saprà anche lei come sono andate veramente le cose quel venerdì sera: quello stramaledetto venerdì di giugno dell’estate scorsa che, in pochi terribili attimi, mi ha devastata. Nel corpo e nell’animo. Spero mi aiuti a risolvere questa situazione e a elaborarne la dinamica una volta per tutte, perché temo non troverò pace fino ad allora. Dovrò dirle che il mio eroe, colui che ho tentato disperatamente di trovare per ringraziarlo seguendo semplicemente un profumo e che mi ha salvata dall’aggressione di un ragazzo di nome Matthew, si chiamava Damien ed era il gemello dell’uomo di cui mi sono innamorata a dicembre. Dovrò dirle anche che Damien, nonostante un trapianto di rene donatogli da suo fratello, purtroppo è venuto a mancare a causa di una malattia. Inoltre, dovrò raccontarle che Liam e Matthew si conoscevano e quest’ultimo ha agito in quel modo orribile nei miei confronti per esaudire una vendetta che nessuno, però, gli aveva chiesto di soddisfare.

    Mi sembra di vedere il tuo cervello lavorare senza sosta, ma girando sempre in tondo. Smettila di ripensare a tutte le cose che Liam ti ha rivelato.

    È impossibile…

    Nonostante tutto quello che è successo, non posso mentire a me stessa. Cerco di ingannarmi, ma è impossibile. Liam mi manca. Tanto. Mi manca come… non so dire come. So solo che ci sono momenti in cui mi sembra di non riuscire nemmeno a respirare. Poi però ricordo quello che è successo e allora mi sento schifata da tutta quella situazione, delusa e arrabbiata. Arrabbiata anche con me stessa perché non voglio che lui mi manchi così tanto. Dovrei essere disgustata anche da lui, dovrei odiarlo, eppure non ce la faccio.

    Lana mi osserva facendo passare le mani tra i suoi splendidi capelli lunghi tutti aggrovigliati. Lo ami, Lucy. Non riuscirai mai a fare nulla di ciò che la mente vorrebbe farti fare. Sei convinta di non agire con il cuore in questo momento, ma sai meglio di me che è così perché tu non sei in grado di fare diversamente. Hai sempre preso qualsiasi decisione seguendo le emozioni. Sei irrazionale quando si parla di amore, non quanto me questo è certo, ma il tuo cuore prevale ogni volta.

    Mi lascio avvolgere dalle braccia forti di Lana poi lascio libere le lacrime che, uscendo dagli occhi stanchi, tracciano linee irregolari sul mio viso.

    Al cuor non si comanda farfuglio tamponando la guancia destra. Mi riprenderò prima o poi? Smetterò di pensare a lui? Smetterò di piangere?

    Solo quando avrai la forza di rispondere a quel telefono che suona tutte le mattine alla stessa ora, oppure di inviargli un messaggio per comunicargli quanto ti manca e spiegargli che hai bisogno di tempo ma vorresti incontrarlo e parlargli di quello che provi, di quello che senti. Avete delle cose in sospeso di cui dovete necessariamente discutere. Tesoro, sai come la penso di questo limbo in cui siete finiti, te l’ho detto tante volte. Liam è causa della tua malattia, ma è anche la cura.

    Lo so.

    Diavolo, lo so eccome.

    Riempio i polmoni ed espiro cercando di eliminare l’ansia, pur sapendo che non se ne andrà così facilmente.

    Alziamoci da questo letto, sono stanca di piangermi addosso dico sollevando la schiena dal materasso.

    Usciamo a fare una passeggiata. Ti va? propone Lana.

    Va bene, anche se sei lenta come una lumaca.

    Non è vero! ringhia agguantando la mia tazza bollente. Lana inizia a sorseggiare quella che fino a qualche secondo fa era la mia colazione e non riesco a contenere un sorriso.

    Dopo esserci preparate, io e Lana ci rechiamo senza fretta al Boston Common per rilassarci un po’. L’aria è frizzante e pungente, si percepisce l’arrivo della neve. Se ne sente il profumo. Presto Boston si tingerà di bianco e il paesaggio diventerà incantato come quello del mondo delle favole.

    Avrei bisogno di un po’ di magia.

    Ci avviciniamo al Frog Pond. La pista di pattinaggio non è molto grande e all’interno ci sono pochi bambini e qualche adulto impacciato. Ci soffermiamo vicine al bordo a osservare alcuni di loro mentre cercano di non cadere e farsi del male.

    Vuoi andare a pattinare? mi chiede Lana.

    Faccio spallucce muovendo la testa a destra e a sinistra, senza distogliere gli occhi dalla pista. Non mi va di lasciarti da sola aggiungo in risposta.

    Ma non resterò sola. John mi sta aspettando dentro al bar, gli ho scritto prima di uscire. Tu vai e mostra a quelli là come si pattina sul ghiaccio incalza alludendo alle acrobazie mal riuscite di due ragazze che tentano di pattinare stringendosi per mano.

    Se non mi uccido prima!

    Sei sicura? domando voltandomi verso la mia amica che, per tutta risposta, annuisce sorridendomi.

    E va bene acconsento poco convinta. Ci vediamo più o meno tra mezz’ora.

    Lana si avvia verso il bar e la seguo con lo sguardo fino a quando non la vedo abbracciare il suo bellissimo ragazzo. John è una brava persona e soprattutto in gamba tanto quanto Lana; forse per questo stanno così bene assieme. Si tengono testa, hanno le stesse passioni e vivono alla giornata senza fare progetti a lungo termine, semplicemente divertendosi insieme.

    Mi avvicino allo stand per noleggiare i pattini, pago l’ingresso ed entro finalmente in pista. È la prima volta che metto piede sul ghiaccio questo inverno e mi sento un po’ impacciata, oltre che arrugginita. Spero solo di non rompermi l’osso del collo! Certo sarebbe un problema, ora è Lana ad aver bisogno di me.

    Da ragazzina amavo pattinare sul ghiaccio e devo questa passione al mio migliore amico Lucas. Avevo già perso i miei genitori e lui mi teneva spesso compagnia; capitava sovente che ci incrociassimo a scuola, pur essendo in classi diverse. È stato proprio lui a portarmi qui per la prima volta e a insegnarmi come scivolare sul ghiaccio. Poi mi iscrissi in una scuola e imparai a pattinare bene grazie anche al papà di Lana. Lui accompagnava me e sua figlia tutte le domeniche pomeriggio a lezione. Custodisco quei ricordi con gelosia. Sono i più belli che ho.

    Dopo qualche minuto di riscaldamento sono totalmente in sintonia con i pattini, le lame scorrono fluide sul ghiaccio e mi sento come se mi fossi allenata tutti i giorni. Lucas da ragazzino mi spiegava che pattinare è un po’ come andare in bicicletta: una volta imparato, riuscirai sempre a farlo.

    Inizio a percorrere la pista restando comunque adiacente al bordo. Preferisco avere un appiglio vicino nel caso perdessi l’equilibrio. Esordisco con dei "Three Turns, dei cambi direzionali, poi decido di eseguire qualche figura tecnica semplice. Aspetto di avere lo spazio necessario e mi lancio in quella che, in gergo, si chiama Spread Eagles": luna su filo interno. Mentre completo la rotazione, sento una bambina gridare alla sua mamma di guardare quello che sta succedendo in pista.

    Mi fermo e individuo una graziosa bimba di tre anni o poco meno, con i riccioli biondi che escono dal berretto rosso, battere forte le sue manine mentre la mamma la tiene stretta a sé e mi sorride. Faccio un inchino di ringraziamento alla mia piccola fan e le chiedo se desidera rivedere quanto ho appena eseguito.

    Sì, peffavore! quasi mi supplica con una vocina stridula, sgranando gli occhi per l’entusiasmo. Mi rimetto in posizione e, quando ho quasi completato il cerchio con il mento rivolto verso l’alto e le braccia ben tese ai lati del corpo, avverto uno strano palpitio del

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