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E-book271 pagine3 ore

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Info su questo ebook

Racconto delle esperienze vissute da un italiano a Londra.
Le varie vicissitudini sono contraddistinte da una certa autoironia dietro la quale però a volte si nasconde il senso di solitudine e di sconforto provato nel trovarsi in un Paese straniero in cui tutto quello che siamo e che abbiamo costruito vale meno di zero e bisogna ripartire dal principio sul lavoro, con i rapporti umani ecc...
Presa di coscienza da parte del protagonista del fatto che talvolta i nostri sogni possono essere realizzati anche a casa.
LinguaItaliano
Data di uscita2 giu 2018
ISBN9788828329008
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    Anteprima del libro

    Return Ticket - Enzo Bernardi

    friend

    PROLOGO

    A scanso di equivoci e di brutte sorprese informo chiunque si accinga a leggere questo libro sul fatto che la narrazione degli episodi contenuti si svolge a Londra tra il 2012 e il 2015… quindi prima dell’avvento della Brexit!

    Cosa cambia?

    Di fondo nulla; forse alcune notazioni e riferimenti sulla burocrazia inglese non sono più attuali ma ai fini del racconto che state per leggere confermo che tutte le scemate che vi sono riportate e che mi vedono protagonista sono realmente accadute.

    Preciso anche che questo non è un prontuario sul come andare a vivere a Londra… è solo la storia di un medioman italiano che ci ha passato tre anni della propria vita.

    (E, sempre a scanso di equivoci, nulla a che vedere con i cervelli in fuga dal Bel Paese).

    Ultima cosa (e poi la smetto di rompere): ringrazio TUTTI quelli che mi hanno sostenuto durante la mia avventura e TUTTI quelli che mi hanno aiutato nella stesura e revisione di questo libro rendendone di fatto possibile la pubblicazione.

    Grazie di cuore!

    " Not everybody thought they

    could be a dentist or an

    automobile mechanic but

    everybody knew they could

    be a writer."

    Charles Bukowski

    Intro

    ... ovvero la storia del mio viaggio alla scoperta di Londra!

    Once upon a time...

    no, questa non è una storia da c’era una volta; quello che segue è molto più semplicemente il resoconto semi-serio della mia avventura in quel di Londra iniziata nell’ormai lontano marzo del 2012.

    A un certo punto della mia vita ho realizzato che quello che facevo non mi bastava e così alla veneranda età di 39 anni ho deciso di andare a vivere a Londra (la scusa di imparare un po’ di inglese e la crisi di mezza età erano più che sufficienti per giustificare il tutto).

    Inutile dire che le condizioni al contorno erano favorevoli: nessuna fidanzata o ex moglie con figli a carico da lasciare e nessuna potenziale brillante carriera da interrompere... solo, si fa per dire, pochi e fidati amici che in qualche modo hanno cercato di capire la mia scelta e che durante il mio viaggio mi sono stati più o meno vicini.

    Come è iniziato il tutto?

    Easy: un giorno ho rassegnato le mie dimissioni, mi sono organizzato alla bene e meglio e sono partito per Londra senza effettivamente sapere come sarebbe andata a finire.

    «Del senno di poi son piene le fosse» scriveva il Manzoni nei Promessi sposi e mai parole sono state più sagge di queste.

    Quanti, infatti, se sapessero in anticipo come la storia andrà a finire si imbarcherebbero in una nuova avventura?

    Se la decisione che ho preso sia stata quella giusta o la migliore in assoluto, anche oggi a distanza di tre anni, non lo saprei dire; di certo non me ne uscirò con frasi del tipo: Se non lo avessi fatto forse me ne sarei pentito per tutta la vita o Meglio avere rimorsi che rimpianti.

    Quello che posso dire è che sono sopravvissuto e che oggi, riannodando i ricordi per scrivere queste pagine, mi sembra impossibile aver fatto così tante cazzate ed essere qui ora pronto a raccontarle.

    Nota per i puristi della lingua italiana:

    nel presente libro sono presenti parolacce e vari tipi di imprecazioni a uso e consumo meramente gratuito.

    Ne avrei potuto fare a meno? Certo che sì, ma non ho voluto.

    L’idea di base che mi ha guidato è stata: senza una parolaccia come cazzo si fa a rafforzare un concetto?

    Ok, fine dell’intro, auguro a tutti buon divertimento ;-)

    Cap. 1 – LET’S GO !

    Sabato 31 marzo 2012 ore 8.40 a.m.: partenza!

    Con l’ausilio del fidato amico Oscar (nelle veci di taxista) e con un bagaglio totale di circa 36,5 Kg (23 Kg di bagaglio da stiva e 13,5 Kg di bagaglio a mano) eccomi diretto verso l’aeroporto Marco Polo in Venice per prendere il volo British Airways BA0595 con partenza alle ore 12.35: destinazione Londra Heathrow.

    Nota: sotto la voce bagaglio a mano ho incluso indistintamente uno zaino all in one ed una borsa porta PC. Ma borsa porta PC è un termine riduttivo quando dentro ci si mette uno splendido MacBook Pro 15" nuovo fiammante; ma purtroppo alla Apple non hanno ancora commercializzato la iBorsa e quindi mi sono dovuto accontentare.

    Nota nella Nota: questo libro è stato scritto usando prevalentemente il programma Pages condividendo mediante iCloud il file di testo tra i vari iDevice… come già detto ho usato il mio amato MacBook Pro, un iPad 2 e successivamente un iPad mini, un iPhone 4 un 5 e per non farmi mancare proprio nulla anche il 6. Durante il racconto farò chiari ed espliciti riferimenti commerciali al brand della mela morsicata, quindi, se mai qualche pezzo grosso di Apple Italia, UK o World leggendo queste mie righe decidesse di farmi dono di un qual si voglia nuovo iDispositivo, sappiate che non mi sentirò in alcun modo offeso dalla vostra smodata generosità.

    (Prego, notare l’uso che ho fatto dell’aggettivo smodata… a buon intenditor poche parole).

    Ma torniamo a noi: secondo Google Maps la distanza approssimativa che separa casa mia dall’aeroporto Marco Polo di Venezia è di 106/108 Km e la si dovrebbe percorrere in circa 1 ora e 30 minuti, peccato che la società Autostrade per l’Italia avesse deciso di fare un bel lavoretto di ri-asfaltatura tra i caselli di Padova Ovest ed Est con la conseguente riduzione da tre a una delle carreggiate per senso di marcia.

    Risultato?

    Ho iniziato il viaggio con una tremenda strizza di perdere il volo.

    Sapete come si dice, chi ben comincia è a metà dell’opera… bene, dopo 2 ore e mezza di macchina e molte imprecazioni più tardi eccoci arrivati in aeroporto giusto in tempo per una foto d’addio e un imbarco super veloce.

    From Venice to Heathrow nessun problema: partenza in orario, volo senza sobbalzi e, ciliegina sulla torta, con il mio quasi perfetto inglese sono pure riuscito a farmi servire un bel bicchiere di apple juice.

    A seguire una vera passeggiata: atterraggio perfetto, visita ai bagni dell’aeroporto di Heathrow (maledetto succo di mela), recupero super rapido del bagaglio registrato, due passi fuori dall’aeroporto ed eccomi pronto a prendere un taxi (tempo di attesa 2 minuti).

    «I’d like to go to this address» e a seguire un bigliettino con l’indirizzo:

    Sophia House, 80 City Road – London – EC1Y – 2BJ.

    Risultato: dopo circa 35 minuti di taxi e 100 pound in meno nel portafoglio (e uno strano odore di pollo appena spennato che mi sentivo addosso) mi sono ritrovato in front of the building dove aveva sede l’agenzia Sognando Londra alla quale mi ero appoggiato per il mio arrivo in città.

    Previa citofonata e relativa presentazione in perfetto inglese:

    Hi, I’m Enzo (visto il mio livello di inglese la filosofia less is more era la migliore),

    mi ritrovo in un ufficio angusto (almeno per i miei standard) seduto di fronte a un mio connazionale di nome Francesco che definire scazzato risultava essere molto riduttivo.

    Il tipo assomigliava ad Antonio Gramsci, sui 30 anni, con una sciarpetta multicolor molto alternative e unghia del mignolo della mano destra decorata con un carinissimo smalto color fucsia.

    Adorabile, veramente adorabile.

    Espletiamo la formalità del check in che tradotto significava:

    fotocopia del passaporto;

    lettura sommaria di un contratto in inglese (contratto in inglese? Poteva riguardare qualunque cosa);

    firma dello stesso;

    pagamento per l’affitto di una stanza singola in un flat in condivisione in terza zona di Londra per n° 1 week + n° 2 weeks di deposito cauzionale… rullo di tamburi: Totale 330 pound.

    Scucio di tasca n° 7 biglietti cartacei da 50 pound.

    Il mio interlocutore, sempre più scazzato (ciccio, capisco che è sabato pomeriggio, ma diamoci una svegliata se non altro per le apparenze), compila un paio di scartoffie, prende una busta ove introduce soldi e scartoffie e sigilla il tutto con una bella pinzatrice et voilà, mette il tutto in una cassaforte sotto il desk.

    – … Scusa, ma il resto?

    – In che senso?

    – Beh il totale è 330 £… ti ho dato 350… il resto!

    – Hai ragione!

    – Beh… sì, credo di sì, se la matematica non è un’opinione da questa parte del continente.

    – Ok, intanto, come da pacchetto sottoscritto con la nostra agenzia eccoti la sim telefonica inglese della O2 e la mappa con l’indirizzo dell’agenzia dove andare per ritirare le chiavi della stanza e dove ottenere indicazioni relative all’appartamento.

    Questa invece è la mappa con l’indirizzo della scuola di inglese che noi ti consigliamo; ti ricordo che nel caso tu decida di lasciare la stanza (il cui affitto devi pagare ogni week in agenzia) il preavviso è di 2 weeks e che devi mandare una mail di disdetta.

    Per quanto hai intenzione di fermarti nella stanza?

    – Ma… non so… vediamo…

    – Ok… ciao, ci vediamo… se ci sono problemi sai dove trovarci… Buona fortuna!

    Nota: non ho problemi a definirmi il classico ragazzo di campagna (avete presente il film con Renato Pozzetto? ok, doesn’t matter) e sono a Londra da non più di un’ora.

    Inutile dire che non conoscevo la città e che come avete capito il mio inglese aveva più buchi di una forma di gruviera.

    Londra ha una superficie stimata di 1.572,1 Km² e una popolazione di 7.825.200 abitanti (fonte Wikipedia – 2010) e questo gentilissimo connazionale dei miei coglioni mi aveva dato due cazzo di mappe stampate usando Google Maps per spiegarmi dove andare?

    E qual era la peculiarità di queste mappe?

    Fornivano come punto di riferimento NON la posizione attuale ma la più vicina stazione della metropolitana da cui si doveva scendere per andare al punto di interesse specifico.

    Insomma, per uno che non conosce la città… I N U T I L I !

    Erano circa le 4.00 p.m. di un sabato qualunque e l’agenzia dove dovevo andare chiudeva alle 6.00 p.m. e una volta passato in agenzia dovevo pure andare all’appartamento… insomma: e che cazzo!

    E poi? Buona fortuna?!?

    In che senso??? Ne avrei avuto TANTO bisogno?!? Ma vafffffaaaaaa.

    Ok, keep calm and carry on… ero in mezzo a una strada mai vista prima con il fardello di tutti i miei averi sulle spalle, ma ero bello, elegante e soprattutto carico di contanti (tra tutte le caratteristiche quest’ultima era la più importante).

    Decisi allora di usare il mio occhio di falco per individuare un taxi e, armato della mia frase di rito I’d like to go to this address seguita dal bigliettino riportante la mappa con l’indirizzo dell’agenzia immobiliare, di pigliare il secondo taxi della giornata.

    Con 19,80 £ in meno nel mio portafoglio (e con l’odore di pollo spennato che si faceva sempre più intenso) eccomi giunto a destinazione: 172 Royal College Street London – NW1 – 0SP.

    Scendo e ringrazio.

    Sono le 4.30 del pomeriggio, sono a Londra e c’è stranamente il sole; ci saranno circa 17/18 °C e malgrado indossi una t-shirt + shirt leggera in cotone e un giubbetto tipo windstop sto sudando come fossi in spiaggia in agosto sotto il solleone.

    Entro nell’agenzia immobiliare e mi ritrovo in un luogo dove c’erano quattro postazioni computer con dei ragazzi che chiacchieravano tra loro raccontandosi cosa facevano, di come lo facevano e del perché lo facevano (non parlavo inglese e lo capivo molto poco, ma riuscivo a riconoscere la gente che cazzeggiava invece di lavorare).

    Mi fiondo da un tipo che era dietro uno sportello protetto da un vetro (tipo postazione per prenotare una visita all’ospedale) e mi ritrovo a fare l’ennesimo check in della giornata.

    Altri 20 pound di cauzione per la consegna delle chiavi (a giudicare dal costo della cauzione erano fatte con una lega d’argento misto titanio), altra mappa con le indicazioni per andare all’appartamento (sempre con la filosofia: stazione della metro a cui scendere e indicazioni per il luogo da raggiungere)… e altro Good Luck!

    Beh, oramai la tecnica era collaudata: sulla strada, alla ricerca disperata di un taxi libero, frase di rito I’d like to go to this address seguita dal bigliettino con mappa e indirizzo 95 Mowatt Close – London – N19 – 3XZ.

    15 minuti e 14 pound dopo eccomi… all’INFERNO!

    Ho detto inferno NON perché il quartiere fosse un quartiere popolare, bruttino e fatto di casermoni tutti uguali e oggettivamente anonimi, ma perché ero davanti alla porta di un condominio e... la chiave per aprire NON FUNZIONAVA!

    Nota: ammetto che ho bestemmiato in tutte le lingue che conoscevo (italiano, dialetto veneto e quel fuck… che in Inghilterra è come il prezzemolo, lo si può mettere un po’ ovunque) e ho maledetto le future due generazioni di discendenti maschi di tutti i cazzeggiatori che lavoravano nell’agenzia immobiliare.

    Vabbè: toccava sperare che nell’appartamento ci fosse qualcuno e toccava cercare di improvvisare un paio di frasi in inglese maccheronico.

    E dopo aver suonato il campanello… nell’ordine:

    Hi, I’m Enzo, the new flatmate.

    Sorry, but my key don’t working.

    Do you help me?

    (so che le frasi sopra riportate sono un’accozzaglia di parole e che chiunque mi stia leggendo si sta scompisciando dalle risate; ma, come detto, l’inglese era maccheronico e continuò a esserlo per un bel po’ di mesi a seguire).

    Comunque, come direbbe Fantozzi, il risultato di cotanto sforzo fu:

    apertura elettrica della porta;

    due rampe di scale ripide e strette (in quel condominio NON sembrava vigessero le stesse normative architettoniche da rispettare sull’alzata massima dei gradini che avevo imparato ad apprezzare in Italia);

    bussatina a una porta di legno e apertura della stessa da parte di un ragazzo sui 20 anni, tale Robert, irlandese e di poche parole.

    Hi, Nice to meet you I’m Enzo.

    Nice to meet you.

    Altre due rampe di scale ancora più ripide e, se possibile, ancora più strette di quelle di prima, e mi ritrovo di fronte alla porta della mia camera.

    – … this is your room.

    ok, Thanks (a posto ciao).

    Apro e… eccomi nel mio personale purgatorio.

    Stanza piccola con letto a una piazza e mezza che occupava la quasi totalità della superficie calpestabile.

    Letto composto da una rete in ferro e da un materasso il cui colore era una variegata cromia di tutte le possibili sfumature di giallo ottenute grazie all’applicazione di vari liquidi biologici e NON che essere umano aveva potuto immaginare di versarci sopra.

    Venti centimetri a destra del letto un armadio a muro e due ante, senza appendini a corredo ma arricchito di un delizioso aroma di muffa.

    Di fronte al letto una scrivania (in realtà tre tavole fissate con lo sputo) che restava in sesto solo se accuratamente e saldamente appoggiata al muro; nessuna sedia e/o lampada da scrivania.

    Pavimento in finto legno che ricopriva la moquette sottostante… e come accessorio finale: sporco, sporco e ancora sporco ovunque. Polvere, polvere, e ancora polvere con l’aggiunta di macchie di vari liquidi e un po’ di cera di candela qui e là.

    Superato lo shock iniziale andai da Robert (che era tornato a giocare nella sua stanza con la play corredata di un magnifico 42" LCD) e gli sparai l’ormai abituale sequela di frasi in inglese sgangherato:

    Ok, Robert, I’m going to eat something… I go back and sound. You can open me. Thanks.»

    La risposta:

    K.

    Andai a mangiare nel Burger King che avevo visto arrivando in taxi e nel frattempo pensavo: Quando torno mi faccio la doccia e poi? È più logico dormire sul pavimento o sul ricettacolo di sostanze organiche raccolte nel materasso?.

    Sulla scorta delle informazioni che il mio amico Andrea mi aveva dato (il mio amico Andrea è un biologo) sapevo che:

    le pulci si trasmettono solo da ospite vivo a ospite vivo (quindi quello era un pericolo che potevo ragionevolmente supporre di non correre);

    gli acari invece erano potenzialmente ovunque, sia sul materasso che nella moquette, ragion per cui non c’era scampo.

    All’epoca, per fortuna, non conoscevo l’esistenza delle Bed Bug e di tutte le implicazioni del caso.

    In quella prima notte decisi di dormire sul materasso inserito a mo’ di bozzolo nella mia tuta da ginnastica da capo a piedi.

    Così mummificato, pensavo, non posso essere infettato dalla maggior parte delle sostanze organiche presenti. Lo zaino come cuscino e fingers crossed avrei potuto ragionevolmente sperare di sopravvivere fino al giorno seguente.

    Restava solo da decidere se l’indomani avessi dovuto sterilizzare la tuta mediante combustione o se mi potevo accontentare di un lavaggio a 90 °C.

    Trascorsa la notte durante la quale dormii molto molto poco, eccomi arrivato alla domenica mattina.

    Già, una splendida domenica mattina in quel di Londra con tutti i pregi e i difetti del caso:

    1) avevo solo l’imbarazzo della scelta su dove andare a mangiare e/o cosa visitare;

    2) carta di credito permettendo avrei trovato mille esercizi commerciali aperti dove poter fare shopping sfrenato;

    3) l’agenzia immobiliare NON era sicuramente aperta e quindi NON potevo riportare che:

    – NON avevo una cazzo di chiave per aprire la porta di casa;

    – ero costretto a dormire su un materasso che era la base di coltura per varie forme primordiali di microorganismi potenzialmente mortali;

    – che la scrivania in dotazione alla stanza era una struttura tridimensionale dall’equilibrio precario mantenuta assieme dal cosiddetto sputo;

    4) nessuno dei miei flatmates (che pure dovevano esistere) si vedeva in giro; dunque sperare di chiedere in prestito una chiave per farne una copia al volo era pura utopia (in effetti erano solo le 7.00 a.m. quando tutti questi pensieri mi frullavano nella mente, e giustamente, the people was still sleeping);

    5) non c’era nessuna Laundry in zona (almeno che io sapessi) dove poter portare a lavare, che so, l’intero materasso, l’intera stanza… l’intera Inghilterra!

    Ok, non c’erano molte alternative: ero in purgatorio e mi dovevo meritare il paradiso.

    Dopo una bella doccia (tanto per non rendere troppo facile la vita ai parassiti che sicuramente avevano iniziato a colonizzare il mio tenero e roseo corpicino) mi gettai alla scoperta della città, o meglio, della periferia terza zona Nord in cui ero finito a vivere.

    Anticipo già che nel tardo pomeriggio riuscii a tornare "at home" senza perdermi e questo, alle persone che mi conoscono e che conoscono il mio senso dell’orientamento INESISTENTE, deve suonare sicuramente come una sorta di miracolo.

    A ogni modo: scoprii nei paraggi della casa un minimarket della catena Sainsbury’s in cui acquistai:

    un po’ di merendine ipercaloriche per far schizzare con the breakfast la mia glicemia alle stelle (lo zucchero aiuta nei momenti di leggero sconforto);

    uno spray ammazza tutto (aroma vaniglia) che sarebbe dovuto servire per pulire/disinfettare il mio tugurio. Sul retro del bussolotto una serie infinita di disegnini inneggianti alla morte di tutti i parassiti noti al genere umano era una forma di garanzia e qualità intrinseca del prodotto.

    un paio di sandwiches e una bella bibita zuccherata per the dinner.

    Il resto della mattinata lo trascorsi camminando, camminando e ancora camminando, nel tentativo di scoprire cosa la zona avesse da offrire sotto ogni punto di vista (esercizi commerciali, shop, parchi, scuole ecc.).

    Verso l’1.00 p.m. la

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