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Profilo di Aristotele
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E-book344 pagine4 ore

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  La filosofia di Aristotele, pur avendo dominato per circa due millenni la cultura occidentale ed essendo di conseguenza stata oggetto di innumerevoli contestazioni, continua a rappresentare un punto di riferimento obbligato nel dibattito filosofico odierno. Recentemente si è anzi dovuta registrare una vera a propria Aristoteles-Renaissance, che ha diffuso ed aumentato l’interesse per questo pensatore nei settori più diversi della vita culturale. All’Aristotele considerato tradizionalmente padre della sillogistica e della teologia razionale si è affiancato e spesso sostituito un Aristotele nuovo, maestro di filosofia del linguaggio, di dialettica, di metodologia della ricerca scientifica, di fenomenologia ontologica, ma soprattutto di filosofia pratica (etica e politica).
LinguaItaliano
Data di uscita7 giu 2018
ISBN9788838247002
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    Anteprima del libro

    Profilo di Aristotele - Berti Enrico

    Enrico Berti

    Profilo di Aristotele

    Prima edizione: 1979

    Nuova edizione: 2012

    Terza ristampa nuova edizione: 2018

    Copyright © 2012 by Edizioni Studium - Roma

    www.edizionistudium.it

    ISBN: 9788838247002

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Prefazione alla nuova edizione

    I. Vita, ambiente culturale ed opere

    1. Questioni preliminari

    2. Formazione ed insegnamento nell’Accademia

    3. Soggiorno nell’Asia minore, a Mitilene ed in Macedonia

    4. Fondazione e direzione della propria scuola

    II. Lo sviluppo della dialettica platonica

    1. La dialettica dell’ultimo Platone e degli altri Accademici

    2. La dottrina delle categorie: sostanza e accidenti

    3. La critica alla dottrina platonica delle idee e la valorizzazione della sostanza individuale

    4. La critica alle dottrine accademiche dei princìpi e la scoperta del sostrato

    III. La teoria dell'argomentazione

    1. L'argomentazione dialettica e quella sofistica

    2. L’argomentazione apodittica o dimostrativa

    3. L'argomentazione sillogistica in generale

    4. L'argomentazione retorica e la poetica

    IV. Le cause prime del divenire

    1. La ricerca delle cause prime

    2. La distinzione dei quattro generi di cause

    3. La determinazione della causa prima all’interno di ciascun genere

    4. La cosmologia

    5. La psicologia

    6. La biologia

    V. Le cause prime dell'essere

    1. La filosofia prima: metodo ed oggetto

    2. Le cause prime dell’ente in quanto ente

    3. Le cause prime della sostanza

    4. La sostanza immobile come causa prima

    VI. Le condizioni della felicità individuale

    1. Carattere dialettico e non scientifico della filosofia pratica

    2. Le virtù etiche

    3. Le virtù dianoetiche

    4. L’amicizia, il piacere e la felicità

    VII. Le condizioni della felicità collettiva

    1. La società politica

    2. La comunità domestica: schiavitù ed economia

    3. Costituzioni e rivoluzioni

    4. La costituzione migliore, ovvero la città felice

    UNIVERSALE

    Studium

    12.

    Nuova serie

    Filosofia - Testi / 1.

    Enrico Berti

    PROFILO DI ARISTOTELE

    Nuova edizione

    Prefazione alla nuova edizione

    La fortuna incontrata da questo volumetto (quattro ristampe e numerose recensioni elogiative) credo sia dovuta al fatto che l’ho scritto di getto, cioè nel giro di qualche mese, ovviamente sfruttando conoscenze acquisite in precedenza ed esposte in maniera più documentata in altre mie pubblicazioni sull’argomento. Essa tuttavia non ne rende superflua una nuova edizione, la quale deve necessariamente limitarsi ad alcune piccole correzioni, se non vuole essere un nuovo libro, del quale francamente non vedo la necessità, convinto come sono che la maggior parte delle cose che ho scritto 33 anni fa le scriverei ancora oggi.

    La recensione più utile che ho ricevuto è quella di Jonathan Barnes in «The Classical Review» (31, 1981, pp. 127‑128), la quale, pur giudicando questo lavoro an eccellent little book, ne ha subito colto i due principali difetti, cioè un’esposizione della sillogistica non del tutto soddisfacente e una sproporzione tra lo spazio dedicato alla biologia, troppo ridotto, e quello dedicato alla teologia, troppo ampio. Al primo difetto ho cercato di rimediare ricorrendo, nell’illustrazione del sillogismo, agli esempi originali di Aristotele, pur rendendomi conto che in questo settore non potrò mai soddisfare uno specialista degli Analitici come Barnes. Al secondo non ho potuto rimediare, perché per farlo avrei dovuto riscrivere decine di pagine, ma confermo che la biologia aristotelica costituisce forse la gloria maggiore di Aristotele, mentre la teologia aristotelica ha interessato più i suoi interpreti, seguaci delle grandi religioni monoteistiche, che il suo stesso autore.

    Nel libro c’erano poi altri due difetti, che la critica non ha rilevato, cioè nel campo della filosofia teoretica un’eccessiva dipendenza dall’interpretazione tradizionale della metafisica aristotelica come articolata in ontologia e teologia, e nel campo della filosofia pratica un’insufficiente distinzione tra la scienza politica e la virtù dianoetica della saggezza, dovuta al condizionamento da parte della cosiddetta rinascita della filosofia pratica. Ad essi ho parzialmente rimediato con alcune piccole correzioni.

    Infine c’è un punto sul quale ho cambiato idea e che ho cercato di correggere: non sono più dell’avviso che per Aristotele il motore immobile muova il cielo in quanto è oggetto di imitazione amorosa da parte di quest’ultimo, il quale pertanto dovrebbe essere animato, ma penso che la causalità del motore immobile concepita da Aristotele sia piuttosto di tipo efficiente, anche se egli non ne ha fornito una spiegazione sufficiente, come già rilevava il suo allievo Teofrasto.

    Padova, giugno 2012

    I. Vita, ambiente culturale ed opere

    1. Questioni preliminari

    Fino a qualche tempo fa molti credevano, ed ancor oggi alcuni credono, che la conoscenza della vita di un filosofo sia priva di qualsiasi utilità per la comprensione e la valutazione del suo pensiero, perché la filosofia è una cosa diversa dalla vita, una cosa che va giudicata in se stessa, nella sua coerenza interna, nella fondatezza delle sue ragioni, nella sua adeguatezza a risolvere i problemi. In questa persuasione c’è indubbiamente una parte di verità, nel senso che un filosofo interessa per ciò che ha detto più che per come è vissuto, e ciò che ha detto può essere valido o non valido indipendentemente da come egli è vissuto. Tuttavia non è possibile comprendere esattamente che cosa un filosofo ha detto se non si sa anche come è vissuto, dove e quando, quali persone ha incontrato, quali problemi gli sono stati posti dal suo ambiente e dal suo tempo. Conoscere la vita di un filosofo significa situarlo storicamente, ricostruire la situazione concreta da cui la sua filosofia è nata: tutto ciò è indispensabile non solo per capirlo, ma anche per giudicare il valore di quanto ha detto, cioè per stabilire in quale misura il suo pensiero sia legato al suo tempo e in quale misura eventualmente riesca a superarlo ed a proporsi come valido anche in tempi diversi. Conoscere la vita, infine, significa scoprire nel filosofo l’uomo e riuscire in tal modo a vedere in lui un interlocutore determinato, concreto, con cui poter stabilire un rapporto di colloquio personale. Ciò vale non solo per i filosofi che hanno avuto una vita particolarmente ricca di avvenimenti, nei quali il pensiero è chiaramente espressione di un travaglio personale facilmente individuabile, come ad esempio Platone o S. Agostino, ma anche per filosofi tradizionalmente considerati più sistematici, più «freddi», meno influenzati da vicende personali, come ad esempio Aristotele o Kant. Colui che per primo comprese e sfruttò a fondo l’importanza della biografia di Aristotele per la ricostruzione della sua filosofia fu Werner Jaeger, che con la sua monografia del 1923 segnò una svolta decisiva nella storia degli studi aristotelici [1] . Con questo libro infatti Jaeger inaugurò il cosiddetto metodo «storico‑genetico» ( entwicklungsgeschichtlich), cioè la tendenza a ricostruire la genesi e lo sviluppo delle varie dottrine filosofiche in stretto collegamento con le vicende della vita, con l’ambiente e in generale con la situazione storica. Attraverso l’impiego di questo metodo Jaeger giunse a stabilire una serie di risultati, i quali da una parte degli studiosi furono accettati come dogmi indiscutibii e da un’altra parte furono respinti come del tutto infondati. Ma, indipendentemente da tali risultati, ciò che è rimasto valido dell’opera di Jaeger è, a mio avviso, appunto il metodo, per la stretta connessione che esso consente di stabilire tra la vita e il pensiero e per la conseguente concretezza che esso attribuisce all’esposizione di questo.

    Una delle acquisizioni indubbiamente definitive del metodo jaegeriano è l’attenzione rivolta ai tre grandi periodi in cui si può dividere la vita di Aristotele ed alle connessioni esistenti tra la situazione che caratterizza ciascuno di questi periodi e le sue opere. I tre periodi su cui richiamò l’attenzione Jaeger sono il «periodo accademico», cioè i circa vent’anni trascorsi da Aristotele nell’Accademia di Platone, mentre questi era ancora vivente; gli «anni di viaggio», cioè gli anni trascorsi da Aristotele in vari luoghi (Asia Minore, isola di Lesbo, corte macedone, città natale) dopo la morte di Platone; ed infine l’«età dell’insegnamento», cioè il periodo trascorso da Aristotele ad Atene negli ultimi anni della sua vita come fondatore e direttore di una propria scuola, il Peripato. A questi tre periodi corrispondono, secondo Jaeger, tre diverse fasi di sviluppo del pensiero di Aristotele: la prima caratterizzata da un’adesione pressoché totale al pensiero di Platone; la seconda da un atteggiamento di transizione, cioè in parte critico nei confronti di Platone ed in parte ancora dipendente da lui; la terza infine dall’elaborazione di un proprio sistema filosofico del tutto indipendente dal platonismo ed anzi in gran parte opposto ad esso.

    Tale interpretazione è oggi molto controversa ed a mio avviso insostenibile: tuttavia, anche prescindendo da essa, non si può negare che la vita di Aristotele si sia articolata soprattutto in questi tre grandi periodi e che ciascuno di essi sia caratterizzato da tendenze specifiche che hanno influenzato lo sviluppo del pensiero aristotelico. Al di là, dunque, delle personali interpretazioni che Jaeger dà di tali periodi, è necessario assumere lo schema da lui inaugurato in qualsiasi ricostruzione della vita e del pensiero di Aristotele. All’interno di questo schema si possono collocare tutte le notizie che possediamo sulla vita di Aristotele, ricavandole direttamente dalle fonti.

    Sfortunatamente, per un filosofo antico come Aristotele non possediamo notizie biografiche altrettanto complete e sicure come per i filosofi moderni, anche se Aristotele appartiene al gruppo alquanto esiguo di filosofi antichi di cui ci sono state conservate le opere e su cui possediamo una discreta quantità di informazioni. Le fonti per la conoscenza della sua vita sono infatti poche e soprattutto di dubbia credibilità. Le più attendibili sono i documenti, cioè il testamento, che fortunatamente ci è stato tramandato e sulla cui autenticità quasi nessuno nutre dubbi, ed alcuni atti ufficiali, per lo più iscrizioni, che tuttavia forniscono notizie molto magre. Una raccolta di lettere a lui attribuite è invece di autenticità alquanto dubbia e quindi di scarsissima utilizzabilità.

    Notizie più copiose si possono attingere alle testimonianze antiche, dalle quali derivano anche le antiche biografie: ma purtroppo quasi tutte queste testimonianze sono tendenziose, cioè sono viziate o da intenti denigratori, in quanto provenienti da scuole filosofiche (per esempio gli epicurei o i neopitagorici) o da correnti politiche (per esempio il partito antimacedone) avverse ad Aristotele, oppure da intenti elogiativi, in quanto provenienti da ambienti a lui più favorevoli. La biogra­fia più antica a noi pervenuta è quella di Diogene Laerzio, vissuto nel III secolo d.C., cioè più di cinquecento anni dopo Aristotele, che tuttavia attinge le sue notizie a una biografia più antica, redatta secondo alcuni da Ermippo, bibliotecario alessandrino del III secolo a.C., e secondo altri da Aristone di Ceo, scolarca del Peripato nello stesso periodo. La vita scritta da Diogene Laerzio mescola indifferentemente notizie denigratorie e notizie elogiative. Più recenti sono invece altre biografie, scritte in greco, in latino, in siriaco ed in arabo, derivanti tutte da una biografia redatta nel IV secolo d.C. da un certo Tolomeo, di tendenza chiaramente neoplatonizzante, quindi convinto della fondamentale concordanza tra Aristotele e Platone e perciò propenso per lo più a difendere Aristotele, pur subordinandolo chiaramente a Platone. Il merito di avere raccolto in un volume e commentato tutto questo materiale spetta a Ingemar Düring, che pertanto dopo Jaeger è colui che ha contribuito in misura maggiore alla conoscenza e all’utilizzazione della vita di Aristotele [2] .

    Un’ultima questione preliminare che deve essere affrontata prima di esporre la vita di Aristotele è quella della cronologia. La divisione in tre periodi adottata da Jaeger suppone infatti la veridicità delle date riportate nella biografia di Diogene Laerzio e risalenti alle Cronache di Apollodoro, storico ateniese del II secolo a.C. In base ad esse Aristotele sarebbe nato nel 384/3 a.C., sarebbe entrato nell’Accademia a diciassette anni, cioè nel 367/6, e vi sarebbe rimasto vent’anni, cioè fino al 348/7, anno della morte di Platone. Indi si sarebbe recato da un certo Ermia, principe di Atarneo (Asia Minore), e sarebbe rimasto con lui tre anni, cioè fino al 345/4; a questo punto sarebbe andato a Mitilene, nell’isola di Lesbo, e nel 343/2 sarebbe passato a Pella, residenza della corte macedone, per far da precettore ad Alessandro. Nel 335/4 sarebbe tornato ad Atene ed avrebbe insegnato nel Liceo per tredici anni, cioè fino al 322/1, anno in cui si sarebbe recato a Calcide, nell’isola Eubea, dove poco dopo sarebbe morto.

    Queste date sono confermate da una lettera di Dionigi d’Alicarnasso, ma sono invece smentite da un frammento del cosiddetto Marmor Parium, un’iscrizione risalente al III secolo a.C., secondo cui Aristotele sarebbe nato nel 371 e, essendo entrato nell’Accademia a diciassette anni, cioè nel 354, sarebbe rimasto con Platone soltanto sette anni. Ciò ridimensionerebbe notevolmente l’importanza del periodo trascorso nell’Accademia, dei suoi rapporti con Platone e del suo atteggiamento più generale nei confronti della filosofia. Qualcuno infatti ha fatto leva su questa cronologia per sovvertire intera­mente l’interpretazione tradizionale della filosofia aristotelica [3] . Tuttavia la quasi unanimità degli studiosi ha rifiutato la cronologia del Marmor Parium, sulla base soprattutto di un frammento di una biografia di Aristotele, la cosiddetta Vita Marciana, sul quale ha richiamato l’attenzione Düring, da cui risulta che la cronologia tramandata da Apollodoro risale ad una fonte ancora più antica del Marmor Parium e quasi contemporanea ad Aristotele, ossia lo storico ateniese Fiocoro, vissuto tra il IV e il III secolo a.C. Questa cronologia del resto è confermata da numerosi altri indizi, quali l’esistenza di forti legami tra Aristotele e Platone, il fatto che intorno al 353 Aristotele pubblicò uno scritto, il Protreptico, in cui parlava a nome dell’intera Accademia, ed il fatto che dopo la morte di Speusippo (338 a.C.) egli era ancora considerato uno dei candidati ad assumere la direzione di tale scuola. Possiamo dunque tranquillamente fondarci sulle date accettate da Jaeger e ricostruire, sulla base di esse, lo sviluppo della vita e del pensiero di Aristotele.


    [1] W. Jaeger, Aristoteles. Grundlegung einer Geschichte seiner Entwicklung, Berlin 1923 (ristampato senza variazioni nel 1955), trad. it. di G. Calogero col titolo Aristotele. Prime linee di una storia della sua evoluzione spirituale, Firenze 1935 (ristampato in seguito varie volte, con mia prefazione, Milano 2004).

    [2] I. Düring, Aristotle in the Ancient Biographical Tradition, Göteborg 1957. Düring è anche autore di una grossa monografia Aristoteles. Darstellung und Interpretation seines Denkens, Heidelberg 1966, tradotta in italiano da P. Donini col titolo Aristotele, Milano 1976, e condotta anch’essa col metodo storico‑genetico, ma approdante a risultati molto diversi da quelli di Jaeger.

    [3] G. Cardona, Ricerche sulla biografia aristotelica, «Nuova Rivista Storica», 50, 1966, pp. 86‑115.

    2. Formazione ed insegnamento nell’Accademia

    Sul luogo di nascita di Aristotele non esistono dubbi, in quanto esso si desume sia dal testamento, dove si diceva che Aristotele alla sua morte possedeva ancora la casa paterna a Stagira, sia da un’iscrizione a lui contemporanea e conservata a Delfi, dove si dice che egli era figlio di Nicomaco e nato a Stagira. Questa era una città‑stato della Grecia settentrionale, situata nella parte alta della penisola Calcidica, che in origine era stata una colonia secondo alcuni di Calcide e secondo altri di Andros. Da Calcide infatti sembra che provenisse la madre di Aristotele, chiamata Festide, ed a Calcide Aristotele possedeva una casa, probabilmente ereditata dalla madre, dove si ritirò a trascorrere gli ultimi mesi della sua vita. Egli era dunque di stirpe greca e cittadino di una libera polis , anche se in seguito assoggettata dal re Filippo II di Macedonia. Oggi esiste in Grecia un villaggio chiamato Stagira, di origine tuttavia posteriore, che si vanta di sorgere sullo stesso luogo della patria di Aristotele: nei dintorni di esso sono in corso degli scavi miranti ad accertare l’esistenza di resti della Stagira antica. Poiché la posizione in cui tale villaggio si trova possiede i medesimi requisiti che Aristotele nella Politica prescrive per la città ideale, cioè la posizione elevata e la distanza non eccessiva dal mare – dall’odierna Stagira infatti si vede il goffo Strimonico – e poiché si tramanda che Aristotele stesso abbia fatto ricostruire Stagira dopo che questa, nel 348, era stata distrutta da Filippo, è abbastanza probabile che l’odierna Stagira sorga sullo stesso luogo dell’antica, o almeno di quella fatta ricostruire da Aristotele.

    Secondo i biografi il padre di Aristotele, Nicomaco, era medico, ed amico del re macedone Aminta, zio di Filippo. La prima notizia è confermata da testimonianze antiche, che alludono ad un ambulatorio medico ereditato da Aristotele, mentre la seconda è più incerta. Tuttavia Aristotele non dovette avere molti rapporti col padre, essendo questi morto quand’egli era ancora in tenera età. I biografi narrano anzi che Aristotele ebbe come tutore un certo Prosseno di Atarneo, che dal testamento risulta essere stato suo cognato. In ogni caso egli doveva appartenere ad una famiglia colta e benestante, come è provato dal fatto che a diciassette anni fu inviato ad Atene per frequentare una delle più prestigiose scuole di studi superiori esistenti allora nel mondo, l’Accademia.

    Questa era stata fondata da Platone al ritorno dal suo primo viaggio in Italia (fra il 390 e il 380 a.C.), probabilmente ad imitazione della comunità dei Pitagorici da lui conosciuta a Taranto e come luogo di formazione dei governanti dello Stato ideale che il filosofo ateniese vagheggiava di realizzare. Il tipo di educazione che in essa veniva impartito doveva essere quindi quello descritto nella Repubblica come adatto ai futuri governanti: ossia un’educazione comprendente anzitutto la ginnastica e la musica, poi le varie scienze matematiche ed infine la dialettica, cioè la filosofia. Quando vi giunse Aristotele, Platone con altri membri della scuola, cioè Speusippo e Senocrate, si era infatti recato a Siracusa, dove sperava di indurre il nuovo principe, Dionisio il giovane, a costruire uno stato conforme a quello da lui delineato nella Repubblica. Pare che durante la sua assenza da Atene Platone avesse affidato la direzione dell’Accademia a Eudosso di Cnido, illustre scienziato (matematico, geografo ed astronomo) ed interessato anche alla filosofia, del quale Aristotele parla più volte nelle sue opere con grande rispetto.

    Probabilmente l’insuccesso incontrato da Platone a Siracusa in questo suo viaggio, e soprattutto quello ri­petutosi alcuni anni più tardi (nel 361), quando egli non riuscì a convincere Dionisio a seguire i suoi insegnamenti, determinarono una svolta nella sua vita e nel carattere della sua scuola. I dialoghi scritti da Platone dopo il 367, cioè i cosiddetti dialoghi «dialettici» ( Teeteto, Sofista, Politico, Parmenide, Filebo), nonché il Timeo e le stesse Leggi, rivelano infatti, a differenza dai precedenti, un interesse minore per la costruzione dello Stato perfetto ed un interesse sempre maggiore per problemi di filosofia teoretica, di logica, di dialettica e addirittura di scienza naturale. È presumibile che anche l’Accademia in questo periodo si sia progressivamente trasformata da scuola di formazione di uomini politici in scuola di dialettica e di ricerca scientifica, simile in questo ad una moderna università. Alcune antiche testimonianze, come quella del commediografo Epicrate, che descrive satiricamente gli Accademici come intenti a classificate una zucca, confermano questa ipotesi.

    Il Platone incontrato da Aristotele era dunque ormai un Platone prevalentemente dialettico e scienziato, e l’Accademia frequentata da Aristotele era ormai essenzialmente una scuola di ricerca scientifica. Al pari delle moderne università, e a differenza dalla comunità pitagorica, essa era tutt’altro che una scuola dogmatica, dominata dalla personalità del maestro e caratterizzata dalla professione uniforme della sua filosofia. Accanto a Platone si trovavano infatti in essa altre grandi personalità di ricercatori, quali il già citato Eudosso ed il medico Filistione di Siracusa, o allievi ormai anziani quali Speusippo, nipote di Platone, e, sia pure un po’ meno, Senocrate, i quali dovevano affiancare Platone in veste più di colleghi che di studenti, tenendo anch’essi dei corsi o delle lezioni. Più che veri e propri corsi di lezioni sembra tuttavia che nell’Accademia si tenessero ampi dibattiti e continue discussioni, fatte di domande, risposte e confutazioni, tutte condotte in spirito di amicizia e di ricerca della verità, secondo quanto è descritto nella famosa Lettera VII attribuita a Platone. Nell’ambito di queste discussioni Platone doveva aver formulato e proposto agli amici ed allievi le sue famose «dottrine non scritte», cioè non affidate ai dialoghi pubblicati, della cui esistenza testimoniano lo stesso Aristotele e numerosi altri Accademici quali Speusippo, Senocrate, Ermodoro, Eraclide, Estieo, che ne fecero delle relazioni scritte. Il contenuto di tali dottrine, che vertevano Sul bene, venne infatti esposto una volta da Platone anche in una conferenza pubblica, la quale tuttavia, come testi­monia Aristosseno, scolaro di Aristotele, non dovette avere molto successo: ciò significa che abitualmente esse erano riservate ad una cerchia ristretta di amici. Tali discussioni dovevano essere ispirate ad una grande libertà di pensiero, come è provato dal fatto che alcune fondamentali dottrine di Platone, che in esse venivano dibattute, quali la dottrina delle idee, quella delle idee-numeri e quella dei loro princìpi, erano interpretate in modi diversi dai vari membri della scuola e da alcuni erano addirittura rifiutate. Sembra ad esempio che la dottrina delle idee venisse interpretata da Eudosso in maniera tutt’altro che... ortodossa, vale a dire con l’aggiunta di una mescolanza tra le idee e le cose sensibili; essa inoltre era nettamente rifiutata da Speusippo e quasi sicuramente anche dal giovane Aristotele. Platone stesso, del resto, che pure l’aveva formulata e conservata sino alla fine della sua vita, aveva avanzato gravi critiche nei confronti di essa sia nel Sofista che nel Parmenide. La dottrina delle idee‑numeri era intesa in modo diverso da Platone e da Senocrate e rifiutata da Speusippo e da Aristotele. Quanto poi alla dottrina dei princìpi, Platone, Speusippo, Senocrate e Aristotele ne davano altrettante formulazioni diverse.

    Dei grandi dibattiti dovevano essersi tenuti a proposito del rapporto tra la virtù e il piacere, che Speusippo opponeva tra loro radicalmente, Eudosso al contrario identificava e Platone, come risulta dal Filebo, cercava di conciliare; oppure a proposito del modo in cui spiegare i moti apparentemente irregolari dei pianeti, argomento sul quale sembra che lo stesso Platone avesse invitato i colleghi a formulare ipotesi capaci di «giustificare le apparenze» ( σῴζɛιν τά ϕαινόμɛνα) ed a proposito del quale Eudosso formulò la sua famosa e geniale teoria, secondo cui il moto apparentemente irregolare di ciascun pianeta è la risultante della composizione tra i moti regolari di più sfere concentriche. Far parte dell’Accademia non significava quindi condividere interamente la filosofia di Platone, perciò non è necessario supporre, come sostenne Jaeger, che durante il periodo trascorso nell’Accademia Aristotele fosse integralmente platonico. A questo proposito anzi esistono tradizioni opposte, ugualmente risalenti all’antichità. Secondo una di esse, derivante da ambienti ostili ad Aristotele, questi sarebbe stato malvisto da Platone e si sarebbe schierato apertamente contro di lui non solo sul piano dottrinale, ma anche su quello dei rapporti personali, sottoponendo il maestro a varie angherie e addirittura insidiandogli la posizione di caposcuola; secondo un’altra tradizione, invece, derivante da ambienti favorevoli ad Aristotele, questi avrebbe goduto di una grande stima da parte di Platone, al punto da essere chiamato da questo addirittura la «mente» della scuola.

    Per quanto è possibile stabilire sulla base di documenti sicuri, si può dire che sul piano personale i rapporti tra Platone ed Aristotele dovettero essere ottimi, cioè non solo di grande amicizia, come testimonia lo stesso Aristotele quando, nell’ Etica Nicomachea, si duole di dover dissentire dagli «amici» (Platone e in genere i sostenitori della dottrina delle idee); ma addirittura di vera e propria venerazione verso Platone da parte di Aristotele, come risulta da un’elegia scritta da questo dopo la morte del maestro, la cosiddetta Elegia dell’altare, dove Platone è indicato come «uomo che ai malvagi non è neppure lecito lodare». Ciò tuttavia non significa che Aristotele abbia passivamente aderito alle dottrine di Platone durante tutto il suo soggiorno nell’Accademia. Se così avesse fatto, non sarebbe neppure stato un buon allievo di Platone, dato che questi per primo aveva mostrato di non essere dogmaticamente attaccato alle proprie dottrine. In vent’anni di permanenza nell’Accademia Aristotele dovette raggiungere una notevole maturità e indipendenza di pensiero, anzi dovette giungere a formulare quasi per intero quello che poi sarebbe rimasto il suo sistema definitivo, come risulta da numerosi indizi, frammenti di opere perdute e parti di opere conservate.

    Il primo segno di attività personale svolta da Aristotele nell’Accademia sono i frammenti di un dialogo, perduto, dal titolo Grillo o sulla retorica, risalente a un periodo di poco posteriore all’anno 362, quando cioè Aristotele aveva poco più di ventidue anni. Da essi risulta infatti che Aristotele avrebbe composto un dialogo, imitando evidentemente il genere letterario inaugurato da Platone, per reagire contro i vari elogi di Grillo, figlio di Senofonte, scritti in occasione della sua morte, avvenuta appunto nel 362 durante la battaglia di Mantinea. In esso Aristotele avrebbe preso posizione contro il tipo di retorica basata prevalentemente sulla mozione degli affetti, praticata appunto dagli autori di tali elogi, tra i quali doveva essere annoverato anche il famoso Isocrate, ed avrebbe invece difeso un altro tipo di retorica, basata su argomentazioni di tipo dialettico, cioè razionale [1] .

    Questa notizia è ricca di significato. Essa anzitutto attesta l’esistenza, confermata poi da numerosi altri frammenti, di una produzione letteraria giovanile di Aristotele, costituita da dialoghi di tipo platonico, scritti con notevole accuratezza di stile e destinati alla pubblicazione. Questi dialoghi in seguito andarono perduti, probabilmente perché eclissati dall’attenzione dedicata alle altre opere di Aristotele, riscoperte nel I secolo a.C. dopo alcuni secoli di relativo oblio. Si poté così diffondere l’opinione erronea che essi contenessero dottrine diverse da quelle tramandate nelle opere conservate, cioè nelle opere destinate esclusivamente all’uso interno della scuola e dette perciò «acroamatiche» (destinate all’ascolto diretto) o anche «esoteriche» (letteralmente: interne, ma poi falsamente interpretate come segrete). In realtà i dialoghi si differenziano dalle opere scolastiche solo per la destinazione e lo stile, mentre non c’è motivo di credere che se ne differenzino per la dottrina.

    Un secondo elemento desumibile dal Grillo è l’interesse del giovane Aristotele per la retorica, cioè per

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