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L'attività razionalista nella fisica contemporanea
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E-book387 pagine5 ore

L'attività razionalista nella fisica contemporanea

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Questo testo misura, nella maturità della riflessione teorica di Bache­lard, il complicarsi e ristrutturarsi incessante del pensiero scientifico fin dall’inizio del secolo e il progressivo arricchirsi del sapere fisico, in quanto «attività razionalista». Che senso ha oggi riproporre un razionalismo epistemologico? Per Bachelard il razionalismo non è una pretesa della ragione di avere già da sempre la chiave di lettura della realtà, foss’anche nei termini di un metodo; il razionalismo è un movimento della ragione che non si pone prima o al di là dell’esperienza, ma che l’approfondisce smascherandola nel suo presentarsi chiara, immediata e definitiva. Il pensare bachelardiano permette di riattraversare il dibattito sulla formazione della teoria e sulle sue possibilità conoscitive oggi, per­ché spezza il parlare della filosofia sulla scienza e inaugura un lavo­ro di produzione del fisico in laboratorio. Questa la risorsa del testo: indicare una strada di militanza per la ragione in quanto difende non i risultati della scienza, ma la dignità dello scienziato nella sua pratica teorica di laboratorio.
LinguaItaliano
EditoreJaca Book
Data di uscita28 ott 2020
ISBN9788816802421
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    Anteprima del libro

    L'attività razionalista nella fisica contemporanea - Gaston Bachelard

    Introduzione all’edizione italiana

    BACHELARD E IL TEMPO DELLA FISICA

    Il termine contemporaneo che compare nel titolo del testo di Bachelard pone una domanda. Si potrebbe ritenere fortemente limitata l’attualità e la rilevanza dell’opera se si tiene presente la sua data di apparizione, 1951.

    «Dieci anni del nostro tempo valgono secoli delle epoche anteriori»: così, in Il materialismo razionale¹, Bachelard misurava le radicali innovazioni che si susseguivano integrandosi, contraddicendosi, obbligando il sapere scientifico a continue riformulazioni. Che dire allora di tutti questi decenni, che ci separano dall’apparizione del testo bachelardiano, in cui il darsi dell’accelerazione del tempo scientifico si è intensificato divenendo non solo coscienza di epistemologi e scienziati, ma esperienza di vita quotidiana?

    Se dobbiamo introdurre alla lettura di questo testo di Bachelard, non possiamo sottrarci alla domanda sulla sua attualità. Questo termine si accompagna a quello di contemporaneo sottolineato precedentemente e lo declina secondo una temporalità che rinuncia alla pretesa neutralità di una comparazione, di una compresenza nel tempo storico, per muoversi nella direzione ben più significativa di un giudizio.

    Pronunciarsi sull’attualità significa dare una valutazione, giudicare in termini che non soggiacciono a storicismi ma che rendono conto di una capacità di comprensione che un testo mette in atto. Si tratta di misurare l’operazione teorica di Bachelard con un termine che gli è consono e che lui stesso usa per interrogare la storia delle scienze e per indicare un movimento del pensiero che genera comprensione in quanto genera giudizio. Una storia delle scienze è attuale se descrive «giudicando, valorizzando, impedendo ogni possibilità di ritorno a nozioni erronee» e, ancora, «se esercita un’azione positiva sul pensiero scientifico del nostro tempo»². Accettare la sfida di misurare l’attualità di questo testo significa introdurci a Bachelard rifiutando un discorso «su» di lui, per mettere invece in gioco le sue stesse categorie e vedere se l’attività razionalista di cui parla è all’opera secondo una modalità che regge le istanze e si lascia interpellare dalla pratica scientifica ancor oggi.

    1. L’epistemologia francese tra idealismo e realismo

    Un breve sguardo all’epistemologia francese può essere stimolante per cogliere le tensioni della cultura dominante quando Bachelard inizia la sua produzione e per individuare i punti critici attraverso i quali misurare la portata teorica del suo pensiero.

    La data che si tiene sullo sfondo è quella del 1927, data della presentazione delle sue tesi di dottorato: Essai sur la connaissance approchée e Étude sur l’évolution d’un problème de physique: la propagation thermique dans les solides. Non è privo d’interesse sottolineare che Bachelard inizia le sue pubblicazioni all’età di 43 anni. Questo indica da un lato una maturità di riflessione e dall’altro una formazione culturale non istituzionale³.

    La cultura francese di quegli anni era ricca di molte istanze, attenta alla problematica scientifica e ai problemi relativi alla struttura della scienza. Bachelard non pone dunque una domanda assente, ma polemicamente interviene in un dibattito che sembrava ormai chiarito nei suoi termini e che sembrava porre solo una richiesta di schieramento: positivismo e idealismo tracciavano quadri precisi in cui sistemare i saperi e attribuire loro la collocazione adeguata; da questa posizione, o meglio opposizione iniziale, la filiazione delle «coppie» era classica. Concezione realistica o ipotetica della scienza; deduzione o induzione; continuismo o discontinuismo nella storia della scienza sono tra le varie querelle che occupano il campo impegnando il dibattito culturale su questo terreno⁴.

    Bachelard, fedele alla sua espressione secondo la quale «occorre rendere alla ragione umana la sua funzione di turbolenza e di aggressività»⁵, interviene nei rapporti filosofia e scienza in modo tale da sovvertire i termini della questione. Il suo cammino ha inizio nel momento in cui la filosofia francese, consapevole anche del brusco mutamento intervenuto nel campo delle scienze, cerca una riformulazione in termini tali da poter pensare alle scienze fuori dal retaggio dell’eredità positivista.

    Emblematici di questo sforzo in campo filosofico e in campo più strettamente epistemologico sono Brunschvicg e Meyerson. Questi due nomi non esauriscono certo il quadro dell’epistemologia francese, ma sono – a diverso titolo – interlocutori privilegiati nell’opera di Bachelard⁶. Quando egli giunge sulla scena filosofica nel 1927-28, Brunschvicg ne occupa uno spazio così determinante da rendere imprescindibile il misurarsi con la sua opera. Léon Brunschvicg⁷ si fa erede di quel razionalismo d’impronta idealista che svolge l’importante funzione di avviare una riflessione epistemologica fuori dagli schemi positivisti comtiani, senza però cedere alle tentazioni dell’irrazionalismo. La rilettura di Kant, già intrapresa da Renouvier⁸, sovviene nel sottrarre la scienza dall’essere impresa empirica per restituirle una dimensione di ragionevolezza.

    Inizialmente discepolo di Brunschvicg, Bachelard è partecipe della impresa del maestro di affermare una «volontà di ragione» senza per questo cedere all’idealismo di cui, pur nella sua versione critica, il maestro era portavoce. Bachelard accoglie tutta la tensione di cui è carico l’idealismo brunschvicghiano nella sua riflessione sulla scienza e condivide anche l’impeto morale e politico di questa posizione, ma la conduce a esiti che ne rappresentano un totale sovvertimento. Come afferma Redondi: «Attraverso questa riflessione sulla storicità della scienza lo stesso programma idealista è condotto a un termine estremo, cioè a una sorta di limite di rottura per una concezione idealista tradizionale… Se così fosse, come noi riteniamo, la novità dell’epistemologia di Bachelard e del suo impianto storico dovrebbero scaturire proprio da questi limiti di rottura»⁹. Un giudizio analogo lo dà Dagognet: «Le differenze tra le due epistemologie sono solo nell’ordine delle sfumature, ma di un tal grado e di una tale intensità da offrirci un altro quadro. Trasformazione essenziale, se non radicale»¹⁰.

    Che cosa Bachelard accoglie della filosofia di Brunschvicg e in che cosa la sovverte? Per rispondere alla prima parte della domanda ci sovviene lo stesso Bachelard¹¹ che delinea attorno a tre punti nodali il contributo imprescindibile di quello che lui definisce un «rationalisme de la finesse» la cui volontà di ragione «è propria di un logos umanizzante, umanizzato». Primo tra questi è una ridefinizione della ragione che rifiuta ogni forma di assolutismo: la chiave del progresso del pensiero scientifico è negli eventi della ragione, non negli eventi empirici; l’andamento di continua ristrutturazione della ragione non sancisce fatti ma stabilisce giudizi di valore¹². Questo esige – ed è il secondo punto – una rilettura del concetto di realtà così radicalmente interrogato dalla teoria della relatività di Einstein. «Ormai, se ci si tiene a esprimersi con un linguaggio realista, occorrerà parlare di un realismo della misura e non più di una realtà del misurato»¹³. A Bachelard, come a Brunschvicg, interessa mettere in luce che a una «condanna» di una ragione assoluta non può che corrispondere quella di un reale assoluto: «Ragione assoluta e reale assoluto sono due concetti filosoficamente inutili». Questo esito permette di accedere al terzo contributo: esperienza di pensiero ed esperienza di laboratorio realizzano una feconda sintesi: «l’intelligenza è uno strumento che si affina nel suo stesso lavoro. Se il lavoro non cambia, l’intelligenza declina in abitudine… L’universo, come lo spirito, è in cammino»¹⁴. Forse questo è il Brunschvicg già rivisitato da Bachelard o questo è ciò che Bachelard evidenzia per mostrare che la coerenza di un simile pensiero misura i limiti della posizione idealista che pur sempre Brunschvicg difende.

    Le ultime pagine della Philosophie du Non ci indicano la traccia per rispondere alla seconda parte della domanda: quale il punto di rottura, in che cosa sovverte le tesi del maestro? Una ragione sempre in cammino, come quella che Bachelard domanda, non può sopportare uno spirito che opera in termini di collegamenti e allargamenti. Scoprire rotture, rilevare dialettiche: questo il compito di una ragione che procede per ristrutturazioni e riorganizzazioni¹⁵. Ma per comprendere in quale clima si avvia il pensiero di Bachelard non si può trascurare che egli «inaugurava la sua carriera di filosofo con una rottura senza clamore con i temi epistemologici allora accreditati nella filosofia delle università francesi dai lavori di Émile Meyerson e André Lalan de¹⁶»¹⁷.

    Mentre la filosofia di Brunschvicg è, per Bachelard, un’occasione per sottolineare le autentiche esigenze della ragione mostrandone lo spessore e la possibilità d’impegno in essa impliciti fino a capovolgerla, la filosofia di Meyerson¹⁸ è solo un «bersaglio» da colpire e abbattere. Meyerson è sé stesso, ma è anche il simbolo di una filosofia dell’assoluto che interroga una realtà assoluta secondo questioni perenni, e affida alla scienza una funzione puramente descrittiva. La sua posizione è da capovolgere radicalmente: non Identité et Réalité, ma Rectification et Réalité, non Déduction Relativiste, ma Valeur Inductive de la Relativité’¹⁹: Bachelard non gli concede nulla, neppure i titoli delle sue opere.

    Combatterlo puntualmente significa sradicare una posizione che, nello sferrare il suo attacco al positivismo e al convenzionalismo, rifiuta una spiegazione della realtà in termini di legge e ripropone una spiegazione in termini di cause. Questa operazione permetterebbe di ricondurre un fenomeno a ciò che si dava precedentemente: per il pensiero dunque tutto è identico, la diversità è solo per la percezione. In questo contesto, l’identità non è uno stato, ma un processo che permette di riconoscerla e di introdurla «là dove non ne riconoscevamo l’esistenza»²⁰. Nemico di questo processo conoscitivo è il tempo che vorrebbe operare reali cambiamenti: occorre neutralizzarlo perché si dia piena reversibilità.

    Non ci attardiamo nell’analisi dell’opera di Meyerson, se non per sottolineare alcuni punti della Déduction relativiste perché rimessi in discussione dall’opera di Bachelard anche in relazione al contenuto di L’attività razionalista della fisica contemporanea.

    L’affermazione di un «canone eterno dell’intelletto umano» porta come conseguenza non solo la continuità tra conoscenza scientifica e senso comune ma anche tra i vari momenti della storia delle scienze fino a negare la portata di novità di qualunque teoria scientifica e dunque della teoria relativista. Questo, per Bachelard, crea impensabilità e produce inintelligibilità della storia delle scienze. La discontinuità (tra pensiero scientifico e pensiero comune, e tra i vari momenti della storia del pensiero scientifico), non sminuisce la ragione, non ne misura l’impotenza ma anzi l’arricchisce sottraendola alla sclerosi dell’immobilità e dell’identitಹ. L’altro elemento che impedisce a Meyerson la comprensione della storia della Relatività è l’attribuirle una realtà di valore ontologico assoluto. In L’attività razionalista della fisica contemporanea leggiamo una risposta puntuale a questa illusione di realismo assoluto e la proposta di un realismo «lavorato»²².

    Ci siamo soffermati su questi due autori, Brunschvicg e Meyerson, perché dominano la scena dell’opera bachelardiana in quanto punti di riferimento di quelle filosofie – idealismo e realismo – che, nella loro opposizione, lo interrogano fin dall’inizio della sua produzione e sembrano delimitare l’orizzonte di ogni pensiero.

    2. Per un razionalismo

    L’opposizione di idealismo e realismo è in realtà una corrispondenza puntuale secondo lo schema con cui Bachelard dispone topologicamente le posizioni filosofiche secondo una bipolarità in cui, nell’apparente opposizione, si misurano come «due bordi di una sola nozione».

    Idealismo e realismo rappresentano i punti estremi, maggiormente distanti dalla dicitura centrale Razionalismo applicato e Materialismo tecnico rispetto la quale si dipartono, da un lato, formalismo, convenzionalismo e idealismo e, dall’altro, positivismo, empirismo e realismo. Idealismo e realismo sono dunque i più grandi «peccati» della ragione e indicano il vettore direzionale delle altre deviazioni. Ai «pensieri indeboliti» del formalismo, del convenzionalismo e dell’idealismo, si contrappongono – sull’altro versante – le espressioni dell’«inerzia progressiva del pensiero». Positivismo, empirismo e realismo indicano il declino della razionalità.

    Questo schema non vuole solo sbrigativamente, anche se icasticamente, liquidare pensieri filosofici, intende piuttosto mostrare la puntuale corrispondenza dei pensieri sui due versanti; la loro è una falsa opposizione: «Se si fa un tentativo di determinazione filosofica delle nozioni scientifiche attive, ci si accorgerà subito che ognuna di queste nozioni ha due lati, sempre due lati. Ogni nozione precisa è una nozione che è stata precisata»²³. L’acquisizione del razionalismo applicato – accompagnato e chiarito dal materialismo tecnico – come cardine di comprensione, istituisce la possibilità di questa lettura: «Noi dovremo dunque porci nella posizione centrale del razionalismo applicato, lavorando a fondare per il pensiero scientifico una filosofia specifica»²⁴. Cercare di chiarire e di cogliere l’accezione con cui Bachelard ripropone il razionalismo è impegno imprescindibile non solo per mettere ordine nel dibattito storiografico su Bachelard, ma anche per misurare, nel testo cui ci stiamo introducendo, il funzionamento della fisica in relazione al suo essere attività razionalista.

    Il razionalismo è un esito sicuro nella produzione bachelardiana attorno al 1950. Questo non significa che i testi precedenti fossero privi di una direzione sicura verso cui muoversi, ma che appunto, fedele al suo pensare la filosofia come un modo di prodursi della ragione, è egli stesso in movimento verso un razionalismo²⁵. Nel 1942 il razionalismo è l’indicazione di un lavoro e di un impegno: «Razionalista? Noi cerchiamo di diventarlo, non solo nell’insieme della nostra cultura, ma nel particolare dei nostri pensieri, nell’ordine particolareggiato delle nostre immagini familiari»²⁶.

    Nel 1945 la «topologia filosofica»²⁷ dice che Bachelard ha liquidato i suoi conti aperti con la filosofia. «Dissoluzione del realismo ed eliminazione dell’idealismo»²⁸ sono l’esito al negativo di un razionalismo che, al positivo, produce la pensabilità dell’attività scientifica. A partire dal 1949 il termine razionalismo non abbandona più neppure un titolo della produzione epistemologica di Bachelard²⁹. Quasi ossessionato dal possibile fraintendimento di questo termine secondo categorie assolute o astratte, Bachelard si impegna in un continuo chiarimento che vuole farsi anche linguaggio nuovo. Il neologismo «surrazionalismo», o gli aggettivi «appliqué», «travaillé», «engagé» dovrebbero sottrarre il razionalismo alle insidie dell’equivoco di confondere «l’azione decisiva della ragione con il ricorso monotono alle certezze della memoria» e, nel contempo, restituire alla ragione «la sua funzione di turbolenza e di aggressivit໳⁰. E ancora, alla ricerca di un linguaggio che dica l’inusitata dimensione del razionalismo che vuole suscitare, Bachelard propone una filosofia del «ri» – meno nota della filosofia del «non»³¹ – ma ugualmente impegnata nel mostrare il lavoro dialettico della ragione e il suo carattere aperto. «Parlerò in seguito della filosofia del non, ora si tratta della filosofia del ri, ri, ri, ricominciare, rinnovare, riorganizzare»³².

    Dal punto di vista del dibattito storiografico questo ci porta a concludere che il tentativo di «appropriarsi» di Bachelard utilizzandone le categorie per un rilancio del marxismo³³ o per farne un idealista³⁴ è interdetto da un pensiero che si arricchisce nei termini di una polifilosofia per la quale «il razionalismo non è il mezzo per evitare le scelte, ma è innanzitutto il mezzo di ordinarle»³⁵.

    E per chi vuole impegnarsi sul terreno delle scienze e misurarne la portata conoscitiva, cosa significa questa proposta di razionalismo? L’attività razionalista della fisica contemporanea vuole rispondere a questa domanda misurando, nella maturità di una riflessione filosofica e nel complicarsi e ristrutturarsi incessante del pensiero scientifico fin dall’inizio del secolo, il progressivo arricchirsi del sapere fisico in quanto «attività razionalista».

    3. Razionalismo regionale e storia delle scienze

    L’esigenza che traspare dalla riformulazione del razionalismo di Bachelard è che una filosofia non può pensarsi tale se non riesce a misurare le scienze nel loro prodursi ed evolversi. Una filosofia è tale solo se possiede «l’attualità che reclama il pensiero scientifico». Ma può darsi una contemporaneità di filosofia e scienza? Il filosofo non è condannato a essere «sempre in ritardo» rispetto alle scienze?

    Rileggiamo due brani di Bachelard che indicano l’esigenza di una domanda sul prodursi della ragione in un lavoro che impegna al tempo stesso il filosofico e lo scientifico. «Quando tutto cambia nella cultura, sia i metodi che gli oggetti, ci si può stupire che si dia l’immobilità filosofica come un merito. Così un filosofo che scrive a sessant’anni difende ancora la tesi che sostenne a trent’anni»³⁶. All’immobilità come merito del filosofo si oppone l’urgente disponibilità al cambiamento dello scienziato: «Il fisico è stato costretto tre o quattro volte da venti anni a questa parte a ricostruire la propria ragione e, intellettualmente parlando, a rifarsi una vita»³⁷.

    Si può allora parlare de «I compiti della filosofia delle scienze»³⁸ solo se ci si sposta dal terreno del descrittivo, del narrativo e dello storico verso il normativo, il dialettico e il discontinuo. Questo toglie alla scienza la sua presunzione di naturalità e alla filosofia l’illusione di poter comprendere il reale riproducendolo. L’artificialità tecnica della scienza si accompagna a una strumentalità («l’occhio che sta dietro al microscopio ha accettato in tutto lo strumento, è diventato anch’esso strumento dietro lo strumento»)³⁹ che domanda una continua riorganizzazione del sapere in una dinamica dialettica di razionale e sperimentale resa possibile dalla specializzazione, luogo di una prova precisa, di una verifica dettagliata della generalità⁴⁰. Non c’è allora identificazione di razionalismo e scienza: l’evidente scarto tra i due termini, mentre non impedisce di riconoscere il razionalismo nel pensiero scientifico⁴¹, istituisce lo spazio per una ragione che può correggere, giudicare e procedere secondo una dinamica di atti⁴² e di ostacoli epistemologici⁴³.

    Ma se la ragione non è solo scienza, non può neppure essere ricondotta a pura logica. «Come suscitare un evento di ragione? Una siffatta domanda non ha alcun senso per chi riduce il razionale al logico. Per molti filosofi i principi del razionalismo si limitano alle condizioni della logica»⁴⁴. Questo significa sancire l’impotenza del razionalismo perché la logica non esercita alcuna funzione positiva nello sviluppo della conoscenza scientifica e dunque non permette comprensione. L’equivoco che soggiace è di attribuire la generalità alla razionalità, ma ancora una volta «la parola tutti fa indietreggiare il razionalista»; tutti può funzionare solo a riguardo di «entità che sono state specificate in un corpo di entità definite»⁴⁵. Il razionalismo può essere solo regionale, può operare solo in «settori particolari molto nettamente stagliati sull’orizzonte circolare del sapere»⁴⁶.

    In relazione ad esso il razionalismo può dirsi generale se prende possesso dei razionalismi regionali e allora lo si può meglio chiamare integrale, integrante. Questo esito non va pensato come «raccolta del la parte comune dei razionalismi regionali», quasi una sorta di minimo comune denominatore e neppure, al contrario, come un «dominio di diverse assiomatiche di base». È una attività dialettica che non deve unificare, ma «moltiplicare e affinare le strutture» perché più assiomatiche siano in grado di accogliere più esperienze⁴⁷.

    Dialettica di atto e ostacolo epistemologico, razionalismi regionali, rottura tra conoscenza scientifica e conoscenza comune, evitando da un lato di ridurre la ragione a scienza e dall’altro di vanificarla come logica, impegnano la ragione in una storicità che fa della storia delle scienze non il luogo di una manifestazione progressiva della verità, ma il luogo di un pensiero rettificato e di un tessuto di giudizi sul valore del pensiero e delle scoperte scientifiche.

    La storia di una dialettica del pensiero⁴⁸ riformula il concetto di storia non come sviluppo ma come ricorrenza, non come storia naturale ma come filiazione concettuale. Una storia, direbbe Canguilhem⁴⁹, non come microscopio ma come scuola, come tribunale. La storia giudicata, la storia valorizzata è la più irreversibile delle scienze e ciò non per un relativismo né per presunzioni assolutistiche. Le teorie non si «accumulano nella continuità del tempo»⁵⁰, ma operano rotture, rettifiche: «lo spirito scientifico è essenzialmente una rettifica del sapere, un ampliarsi dei quadri della conoscenza. Esso giudica il proprio passato storico nel condannarlo. La sua struttura altro non è che la coscienza degli errori storici»⁵¹. In questa ottica verità ed errore vengono riformulati in modo tale da poter pensare «al vero come una rettifica storica di un errore prolungato»⁵², a «una verità su uno sfondo d’errore»⁵³, cosicché «anche l’errore gioca, grazie alla rettifica, il suo ruolo di utilità per il progresso della conoscenza»⁵⁴.

    Questa concezione della storia delle scienze è al vaglio in questo volume⁵⁵ in un’analisi delle fasi dialettiche onda-corpuscolo della teoria della propagazione della luce, tesa a cogliere l’attività razionalista nel suo impegno a barrare l’irrazionalismo della luce, intesa come sostanza materiale. Huygens o Fresnel sono dei punti di rottura in questa storia perché l’uno, parlando di onda, abbatte il realismo dominante e l’altro – in un farsi risolutamente tecnica della fisica – concepisce la misura come «elemento del pensiero». L’uno e l’altro appartengono alla scienza non perché appartengono al passato ma perché hanno un avvenire ed è questo avvenire che li giudica.

    In Bachelard, non solo si invertono verità-errore, ma anche passato-presente⁵⁶. La scienza non ha una storia che procede dal passato al presente, ma la scienza presente lavora contro la sua storia, solo l’avvenire può restituirle un passato. «Per quanto paradossale possa apparire, il passato della scienza risiede nel suo avvenire»⁵⁷.

    4. Realtà e ragione nella fisica contemporanea

    Possiamo ora affrontare il problema della fisica intesa come regione epistemologica, come terreno sul quale la scienza provoca la ragione filosofica a un impegno che la smaschera nel suo carattere astratto e le chiede di rendere conto della concretezza che la pratica scientifica comporta ed esige. Ci sembra di poter individuare due percorsi che, tesi a chiarire il pensiero di Bachelard, lo interpellano in ciò che rende leggibile a decenni di distanza il suo testo. Bachelard rappresenta una lettura epistemologica, foss’anche rigorosamente critica, di un momento della storia della fisica o riesce a spezzare il parlare della filosofia sulla scienza per inaugurare un lavoro di produzione del pensiero che è il lavoro di produzione del fisico in laboratorio? La motivazione a una lettura de L’attività razionalista della fisica contemporanea è solo nel fatto che la filosofia anziché «essere in ritardo» rispetto alla scienza, riesce a esserle contemporanea? Se così fosse l’interesse non potrebbe che essere storico e per di più imprigionato dai risultati cui era giunta la fisica negli anni cinquanta.

    Interrogare Bachelard dall’interno della pratica scientifica permetterebbe di vagliare se questo testo ha la risorsa di indicare una strada di militanza per la ragione, in quanto difende non certo i risultati del la scienza, ma la dignità dello scienziato nella sua pratica teorica di laboratorio. In questo senso dovremmo presumere che l’epistemologia di Bachelard sia in grado di produrre effetti, non in sorta di una duttilità che la renderebbe un’epistemologia «per tutte le stagioni», ma per uno spostamento della domanda sul lavoro del pensiero scientifico, sulla scienza come processo di produzione.

    I due percorsi cui accennavamo sono: da un lato vagliare i termini di una decostruzione dell’immagine cartesiana della scienza operata dalla fisica relativista e dall’altro proporre alcune osservazioni su come Bachelard abbia saputo, nell’arco dei vent’anni della sua produzione epistemologica, «smentire» sé stesso offrendo l’esempio del compito da lui assegnato alla filosofia di giudicare valutando. In questo senso lasciarsi interrogare dalla pratica scientifica significa non tanto poter comprendere un’altra cosa, un nuovo risultato, quanto comprendere diversamente. Ciò è possibile se i risultati delle scienze vengono «mostrati e dimostrati» come conclusioni. Allora, nel riconoscimento di quel lavoro che li ha «mostrati e dimostrati», si possono operare giudizi capaci di sovvertire i termini della questione.

    Il carattere di novità di cui sono cariche le dottrine relativiste stupisce e mette a disagio il filosofo⁵⁸ la cui «cultura» viene degradata a «senso comune», sorgente non di sapere ma di ostacoli epistemologici⁵⁹. Inutile ricordare che il secolo XX inizia all’insegna di una profonda crisi delle scienze già latente nella seconda metà del secolo precedente. La teoria dei quanti e della relatività sono solo all’inizio di una rapida trasformazione che raggiunge un’acme attorno agli anni trenta.

    Basti pensare al principio d’indeterminazione enunciato da Heisenberg nel 1927 e all’interpretazione relativista della meccanica ondulatoria presentata da Dirac nel 1930, ma anche al susseguirsi della scoperta dei corpuscoli sempre nell’arco di quegli anni⁶⁰.

    Crolla in tal modo, per chi non voglia attardarsi nella «scienza della generazione precedente», tanto l’illusione di un sapere scientifico su basi empiriche⁶¹, quanto l’illusione dell’oggettività della misura. Entrambe infatti vivono l’equivoco di una natura «naturale» che trova alimento in quel privilegio della vista di cui è intessuta la scienza moderna. «La vista ci dà troppo a buon mercato un essere-nel-mondo» occorre un’altra strumentazione teorica per montare «una tecnica dell’agire-scientificamente-nel-mondo e per promuovere all’esistenza, con una fenomenotecnica, fenomeni che sono non-naturalmente-nella-natura»⁶². Alla visione Bachelard chiede di sostituire la revisione: «Per il fatto di questa revisione, di questo nuovo intento, ogni intento riceve il suo senso tecnico, il suo asse tecnico»⁶³. Se l’illusione di una comprensione come descrizione vive di una naturalità empirica, la comprensione come misurazione presuppone una realtà geometricamente dimostrabile⁶⁴. Figura, movimento e continuità⁶⁵ sono delle semplificazioni che non trovano riscontro nella fisica contemporanea.

    Questa critica appariva già serrata in L’expérience de l’espace dans la physique contemporaine del 1937, testo in cui la determinazione nello spazio si accompagna alla critica del realismo e dell’immobilismo. Senza una determinazione nello spazio come parlare ancora di figura? Il corpuscolo non ha dimensioni assolute assegnabili; nell’individuare un ordine di grandezza s’intende indicare una zona d’influenza, non di esistenza⁶⁶. La sfericità attribuita all’elettrone⁶⁷ non deve trarre in inganno perché l’elettrone si dice sferico non per motivi realistici ma per motivi teorici. Quando si dice che l’elettrone è sferico si intende dire che una pluralità di elettroni presentano statisticamente un comportamento sferico; infatti per dare una figura ai suoi fenomeni, la microfisica ha bisogno di una pluralità di microoggetti per realizzare uno schema che riassume esperienze multiple secondo una funzione attiva⁶⁸. L’illusione del filosofo che movimento e figura, in quanto concetti primi, deterrebbero il potere di ogni esteriorità crolla definitivamente allorché l’elettrone è chiaramente compreso come causa non come cosa. È oggetto di scienza per gli effetti che produce, dunque si calcola, non si può più misurare. L’incontro tra fotone e elettrone non è geometrico perché – potremmo dire paradossalmente – «le traiettorie che permettono di separare gli isotopi nello spettroscopio di massa non esistono nella natura; occorre produrle tecnicamente. Sono teoremi reificati»⁶⁹. La fisica non risponde più a questioni di realismo, ma di razionalismo. Non ci sorprende allora l’affermazione che l’elettrone è un essere della legge in contrapposizione all’atomo che è un essere dell’accidente⁷⁰. Non solo non ci sorprende, ma ci illumina perché misura una società scientifica al lavoro che detiene il diritto del fatto⁷¹.

    Soffermiamoci ancora a indagare quali sono i presupposti e le conseguenze della spazializzazione del mondo e quali gli effetti della despazializzazione che la fisica crepuscolare produce.

    Il geometrico può instaurarsi solo a condizione di presupporre una realtà indifferenziata e omogenea tale da richiedere la determinazione universale propria dello spazio infinito e generare comprensione in un determinismo geometrico. Ma la fisica relativista spacca dal di dentro questo involucro e spalanca a un reale che «non è tutto nello stesso modo» così come «la sostanza non ha la stessa coerenza a tutti i livelli; l’esistenza non è una funzione monotona; non può affermarsi ovunque e sempre con lo stesso tono»⁷².

    All’esistenza monolitica del realismo geometrico, la fisica contemporanea contrappone l’esistenza stratificata di una «realtà non realista» che si declina nei termini della possibilità. «Sembra così che la possibilità, in una strana reciprocità, venga a sancire la realtà. Nelle

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