Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Il gioco dell'Ocio
Il gioco dell'Ocio
Il gioco dell'Ocio
E-book259 pagine3 ore

Il gioco dell'Ocio

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Un grullo vagava armato di un bisturi e di una vecchia pistola. Sette oche gli andarono incontro accompagnate da un billo e una pitta. Nell’aria si avvertiva una tensione da tregenda. “Vedrai che qui succede un casino dell’ottanta” disse Garibaldi mentre osservava la scena da un poggiòlo. Napoleone, che indossava una camicia più lunga di quella di Meo, non se la sentì di contraddire l’esimio collega e confermò a suo modo: “Oui, le diable à quatre”. Caterina de Medici tentò di placare gli animi: “Prima che si scateni un quarantotto e di punto in bianco qualcuno finisca col culo per terra sarebbe meglio tornare ai santi vecchi...”. Non riuscì a finire la frase. Il grullo, bria'o tegolo, cominciò a lanciare confetti come fossero coriandoli e botta botta fio fio, mise a segno ogni tiro. Aveva quasi fatto cappotto quando le oche, tetragone ai colpi dell’improvvisato Balilla, decisero di mettere in atto una mossa Kansas City, tornando a bomba sui loro passi con un salto della quaglia. “Attento”, gridò Garibaldi: “quelle ti vogliono far passare sotto le forche caudine”. Il grullo non gli diede retta e inciampò nella cunetta...
Chi ritiene che questo raccontino non abbia né capo né coda ha ragione da vendere, tanto che sono disposto a pagarla ben tredici baiocchi. Però, coloro che vogliono togliersi la curiosità su alcune espressioni popolari toscane, non devono far altro che aprire questo libro ad una pagina a caso. Buona fortuna!
LinguaItaliano
Data di uscita18 giu 2018
ISBN9788828337584
Il gioco dell'Ocio

Leggi altro di Giacomo Lucchesi

Correlato a Il gioco dell'Ocio

Ebook correlati

Umorismo e satira per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Il gioco dell'Ocio

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Il gioco dell'Ocio - Giacomo Lucchesi

    Giacomo Lucchesi

    Il Gioco dell'Ocio

    UUID: 0590707c-7325-11e8-a16c-17532927e555

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Sommario

    Preambolo

    01 - Virocastronerie

    02 - Chi è san Tommè?

    03 - Controculo cappottato

    04 - Il magnifico 7

    05 - Il marchese del grullo

    06 - 13 fra grilli e minchiate

    07 - Bombe nascoste

    08 - Tetralatte

    09 - Confetti per pistole

    10 - Per Elisa stereocopiata

    11 - Pietre d’oca

    12 - 4 diavoli a Kansas City

    13 - Ballistica

    14 - Dindi e billi ciucchi

    15 - Pitta ingolla baiocchi

    16 - Svanziche, duini e zecconi

    Il gioco dell’Ocio

    ovvero

    Pitta abbeccaci

    Altrimenti detto

    Zacchere e pillacchere

    dove si apprende

    come l’oca rica’i

    quello che ingoia

    Riassumendo

    Fi’i secchi e confetti

    mischiati

    nel truogolo del maiale

    di

    Giacomo Lucchesi

    "Egli nulla rispose, e s’avvedea,

    Ch’eran tutti spropositi i miei detti;

    Poi disse: ohimè, ohimè, che badi Enea?

    Fuggi, ch’ecco i nemici maledetti.

    Troja nostra è spedita; ahi, sorte rea!

    Tutta ruina, ed arde insino a i tetti;

    Ne vanno tutti: il marcio ora si giuoca;

    Non v’è rimedio; è fatto il becco a l’oca..."

    da Virgilio Eneide Travestita

    di Giovanni Battista Lalli

    Preambolo

    "Per quanto allunghi il collo,

    l’oca non diventerà mai un cigno"

    ________________

    Cent’oche ammazzano un lupo

    Proverbi toscani

    Preambolo è un termine che ci piace, soprattutto nella sua accezione di premessa cerimoniosa ed inutile, divagazione oziosa fatta per avviare un discorso, o per prendere una questione alla larga, o per disporre l’interlocutore a proprio favore (fonte: Vocabolario Treccani on line).

    Questo preambolo non si limita semplicemente a far perdere del tempo, ma rende persino inutile la lettura di tutto ciò che segue.

    In pratica vi assicura che al primo lancio di una coppia di dadi uscirà 9. Tanto basta per arrivare alla casella 63 e vincere la partita nel tradizionale gioco dell’oca.

    Ma questo non è un passatempo da tavolo, è piuttosto il resoconto dell’indagine, senza capo né coda, compiuta su di una vasta cerchia di sospettati poco credibili, da parte di una squadra di investigatori di quart’ordine. Detto in parole povere: un giallo sgangherato.

    Se questo fosse un romanzo giallo come si deve, nei capitoli successivi trovereste la descrizione dell’ambiente in cui si svolge la storia, la presentazione dei personaggi e l’analisi dei motivi che potrebbero rendere ciascuno di loro un potenziale omicida. Infine, dopo aver narrato vicende dai risvolti inaspettati e messo in piedi una serie infinita di indispensabili depistaggi, al commissario di turno, tanto cretino da sembrare intelligente, non resterebbe che svelare il nome dell’assassino.

    Non è il nostro caso. Questo è un romanzo giallo atipico e, dal momento che vi state ostinando a leggere questa pallosa introduzione, tanto vale lasciarvi di stucco.

    L’assassino è il maggiordomo.

    È uscito il nove. Avete vinto. Facile ed indolore come certe punture. Manca il movente? Non ce n’è bisogno. Non si chiede ad un pesce se sa nuotare; così come non si chiede al maggiordomo il motivo del suo atto efferato.

    Adesso, prendendo spunto da una di quelle filastrocche mandate male a memoria, mettiamo il pan nella fiaschetta ed il vin nella paniera ed andiamo a Pontedera a vedere chi non c’era; poi...

    Purtroppo non ricordiamo con quale rima s’arrivava a Serravalle dove c’era tanta gente e quel che abbiam detto... non è vero niente.

    Smettiamo di nasconderci dietro un titolo. Questo è un libro fantasy in cui, fra un’avventura thriller ed una scorribanda in dimensioni parallele, si narra una delicata storia di amore senza dimenticare, di quando in quando, di descrivere minuziosamente la preparazione di un buon manicaretto.

    Quella appena descritta potrebbe davvero essere la ricetta buona per un best seller, ma purtroppo o per fortuna, Il gioco dell’Ocio (o del Locio) è tutto un altro paio di maniche.

    In fondo si tratta semplicemente di un composto di faccenduole minime, tenute assieme con lo sputo, dove il filo del discorso, oltre che ben annodato, è anche piuttosto... inzaccherato. Poi, per gli schizzinosi a cui non piace rimestare nel torbido, abbiamo sciacquato le nostre pagine nel fiume... Lima (l’Arno era già stato prenotato). Tuttavia il bandolo non s’è più trovato.

    Allora, ancor prima di vederci al perso, con la matassa piena zeppa di pillacchere, abbiam deciso di giocare il Jolly.

    Non di un Joker qualsiasi stiamo parlando ma di quello che faceva raddoppiare i punti ai Giochi senza frontiere, la celebre trasmissione televisiva, andata in onda dal 1965 al 1999, come progetto di integrazione ed amicizia fra le nazioni d’Europa.

    Erano giochi semplici e divertenti, sfide all’insegna dell’agonismo pacificante e bastavano due arbitri svizzeri (Guido Pancaldi & Gennaro Olivieri) a regolare le eventuali piccole scaramucce che potevano insorgere fra i partecipanti dei vari paesi. In fondo si trattava di un modo leggero per vedere incantevoli luoghi del nostro vecchio continente e conoscere le diverse tradizioni ivi presenti. Insomma, un lodabile tentativo per cercare di mescolare i colori sulla tavolozza.

    Ciò vale anche per questo libro, che infatti non è giallo, né rosa, né blu.

    Il suo colore è... arcobaleno.

    È sempre cosi: ci piace far chiarezza confondendo le acque, mischiare le carte del solito mazzo per farle sembrare diverse e giocare sporco per arrivare a un risultato netto. In parole povere, ci garba disquisire sulla materia luna parlando del dito.

    Gratta gratta gli argomenti principali son sempre quelli: proverbi, frasi fatte, modi di dire, motti, sentenze e aforismi. In particolare ci siamo occupati delle seguenti espressioni: dare retta, sai una sega te chi se la bevve, per san Tommè le giornate si allungano quanto il gallo alza il piè, lunga come la camicia di Meo, passare sotto le forche caudine, fare cappotto, fare il salto della quaglia, botta botta - fio fio, indovinala grillo, tornare ai santi vecchi, tornare a bomba, la mossa Kansas City, fare il diavolo a quattro, ecco fatto il becco all'oca (e le corna al potestà), la pietra dello scandalo, essere sul lastrico, finire con il culo per terra, avere culo, rimanere in brache di tela, andare a ramengo, calma e gesso, avere il pallino per qualcosa, di punto in bianco e bria'o tegolo.

    Non contenti, abbiamo aggiunto notizie sull’origine o sul significato di una carrettata di parole fra le quali: vincisgrassi, sammeo, figliettino, finocchio, buggerare, grullo, pitta, bietolone, tregenda, bomba, tetragono, pistola, bisturi, confetti, cinci, chioina, cunetta, maramaldo, balilla, incignare, cambiale, dindo, dollaro, asso, azzardo, pecunia, scrupolo, talento, piotta e grana.

    Lo abbiam fatto chiamando in causa il cinema: Amici miei e Il marchese del grillo di Mario Monicelli, Verso sera di Francesca Archibugi, Boccaccio 70 per l’episodio con la regia di Fellini, Il presidente del borgo rosso football club di Luigi Filippo D'Amico, Per grazia ricevuta di Nino Manfredi, Django unchained di Quentin Tarantino, Se non son matti non li vogliamo di Esodo Pratelli, Mary Poppins di Robert Stevenson, Gli uccelli di Alfred Hitchcock, Slevin – Patto criminale di Paul McGuigan, Io, Chiara e lo Scuro di Maurizio Ponzi e Non ci resta che piangere di Roberto Benigni e Massimo Troisi.

    Ci siamo divertiti a citare, in modo più o meno diretto, qualche vecchia pubblicità come quelle relative a: pizzette Catarì, acqua brillante Recoaro, salumi Negroni, rotoloni Regina, la birra, shampoo Liberi&Belli, succhi di frutta Derby, televisori Telefunken e le terme di Crodo.

    Abbiamo seminato qua e là qualche vecchia trasmissione televisiva: Star Trek, Quelli della notte, Lascia o raddoppia, No Stop, Chi vuol essere milionario?, Diritto di replica, Di nuovo tante scuse, Buggzzum, Dancin' days e Lo zecchino d'oro.

    Non poteva mancare un po’ di musica con le canzoni: Generale di Francesco de Gregori, Fiaba di Riccardo Cocciante, La formicuzza ed il grillo (canto popolare), Alla fiera dell’Est di Angelo Branduardi, Cosa resterà di questi anni 80 cantata da Raf, Coriandoli su di noi cantata dai Ricchi e Poveri, Via del CampoCreuza de mäLa ballata degli impiccati di Fabrizio De André, L’inno d’Italia (o di Mameli), l’inno della gioventù fascista, Andavo a cento all'ora cantata da Gianni Morandi e la canzone per bambini 44 gatti.

    Fra gli oggetti e luoghi d’arte citati nel libro ricordiamo: il cratere di Assteas, la statua equestre di Bartolomeo Colleoni ad opera di Andrea del Verrocchio, la tomba del tuffatore ed il busto femminile in terracotta conservati nel museo del parco archeologico di Paestum, i dipinti del Tintoretto nella Scuola Grande di san Rocco a Venezia, la tomba di Ugo il grande di Toscana nella Badia fiorentina e la statua del porcellino di Pietro Tacca.

    Poi giochi e passatempi a volontà: Monopoli, Ping pong, Biliardo, Biliardino, Dama, Il gioco dell'oca, Indovinala grillo, Nascondino, Domino, Chiappino, Testa o croce, Guardie e ladri, Origami, Cottabo, Minchiate e l’indimenticabile Giostra".

    Infine abbiamo dato i numeri ed in particolare il sette, il tredici, l’ottanta, il quarantotto ed il quattro. Per mettere insieme tutto ciò abbiamo usato la lingua italiana, un po’ di vernacolo toscano sbocconcellato qua e là ed un gocciolino di latino.

    Con una tale pastoia di roba, infilata in una pilla così piccola, la possibilità di aver confuso uno specchietto per le allodole per un diamante è alta quanto la fedeltà di un impianto stereo. Nell’ingarbugliato labirinto di citazioni, rimandi, figure retoriche ed azzardati accostamenti, avremo di certo preso, più e più volte, lucciole per lanterne.

    Mal di poco; dalle nostre parti si dice: Non c’è buon bifolco che faccia sempre diritto il solco e Non v’è uovo che non guazzi.

    Pur non esenti da peccato, di fronte a qualche fola altrui, non abbiamo resistito e una sardonica pietruzza l’abbiamo scagliata volentieri. Forse due. Magari anche di più. In sostanza ci siamo fatti prendere la mano al motto di Melius est abundare quam deficere.

    Ma non tutto il male viene per nuocere, lo ricordava persino lo sfortunato fraticello Cimabue, che faceva una cosa e ne sbagliava due.

    Per chi conosce il latino, ma non ricorda cosa accadesse nei caroselli che reclamizzavano il liquore D.O.M. (Deo Optimo Maximo) Bairo l’Uvamaro, quando era giorno di letizia per lo convento e per li frati tutti, ripetiamo volentieri la frase mantra di quel personaggio a cartoni animati: Ma che cagnara, sbagliando si impara (quae nocent docent).

    Non c’è che dire, una sentenza degna del miglior oracolo, visto che il pubblico, confondendo DOM per il titolo di Don, predicato solitamente riservato agli ecclesiastici, convinse la ditta Buton, proprietaria del marchio, a cambiare il nome dell’elisir in Don Bairo. Evidentemente gli errori si comportano come le ciliegie (od i chicchi d’uva pregiata) ed uno tira l’altro. Non per niente su Wikipedia, alla voce Pietro Bairo, importante medico tardo rinascimentale a cui viene attribuita l’antica ricetta dell’omonimo liquore fatto con erbe rare, è riportato il cambio di nome rovesciato, ovvero da Don a DOM Bairo.

    L’errore è perdonabile, ma serve a comprendere come, fra le false notizie buttate lì a bella posta ed i numerosi refusi, non sia per niente facile trovare il capo e la coda delle cose affidandosi alla sola rete telematica.

    Oh, non ci schiodiamo più di lì. Sono anni che abbiamo intrapreso la sfida di smentire la rete attraverso sé stessa ed ancora perseveriamo. Ci abbiamo preso gusto. D’altra parte è vero che le prime pagine di internet son sature di cazzate, ma scavando sotto a tanta informazione spazzatura si entra in una biblioteca che fa impallidire quella leggendaria di Alessandria d’Egitto. Pare impossibile ma questa magia di internet non è per niente pubblicizzata.

    Ma come? Abbiamo a disposizione un immenso archivio a cui possiamo avere accesso restando sul divano di casa ed in giro se ne parla poco o niente. È vero, ancora molto si può e si deve fare in merito alla digitizzazione del patrimonio del sapere, ma intanto cerchiamo di approfittare di quanto consultabile con servizi del tipo Google books o Archive.org.

    In Italia, con la consueta lentezza e l’immancabile disgregazione, qualcosa si sta muovendo. Segnaliamo, fra le più meritevoli, le iniziative on-line intraprese dall’Accademia della Crusca. Per noi, allergici alla polvere, è sicuramente un bel modo per consultare libri antichi senza starnutire. L’importante è continuare a poter accedere a questi siti gratuitamente. Quando la cultura precedente è usufruibile da tutti è più probabile che se ne generi di nuova. Almeno non saremo costretti a fare come Eugenio Scalfari, il quale ha confessato più volte che, nell’impossibilità di ritrovare i libri dentro casa, procede al loro riacquisto ogni volta che intende leggerli di nuovo. È un lusso non permesso a chicchessia.

    Sian comunque beati tutti coloro che leggono e rileggono e soprattutto verificano la veridicità delle informazioni.

    È proprio dalla nostra smania di andare all’origine delle cose che sono nate molte delle curiose precisazioni contenute nei prossimi capitoli. Abbiamo svolto le nostre piccole indagini con la tecnica del tenente Colombo. Questo poliziesco americano è andato avanti per un numero infinito di anni grazie ad uno schema insolito: il colpevole era conosciuto fin dall’inizio.

    Tutto l’interesse dello spettatore era concentrato nell’assistere al modo in cui Colombo sarebbe riuscito ad incastrare il criminale di turno. Non ci siamo persi nemmeno un episodio di quella lunga serie perché il comportamento del personaggio principale, interpretato magistralmente dall’attore Peter Falk, spiegava perfettamente il detto toscano: La furbizia più grande è quella di non apparir furbi.

    Insomma, alle volte, a passar da bischeri ci si guadagna un tanto, anche se noi tendiamo a nascondere certe fallaci digressioni sotto l’appellativo di strane correlazioni. Qualcosina l’abbiamo comunque imbiffata, forse più per culo (inteso come fortuna) che per altro.

    Sui contenuti non ci spingiamo oltre ma, visto il titolo del nostro libro, una piccola nota sul gioco dell’oca è più che doverosa. Senza dare troppo peso al dono che Ferdinando I de’ Medici fece al re di Spagna Filippo II andiamo, dritti come fusi, ad elencare quali sono le similitudini fra quest’opera ed il gioco in questione. Innanzitutto si tratta di un percorso. Il percorso del gioco dell’oca è semplice ma non banale. I simboli che si incontrano sulle varie caselle ed il disegno complessivo a spirale, meritano le approfondite riflessioni che fior fior di autori gli hanno riservato. Il nostro tragitto è forse un tantinello più aggrovigliato, ma ha una sua instabile attrattiva. Il secondo elemento comune è la sorte. All’inizio del gioco non sappiamo mai quando arriveremo al traguardo. Alcune volte esce subito il nove, altre volte si finisce sul 58 (lo scheletro) e si torna al punto di partenza. Poco importa. Quel che più conta è continuare a giocare. Ultima caratteristica comune è l’oca. Animale da sempre considerato portatore di prosperità e fortuna. Quindi il miglior augurio che possiamo fare è: Buon ocio a tutti!. In fondo la fortuna è femmina ma il culo no.

    01 - Virocastronerie

    Se ogni volta che diamo fiato alle trombe ci ronza sempre nella mente chi ben comincia è a metà dell’opera ci sarà pure un perché. Così su due piedi una qualsivoglia motivazione, degna di far assurgere questo modo di dire a patrimonio mondiale dell’umanità, non ci sovviene.

    Non per questo esitiamo a ripeterci:

    chi ben comincia è a metà dell’opera.

    Poi (dai oggi e dai domani) le nostre buone ragioni, le abbiamo scovate dentro la vecchia credenza dei nessi pittoreschi. Chi ben comincia è a metà dell’opera è difatti la chiave portafortuna per aprire la porta che ci separa dal magico mondo delle attinenze inconsuete; la nota giusta per dare il via a leggendarie etimologiche danze; il modo più appropriato per tirar su il drappo delle beghe quotidiane e portare in scena una nuova tiritera di pensieri arzigogolati e modi di dire desueti.

    Allora, siccome giova, ribadiamo: chi ben comincia è a metà dell’opera.

    D’altronde gli antichi romani c’erano arrivati qualche millennio prima di noialtri scalzi ed ignudi: repetita iuvant.

    Questa locuzione latina però non funziona a 360 gradi. Essa è infatti da ritenersi valida quando invita a ripetere una piacevole esperienza, oppure quando afferma l’utilità di ribadire concetti che limitano la possibilità di fare... cazzate.

    Perseverare nello stesso errore è invece considerato diabolico ed è molto meglio, dopo aver commesso un fallo, levar mano e non insistere.

    Dare contro ad affermazioni come quella di Sant’Agostino d’Ippona non ci passa neanche nell’anticamera del cervello. Il filosofo amazigh, nei suoi Sermones, lo esprime chiaramente: umanum fuit errare, diabolicum est per animositatem in errore manere.

    Siccome ripetere più volte la stessa frase non ci sembra una pecca tanto grave, citiamo ancora chi ben comincia è a metà dell’opera e, per essere sicuri che ci porti veramente bene, ci strizziamo un tantino le palle nel gesto di toccar ferro, dal momento che citare Orazio senza razio...cinio è pur sempre un rischio.

    A dirla tutta, il poeta latino scriveva: Dimidium facti, qui coepit, habet che, ad occhio e croce, equivale a chi inizia ha già fatto metà del lavoro. Orazio esorta a non tentennare, sulla falsa riga di chi ha tempo non aspetti tempo. Il resto vien da sé.

    A spidocchiare a garbo, tanto da andar con gli occhi aperti in testa, nella sentenza del poeta latino manca un ben. Evidentemente, nel motto giunto fino ai giorni nostri, il bene è stato aggiunto alla bisogna, dal momento che, almeno in Italia, cominciare e basta non è mai stata condizione sufficiente a garantire un buon esito finale.

    Comunque, anche se Il buongiorno si vede dal mattino e noi stiamo scrivendo a notte fonda, niente e nessuno potrà fermare i nostri consueti sproloqui, traboccanti di apoftegmi e di proverbi casalinghi. Dateci retta!

    Ci par quindi cosa buona e giusta dare il via alle nostre strampalate spiegazioni partendo dalla locuzione dare retta. Intanto, vero l’ostia, osiamo far osservare quanto sia difficile restare sulla retta via quando di retta si va a parlare. Con retta siamo di fronte a un trivio che molto retto non pare ed occorre profondere grande impegno per poter trovar la via cor... retta.

    Tralasciamo la retta in quanto linea che va da un punto A ad un punto B e poniamo invece che il signor Ambrogio tenga a pensione la signorina Beatrice. Niente di scandaloso che, per tale servizio, Ambrogio chieda a Beatrice una adeguata retta. Fin qui il discorso è retto da un retto uso della parola retta; ma quando questo termine si trova nella polirematica, nel lemma complesso, nell’unità lessicale superiore, insomma assieme e strettamente legata al verbo dare, che cos’altro vuol significare?

    Semplice! Dare retta ha origine dall’espressione latina arrectam nel senso di eretto, dove la parola aurem (orecchio) è sottointesa.

    Arrectam aurem ovvero quando retto diventa... ritto.

    Quello che si chiede al nostro interlocutore con dar retta è di tenere l’orecchio teso, di prestare parecchia attenzione a quanto si sta dicendo.

    Il nostro non vuol essere un segnale d’allarme. Facciamo giurin giuretto e promettiamo che, per comprendere le nostre bischerate, non ci sarà bisogno di drizzare troppo le orecchie. Esclusa la possibilità di far diventare i vostri padiglioni auricolari così appuntiti da gareggiare con quelli del vulcaniano Spock, speriamo almeno, durante la lettura delle prossime pagine, di farvi strabuzzare gli occhi dallo stupore.

    Per una partenza di quelle col botto ci è venuto lo schiribizzo d’affrontare una facezia di nicchia, talmente familiare da essere conosciuta soltanto nel raggio d’azione del Buon Samaritano, nomignolo del nonno del nostro capo redazione.

    L’idiomatica espressione sotto esame è la seguente: Sai una sega te chi se la bevve.

    Il suo significato ci par talmente ovvio, che in altre circostanze, disquisire su certe bagatelle ci avrebbe

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1