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Esco Raggiante
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E-book214 pagine2 ore

Esco Raggiante

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Info su questo ebook

Se, dopo aver distribuito questo libro, si verificheranno cadute verticali nelle vendite di ansiolitici, antidepressivi e nelle sedute di psicoterapia, allora sarà stato un piccolo successo.

Lo stesso si potrà dire se si moltiplicheranno ordini di acquisto di finocchiona, ribollita e lampredotto o fagioli all’uccelletto, accompagnati da altrettante richieste di vini bianchi o rossi, non importa di quale grado e/o provenienza. Beninteso, il successo sarà, in ogni caso, da tributare ai tredici personaggi narrati, uno per ogni lettera del titolo del libro “Esco raggiante”.

L’autore di questo misfatto letterario oggi è latitante, ed ha fatto bene a nascondersi, perché si è impadronito illegittimamente di storie intime, personali, quand’anche riservate, oltretutto senza basi documentali certe e verificabili. Da informazioni anch’esse poco attendibili, sembra che “la penna” predetta attraversi addirittura una fase catartica.

Il pentimento pare sia subentrato subito dopo l’eloquio garrulo, avvenuto per mezzo di caratteri a stampa, mal giustapposti in (pensate bene!) quarantamila parole.

Un dispendio di caratteri incredibile.

“Per dire cosa, poi? Che con lo spirito toscano, con il gusto dell’improvvisazione oppure con i motteggi e le battute a raffica si possono superare le situazioni più difficili e talvolta ribaltare alcuni casi già compromessi?”

Erano cose già note.

Tutti sanno che un vero toscano non può avere “filtri”, esclusi quelli della percezione.

Lo dicevano anche i nostri nonni, ben esperti in fatto di toscani, ruvidezze e fumosità.

Semmai, proprio a voler essere indulgenti, si può intravedere un barlume di positività nel fatto che tutti i magnifici tredici sono stati considerati dall’autore come veri e propri miti.

Quando il libro è stato scritto, infatti, i personaggi narrati non erano più vivi, né passati a miglior vita, ma tutti “al di là”. Al di là delle nostre memorie, coscienze, categorie di giudizio.

Non erano più forma, sostanza, spirito.

Solo miti.

Come “miti” erano state, in fondo, le loro esistenze.

L’ultima - e unica cosa - veramente buona (almeno quella), che ha in animo l’autore riguarda la destinazione degli (eventuali) proventi del libro.

Si dice che saranno tutti devoluti in beneficenza; quindi grazie a chi lo leggerà!

Mettiamolo alla prova: hai visto mai che da un “male” non possa nascere veramente un bene, come si è ostinato a dire il “rifugiato”, in queste duecento e passa storie?

Allora, (ma solo allora) sarei pienamente convinto del significato espresso nelle ultime due parole, in finale di libro...

… che scoprirete solo leggendo.
LinguaItaliano
Data di uscita7 ago 2014
ISBN9788891152688
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    Anteprima del libro

    Esco Raggiante - Fabricek

    *****

    PARTE PRIMA – QUELLI …RACCONTATI.

    TARALLA – Il diversamente abile

    Presentazione

    A detta di chi l’ha conosciuto – o sentito rievocare da altri – Gino detto Taralla, è stato un caso unico.

    Ineffabile, irresistibile e soprattutto irripetibile.

    Come si dice in Toscana, a Gino mancava qualche venerdì, ma in compenso aveva altre giornate per pienare l’esistenza altrui.

    Baffoni, naso pronunciato, magro, un po’ scuro di pelle, aveva un braccio più corto dell’altro, usato talvolta a dita racchiuse per esprimere scetticismo, quasi a significare: -Ma te che vuoi, ma cosa dici?-

    Le passioni forti per il Milan e l’Orbetello Calcio, oltre alle donne, agli amici e allo scaveccio (ndr: anguilla marinata), completano il mondo che girava intorno alla figura di Gino.

    Per definire i suoi comportamenti si possono usare i termini più disparati.

    Incoerenza, insensatezza, illogicità, ma tanto, "si ritorna sempre a Pasqua di domenica", di quello si trattava.

    Per cercare di capirlo – beninteso, in maniera approssimativa – bisogna anticipare che Gino si rendeva un po’ conto del deficit cognitivo che si portava dietro; infatti, se – a una sua affermazione – non corrispondeva pieno consenso da parte dei suoi uditori, ne seguiva subito un’altra, di segno opposto.

    Se Gino prevedeva, ad esempio, tempo sereno, bastava che qualcuno esprimesse scetticismo o indicasse piccole e lontane nubi all’orizzonte, per fargli correggere subito il tiro:

    -Macché bello e bello, oggi piove, ma a catinelle!-

    Di converso, se Gino esponeva un fatto o un pensiero che era già stato assodato, o dato per buono in precedenza da persone autorevoli, non accettava poi controdeduzioni da nessun altro dei suoi comuni referenti.

    Anzi, a quel punto diventava talvolta persino aggressivo nell’esporre il concetto e bisognava saperlo gestire, affinché non tracimasse.

    L’eccezione a tali regole era rappresentata da alcuni personaggi, meglio narrati nel seguito.

    Oh gente, con Gino sì, che s’esce raggianti.

    AVVENTURE E DISAVVENTURE

    1982: l’anno dei mitici mondiali in terra di Spagna. Maggio stava finendo e con esso anche il campionato di calcio, foriero di cattive notizie per Gino e il clan dei milanisti lagunari.

    Il Milan lottava per non retrocedere e quando qualcuno introdusse a Gino l’altro dei pallini che gli stavano più a cuore (le donne), si sentì rispondere in mesto modo:

    -Ora bisogna pensà a che il Milan si salvi, poi alla vergatura (ndr: l’atto amoroso) ci si penserà dopo.-

    ***

    La bella stagione era agli inizi e, per evitare, come negli anni passati, che si arrivasse alla fine senza aver rimorchiato fauna locale o di passaggio, gli amici chiedevano a turno a Gino di preparare subito una strategia efficace.

    Cominciava uno, invocando:

    -Oh Gino, te che sei esperto, che n’hai passate tante di stagioni balneari in laguna, insegnaci anche a noi l’arte del cascamorto.-

    Poi ne usciva un altro e strizzava l’occhiolino:

    -Già, perché dovete sape’ che Gino sembra ‘un raccatti niente, ma lui, birbo come ‘na volpe, le combina di soqquatto, alla zitta e ‘un ti dice nulla, ‘sto mascalzone, piglia tutto per sé e agli amici lascia le mosche.-

    Al che, Gino inorgoglito dalla lusinga appena ricevuta, tracimò in una strategia degna di un grande condottiero d’altri tempi:

    -Bisognerebbe fa ‘na squadra di uomini e una di donne - affermò - e poi portalle in Feniglia: dopo bisognerebbe mangià tante di quelle belle salsiccette coi piperoni che m’hanno dato quando so’ stato giù in Sicilia, a Tamormina (sic).

    Poi ci vorrebbe - rinforzò col braccino teso - una bella direttrice che dicesse a tutti: te vai con quella, te vai con quell’altro e via e via.

    E quando scappano?-

    ***

    I personaggi importanti a giro per le vie del centro di Orbetello, le attrici in costume nelle spiagge della Laguna e le serate in discoteca a Cala Galera, erano (e sono) tutti avvenimenti ghiotti, da riportare sui noti rotocalchi civettuoli, che tutti noi, nessuno escluso, abbiamo letto (non ci provate nemmeno a dire il contrario), fosse pure una sola volta, dal barbiere.

    In un Paese in cui il pettegolezzo è considerato sport nazionale, cosa c’è di meglio per un giornalista di girare per i bar del centro storico a chiedere lumi sugli ultimi eventi mondani?

    Si affogano nel ghiaccio due bottiglie di Vernaccia di San Gimignano, gli si tira il collo, e si offre da bere ai vari spifferatori locali; poi si ritorna a Roma, con gli appunti caldi-caldi e il gioco è bell’e fatto.

    Visto, si stampi.

    Fortuna volle che alcuni giorni prima dell’arrivo del giornalista in laguna, Gino e un contraddittore di pari livello si fossero beccati in fatto di donne, rivendicando ognuno la fama di vero e unico conquistatore.

    Il contraddittore di Gino lo sbeffeggiava perché qualcuno lo aveva convinto a ungersi le pudenda e le parti vicine al costume da bagno col succo di tamarindo, ottenendo come unico risultato un pugno di mosche.

    Ma non in senso figurato: proprio mosche, sciò, via, via! Uno dei testimoni oculari della scenetta confidò, non proprio pari-pari, al giornalista ciò che questi avrebbe poi riportato, la settimana dopo, sul rotocalco.

    Ed eccoci alla resa dei conti. Col giornale in mano, Gino riconvocò tutti in piazza, al Bar Centrale, chiedendo uno che sappia lègge bene e a voce alta, per consegnare al mondo intero la novella.

    Assicuratosi la voce che dava fiato all’altoparlante la domenica allo stadio, Gino si mise in piedi davanti al gruppo di persone e puntava ogni tanto l’indice verso il suo contraddittore, intento a scuotere la testa, tanto

    era scettico sul proclama imminente.

    -Allora, popolo- fece l’annunciatore, schiarendosi la voce - un momento di silenzio. Il settimanale riporta che: -negli ultimi tempi è stato visto aggirarsi nella spiaggia della Feniglia il Conte Gunther Sachs Von Opel (ndr: seduttore, fotografo, ex marito di Brigitte Bardot) con al seguito la nuova fiamma, sconosciuta al grande pubblico. Tra le altre personalità, si sta muovendo bene anche il famoso seduttore locale, Gino detto Taralla.-

    Le successive parole non furono udite da nessuno, tale e tanto fu il boato che sconvolse l’uditorio, culminato a seguire dall’immancabile gesto dell’ombrello offerto da Gino al bilioso rivale.

    ***

    Nel mezzo della stagione estiva, sulla spiaggia della Feniglia, dove il nostro eroe si recava spesso alla ricerca di improbabili – purtroppo per lui – avventure amorose, si era creato un gruppetto di persone, intorno ad una coppia di tedeschi, tali Elsa e Dieter, alla ricerca del loro figlioletto, appena smarrito.

    I bagnanti avevano proceduto da subito a una ricerca sia in mare, col gommone, sia nella pineta fronte spiaggia.

    Come al solito, non mancavano i commenti del popolino, molti dei quali a sproposito, tipo:

    -Ci sono persone perverse in giro, mica l’avranno rapito? oppure:-Non sarà annegato?- e altro ancora:

    -Metti caso che, con questi motoscafi vicini alla riva …-Taralla, vedendo questa povera madre singhiozzante in riva alla spiaggia, che non riceveva risposte da nessuno e continuava a piangere a dirotto, provò a promuovere un moto consolatorio:

    -Elsa, ‘l tu’ figliolo è bell’e annegato, un motoscafo, un’elicata...qui.- e mimava col braccino corto l’elica che recide la parte tra capo e collo. Come a dire che non c’era più niente da fare e bisognava mettersi l’animo in pace. Alla notizia ricevuta, di sicuro con una dose di assertività tale da superare anche l’ostacolo della lingua, la povera Elsa venne meno, proprio nel momento in cui fu ritrovato il bimbo, allontanatosi poche centinaia di metri più in là.

    Il marito, un perticone di quasi due metri, era entrato anch’egli in confusione, non rendendosi conto se la moglie era svenuta per gioia o per tensione e quindi si dava da fare per rianimarla. All’atto del rinvenimento, la donna, vedendosi davanti naso e baffoni ferali di Taralla, riferì a Dieter la notizia che le era stata data, rivelatasi poi priva di fondamento.

    Metamorfosi umane: corde del collo come quelle d’un bue, occhi fuori dalle orbite, guance viola, nocche delle mani bianchissime, condite col grido spettral-gutturale:

    -Ich werde dich töten.-

    Signori, avete appena conosciuto Dieter.

    E qui le cose sono due: o i presenti sapevano come si dice t’uccido in tedesco o il linguaggio non verbale è più efficace della parola, visto che cinque persone riuscirono, a stento, a fare da cordone sanitario fra Lohengrin-Dieter e Gino. Con quest’ultimo che nell’allontanarsi continuava, imperterrito a fare gesti ripetuti col dito indice nel capo, come a dire: -Ma che è, strullo?- E col braccino agitato: -Ma che vuole questo?-

    ***

    I giocatori del Milan Calcio, nelle estati dei favolosi anni ottanta, erano spesso ospiti di un loro tifoso, in una villa vicina alla spiaggia della Giannella.

    Va bene il mare, il sole, la pesca in barca, con annesse grigliate-di-spigole-e-orate-salate-e-pepate, ma…

    Ma?

    Ci vuole il sale nelle cose, anche se nella giusta misura. I pisani e i fiorentini lo sanno bene: da quando si fecero guerra, hanno fatto diventare sciocco il pane in tutta la Toscana. Per i giocatori del Milan, invece, il sale di certe serate estive era costituito dal buonumore che solo il nostro Gino poteva apportare.

    Dicevo del buonumore? Mica sempre.

    Gino, infatti, era un soggetto da gestire con cautela, per evitare che debordasse, la facesse, cioè, fuori dal vaso, come si dice in modo etrusco.

    Un argine personale in materia era costituito dalla presenza del suo-più-che-di-certo-miglior-amico Angiolo, uomo-ombra pronto a intervenire, alla bisogna.

    Una sera Angiolo non poté accompagnare Gino in villa e, vuoi il caldo, vuoi il tasso alcolico, o la goliardia di qualcuno, scoppiò il putiferio. Con una serie di gavettoni tosti, veicolati ad arte e in grossa parte su Taralla.

    Non doveva averla presa bene, Gino, no… Avevano voglia i gioielli dell’arte pedatoria meneghina a ripetergli:

    -Dai, non è niente, vai di sopra, asciugati i capelli, mettiti una maglietta pulita, come abbiamo fatto quando abbiamo vinto lo scudetto, il mese scorso.-

    La voglia di rivalsa di Gino si placò (in parte) solo dopo mezz’ora. Quando, poco prima di congedarsi, rovesciò dal primo piano della villa dieci litri d’acqua sopra i propri beniamini.

    Insieme al secchio, di metallo.

    ***

    Il calcio. Già. Il calcio con Gino c’entrava sempre.

    Nella stagione storica, ove si disputarono i tornei dei bar lagunari, anche Gino era in forza (diciamo così) a una delle squadre partecipanti.

    A giudicare dall’entusiasmo che trasudava dagli spalti, Gino deve essere stato, se non la punta di diamante dell’attacco, quantomeno il beniamino indiscusso del pubblico locale. Invocato a gran voce da tutti perché scendesse in campo, specie quando la partita aveva ormai un esito scontato.

    Sono state consegnate alla memoria alcune gesta di Gino, quali il gol sbagliato a porta vuota dentro l’area piccola, il gol in rovesciata, impossibile anche per il centravanti della nazionale, oppure il gesto dell’ombrello a ripetizione alla panchina avversaria, dopo il gol.

    Nondimeno, si consumavano altre tarallate dentro gli spogliatoi, quando la squadra si stava preparando, prima di entrare in campo.

    Vedendo un compagno di squadra – ex giocatore del Milan – che si stava facendo un massaggio con l’olio canforato, Gino rimase colpito dalla spiegazione ricevuta, in merito a questo rito:

    -Siccome ho una struttura muscolare complessa, devo massaggiarmi bene, per evitare possibili strappi.-

    E qui scattò la tagliola.

    Taralla fu convinto, ad arte, che la faccenda riguardava pure lui, e doveva quindi ungersi bene, se voleva migliorare le scarse prestazioni offerte in campo.

    -Gino, c’hai le gambe molli più del raveggiolo.- gli urlava l’allenatore.

    E Gino cedette, alfine, alla prassi preparatoria, consistente nella spalmatura in varie parti del corpo di misteriose pozioni, approntate all’uopo da sedicenti massaggiatori o fisioterapisti.

    Fu così che il mitico Gino fece l’ingresso in campo, da titolare, tenuto a debita distanza dal resto della squadra, data la miscela di odori stomachevoli provenienti dall’olio canforato, dato nei capelli e dal composto uovo-limone-maionese, sparso nelle gambe.

    -Gino, allora, ti sei convinto che fa bene ungersi?-

    -Eh, so’ convinto, so’ convinto, sì.-

    -Ma a che fa bene, poi, a che fa bene ‘sta roba?-

    - Eh, fa bene, fa bene, rassoda l’ossa.-

    ***

    Come ogni anno, l’amico Angiolo consigliava a Gino di farsi le analisi, per vedere se andava tutto bene o c’era da fare qualche curetta anticipata.

    -Sai Gino, quando si superano gli anta bisogna star attenti al cuore, alla

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