La musica salvifica
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Info su questo ebook
*Sono citati stralci delle canzoni: “Ninni” e “Dentro gli occhi” di Roberto Vecchioni, “Ricordi quei giorni”, “Venezia” e “Gli amici” di Francesco Guccini, “La giostra” e “L’acrobata” di Angelo Branduardi, “Se ti tagliassero a pezzetti” di Fabrizio De Andrè; “Spugna” di Edoardo Bennato; “La sedia di Lillà” di Alberto Fortis, “Il parco della luna” di Lucio Dalla e “Gli anni” degli 883.
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Anteprima del libro
La musica salvifica - Giacomo Lucchesi
Giacomo Lucchesi
La musica salvifica
Le foto sono opera dell'impegno e dell’ingegno di Fulvio Chiari.
Un sentito grazie
alla lettrice Beta
Nicoletta Mastroleo
UUID: 9848e0c0-661f-11e7-af6e-49fbd00dc2aa
Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write
http://write.streetlib.com
Ho sempre avuto la consapevolezza che in me esistono altre persone. Ora che tu sarai il mio lettore, sappi che ciò vale anche per te [...]. Durante l’infanzia non ti eri ancora formato, non avevi un aspetto ben definito; tu eri plastico, anima nel flusso, coscienza ed identità in via di formazione. Proprio così, prima formazione e poi oblio. Caro lettore, tu hai dimenticato molto di tutto ciò ma, leggendo queste righe, ti ricorderai vagamente di una serie di avvenimenti accaduti, quando i tuoi occhi di bambino scrutavano epoche e luoghi diversi. Se oggi tutto questo ti appare come un sogno e se erano sogni fatti a quel tempo, dove si originava la loro sostanza?...
da Il Vagabondo delle stelle
di Jack London
LA
MUSICA
SALVIFICA
(1976 - 1981)
A mio fratello
(con registratore Castelli
)
PREMESSA
"La musica aiuta
a trasformare il dolore
in racconto"
Mi sono alzato presto con in testa la convinzione che avrei scritto la parola fine in fondo a questo libro. Dopo una veloce rilettura ed una correzione qua e là, i giochi potevano dirsi chiusi.
Il solito ottimista! Mi sono bloccato sulla prima pagina...
Ho rimesso a posto l’inizio di questa premessa per una decina di volte e ad ogni passaggio c’era qualcosa che non tornava. Mi sono chiesto a ripetizione: Chi me lo ha fatto fare?
.
Una prefazione non è obbligatoria. Un preambolo buttato giù da ultimo e per forza a chi serve?
La domanda è retorica. E’ utile a me stesso.
Mi è necessario per capire meglio su quali pensieri ho direzionato i miei sforzi in questi mesi.
E’ stato un bel viaggio ma, a dir poco, tortuoso.
Sono partito con una intenzione, a metà strada ho cambiato idea ed infine sono arrivato dove non avrei mai immaginato.
Il desiderio iniziale era quello di accostare la poesia ai testi della canzone italiana d’autore. Invece ho messo nero su bianco alcune esperienze fatte in gioventù.
Due cose molto diverse fra loro. Eppure un punto d’incontro l’ho trovato ugualmente.
Infatti, per ricordarmi episodi avvenuti più di quarant’anni or sono è stato necessario ascoltare molta della musica in voga nel periodo trattato. Grazie a questo esercizio
, certe mie esperienze credute dimenticate, sono riaffiorate alla memoria, portate a galla dai suoni di tastiere e chitarre elettriche.
Ne è venuto fuori una autobiografia strana dove il primattore non sono io, sono le canzoni. Ad essere ancora più preciso il vero protagonista è il potere che la musica ha avuto su di me in un momento particolare della mia vita; esattamente prima, durante ed immediatamente dopo ad un doppio intervento chirurgico che mi ha tenuto chiuso in un ospedale per quasi un anno. La letteratura cataloga opere come questa fra i cosiddetti romanzi di formazione
.
La premessa poteva chiudersi qua e la mattinata non sarebbe andata sprecata.
Invece vado verso l’impianto stereo e lo accendo. Cerco in rete la canzone Un bel mattino
di Claudio Lolli. Dal telefonino, attraverso magiche onde, i suoni escono amplificati dai diffusori. Mi metto ad ascoltare in silenzio:
"...Stropicceremo
gli occhi assonnati
e con sollievo,
ci accorgeremo
che le sofferenze,
legate ai giorni,
legate alle ore,
sono svanite..."
Ciò che non svanisce mai è la facoltà evocativa delle parole cantate. Quelle ...sofferenze legate ai giorni...
mi riportano molto indietro, al tempo in cui il male non mi volle troppo bene.
Ogni volta rimango stupefatto; è sufficiente una canzone ed i ricordi saltano su come il tappo (e vetro) di una bottiglia di spumante aperta con un colpo di sciabola. Reminiscenze piacevoli, dove il dolore non riaffiora, sedato dalla forza guaritrice della musica.
Intanto la canzone di Lolli è finita. Termina verso il nulla
. Paragona il momento della morte ad un atto di liberazione. Sembra un testo tetro ma io sorrido. A me fa rilassare.
Anzi, prima mi carica, poi mi acquieta.
Innesca una sorta di rituale magico che tiene lontana la paura di morire. Attraverso quelle parole capisco l’importanza della vita e la meraviglia di esserci ancora. Impossibile fare a meno di sorridere. Vorrei sentirmi più spesso così pacificato, così beato. Sono momenti in cui non avverto ansia nell’affrontare i cosiddetti imprevisti, gli insospettabili tranelli scrupolosamente disseminati lungo l’arco dell’esistenza.
La musica mi rilassa e la calma mi aiuta ad affrontare meglio il domani. Ma la tranquillità, da sola, non basta. Ci vuole consapevolezza, quella cognizione di me che, di solito, acquisisco tramite l’esperienza.
L’esperienza dipende, a sua volta, da tutta una serie di fattori interni ed esterni. Non conta solo quanto ho appreso tramite lo studio o mi è rimasto attaccato addosso dagli accadimenti vissuti in prima persona.
Un contributo importante è spesso arrivato dai suggerimenti degli altri, specialmente da chi ha superato le proprie avversità senza perdersi d’animo. Un notevole apporto mi è inoltre giunto da tutto ciò che ha saputo dar voce ad una emozione, toccando corde molto vicine al mio modo di sentire. Parlo di arte, di poesia e, ovviamente, di canzoni.
E’ il momento di ascoltarne un’altra.
Cerco Quale Allegria
di Lucio Dalla e la sento da cima a fondo. Mi colpisce soprattutto in un punto:
"...con allegria fare finta che in fondo
In tutto il mondo c’è gente
Con gli stessi tuoi problemi
Per poi fondare un circolo serale
Per pazzi strassolati e un poco scemi
Facendo finta che la gara sia
Arrivare in salute al gran finale..."
Ogni volta che ci rimugino giungo alla medesima conclusione: al gran finale voglio arrivarci felice. La salute mentale prima di quella fisica.
Ma questo è un ragionamento che ho fatto mio un briciolo più avanti rispetto a quando si sono svolti i fatti descritti nel libro. Riflettere sui testi della canzoni è un’attività che ho iniziato dopo. Più tardi rispetto agli anni delle contestazioni ed in ritardo persino nei confronti di quelli del disimpegno.
Essere fuori tempo rispetto alla realtà del momento è diventata, da un certo punto in poi, una mia cifra stilistica.
Prima ero occupato da altro. Prima ero impegnato a capire cosa mi stava accadendo intorno. Prima tentavo di comprendere quanto andava cambiando dentro di me.
Nei capitoli che seguono affronto, appunto, questo prima
, sebbene afferrare il senso del male, specialmente quando giunge senza preavviso, sia operazione tutt’altro che facile. Subire gli effetti ostili di una malattia senza una causa apparente è destabilizzante.
Il dolore irrazionale è più difficile da affrontare.
Non offre appigli, non dà punti di riferimento. Un tumore non ha giustificazioni. Avrei preferito poter dare la colpa del malanno che mi portavo appresso a qualcuno o qualcosa.
E invece no. Il vento non soffiava dalla mia parte.
L’unica cosa che mi si chiese di fare fu di pazientare
. Io pazientai. Nel frattempo la musica mi fornì un’ottima opportunità per distrarre il tempo. In seguito ho approfittato della sua forza guaritrice, ho sfruttato il suo potere evocativo ed adoperato la sua capacità di indurre alla meditazione.
La musica mi è servita per tutto questo. Non mi sembra poco. Niente di nuovo, per carità. L’influsso positivo dei suoni sulla psiche umana è un fenomeno studiato da tempo. Per controprova scrivo musica salvifica
sopra un motore di ricerca e da internet vien fuori diversa roba. Mi colpisce soprattutto un riferimento ad Oliver Sacks, il famoso neurologo britannico, quello di Risvegli
, tanto per intendersi. Nel suo libro Musicofilia
si trova scritto questo:
...la musica che ci viene incontro e suona dentro di noi anche indipendentemente dalla nostra volontà, la musica che a volte irresistibilmente ci infetta, è l'unica realtà che talora sopravvive in soggetti che hanno perso completamente la memoria: in quell’agonia senza fine, capacità e memoria musicali rimangono intatte e permettono al paziente di essere ancora presente al mondo...
Sia chiaro, io non ho mai perso completamente la memoria, non ho sofferto così tanto da poter essere proclamato santo e non arrivo a toccare le stelle quando, di fronte a tanta immensità, mi sento levitare.
La mia storia è molto più piccola, non eclatante ma non per questo meno esemplare:
"... è una storia da dimenticare
è una storia da non raccontare
è una storia un po’ complicata
è una storia sbagliata... "
Per carità, non è il caso di scomodare Fabrizio De’ Andre e Massimo Bubola e men che meno Pier Paolo Pasolini, in ricordo del quale il brano Una storia sbagliata
è stato scritto. Però mi è venuto in mente questo che fu l’ultimo 45 giri di Faber. Magari in vinile ha ancora un certo valore commerciale.
Io non ce l’ho.
I dischi ho cominciato a comperarli un po’ dopo, un po’ più tardi. Oggi ascolto questa canzone grazie alla rete e tanto mi basta.
Mi sento soddisfatto.
Mi è sufficiente sentire quel verso una storia un po’ complicata
per ritornare al 1980, con la certezza che in quell’anno iniziò il mio minuscolo calvario. Nell’estate successiva era già tutto superato. Mentre il popolo vacanziero si convinceva di doverla chiamare Donatella (parlo della Rettore), era già tutto finito.
Eliminato il gonfiore dell’osso, anomalo per un sedicenne, e stabile quello delle gonadi, fenomeno assai più normale per un ragazzo di quell’età.
In mezzo a tante palle
non ci sono stati fatti eclatanti o problemi insolubili. La mia epopea minima
la posso raccontare senza indurre in abusato pietismo o dover far richiamo ad atti esagerati d’eroismo.
Da parte mia non ho meriti, ho subito passivamente una situazione negativa ed ho atteso l’esito che (fortuna?) si è rivelato positivo. In compenso ho appreso il potere quasi taumaturgico della musica, le cui qualità sono decisamente superiori rispetto a quanto riportato in queste poche pagine. La musica è utile per scuotere sentimenti sopiti, per favorire l’apprendimento di concetti complessi e, ultimo ma non meno importante, per abbandonarsi alla semplicità dell’esistenza.
Dopotutto vivere non è così complicato. Molto dipende dalle aspettative. Se nello stare al mondo, sopravviene il dubbio reale di poter morire, il modo di guardare la propria vita, cambia radicalmente. Cambia il registro, il tono, la profondità. Cambia la musica dentro.
Così è accaduto a me.
Dopo lo scampato pericolo, per comporre la melodia della mia esistenza sono bastate poche note, alcune sempre diverse, altre rimaste invariate nel tempo. Proprio così, persino una realtà minuscola, come quella esplorata dal sottoscritto, merita la sua colonna sonora.
Un leit motiv (o più di uno) non si nega a nessuno. Il mio è questo:
"...Mi piace che mi grandini sul viso
la fitta sassaiola dell'ingiuria
mi agguanto solo per sentirmi vivo
al guscio della mia capigliatura..."
Ho un bel cesto di capelli, questo è sicuro. Anche Michele Salvemini, alias Caparezza, (adesso) ce l’ha. Nel riproporre questi versi tratti da Confessioni di un Malandrino
di Angelo Branduardi, il rapper pugliese sarà sicuramente venuto a conoscenza della poesia Confessioni di un teppista
, scritta dal poeta russo Sergej Aleksandrovič Esenin, da cui Branduardi prese spunto. Io, al solito, l’ho saputo dopo. L’ho scoperto ad un’età che non rientra nel periodo narrato in quest’opera.
Adesso, mentre stendo questo prologo, posso permettermi il lusso di ascoltare il brano originale, quello composto dal menestrello di Cuggiono, nel 1975. Anno un tantinello troppo lontano per azzardare l’ipotesi che, all’epoca, possedessi una benché minima percezione di me. Però, visto che la musica è un pilastro che sostiene il mio passato, su quello mi sono appoggiato. Così, per sorreggere l’intero racconto, ho abusato di frammenti di canzoni italiane pubblicate fra il 1976 ed il 1981 (e non solo). Alcuni testi sono esplicitati, altri sono invece nascosti, quando non traviati. Mi è sempre piaciuto fare dei centoni
, cambiando i versi originali ma, almeno a questo giro, mi sono limitato. Ho fatto il bravo ed ho storpiato solo qualche pezzo, per farlo meglio aderire al contesto.
In fondo al romanzo ho comunque inserito una apposita sessione che riassume i titoli delle canzoni ivi presenti con tanto di interprete (quando non di autore) ed anno di pubblicazione.
Ora sento di non avere nient’altro da aggiungere. Oltretutto, da presto che era, si è fatto tardi.
Può sembrare una esagerazione ma la revisione di questa premessa mi ha tenuto impegnato l’intera giornata. La parola Fine
è rimandata. Fra una cosa ed un’altra è venuto buio già da un pezzo tanto che, per continuare a lavorare, ho acceso una luce di cortesia.
Spengerla adesso, senza l’ascolto di una qualsiasi delle Canzoni di notte
di Francesco Guccini, sarebbe un torto verso me stesso che non mi sento in grado di sostenere. Quindi opto per la numero 2:
"...e un’ altra volta è notte e suono,
non so nemmeno io per che motivo,
forse perché son vivo
e voglio in questo modo dire sono
o forse perché è un modo pure questo
per non andare a letto
o forse perché ancora c’è da bere
e mi riempio il bicchiere..."
Incredibile, basta un piccolo cambiamento nel verso iniziale (scrivo
invece di suono
) per vedere ironicamente riassunta quella che è la principale motivazione che mi ha spinto a scarabocchiare le pagine seguenti.
Volevo (ri)mettere a fuoco un pezzo di me.
Tirar fuori uno stralcio d’io racchiuso fra musica e parole. Sparar via un frammento di vita mia a colpi di canzoni, per potergli dare un ultimo, rapidissimo addio.
Beh, ora ho detto veramente tutto e posso andare a letto con l’animo in pace. Non ho motivi per prolungarmi oltre.
Anche questo brano è terminato e poi... la bottiglia è vuota.
QUANDO SARO’ GRANDE?
All’inizio fu un gran dolore. Un gran vecchio dolore. Un dolore di una trentacinquina di anni fa.
Adesso, di quel periodo tribolato, rimane solo un’impressione. Quel che più mi resta è la percezione del tedio provocato dal lungo tempo speso nell’attesa che la sofferenza se ne andasse via.
Ad un dolore, sorto senza plausibile spiegazione, un ragazzo non può che opporre la resistenza della giovane età. Così per me. Per questo sopportavo abbastanza bene le angherie del male. Molto più faticoso fu aspettarne la fine.
Ancora oggi, soprattutto quando a darmi assillo è solo un piccolo fastidio, non vedo l’ora che vada a farsi benedire
nel più breve tempo possibile. Desidero così tanto che si levi di culo in un attimo
che farei volentieri a cambio con una fitta lancinante ma istantanea. Una stilettata tanto potente quanto fugace. Un breve, intenso strazio, poi basta.
Al posto di un raffreddore che mi sta addosso per giorni, impedendo di respirare bene e con il naso che gocciola in modo inopportuno, preferirei un bel colpo fra capo e collo. Una botta clamorosa che mi stenda e mi faccia rialzare solamente dopo averne smaltiti i sintomi.
Nel letto d’ospedale il dolore arrivò a più riprese ma fu quasi sempre di breve durata. Qualche flebile gridolino di lamento rivelava l’istante in cui un disturbo mi diventava insopportabile. Ogni tanto, davanti a qualche persona cara, ci scappava pure un pianto. In particolari frangenti, la presenza di amici o parenti abbassava le mie difese al punto tale che le lacrime scendevano a sfare
.
Aveva ragione Francesco Di Giacomo a cantare:
"...non mostrarti agli altri
Quando sei ferito
O sarai colpito a morte..."
Spesso però le visite dei conoscenti rappresentavano un momento di svago, un bel toccasana. Il dolore si attenua in compagnia,