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Oggi è nevicato a Roma
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E-book205 pagine2 ore

Oggi è nevicato a Roma

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Info su questo ebook

Giulio è un brillante ed affermato commercialista, con alle spalle un matrimonio a dir poco burrascoso, seguito da un altrettanto difficile divorzio, dalle cui nefaste conseguenze ha cercato di mettersi in salvo, finendo col cacciarsi in una sorta di trappola da cui ora stenta a tirarsi fuori. Sembra quasi esservi rassegnato, finché non incontra Martina, una bellissima ragazza molto più giovane di lui. Si innamorano. Con lei Giulio scopre l’amore vero, la passione, la complicità. Un’intesa perfetta cui non vuole assolutamente rinunciare, e per questo è pronto a fare qualsiasi cosa, anche a mentire, nascondendo una scomoda verità. Ogni giorno dunque, sarà costretto ad arrampicarsi sugli specchi pur di non perdere la donna che ama. Tutto ciò lo porterà ad esplorare se stesso, riscoprendo le sue emozioni più profonde, insieme alla solitudine e alla speranza.
LinguaItaliano
Data di uscita27 giu 2018
ISBN9788828343967
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    Anteprima del libro

    Oggi è nevicato a Roma - Evy Giovannini

    Questo romanzo è opera di fantasia.

    Qualunque analogia con fatti e persone

    reali è puramente casuale.

    EVY GIOVANNINI

    OGGI E’ NEVICATO A ROMA

    «Non ho bisogno di tempo per sapere chi sei.

    Conoscersi è luce improvvisa».                                                             

    Pedro Solinas 

    PROLOGO

    Sta nevicando.

    Dalla finestra del mio studio vedo la neve scendere copiosa.

    Scende silenziosa e morbida sui rami spogli degli alberi, sul giardino delle suore mie dirimpettaie e sul viale, dove ha già formato una spessa coltre di ghiaccio. Nessuna automobile in transito.

    Sui marciapiedi imbiancati, nemmeno l’ombra di un passante.

    Tutto è immobile, silenzioso. Il tempo sospeso.

    Non sembra proprio di essere a Roma, dove una nevicata così, credo non ci sia mai stata. Almeno che io ricordi.

    Uno spettacolo insolito, surreale, che ha molto di fiabesco e che, mio malgrado, risveglia in me ricordi lontani.

    Magicamente, tutto ciò che mi circonda, a poco a poco svanisce, e mi viene incontro l’immagine di una piccola baita affondata nella neve, nascosta fra i monti.

    Non vorrei cedere al ricordo, ma ormai ci sono dentro.

    UNO

    È il 9 di settembre del 1988, verso le tre del pomeriggio.

    Esco di casa diretto come sempre in ufficio, la testa in mille pensieri e distratto come al solito, mi accorgo solo all’ultimo momento del semaforo rosso. Freno, ma troppo tardi, tamponando così la macchina davanti.

    Fortunatamente non si tratta di un colpo forte, ma sufficiente per causare danni a tutte e due le macchine.

      Subito dopo l’urto, parcheggio lateralmente su un piccolo spiazzo sterrato. La stessa cosa fa l’altro automobilista. Esito un attimo prima di affrontare la situazione, sentendomi a disagio, in quanto responsabile dell’accaduto. Nel frattempo lei scende dalla sua macchina e mi cerca con lo sguardo. È splendida, giovanissima, dimostra di avere venticinque, ventisette anni al massimo. Mentre verifico le sue condizioni di salute, non posso fare a meno di ammirarla.

    Ha lunghi capelli biondi, due occhi verdi immensi, le labbra sottili, ma ben delineate, e una pelle luminosa, magnificamente abbronzata.

    È visibilmente spaventata. Appare così fragile da suscitare in me una grande tenerezza. Mi scuso per l’accaduto. «Sono cose che non dovrebbero mai accadere- colpa mia- giacché il viatico sono stato io».  Ma dove sono andato a ripescarlo questo termine così astruso? Mi chiedo, trovandomi immediatamente ridicolo, come può sentirsi un uomo ormai avviato verso la mezza età che cerchi di far colpo su una bella ragazza, senza pensare che potrebbe essere sua figlia. Un perfetto imbecille, lo ammetto.

    Dopo essermi accertato sul suo stato di salute, le chiedo la cortesia se sia possibile non chiamare in causa l’assicurazione, ma di trovare un accordo fra di noi, suggerendole di farsi fare un preventivo di spesa per il danno subito, che avrei poi pensato a risarcirle. Le consegno un mio biglietto da visita e ci salutiamo con l’intesa che mi telefonerà.

      Risalito in macchina, riprendo la strada dell’ufficio perché ho un appuntamento con un cliente. .Di solito cerco sempre di arrivare puntuale, ma il contrattempo stradale, mi ha alquanto distratto dai miei pensieri di lavoro.

    Mi sento stranamente emozionato, con il battito del cuore leggermente accelerato. Me ne chiedo il motivo. La ragazza in questione è senz’altro molto bella, ma pur sempre una ragazzina, poco più grande delle mie figlie, quindi, non può essere assolutamente lei la causa della mia emozione, quanto piuttosto il fatto di aver causato un incidente per la mia distrazione.

    Ad ogni modo mi dispiace non averle chiesto nulla, né il numero di telefono, né come si chiami. Il biglietto che le ho lasciato, riporta il telefono e l’indirizzo del mio studio di commercialista, non mi rimane che aspettare che telefoni, e questo pensiero mi mette dentro una certa esuberanza che mi tiene su di giri fino a sera, finché non rientro a casa.                             

    Il mattino dopo, appena sveglio, il mio primo pensiero corre a lei.

    Ancora una volta mi rimprovero per non aver guardato neanche il numero di targa. A malapena ricordo il tipo di macchina. Non possiedo dunque, nessun elemento per poterla rintracciare, nel caso voglia farlo. Mi consola il pensiero che sia nel suo interesse chiamarmi, se vuole riparare l’automobile ed essere risarcita. Si tratta di aspettare. Ma quanto?

    Sono impaziente di rivederla. Un pensiero molesto mi attraversa la mente proprio in quel momento, spegnendo di colpo tutto il mio entusiasmo.

    Del resto poi, come posso pensare a una ragazza tanto giovane?

    Non del tutto rassegnato, mi affretto a prepararmi per uscire di casa.

    In mattinata devo andare in banca e alla camera di commercio, poi dovrei pranzare con un cliente. Ancora non c’è la comodità del cellulare, sicché, quando non vado in studio, per sapere chi mi abbia cercato, o se ci siano delle urgenze, sono d’accordo con Cecilia, la mia segretaria, che verso l’ora di pranzo le telefono per essere informato di ogni cosa.

    Quella mattina, nonostante gli appuntamenti e le tante chiacchiere di lavoro, sono quasi ossessionato dal pensiero della bella biondina del tamponamento. Non faccio che chiedermi se abbia telefonato oppure no. Finché a mezzogiorno e mezza, telefono a Cecilia che mi mette al corrente di tutte le telefonate ricevute. Hanno chiamato alcuni clienti, un collega commercialista e un amico avvocato. Mi hanno cercato anche le mie figlie, Maria Grazia e Stella, ma nessuno che reclami un risarcimento per aver subito un tamponamento.

    È così per tutto il giorno e per tutta la settimana.

    «Strano» mi dico, «quanto tempo ci vuole per farsi fare un preventivo?». Intanto io mi affretto a portare la mia macchina dal carrozziere che, tra l’altro, fra le due, è quella più danneggiata. Si tratta di un duetto dell’Alfa Romeo e come tutte le macchine sportive, ha il cofano basso che nell’urto è andato ad infilarsi sotto il paraurti dell’altra, accartocciandosi completamente. Il carrozziere mi assicura che la macchina sarà pronta nel giro di una settimana, nel frattempo prendo in prestito l’automobile di Maria Grazia, la primogenita. Gliel’ho appena regalata, giusto per il suo compleanno. Ha compiuto vent’anni. 

    Finalmente dopo dieci giorni arriva la tanto attesa telefonata. Verso le undici di giovedì mattina, la mia segretaria mi dice che c’è in linea una signorina che chiede di me. «Dottore, dico che non c’è?».

    Cecilia ha il compito, fra le altre cose, di filtrare le telefonate. È bravissima, infatti, nel riconoscere al volo la voce di chi mi cerca e nel capire se sia il caso di passarmi la comunicazione, o se sia meglio rispondere che non ci sono.  Per la mia ex moglie non ci sono mai e non sono neanche rintracciabile. Per questo Cecilia è insostituibile.

    Così quella mattina, sentendo al telefono una voce sconosciuta, Cecilia tentenna circa la risposta da dare, ma io, in uno slancio di voce esagerato, quasi le urlo di passarmela subito.

    Un attimo dopo, sento all’orecchio una voce gentile che mi dice:

    «Buongiorno, sono Martina, quella del tamponamento, si ricorda di me?»

    «Certo che mi ricordo di lei, anzi, pensavo che mi avrebbe chiamato prima!»

    «Ha ragione, ma non ho avuto tempo di portare la macchina dal carrozziere, comunque ora ho il preventivo, se lo vuole vedere…»

    «No, assolutamente. Mi dica a quanto ammonta la spesa».

    «Sono 250 mila lire».

    «Bene» dico «preparo l’assegno, dove vogliamo incontrarci domani? Preferirei darglielo di persona, anziché inviarlo per posta».

    Mi dà appuntamento vicino al suo ufficio all’Eur, un quartiere elegante nella zona sud-ovest di Roma, il mio quartiere preferito in assoluto. Di preciso l’appuntamento è in Viale America, di fronte al bar La Conca d’oro, alle undici del giorno dopo.

    Richiudo il telefono con il cuore che mi batte forte. Mi viene da ridere pensando a come la vecchiaia si diverta a fare brutti scherzi. Quella telefonata mi cambia completamente l’umore. Mi viene da fischiettare, intono perfino My way di Frank Sinatra, facendo rimanere a bocca aperta Cecilia che, proprio in quel momento, entra per darmi il fascicolo di un cliente.

    Finalmente so il suo nome: Martina. Non avrebbe potuto avere un nome più appropriato, anzi, la comprende tutta. Così carina, dolce e tanto fragile, come mi è apparsa il primo istante che l’ho vista.

    Non vedo l’ora che arrivi il momento in cui di nuovo la incontrerò.

    Sono talmente euforico che sento l’esigenza di fare qualcosa, di distrarmi, di riempire quelle ore che mi separano da lei in qualche modo, altrimenti esplodo, mi dico.

    Di solito la sera, ho sempre qualche impegno, una cena di lavoro, oppure sono insieme a Maria Grazia e Stella. È difficile che torni presto a casa, quella sera invece, non si profila all’orizzonte nessun impegno, ma io non ho nessuna voglia di avvilirmi a casa. Telefono a Stella, la piccola che ha diciotto anni, per invitarla a cena. Sono sicuro che non mi dirà di no.

    È sempre contenta di stare con me e questo mi riempie d’orgoglio.  Mi diverto a sentirla parlare dei ragazzi che le fanno il filo e di come lei se la spassa a prenderli in giro. Per il momento non sembra voler prendere sul serio l’amore, al contrario di Maria Grazia che, a vent’anni, ha già il suo fidanzatino fisso da due anni, con cui pensa di sposarsi presto, avendo entrambi già un’occupazione.

    Quella sera Stella ed io, andiamo a cena al ristorante cinese in piazza San Cosimato a Trastevere, dove andiamo di solito. Il proprietario, ovviamente cinese, è cliente del mio studio.

    Durante la cena, Stella mi ragguaglia circa il suo ultimo boy friend, come scherzosamente le piace dire.  Finito di cenare, ce ne andiamo in giro per il quartiere. La serata è mite e profuma di fiori. L’autunno, secondo il calendario, è appena arrivato, ma l’estate sembra non voler finire mai, come del resto accade sempre a Roma. E per le viuzze di Trastevere, cuore della romanità antica e moderna, c’è tanta bella gioventù a ridere e scherzare, insieme a tanti turisti. I negozi aperti fino a tardi, e la musica che dai piano bar si diffonde nell’aria. È certamente il luogo adatto per distrarmi, per non pensare troppo all’appuntamento con Martina.

    Verso l’una del mattino, accompagno Stella a casa. Prima di rientrare alla mia, faccio un lungo giro con la macchina rincasando alle due. Mi spoglio nel soggiorno e, in punta di piedi, facendo meno rumore possibile, mi infilo nel letto.  Dopo neanche quattro ore di sonno, sono già in piedi. L’orologio segna appena le sei. Mi preparo con cura, anche se di fretta, e altrettanto di fretta esco. Raggiungo il mio studio in via Faleria, nel quartiere San Giovanni, distante da casa mia tredici chilometri. Di mattina presto, non essendoci traffico, impiego circa venti minuti per arrivare. 

    Mi piace andare presto in ufficio. Ogni mattina, mentre richiudo la porta dello studio alle mie spalle mi sembra, in quell’attimo, di chiudere fuori il mondo. È una sensazione che mi fa sentire forte e al sicuro, una sensazione di onnipotenza, peccato che duri solo un momento.

    Per ora, la mia unica collaboratrice è Cecilia. Lei arriva alle nove e io ho tutto il tempo di godermi il mio spazio, mentre mi organizzo la giornata. Ho l’abitudine, appena arrivo, di aprire le finestre per rinnovare l’aria, dopodiché vado al bar che sta alla fine della strada, ad angolo con via Appia, una zona molto commerciale, piena di negozi e di traffico.  Mentre faccio colazione, scambio qualche battuta col proprietario del bar e con qualche cliente mattiniero come me. Dò un’occhiata al giornale, e poi torno in ufficio. Mi ritengo fortunato ad avere lo studio in quella strada appartata, breve e non tanto larga, costeggiata da palazzi vecchi in stile barocchetto, che nonostante l’aspetto fatiscente, conservano sempre il loro fascino. Oltre al bar, c’è un fruttivendolo che come mi vede, mi saluta con un grande gesto della mano, mentre sistema la frutta nelle cassette. Poco più avanti c’è un negozio di alimentari, il cui proprietario è un amico premuroso.  Fin da quando ho aperto lo studio, parecchi anni fa, nei periodi di maggior lavoro, è lui che ci prepara i panini, portandoceli di persona insieme al caffè, quando Cecilia ed io siamo costretti a rimanere in ufficio, mangiando in fretta per poi riprendere di corsa il lavoro.

    C’è nella via, un’atmosfera di calda famigliarità. 

    Anche quella mattina dunque, arrivo presto in ufficio.                                             

    Martina la vedrò alle undici. 

    Che cosa mi aspetto, soprattutto che cosa voglio da quest’incontro, non lo so proprio. Per non pensarci troppo, dopo aver fatto colazione e dopo la breve passeggiata, rientro in ufficio cercando di immergermi nel lavoro, finché arrivano le dieci.

    Da San Giovanni, per arrivare all’Eur dove Martina mi ha dato appuntamento, non ci vuole molto, soprattutto a quell’ora, ma decido ugualmente di avviarmi. Non si sa mai, magari qualche contrattempo lungo la strada…  Nel frattempo Cecilia è arrivata in ufficio. La informo che rientrerò nel pomeriggio.

    L’automobile l’ho ritirata giusto in tempo dal carrozziere.

    Arrivo in Viale America con mezz’ora di anticipo. Parcheggio in seconda fila davanti al bar e resto in attesa. Sono emozionato.

    Alle undici in punto la vedo arrivare insieme ad una sua amica.

    È ancora più bella di come me la ricordavo. Elegantissima, in un tailleur di lino bianco, i capelli biondi raccolti in una lunga treccia che le accarezza la guancia, ricadendole di lato sulla spalla.  Mi sorride, sembra contenta di vedermi, o forse sono solo io che ci spero. Ha un sorriso dolcissimo, luminoso, e tutto in lei sa di freschezza. Le chiedo di prendere un caffè insieme, estendendo naturalmente l’invito anche alla sua amica, ma mi risponde che devono rientrare presto in ufficio. «Magari un’altra volta» mi dice con timidezza, temendo che io mi offenda per il suo rifiuto, suscitandomi di nuovo una grande tenerezza.

      Le consegno l’assegno come convenuto e ci salutiamo.

    DUE

    Finalmente l’avevo rivista, appagando quel mio desiderio così forte di rincontrarla per una seconda ed ultima volta. Pur essendo consapevole della sua giovane età, mi sarebbe piaciuto molto poter approfondire la nostra conoscenza, ma sapevo che non era il caso, considerando la mia situazione personale.

    Ero separato da mia moglie da poco più di tre anni e, da circa un anno, convivevo con Clara. Una convivenza apparentemente normale, ma dai risvolti complicati, anche se li ritenevo risolvibili. Ad ogni modo sapevo che sarebbe stato meglio se mi fossi tolto dalla mente Martina, eppure non ci riuscivo, soprattutto dopo averla rivista. 

    Mi era comunque impossibile rintracciarla. Non sapevo nulla di lei,

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