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Regressione, oltre la vita
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Regressione, oltre la vita
E-book491 pagine5 ore

Regressione, oltre la vita

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Info su questo ebook

Marco Forti è un brillante cinquantenne appassionato di sport estremi, musica e storia degli anni ‘40 che conduce una vita felice. A causa di un singolare incidente si trova improvvisamente coinvolto in un’incredibile storia. Regressione in ciò che era, la guerra, la morte, il riscatto. Tutto quello che ha realizzato fino a quel momento è messo in discussione da una consapevolezza derivante da una rivelazione. Il mondo materialista che crolla, la nuova visione della vita, un importante obiettivo da raggiungere. Un’avventura spirituale, un inno al pacifismo, qualcosa su cui riflettere.
LinguaItaliano
Data di uscita9 lug 2018
ISBN9788828348863
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    Anteprima del libro

    Regressione, oltre la vita - Alessandro Risso

    circa.

    Un giorno come tanti.

    Il cielo è grigio e piovoso.

    I tergicristalli si muovono monotoni a intervalli regolari per rimuovere le gocce cadute sul parabrezza. Li osservo assorto nei miei pensieri. Questo clima, il rientro in ufficio e la coda in tangenziale, annullano gli effetti benefici di due giornate di svago all’aria aperta sotto un caldo sole.

    Tutte le mattine stessa storia: tempo perso in auto, un pedaggio virtuale da pagare per andare al lavoro.

    L’autoradio riproduce il CD di Glenn Miller con il quale riesco a sollevarmi l’animo e lo spirito, dimenticare per un istante quanto di noioso ed inutile sto facendo in questo momento.

    Ascolto le note di Moonlight Serenade, immagino di essere su una calda ed assolata spiaggia delle Hawaii intorno agli inizi degli anni ‘40, steso al sole ad ammirare una ragazza bionda che, con una collana di fiori rosa intorno al collo, si diverte sorridente a ballare di fronte a me, ondeggiando sinuosamente il suo incantevole corpo curvilineo. Alle sue spalle un magnifico mare azzurro riflette la luce del sole. Al termine della sensuale danza si avvicina, mi abbraccia affettuosamente e, dopo avermi baciato, dice di amarmi. Mi sento pieno di gioia, un’emozione incontenibile.

    Mi accade spesso e ogni volta mi domando: perché?

    Perché quel sogno ad occhi aperti e… lei chi è?

    Forse è un fenomeno di suggestione scaturito dalla visione di un film che non ricordo o qualche racconto che ho letto anni fa, caduto nell’oblio della mia memoria.

    E poi… perché Glenn Miller?

    Anche a questa domanda non so dare una risposta.

    La sua musica la sento dentro, mi risuona nel cervello, la percepisco mia… non so spiegarmelo ma so solo che mi piace e la trovo irresistibile… magnetica.

    Irene dice che dovrei farmi vedere da qualcuno, qualcuno molto bravo. Lo dice scherzando, ovviamente, ma lo dice anche perché mi pare un po’ gelosa della ragazza bionda. Lei pensa che sia una mia ex, una vecchia fiamma della quale non voglio fare parola, forse per non svelare particolari nascosti della mia vita che potrebbero creare imbarazzi tra di noi.

    Nulla di tutto ciò.

    Ci siamo conosciuti in tenera età e ci siamo sempre frequentati.

    Eravamo compagni e amici alle elementari e poi fidanzatini alle scuole medie, fidanzati alle superiori e coniugi subito dopo l’università. In pratica non ho avuto il tempo di avere altre frequentazioni a sua insaputa. Abbiamo discusso svariate volte sull’argomento per poi prenderci in giro a vicenda tra tante risate.

    A lei non piace la musica di Glenn Miller, la trova antiquata. Dice che ha a che fare con un periodo storico non molto bello e poco interessante.

    Questione di gusti personali.

    La coda si muove, lentamente, a passo d’uomo.

    Seguo con rassegnazione l’auto che mi precede per alcuni metri, forse una ventina, per poi premere sul pedale del freno, arrestare nuovamente il veicolo e… riprendere l’attesa. Questo gesto monotono si ripete tante volte fino a superare l’ostacolo che riduce la carreggiata da tre a una corsia: un maledetto cantiere.

    Non ci vedo mai operai impegnati a lavorare, eseguire una qualsiasi attività che giustifichi il nostro sacrificio giornaliero. Spero abbia uno scopo, magari permetterci in futuro di arrivare cinque minuti prima oppure rendere in qualche modo più piacevole la percorribilità di questo tratto di tangenziale. Invece mi pare solo un espediente di qualche perverso funzionario per fare un torto alle persone, per godere di un suo effimero potere nel decidere di mettere in atto un qualcosa che dimostri la sua capacità di influire sulla vita della gente, in una piccola parte della loro giornata.

    Oggi è peggio del solito.

    Il maltempo, anche se non eccessivo, sta contribuendo ad allungare i tempi di percorrenza. Non posso fare altro che adeguarmi alla situazione.

    Per ingannare l’attesa mi volto a guardare i miei compagni di viaggio, ognuno nella propria auto, chi solo, chi insieme a qualcun’altro utile a condividere questo tempo sprecato della nostra vita. Ciascuno è impegnato a fare le cose più disparate.

    Quelli in compagnia ovviamente se la raccontano, mentre noi in solitaria inganniamo il tempo immersi nei nostri pensieri, facendo qualcosa o guardandoci intorno. Oggi ci accomuna l’umore non esaltante che il cielo plumbeo e la pioggia sottile rendono cupo.

    Fortunatamente, ad ogni partenza e fermata della colonna di auto, spesso i personaggi cambiano e capita di vedere qualcuno un po’ più interessante al quale rivolgere le mie attenzioni e i miei pensieri. Solitamente osservo l’aspetto, i gesti, cosa sta facendo… tanto per immaginare chi sia, come possa essere la sua vita e dove potrebbe andare.

    Alla mia sinistra si è affiancata un’auto sportiva di colore blu elettrico con a bordo una bellissima ragazza. Mi volto a guardarla senza attirare la sua attenzione. Avrà all’incirca trenta, massimo trentacinque anni. Si sta dipingendo le labbra con un rossetto brillante che risalta incredibilmente sul pallore del suo viso. È sicuramente una ragazza che vuole apparire e lo dimostra la giacca che indossa: in pelle rossa con inserti colorati giallo-arancioni e una fascia tempestata di brillantini sulle spalle. Lo smalto sulle unghie è rosso acceso. Le dita sottili delle mani brillano per la presenza di anelli scintillanti di pietre preziose e al polso mi pare di intravvedere un piccolo orologio di metallo giallo, direi d’oro.

    Chi sei?

    Dove vai?

    Potresti essere la figlia di un riccone, anche se… a pensarci meglio nulla mi vieta di immaginare che potresti esserne la moglie in viaggio per raggiungere una boutique del centro.

    Sollevo gli occhi al cielo, oltre il parabrezza.

    E pensare che oggi doveva essere una bella giornata di sole come ieri. Le previsioni del tempo le avranno fatte con i tarocchi!

    Mi volto a guardare alla mia destra dove noto la presenza di un pulmino di suore. Su queste non saprei fare alcuna considerazione se non che… potrebbero essere in viaggio per qualche motivazione che ha sicuramente a che fare con la religione. Banale, ma non mi viene altro da pensare.

    La suora alla guida nota che la sto osservando… mi sorride e… mi fa un cenno di saluto.

    Mi sento un po’ imbarazzato, le rispondo nello stesso modo.

    Di solito cerco di evitare di incrociare gli sguardi con coloro che sto studiando, ma stavolta non ho avuto i riflessi pronti.

    Probabilmente l’inconsueta presenza delle suore mi ha fatto abbassare la soglia di attenzione… poco male, non è successo nulla di grave. Anzi, a volte trovo piacevole intrattenere un brevissimo rapporto con qualcuno, anche solo per lanciare un sorriso ed un saluto. Dovrò valutare meglio questo aspetto della situazione.

    Certo… è preferibile salutare una bella ragazza che un’anziana suora, ma umanamente ci sta anche questo.

    Finalmente sono nella corsia che costeggia il cantiere: l’unica percorribile. Ovviamente… nessuno lavora. Non un operaio con la pala in mano, non uno impegnato in qualunque attività che di solito si svolge in un cantiere stradale. Forse è troppo presto, inizieranno a lavorare più tardi. Se le imprese lavorassero anche di notte la situazione sarebbe differente.

    Mah, meglio lasciare perdere! Comunque, al di là di tutto, anche oggi ho superato questa maledizione e imbocco finalmente lo svincolo di uscita.

    Dopo l’espiazione di questa pena, la strada è più o meno libera fino ad arrivare al parcheggio dell’azienda.

    Si potrebbe evitare tutto ciò se ci spostassimo ad abitare in centro ma Irene non vuole: preferisce stare in periferia. Certo, per lei è più semplice, poiché il nuovissimo ospedale dove lavora è a un paio di chilometri da casa e raggiungerlo è molto comodo a qualsiasi ora del giorno e della notte. Per questo non la biasimo, trovo giusto permetterle di vivere e lavorare nel miglior modo possibile, anche perché salva la vita alle persone e lo deve fare al meglio. Poi, dopo tutto, è mia moglie e come tale devo fare tutto quanto in mio potere per farla stare bene, anche rimettendoci qualcosa.

    Se lo merita… è una donna speciale.

    Tra dieci minuti sarò in ufficio.

    Dovrò parlare subito con Amanda e poi c’è la riunione con lo staff per definire la procedura con la quale eseguire il test di sintesi dell’R4. Purtroppo mi tocca, è inevitabile, il capo insiste perché si vada avanti malgrado tutti i dubbi e i problemi. Ne abbiamo già discusso… ma non basta mai.

    Sono arrivato all’ingresso dell’azienda farmaceutica dove siamo tutti impegnati nello studio e nello sviluppo di nuovi farmaci contro le più comuni patologie neuro degenerative e, nello specifico, il morbo di Alzheimer. Il nostro è un laboratorio di ricerca, non grande come quello tedesco, ma ce la caviamo bene lo stesso. Solitamente nel nostro piccolo raggiungiamo ottimi risultati e quella odierna è una grande sfida.

    Spero sia la volta buona.

    Spengo Glenn Miller.

    Devo affrontare Mario, il settantenne guardiano dell’ingresso che invece di godersi tranquillamente la pensione, se la spassa qui a controllare chi entra e chi esce. Forse non ha nulla di meglio da fare, oppure la pensione non gli basta per tirare avanti… chissà.

    «Buongiorno dottor Forti, ben arrivato!».

    «Ciao Mario, come va stamattina?».

    «Bene, malgrado l’umidità che c’è nell’aria. Sa com’è… entra nelle ossa e mi riempie di dolori!».

    «E sì, lo immagino… riguardati!».

    «Certo, Dottore, ma alla mia età ho proprio poco da riguardare».

    «La dottoressa Rossi è già arrivata?».

    «Circa dieci minuti fa».

    «Accidenti! Riesce sempre ad arrivare prima di me».

    «La dottoressa non prende la tangenziale, Dottore!».

    «E già, hai proprio ragione Mario».

    «La faccio entrare subito… ecco, arrivederci dottor Forti».

    «Ciao Mario, grazie e a più tardi».

    Si alza la sbarra della carraia e finalmente entro nel parcheggio.

    Ci sono le auto posteggiate di Amanda e di Marina… in mezzo c’è un posto libero.

    Finalmente esco dall’autovettura, non ne potevo quasi più. Questa mattina il viaggio è stato pesante, interminabile, e sono in ritardo, come solitamente accade in quest’ultimo periodo.

    Passo prima alla reception.

    «Buongiorno Carla… come va?».

    «Buon giorno dottor Forti, bene e lei?».

    «Diciamo anch’io… salgo subito… sono in ritardo, a dopo».

    «Buongiorno dottore».

    È un sollievo essere arrivato.

    A dire il vero non muoio dalla voglia di essere qui e dover affrontare una riunione con lo staff e con il capo, soprattutto in vista di quelle decisioni. È un periodo che quell’uomo ce l’ho sullo stomaco, non lo sopporto, non riesco ad accettare i suoi metodi e… la sua ottusità. Lo ritengo un mediocre che ricopre un ruolo che non gli compete. Deve avere amicizie influenti in azienda o qualche sponsorizzazione esterna, magari di natura prettamente politica: un classico. Fortunatamente l’incontro è fra tre ore e nel frattempo parlerò con Amanda della situazione generale. Immagino che lei voglia discutere anche d’altro.

    Dopo un cicalio elettronico, le porte scorrevoli dell’ascensore si aprono sul corridoio degli uffici.

    Una calda voce mi accoglie: «Marco!».

    Mi volto alla mia sinistra e la trovo ritta in piedi ad attendermi sorridente.

    «Ciao Amanda, mi stavi aspettando?».

    «Certo che ti aspettavo… stamattina sei mio!».

    «Sì, non me lo sono dimenticato».

    «Sei in ritardo, lo sai?».

    «Lo so, ne sono consapevole… faccio sempre il possibile per arrivare presto. La tangenziale mi fa saltare i buoni propositi, ogni volta».

    «Non fa nulla, stavo scherzando. Vieni, andiamo nel mio ufficio».

    Amanda Rossi è la collega più fidata.

    Da anni lavoriamo a stretto contatto, tutti i giorni in azienda e pure durante numerose trasferte all’estero. Questo rapporto negli ultimi tempi è divenuto un po’ complicato per il fatto che si è affezionata troppo, al punto di manifestare un atteggiamento eccessivamente confidenziale, non consono a un normale rapporto di lavoro. Ho idea che si sia invaghita di me, malgrado io abbia sempre fatto di tutto per evitare che ciò accadesse.

    Me ne accorgo dai suoi sguardi, gli ammiccamenti, gli imbarazzanti apprezzamenti ai quali devo rispondere senza accondiscendenza. Voglio evitare il più possibile che lei pensi di essere ricambiata in qualche modo. Oltretutto la differenza di età dovrebbe essere un impedimento al realizzarsi di tutto ciò ma a quanto pare… non lo è.

    Ha trentadue anni, sedici meno di me… potrei essere quasi suo padre… forse.

    È senza dubbio una bella ragazza, mora, alta e slanciata, con splendidi occhi verdi, simpaticissima e cordiale, un’intelligentissima biologa molecolare laureatasi in tempi record con il massimo dei voti. In azienda è la punta di diamante del settore ricerche. Lei studia i farmaci e io li progetto e realizzo, in completa sinergia e collaborazione.

    Spesso lancia i soliti discorsi extra professionali, così, per scherzo… con ilarità, con velate allusioni alla mia vita familiare, ai sentimenti che… eventualmente potrei provare per lei e… se in altre condizioni potrebbe esserci qualcosa di diverso tra noi. Rispondo sempre a tono, scherzando, anche se dentro di me c’è imbarazzo poiché percepisco che la cosa è più seria di quello che vuole fare apparire. Di conseguenza ho sempre sviato gli argomenti, per quanto possibile, dandole risposte evasive, facendo battute ironiche… cercando comunque di farle capire in tutti i modi che mia moglie è insostituibile.

    Temo che per lei questa mia convinzione non sia molto semplice da accettare e non riesca a rassegnarsi all’idea.

    Mi accorgo che prova sofferenza, mi dispiace, ma io assolutamente non posso darle speranze anche perché, fermo restando la certezza che mia moglie è la donna a cui tengo di più, non vorrei assolutamente e in nessun caso mischiare vita privata e lavoro.

    Nel tempo ho respinto le sue molteplici velate avances, le proposte di insolite cene di lavoro.

    Addirittura ho provato a farla incontrare con Paolo, un brillante collega che ha più o meno la sua età, che sapevo essere molto interessato, ma la cosa non è andata a buon fine.

    La seguo a un passo dietro di lei e non posso fare a meno di notare la sua camminata sensuale su quei tacchi a spillo. L’aderente tailleur rosso e la gonna corta che evidenziano un fisico scolpito, da cardiopalma. E questo profumo intenso che rilascia nell’aria… i capelli mossi che le scendono sulle spalle fino a metà schiena… accidenti! I miei pensieri corrono a Irene, la mia dolce e bellissima moglie. Probabilmente lo faccio per sopprimere certe idee strane che cercano di entrare nella mia mente. Io sono un uomo… forte anche di carattere. So resistere alle tentazioni, anche quando si tratta di persone come Amanda, ma devo ammettere che… a volte è faticoso.

    «Eccoci arrivati, accomodati pure Marco», dice sedendosi alla sua scrivania.

    Le domando: «Senti… prima di incominciare che ne dici se ci prendiamo un caffè? Stamattina ne avrei proprio bisogno».

    «Sì, sicuro. Chiamo Anna e li faccio portare».

    Solleva la cornetta del telefono per chiedere gentilmente alla segretaria due caffè. Dice sorridente: «Arrivano subito, Marco».

    «Bene», le rispondo, mentre sto trafficando con le mani all’interno della mia valigetta alla ricerca di un documento che temo aver dimenticato.

    «Sempre la tangenziale?».

    Le lancio un’occhiata sconsolata. «Sì, tutte le mattine… è un grosso impiccio. Devo uscire mezz’ora prima, a volte non basta e nella fretta rischio di lasciare qualcosa a casa… come oggi».

    «Hai ragione, mi capita di passarci in altre ore della giornata ed è la stessa storia. Se non tolgono quel cantiere, prima o poi, qualcuno impazzisce e fa una strage».

    «Mah, spero proprio di no…».

    Bussano alla porta, compare Anna.

    «Eccomi qui! Oh, buongiorno Marco…».

    «Buongiorno Anna».

    «Vi ho portato i caffè!».

    «Grazie Anna… stamattina mi salvi la vita», le dico.

    «Accidenti! Con così poco?», replica sorridente.

    «Grazia Anna», aggiunge Amanda.

    «Di nulla… se avete bisogno…».

    Esce dall’ufficio e chiude la porta dietro di sé.

    Finisco di bere il mio caffè e poso delicatamente la tazzina sul tavolo.

    «Allora! Marco… hai passato bene questi due giorni lontano dall’ufficio?».

    «Sì, sommariamente… siamo andati a fare lanci».

    «Di nuovo paracadute?».

    «Era una bella giornata e un amico del gruppo di paracadutismo ci ha invitato a farne uno nei dintorni, in aperta campagna, e abbiamo accettato».

    «Siete proprio matti voi due! Io non riuscirei neanche a pensare di lanciarmi nel vuoto».

    «Mah guarda… è una passione, ovviamente nata da me. Non so perché ma già da giovane ho sempre avuto questo tipo di piacere culminato con l’arruolamento nei paracadutisti. Addirittura, dopo il liceo, ho spostato il primo anno di università proprio per fare il militare. Irene inizialmente la pensava esattamente come te ma poi, dopo le mie irresistibili insistenze, ha provato e ci è riuscita. Quando avevamo la tua età c’era entusiasmo, mentre ora, a quasi cinquant’anni, lo facciamo molto raramente. Penso addirittura che quello di ieri sia stato proprio l’ultimo. Irene non ne vuole più sapere. Vedi… lanciarmi da un aereo… è uno dei pochi modi che ho per sentirmi uno spirito libero! La trovo una sensazione sublime, estremamente appagante».

    «Certo che tua moglie non ti molla un attimo. Ti segue ovunque... non è una cosa bellissima?».

    «Beh, Irene come sai è una persona sportiva da sempre. È una dote che ancora oggi apprezzo in lei, oltre a tutto il resto s’intende. A parte gli argomenti di guerra, abbiamo e continuiamo ad avere gli stessi interessi culturali e sportivi, anche estremi e… è magnifico».

    «Mi pare un rapporto eccezionale, pieno di emozioni e di stranezze il vostro ma… caratteristico. E la storia della guerra? Che significa?».

    Sorrido. «Che significhi non lo so neanch’io. Mi rendo conto che ho interessi particolari, non comuni a molti tipo… ascoltare Glenn Miller appena ne ho l’occasione. Quando lo dico in giro la prima risposta che ottengo è: Glenn chi?. Fin dalla giovane età quelle musiche degli anni ‘30 e ‘40 mi hanno sempre affascinato, come tutto ciò che avvenne in quell’epoca e soprattutto la guerra, la terribile seconda guerra mondiale. Mi sono visto tutti i film di quel genere, dagli anni ‘50 ai più recenti… decine di volte. Salvate il soldato Ryan è strepitoso, un capolavoro! Adoro quel periodo storico, le musiche, i costumi, la società, la gente, le città del primo novecento americano. Mah, quando ci penso, immagino quella vita talmente reale che addirittura mi pare di sentirne degli odori: è come ci fossi realmente stato. Probabilmente aver visto tutti quei film già da bambino mi ha condizionato la mente o molto più semplicemente… le mie sono solo idee e gusti personali».

    «Scusami… sono gusti strani e Irene ha tutta la mia comprensione».

    «Sì, immagino… ma… non te le ho già raccontate queste cose?».

    «Certo, ma adoro sentirtele ripetere!».

    Rimane ad osservarmi intensamente con il suo solito sguardo disarmante. La guardo anch’io nello stesso modo.

    «Sai che sei matta?», le domando sorridente.

    «Forse sì… anzi, credo proprio di sì!», replica sconsolata.

    Il telefono squilla.

    Prende delicatamente la cornetta in mano e, con un’espressione divenuta improvvisamente triste, risponde: «Pronto?».

    Avverto in lei il conflitto.

    Non sono un ragazzino, capisco perfettamente cosa prova per me, ma non posso assolutamente darle la possibilità di pensare che tra noi ci possa essere qualcosa di più di un comune rapporto lavorativo. Sono dispiaciuto per questa situazione che si è venuta a creare, non certo per merito mio.

    La scorsa settimana, per evitare situazioni imbarazzanti, ho dovuto rifiutarle un invito a una cena di lavoro in compagnia di due colleghi del laboratorio, tra l’altro sposati.

    La osservo mentre parla con un collega di qualche ufficio. Dopo quella sua risposta gli occhi le sono divenuti lucidi e tristi. Ci siamo già trovati in questa situazione, spesso e volentieri in occasioni come questa.

    Irene è splendida, bella, intelligente, premurosa, dolce ed affettuosa… che chiedere di più? Quando mi fissa con quei meravigliosi occhioni azzurri mi mette ancora i brividi addosso, come la prima volta che ci incontrammo. Fu subito infatuazione reciproca, un innocente infantile sentimento che con il passare del tempo si è rafforzato fino a divenire un solido legame sentimentale.

    Questo è il ventesimo anno che siamo sposati.

    Abbiamo fatto tante cose insieme, cose meravigliose, tra le quali Luca e Francesca, gemelli di ventisei anni. Sì, sono nati prima del matrimonio… ne avevamo ventidue… giovani, esuberanti e inesperti. Quello che allora si rivelò un incidente di percorso oggi sono due ragazzi splendidi che ci danno grosse soddisfazioni. Si sono laureati da poco, Luca in ingegneria aerospaziale e Francesca in architettura. Purtroppo per loro un lavoro decente è ancora un miraggio. In questo sciagurato paese, pare che le migliori prospettive siano emigrare altrove, dove se sei bravo e qualificato hai tutte le opportunità a portata di mano.

    Comunque non possiamo lamentarci troppo perché, tutto sommato, ora ce la passiamo abbastanza bene: i nostri rispettivi impieghi sono molto ben retribuiti. Abbiamo scelto attività impegnative e di responsabilità, non tanto per denaro ma per avere uno scopo nella vita. Giusto per fare qualcosa che lasci il segno, che sia utile al prossimo e in qualche modo ci dia la possibilità di poter pensare che siamo, se non indispensabili, almeno utili a qualcuno o a qualcosa… anche per lasciare una traccia del nostro passaggio, oltre i figli.

    Curare e salvare delle vite in ospedale è importante e asseconda pienamente i desideri di Irene. Dal canto mio, contribuire a scoprire e produrre un farmaco capace di debellare una patologia terribile come l’Alzheimer, non la trovo una cosa da meno.

    Quindi non potrei rinunciare a tutto questo, specialmente a mia moglie per una bella ragazzina che ha l’aggravante di essere una fidata collega di lavoro.

    Irene ne è al corrente, conosce la situazione, capisce e ripone fiducia in me con la speranza che Amanda prima o poi si rassegni. Tuttavia, pur condividendo le sue aspettative, ho la consapevolezza che non sarà semplice. Sospetto che tutto derivi dal fatto che la ragazza non dedica molto del suo tempo alla sua vita privata, poiché preferisce impegnarsi totalmente nel lavoro. Sospetto pure che nella sua vita privata non abbia molte amicizie da frequentare.

    Temo che prima o poi la dovrò affrontare con decisione, per farle capire inequivocabilmente che tra noi due non ci potrà essere null’altro che lavoro.

    La telefonata sta per concludersi.

    Saluta il collega e ripone la cornetta sull’apparecchio.

    È giunto il momento di cambiare discorso.

    «Il laboratorio?», le domando subito.

    Fa una strana smorfia, forse avrebbe voluto proseguire con l’argomento privato. Mi guarda silenziosa negli occhi. Riflette.

    «Pacini… è molto preoccupato per la decisione di Falciani».

    «Lo immagino, quell’uomo ha buon senso da vendere e non va sottovalutato. Il direttore fa male a non dargli credito e considerazione».

    Annuisce. «Che facciamo? Tra due ore c’è la riunione dello staff».

    «Se tu fossi al mio posto che faresti?», le domando.

    «Io… io non saprei, sono decisioni importanti e difficili. Potrebbe essere solo una questione di metodo ma sinceramente… non vorrei essere al tuo posto».

    Rifletto un istante. «Va bene, facciamo così: voi due preparate un dettagliato ed aggiornato report sull’R4. I nuovi dati sono disponibili. Radunate tutto in un unico documento che dovrà contenere analisi tecniche ed economiche. Evidenziate i pro e soprattutto i contro. Voglio un bilancio completo di fattibilità. Con quello proverò a convincerlo, ad abbandonare il progetto per lavorare solo ed esclusivamente sull’R3».

    Mi lancia un’occhiata.

    Abbassa lo sguardo sulla scrivania.

    Apre una spessa cartellina per scorrere una pila di fogli e tabelle. Si ferma per estrarre un volumetto rilegato con la copertina rossa.

    «Ah! Ho un altro report da farti vedere, mi è arrivato dalle ricerche. Qui dentro ci sono altri particolari che dovremmo analizzare, che potrebbero esserci utili».

    «Mah, tu l’hai già letto?».

    «Gli ho dato una rapida occhiata e qualcosa di interessante da approfondire potrebbe esserci… ma credo che ci voglia almeno mezza giornata per studiarlo a fondo».

    «Purtroppo non l’abbiamo. Direi che il materiale di cui disponiamo sia sufficiente a fare un quadro aggiornato ed esaustivo per il direttore. Procedi pure così. Spero non ci sia la necessità di dover esaminare anche quello».

    «Sì, allora iniziamo subito, abbiamo poco tempo e il lavoro è impegnativo».

    «Certamente, se avete bisogno di me sono nel mio ufficio a prepararmi il discorso per la riunione».

    Esco e mi dirigo nel luogo in cui mi attende un’ora di elucubrazioni per cercare di individuare la traccia di un convincente ragionamento da fare al capo.

    Sono sei anni che dirigo il reparto ricerche e da allora stiamo lavorando a questo nuovo principio attivo denominato in codice R4 che, da quanto abbiamo potuto verificare, è un componente fondamentale di una avanzata terapia per curare la terribile malattia. Purtroppo durante gli studi e la sperimentazione sono state evidenziate numerose criticità nell’impiego e nella sintesi della molecola. È molto instabile e reattiva nei processi chimici che coinvolgono l’organismo umano. Senza stabilizzazione con la seconda componente, l’équipe medica ha riscontrato in fase di sperimentazione problemi ed enormi effetti collaterali sul cervello delle cavie, quasi tutti fatali. Il problema sta nel processo di sintesi, complesso, delicato e non privo di rischi. Per questo motivo molti di noi ritengono sia necessario abbandonare il progetto e riprendere lo sviluppo del principio precedente, l’R3, prematuramente abbandonato quando i test davano ottimi riscontri.

    Dovrò parlare con il dottor Falciani, il nuovo direttore della struttura, per capire fino a che punto vorrà arrivare con lo sviluppo dell’R4. Da quanto mi ha confidato Amanda, i problemi sulla sintesi potrebbero essere più gravi di quanto supponiamo e la cosa mi crea maggior preoccupazione. Il processo di produzione sarebbe così pieno di insidie che potrebbe saltare tutto per aria e avvelenare qualcuno. Tuttavia la decisione finale spetterà solo a lui e non sarà semplice convincerlo. Sull’R4 sono stati investiti soldi, tempo e a quanto pare, ai piani alti, non si vuole neanche ipotizzare l’abbandono del progetto. 

    Nella sala riunioni sono seduto intorno al tavolo con Amanda, Pacini, la dottoressa Marina Poggi dirigente medico dell’azienda, i dottori Torrini e Avellino del laboratorio, la dottoressa Borghi dell’amministrazione e il dottor Boriello della logistica.

    Avvertiamo un forte rumore di passi provenire dal corridoio: sono i tacchi della dottoressa Binelli, l’assistente del direttore che ne anticipa di qualche istante l’ingresso.

    Dopo aver salutato i presenti, prende posto sulla poltrona accanto a quella del capo, non prima di aver posato sul tavolo il portatile e dei documenti. Il dottor Falciani, appena entrato, si toglie la giacca e l’appende allo schienale. Ci saluta con freddezza e si siede silenzioso di fronte a me.

    Oggi, diversamente dal solito, veste una camicia azzurra a manica lunga dal cui polsino sinistro fuoriesce un orologio in acciaio con il quadrante cromato. Sembra un oggetto esclusivo e costoso; a guardarlo meglio è un magnifico Rolex.

    Appare nervoso, assorto nei suoi pensieri. Sta guardando il display del suo portatile, probabilmente il client di posta elettronica. Ha lo sguardo teso di chi deve affrontare una battaglia.

    Per essere un uomo di sessant’anni lo trovo invecchiato male. Il suo viso è solcato da vistose rughe e la pelle ingrigita denota la sua morbosa dipendenza dal fumo di sigaretta. Si dice in giro che se ne bruci almeno due pacchetti al giorno e quell’odore inconfondibile impregna i suoi vestiti e la sua persona.

    Non sono ancora riuscito ad avere con lui un buon rapporto, per via del suo carattere schivo e talvolta indisponente che pare essere un ostacolo insormontabile per tutti quanti. Ci limitiamo ad una formale collaborazione anche se poi è lui che decide tutto.

    Ha preso il posto di una persona meravigliosa come Franco Deniro, per anni a capo della struttura, trasferitosi nella sede di Zurigo da ormai quattro mesi. Mi manca tanto quell’uomo, un grande amico. Quando ci sentiamo telefonicamente mi prende un groppo alla gola. Ora invece ho a che fare con questo individuo impossibile, verso il quale avevo inizialmente riposto stima e fiducia mentre ora, avendolo conosciuto meglio, comprendo che è stato tutto inutile.

    Lo osservo con disprezzo, ne sono dispiaciuto ma non riesco a farne a meno. A volte temo che noti questo mio atteggiamento anche se cerco di stare attento a non darlo a vedere, per non generare situazioni imbarazzanti. Tuttavia mi rendo conto che non sono il solo.

    Mi volto ad osservare i colleghi: sono silenti, inquieti e lo guardano con aria indispettita.

    C’è nervosismo.

    Improvvisamente solleva lo sguardo per incrociare il mio, forse si è accorto di qualcosa. Mi dà una rapida occhiata e poi lancia una sbirciata su un foglio di carta scritto a mano posto dinnanzi a lui.

    La tensione è evidente nei muscoli del suo viso che si contraggono in tic nervosi, non eccessivamente appariscenti, ma facilmente individuabili con un po’ di attenzione.

    Si schiarisce la gola e con voce bassa e roca esordisce dicendo: «Ho letto tutti i rapporti che mi avete fatto pervenire in questi giorni. Alcuni sono vaghi e non dicono nulla di diverso da quanto già so. Capisco le vostre perplessità e le preoccupazioni, tuttavia non ho elementi validi per cambiare la mia decisione».

    Ascoltare quell’affermazione mi causa un sussulto.

    Lancio una nuova occhiata ai colleghi e noto in loro un’espressione di sconcerto, di disapprovazione.

    Prendo l’iniziativa attesa da tutti.

    «Dottor Falciani, capisco le sue ragioni, ma credo che se esaminasse l’ultimo rapporto potrebbe avere gli elementi necessari per rivedere la sua decisione».

    Mentre afferro il fascicolo dalle mani di Amanda per consegnarlo nelle sue, con arroganza mi prende in contropiede dicendo: «Senta dottor Forti, sono settimane che discutiamo di questa cosa! Le ho già detto che devo ottemperare a precise disposizioni che

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