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L'amore non si spiega
L'amore non si spiega
L'amore non si spiega
E-book253 pagine3 ore

L'amore non si spiega

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Info su questo ebook

Ci sono notti che non puoi dimenticare

Sara Davies ha ventotto anni e vive a New York. Danza da quando era una bambina e sogna di diventare una ballerina professionista. Ma un incidente l’ha costretta a mettere in pausa le sue ambizioni e a smettere di ballare. E così, in attesa di una riabilitazione completa, lavora nella reception di un lussuoso albergo. Quando, pur di non perdere un taxi, accetta di dividerlo con un completo estraneo, non sa ancora che la sua vita sta per cambiare. L’affascinante sconosciuto, infatti, alloggia proprio nell’albergo in cui lavora Sara e la notte che stanno per trascorrere insieme sarà indimenticabile. Ma, una volta tornati alle loro vite, saranno in grado di lasciarsi quella passione travolgente alle spalle?

Katy Evans
è un’autrice bestseller di «New York Times», «USA Today» e «Wall Street Journal». I suoi libri sono stati tradotti in dieci lingue. Ha fatto innamorare migliaia di lettrici con le sue storie di passione e romanticismo. La Newton Compton ha pubblicato Dove finisce il cielo, Amore impossibile, Sei tu il mio infinito e L'amore non si spiega.
LinguaItaliano
Data di uscita19 dic 2019
ISBN9788822741059
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    Anteprima del libro

    L'amore non si spiega - Katy Evans

    2518

    Titolo originale: Mogul

    Copyright © 2018 by Katy Evans

    All rights reserved

    Traduzione dall’inglese di Carla De Pascale

    © 2020 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    Prima edizione ebook: febbraio 2020

    ISBN 978-88-227-4105-9

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Katy Evans

    L’amore non si spiega

    Indice

    Stanza 1103

    Dopo l’orgasmo

    Voglio il divorzio

    La coinquilina

    La telefonata che non mi aspettavo

    Il nome

    Al parco

    Le stelle

    Trovato

    Ragazze che lavorano

    Un uomo che lavora

    La signora Ford

    Prince Street

    In carne e ossa

    Il lancio

    Con cautela

    Novità

    Arredamento e riprese

    Carte

    Il giorno dell’audizione

    Finaliste

    Club

    Broadway

    Sexy maniaco del lavoro

    Playlist

    Ringraziamenti

    Stanza 1103

    Sara

    «Reception del Four Seasons, sono Sara».

    «Sara, sono l’ospite della stanza 1103».

    «Oh, sì. Come posso aiutarla, signore?»

    «Vorrei le sue mutandine appallottolate nella mia tasca, e lei distesa sul mio letto».

    Arrossisco. «Subito, signore».

    «Sara, sei riuscita a rimediare quei biglietti per Hamilton?»

    «Sì, li ho già mandati su», rispondo a Viktor, il mio collega, abbassando la testa per non fargli notare le guance arrossate. Con il viso nascosto dai capelli, mi disconnetto dalla postazione e prendo il cellulare. «Devo portare una cosa a uno degli ospiti, approfitto anche per fare una breve sosta in bagno. Torno subito», gli dico.

    Mi allontano dal bancone, agitata al pensiero di quello che sto per fare. Vado in bagno e mi nascondo in uno dei gabinetti, giro il chiavistello e sfilo le mutandine. Le appallottolo per rimpicciolirle il più possibile.

    «Maledizione!». La mia divisa non ha le tasche.

    Serro la mascella e le indosso di nuovo, esco e aspetto che l’ascensore si svuoti in modo da salire senza testimoni.

    Poco prima che le porte si chiudano entra una cliente. «Buonasera», saluta.

    «Buonasera, signora», rispondo.

    Sara, cosa stai facendo?!

    Non posso credere che sto salendo da lui. Il cuore mi batte più forte a ogni piano. Quando la donna esce dall’ascensore riesco a malapena a contenere l’eccitazione. Tremo per la scarica di adrenalina e di desiderio in attesa che le porte si richiudano, insinuo le mani sotto la gonna e sfilo di nuovo le mutandine. Le nascondo in una mano e fisso il pavimento con impazienza mentre i numeri continuano a illuminarsi l’uno dopo l’altro.

    Se devo essere sincera, è da quando l’ho incontrato che provo sensazioni diverse dal solito. Sono molto più inquieta. Ho i brividi, sento caldo e ho gli ormoni in subbuglio.

    Arrivo al piano, esco dall’ascensore e mi incammino verso la stanza 1103. Busso due volte e aspetto, guardandomi intorno con il terrore di essere colta sul fatto.

    La porta si apre e compare un uomo alto, moro e dall’aspetto dissoluto. Resto letteralmente senza fiato.

    È la stessa sensazione che si prova sulle montagne russe poco prima di precipitare a tutta velocità: per quanto tu abbia bisogno di riprendere fiato, non ci riesci. È impossibile. Puoi soltanto urlare, se dovessi miracolosamente ritrovare la voce. È una sensazione insolita, mi sento a disagio, ma c’è qualcosa in lui che accende tutti gli interruttori dentro di me.

    La spia che dice: non fai sesso da un pezzo.

    La spia che dice: ti piacciono gli uomini irraggiungibili, non puoi farci nulla.

    La spia che dice: i tipi in giacca e cravatta sono incredibilmente affascinanti.

    La spia che dice: quando incontri un uomo capace di farti vedere i fuochi d’artificio non ti tiri certo indietro, non ci pensi neanche a scappare via. No! Finisci sempre per accendere il fiammifero in attesa dello spettacolo pirotecnico.

    Ed eccomi qui, davanti a un ospite dell’hotel. Non so neanche come si chiama – non che me ne importi qualcosa. La stanza è stata prenotata a nome di una multinazionale californiana. Ospitiamo spesso manager di quell’azienda, ma lui, in particolare, è la prima volta che lo vedo.

    È la prima volta che accendo questo fiammifero.

    Non so perché, ma è stato tutto molto facile, al punto che non riesco a credere alla rapidità con cui ho abbandonato il bancone appena ha chiesto di me. È sorprendente quanta voglia ho di infilargli le mutandine in tasca.

    Sorrido ed entro nella stanza, sfiorandogli una spalla con la mia. Mi afferra per un polso, mi blocca e mi fa voltare. Annaspo, il fiato mi si blocca in gola per la sorpresa. Mi guarda mentre con l’altra mano accosta lentamente la porta.

    Sta bene con il completo elegante. Senza giacca è altrettanto bello, soltanto con i pantaloni e la camicia bianca. E allora? Molti uomini stanno bene con un completo.

    Eppure lui mi fa battere il cuore così forte che avverto come delle martellate contro la cassa toracica.

    Quest’uomo è una supernova. Deve essere un maniaco del lavoro. Adesso i suoi occhi da lavoratore indefesso si abbassano verso la mia carotide pulsante, solleva un braccio e mi passa la mano intorno al collo, accarezzandomi la gola con il pollice.

    «Sei già eccitata, Sara?», domanda.

    Ha un piglio arrogante, l’espressione imperscrutabile, non riesco a capire a cosa stia pensando. Ha le spalle larghe, la schiena ampia, potrebbe tenermi in braccio per un’intera giornata. Le ciglia sono più belle di quelle di una donna. No, non sono invidiosa.

    Iridi nere come l’inchiostro.

    Capelli neri.

    Tratti del viso estremamente simmetrici. È attraente da morire.

    Appare a proprio agio, viene da chiedersi se sia consapevole della sua bellezza. Dovrebbe essere cieco per non rendersene conto. Del resto, non so se gli importi.

    L’aspetto è quello del dirigente, il più sexy che esista sulla terra, e mi domando se si dedichi a qualcos’altro, oltre che al lavoro. Ha le labbra increspate, come se stesse per scoppiare a ridere, e quando sorride compare una fila di denti perfetti, di un bianco accecante.

    Appena mi avvicino mi afferra e mi sbatte contro il mobiletto dell’ingresso. Sì, deve avere altre passioni oltre al lavoro.

    Abbassa la chioma scura e mi sfiora quasi impercettibilmente le labbra con le sue. Mi formicola tutto il corpo. Schiudo le labbra trepidanti. Lo desidero. Inspira, grugnisce e apre la bocca sensuale per appoggiarla sulla mia. Ci scambiamo un bacio appassionato. Sento la sua lingua rovente. Mi tira a sé, sento i muscoli scolpiti e la sua eccitazione, calda e dura come l’acciaio.

    «Prendimi con forza», gli sussurro. Non riesco a staccarmi dalle sue labbra, gli insinuo le dita fra i capelli.

    «Lo sto facendo». Mi rivolge uno sguardo talmente carico di lussuria che ho paura di tramutarmi in cenere. «E lo farò più e più volte».

    Mi bacia ancora una volta, la sua lingua mi regala un massaggio indimenticabile che promette un lieto fine in tutto il corpo.

    Con le dita gli sfioro il cavallo dei pantaloni, non riesco a capire quanto sia grande, deve essere davvero enorme. Sentirlo così grosso, oltre alla sua evidente volontà di andare fino in fondo, mi fa bagnare ancora di più. Lo accarezzo su e giù, il mio respiro si fa affannoso, nella mia mente si proiettano fantasie bollenti. Sento il suo profumo invitante, i suoi baci, ed è fantastico.

    Lui è fantastico.

    Sara

    Il giorno prima

    Sono di nuovo a New York, dopo un ritardo allo scalo di Houston e una tempesta su Manhattan che ci ha costretti a sorvolare la città per mezz’ora. Sono esausta, fisicamente e mentalmente, ma felice di essere tornata a casa. Percorro il terminal trascinando il trolley.

    Non vedo l’ora di immergermi nella vasca da bagno e scordare questo fine settimana, in particolar modo di dimenticare che i miei genitori hanno deciso di separarsi così, all’improvviso.

    Non me lo sarei mai aspettato.

    Credevo che sarebbero invecchiati l’uno accanto all’altra fino alla fine, che fossero felici. Pensavo rientrassero fra quelle rarissime coppie innamorate come il primo giorno anche dopo tanti anni.

    A quanto pare, papà non è più innamorato di mamma. Tra me e lei non so chi stia peggio.

    Sono talmente assorta nei miei pensieri che non mi rendo conto di aver oltrepassato la lunga fila per i taxi. Il tempo d’attesa sarà di un’ora almeno. «La fila inizia laggiù», mi informa un signore attempato, chiaramente infastidito.

    Misuro la lunghezza della coda con lo sguardo e mi sento precipitare nello sconforto. Tiro fuori il cellulare e apro l’app di Uber. L’ultima volta che ho provato a usarla in aeroporto è stato un inferno. Il tizio che avevo chiamato non mi ha trovata, io non ho trovato lui ma ho dovuto pagare ugualmente. A nessuno piace pagare per un servizio di cui non si è usufruito, motivo per cui sono piuttosto titubante.

    Mi guardo intorno e vedo un uomo con un completo dal taglio elegante che sta salendo su un taxi. Mi avvicino domandandomi se sia opportuno chiedergli dove è diretto e, nel caso, se posso viaggiare con lui.

    È un tipo molto affascinante, consapevole di esserlo, ma cerco comunque di non farmi intimorire. Sono troppo stanca per badare a certe cose.

    Mentre il tassista carica i bagagli, l’uomo si volta verso di me. Spalanca gli occhi come per domandarmi cosa voglio. Apro la bocca e chiedo, tutto d’un fiato: «Io vado a Nolita. Per caso sta andando anche lei da quelle parti?».

    Indietreggia di un passo e si acciglia. Pare infastidito da questa inaspettata seccatura, ma mi fa comunque cenno di salire.

    Il suo atteggiamento mi irrita, tipica reazione newyorkese all’ostilità altrui. Passo il bagaglio al tassista, apparentemente disinvolta, e salgo in fretta. Il tizio si siede accanto a me e chiude la portiera mentre do l’indirizzo all’autista.

    Inizio ad abbassare la guardia appena ci immettiamo nel traffico e ripenso al bagno caldo che mi aspetta. Mi volto per ringraziare il mio inaspettato compagno di corsa, ma ha già il cellulare all’orecchio. Ha un tono di voce profondo, e ribatte al suo interlocutore con una serie di bruschi monosillabi.

    Dà l’impressione di essere uno stronzo. Sembra il tipo che pretende parecchio e non è abituato a sentirsi dire di no.

    Nel corso degli anni in cui ho studiato all’accademia di danza della New York University, parecchi dei ballerini con cui ho danzato si aspettavano che andassi a letto con loro. Ho imparato a declinare certi inviti. Avevo perfino ideato un gesto quando diventavano troppo insistenti: braccio proteso in avanti, mano con il palmo rivolto verso di loro e capo girato di lato. La chiamavo la mossa del no, per carità. Era sufficiente reagire in quel modo, senza bisogno di aggiungere una parola, e il rifiuto risultava sottile ed efficace.

    Dovrò sfruttarlo anche con lui?

    Bella domanda, Sara. Devo dire, però, che c’è qualcosa in quest’uomo che mi fa pensare a un altro genere di movimento con la mano. Appena guardo il suo corpo scolpito vengo percorsa da un brivido.

    «Sì, e manda una copia anche all’hotel tramite corriere», aggiunge in tono aspro.

    Mi sistemo sul sedile, il suo sguardo cade sulla mia minigonna.

    Alzo le sopracciglia in un’espressione incredula che lui non nota perché troppo concentrato sulle mie gambe. Quando risponde di nuovo al suo interlocutore ho come la sensazione che, in realtà, si stia rivolgendo a me. «Ti sto solo chiedendo di aprirle, tirarla fuori e darmela il più presto possibile».

    Mi agito.

    Solleva il capo e accenna un sorriso.

    Cerco di non fargli notare il mio respiro affannoso appena il suo sguardo si abbassa di nuovo sulle mie gambe. Posso giurare di aver letto un lampo di desiderio nei suoi occhi, anche se la sua espressione appare imperscrutabile.

    «Grazie, e fammi chiamare da Roberts, non appena si farà viva».

    Interrompe bruscamente la chiamata e rimette il cellulare in tasca.

    Mi guarda senza dire nulla.

    Da quello che ho sentito deduco che sia in viaggio di lavoro. Sotto il completo elegante percepisco qualcosa di talmente primordiale che mi chiedo cosa proverei a infilare le unghie nelle asole per sbottonare la camicia bianca, sfilargli la cravatta, afferrarlo per il colletto, scompigliargli i capelli e sentire le sue bellissime mani sopra di me.

    Riduce gli occhi a due fessure quando mi passo la lingua sulle labbra. Distoglie lo sguardo per rivolgerlo al finestrino, sospira e si strofina il viso con una mano. Impreca sottovoce, scuote il capo e piega le labbra in un ghigno sarcastico.

    Sto iniziando a chiedermi se non ho equivocato sul gioco di sguardi, quando il suo sorriso si fa più evidente e mi dice con aria d’intesa: «Avvicinati».

    Reagisco con una risatina. «Di solito funziona questo tipo di approccio?», domando in un sussurro.

    «Non saprei. Funziona?». Mi rivolge uno sguardo distratto, le iridi scure rivelano un pizzico di malizia.

    Tira un sospiro, allenta leggermente la cravatta e appoggia la schiena contro il sedile. «Ho avuto una giornata impegnativa». Si sfila le scarpe e mi guarda, come se si aspettasse che gli facessi un massaggio o qualcosa del genere. «Davvero? Io, invece, torno da un viaggio impegnativo».

    Nonostante cerchi di trattenermi mi ritrovo a fissargli i pettorali possenti e il bel viso da ragazzo della porta accanto, corredato da un sorriso da pornodivo e dall’aria elusiva da maniaco del lavoro che lo avvolge come il completo nero dannatamente sexy.

    Un altro sospiro carico di esasperazione. «Avvicinati», ripete.

    Sto per avvicinarmi, indecisa se mostrarmi accondiscendente o distaccata, quando mi squilla il cellulare. Mi domando se sia il mio coinquilino che ha finalmente sgombrato l’appartamento dalle sue cose.

    «Pronto?», rispondo.

    «Sara Davies?»

    «Sì, sono Sara».

    «Sara, sono Carly, la nuova arrivata. Ti ricordi di me? Volevo chiederti se per caso stasera puoi sostituirmi».

    «Sono appena rientrata in città e sono esausta, il mio turno è domani…».

    «Oh, ti ringrazio tanto! Mi fai un favore gigantesco», ribatte entusiasta, come se avessi accettato, quindi riaggancia.

    Uff.

    Rivolgo uno sguardo rabbioso al cellulare. Non ce la faccio a tornare subito al lavoro. E poi, che ne sarà del mio bagno caldo? Uff.

    «Sara, eh». Mi guarda mentre rimetto il cellulare nella borsetta.

    «Cos’è, non ti piace il mio nome?»

    «No, non è quello. Ne immaginavo uno più esotico». Giocherella con il cellulare, subito dopo lo rimette in tasca e aggiunge: «Voglio prenderti sul sedile posteriore di questa macchina, Sara».

    «Ma davvero? Io invece avrei voglia di prendere a pugni la tua boccaccia». Faccio un sorrisetto, ma vengo segretamente percorsa da un brivido, mi si contrae lo stomaco. Detesto l’idea che riesca a percepire il vero effetto che ha su di me, nonostante il commento acido.

    Busso al vetro per richiamare l’attenzione del tassista. «Cambio di programma. Mi lasci al Four Seasons Hotel, in centro».

    Lo sconosciuto con cui sto viaggiando cerca di trattenere un sorriso, poi allunga una mano per afferrarmi una ciocca di capelli neri e arrotolarsela al dito. Sento il cuore che accelera. Voglio che mi tocchi in maniera un po’ più audace di così.

    Continuiamo a viaggiare per diversi minuti. I minuti sembrano ore. Il tizio continua a giocare con i miei capelli. Il suo dito indice è lungo, grosso e abbronzato, con un’unghia molto corta e perfettamente curata. Non capisco perché glielo lascio fare. Forse perché so che arriveremo fra una manciata di minuti, forse perché ho voglia di fargli perdere quel piglio imperturbabile che ha addosso da quando l’ho visto.

    Scivolo sul sedile e mi avvicino. Appena i nostri bacini si toccano mi sposto su un fianco, allungo una gamba e mi metto a cavalcioni sopra di lui. Resto ferma, ci guardiamo negli occhi. Sono sorpresa dalla mia improvvisa sfacciataggine, e avverto qualcosa di molto duro che mi preme fra le gambe.

    Deglutisco, abbasso il capo e sussurro: «Può darsi che anch’io voglia essere presa sul sedile posteriore di questa macchina. Il problema è che… siamo quasi arrivati».

    Faccio ondeggiare il bacino, provocandogli un’erezione ancora più prominente. Mi afferra il sedere e mi affonda le dita nei fianchi.

    Sento il taxi che si ferma. Siamo arrivati.

    Deglutisco ancora una volta, cercando di mascherare il respiro affannoso e il desiderio che cresce in me.

    «Spero di averti migliorato la giornata almeno un po’», gli dico con un sorriso di scherno mentre mi scosto.

    Scoppia a ridere e mi guarda sottecchi mentre raccolgo le mie cose.

    «Grazie per lo strappo».

    «È stato un piacere», risponde. Scivola sul sedile, si aggiusta i pantaloni e scende.

    Accidenti. Che galantuomo.

    Si dirige verso il portabagagli e mi prende il trolley. «Non dovevi, comunque ti ringrazio», dico strappandoglielo dalle mani.

    Prende la sua valigia e quando tira fuori una banconota per pagare il tassista spalanco gli occhi. Lo guardo a bocca aperta. «Ehm, cosa stai fa…».

    «Sara, grazie a Dio!», mi interrompe Carly che ci viene incontro. «Dammi, ti aiuto io». Prende la valigia e adocchia il bastardo sexy che ha viaggiato insieme a me.

    «E lui chi è?», domanda in tono affascinato, guardando alle mie spalle mentre entriamo in hotel.

    «Nessuno. Comunque mi devi un gran favore», rispondo stizzita.

    Mentre mi sistemo dietro il bancone seguo i movimenti dell’uomo. Lo guardo registrarsi nell’area

    VIP

    . Attraversa la lobby e viene verso di me. Appena mi rendo conto che si sta avvicinando il cuore torna a battere forte.

    Si ferma davanti al bancone e si sporge. Non credevo fosse possibile, ma visto da qui è ancora più alto e affascinante.

    «Sei una scoperta interessante, sai?», domanda senza sorridere, ma chiaramente incuriosito.

    «Esisto da parecchio tempo, non mi hai scoperto tu».

    «Sì, invece. Altrimenti vuol dire che tu hai scoperto me».

    Forse ha ragione. Ho la sensazione che la mia vita sia stata alquanto noiosa finché non sono salita su quel taxi.

    «Sono stanco. Ho avuto una giornata impegnativa. Avevo pensato di uscire a bere un bicchiere di vino e a mangiare un boccone prima di andare a letto. Ti va di

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