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La streghetta e la vampira
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E-book130 pagine1 ora

La streghetta e la vampira

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Info su questo ebook

Sulla ali dell’adolescenza e di un amore nascente, una Streghetta e un giovane Carente si batteranno come eroi dei videogiochi per sconfiggere una Vampira millenaria, che mantiene la sua bellezza col sangue di bambine innocenti.
ÈLa storia inizia nel milleduecento. Gertrude è una nobildonna assillata dal desiderio di rimanere giovane. Suicidatasi per la disperazione, la sua ossessione la fa uscire dalla tomba come Dearg Due, una specie di Vampira. Ritornata al castello, per mantenere l’aspetto di diciottenne inizia a fare il bagno nel sangue di bambine rapite.
Ai giorni nostri l’adolescente Carlo riceve da un venditore di videogiochi una pergamena magica capace di liberarlo dalla sorellina Veronica che lo tormenta. Credendo sia uno scherzo, la legge ma la bambina scompare veramente. Terrorizzato chiede aiuto a un’amica, Tressa, che è un’apprendista strega.
La ragazza, che lo ama segretamente, decide di assisterlo nell’impresa. Prima di partire il nonno, un Arcistregone, le affida un talismano di protezione.
Accompagnati da Micia, il famiglio di Tressa, raggiungono il camper del venditore che è controllato da un demone al servizio di Gertrude. Ridottolo all’impotenza scovano l’artefatto che permette di trasportarsi nella dimensione in cui vive la Non-morta.
Giunti nella realtà alternativa prima risolvono l’indovinello posto da una coppia di Gargolle poi affrontano il combattimento contro un guerriero Revenant. Carlo, grazie alle tecniche di scherma imparate dai videogiochi e agli incantesimi della compagna, lo sconfigge.
Arrivati al castello, raggiungono la stanza in cui li aspetta lo scontro finale e la scoperta della forza del sentimento reciproco che li unisce.
LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2018
ISBN9788829528714
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    Anteprima del libro

    La streghetta e la vampira - Marco Bertoli

    Cover

    Otto secoli fa… la morte.

    Il temporale ha scatenato la sua rabbia sulla valle e il castello che la domina. I fulmini zigzagano tra nuvoloni più neri del carbone o si abbattono sulle querce della foresta, incendiando fronde, frantumando rami e bruciando tronchi sino alle radici. Raffiche di vento ululano tra i merli delle mura come un branco di lupi all’assalto di un gregge senza pastore. Scrosci di grandine flagellano i camminamenti degli spalti, obbligando i guerrieri di sentinella a restare al sicuro dentro le torri. Sussultando a ogni scoppio di tuono, quanti abitano all’interno della fortezza, nobili e servitù, si augurano che la furia della tempesta passi in fretta.

    Unica a ignorare il fragore della bufera è la Signora della rocca. Seduta nella sua stanza posta all’ultimo piano del mastio, la contessa Gertrude fissa il grande specchio appeso alla parete di fronte a lei.

    Alla luce dei candelieri di bronzo che rischiarano la camera, occhi verde smeraldo esaminano ciocca dopo ciocca la chioma dell’immagine riflessa. Quando non trova nemmeno un capello grigio a macchiare il profondo color ebano, la donna lascia uscire in un sospiro di sollievo il fiato trattenuto sino ad allora.

    L’aristocratica passa poi a verificare con lo sguardo la superficie dell’ovale perfetto del viso. Tranne alcune leggere increspature ai bordi delle palpebre, nessun’altra imperfezione rovina la levigatezza della pelle. Compiaciuta per il risultato, distende le labbra in un sorriso.

    La soddisfazione ha la durata di un battito d’ali di una farfalla. Un gemito di terrore le esce dalla gola nell’osservare le rughe che si formano agli spigoli della bocca. Le sembrano vermi che spuntino e si contorcano nelle viscere di una carogna. Una mano vola d’istinto a coprirle. La Signora della rocca rimane immobile per qualche attimo, mordendosi le nocche delle dita tornite. Quindi il suo sgomento esplode in un ruggito: «Maledetta strega! Mi ha ingannata!»

    In preda alla collera si alza dal panchetto, rovesciandolo sulle tavole del pavimento, e si precipita fuori dalla stanza sbattendo la porta dietro di sé.

    Basta un’occhiata al suo viso stravolto dall’ira perché chi la incrocia lungo le scale o i corridoi chini il capo e si appiattisca contro le pareti senza dire una parola. Solo un’anziana serva osa rivolgerle un avvertimento quando la vede spalancare la porta del torrione: «Non esca, padrona: grandina a secchiate. Rischia di farsi del male.»

    «Va all’inferno!» è il ringraziamento che le ringhia contro Gertrude un istante prima di lanciarsi a sfidare la tempesta.

    Maledicendo il diluvio di chicchi di ghiaccio che la martella senza riguardo, attraversa il cortile del castello. Quando raggiunge una piccola costruzione accanto alla caserma delle guardie assomiglia a un gatto bagnato fradicio. Tremante per il freddo, batte più volte il pugno contro una porticina incassata nel muro di pietre ordinando: «Apri, dannato!»

    Uno scricchiolio di legno accompagna il fiacco schiudersi di uno spioncino protetto da una grata di ferro.

    «Cane, non mi riconosci? Sono la tua signora. Sbrigati a farmi entrare!» sbraita agli occhi da rospo che la scrutano con sospetto oltre le sbarre di metallo.

    Uno stridio di catenacci e l’uscio si apre per accoglierla. Una coppia di torce illumina il locale squadrato in cui la Contessa irrompe di prepotenza. Un tavolo, uno sgabello e un pagliericcio ne sono il misero arredamento e una botola chiusa occupa un angolo del pavimento in lastre di pietra.

    «Perdonate la mia lentezza a rispondervi, ma con questo tempaccio da orchi non credevo che avreste fatto visita alla prigioniera», la saluta in tono sottomesso un uomo dalla faccia coperta di pustole e la corporatura tozza.

    Ignorando la giustificazione, Gertrude arriccia il naso per il ribrezzo ed esclama: «Che schifo. Questo posto puzza peggio della tana di un orso in letargo.» Quindi, scuotendosi la grandine dai capelli e dall’abito, incenerisce il carceriere con lo sguardo: «Regoleremo dopo i conti con la tua pigrizia, Aldobrandino.» Indicando infine la botola comanda: «Aprila!»

    «Subito, mia signora», annuisce il custode, che poi si affretta a sbloccare i fermi del portello. Appena lo ha sollevato, prende una fiaccola e mormora: «Faccio strada, padrona.»

    «Non occorre, vado da sola!» lo blocca la Contessa, strappandogli con malagrazia la torcia di mano. «Dammi la chiave della cella e il tuo coltello.»

    Attenta a non scivolare, Gertrude scende i venticinque gradini di una ripida scala a chiocciola, fino ad arrivare in una grotta scavata nella roccia. Tre aperture ad arco sulle pareti della caverna sono l’imbocco di altrettanti corridoi. Tenendo la testa bassa per non urtare il soffitto, la Signora del castello infila quello a destra. Percorsa una decina di metri, arriva davanti a una porticina di legno rinforzata da bande di metallo. Inserita la chiave nella toppa, con quattro giri di chiave fa scattare la serratura e spalanca il battente.

    Un tanfo di sudore, sporcizia ed escrementi le stringe la gola nel momento in cui mette piede dentro l’angusta prigione. Sebbene sia abituata a quel fetore, soffoca a stento il rovesciarsi dello stomaco.

    Mentre incastra il manico della fiaccola in un sostegno a lato dell’ingresso abbaia: «Mi hai mentito, fattucchiera dei miei stivali!»

    Un mugolio è la risposta della donna anziana rannicchiata accanto al muro opposto. Una museruola di cuoio le tappa la bocca e manette di ferro le incatenano i polsi e le caviglie. Le parti del corpo scheletrico lasciate scoperte dai brandelli di veste che indossa sono straziate da cicatrici e ferite infette.

    Avvicinatasi, la Contessa afferra il mento ossuto della reclusa, costringendola a sollevare il capo. Un lampo di ribellione scintilla per un attimo in pupille rese opache dalla vecchiaia, poi la sofferenza riprende il sopravvento.

    «Avevi promesso che l’effetto del filtro magico sarebbe durato un mese. Invece le rughe sono riapparse dopo solo quindici giorni, nonostante ne abbia bevuta una doppia dose!» strepita Gertrude, scuotendo senza pietà la testa della prigioniera.

    Un borbottio incomprensibile esce dalla mordacchia.

    «Cosa farfugli, maledetta bugiarda? Non ti capisco!» replica la nobile. «Dannazione!» impreca poi, allentando le fibbie della museruola. «Parla, ma non tentare di giocarmi uno scherzo. Questo è più veloce di qualunque incantesimo ti saltasse in mente di scagliarmi contro.» La minaccia è accompagnata dallo sventolio del pugnale a un centimetro dal naso della prigioniera.

    «Ho detto che vi serve un Arcistregone in grado di concepire un sortilegio di Gioventù Perenne», spiega l’anziana con un lamento. «Quante volte dovrò ripetervelo che nelle mie vene circolano solo poche gocce del Dono? Non ne possiedo a sufficienza da lanciare fatture. Nonostante le accuse di trafficare con le arti arcane, non sono una strega vera e propria. Preparare unguenti curativi e distillare pozioni sono il massimo delle mie capacità.»

    «E anche con quelle vali ben poco!» è lo sferzante commento della Contessa.

    «Siete ingiusta», si azzarda a replicare la carcerata. «Vi avevo avvertita che l’uso ripetuto dei filtri di giovinezza avrebbe diminuito il loro effetto. Siete stata una sciocca a voler esagerare.»

    Piegandole il collo all’indietro, Gertrude sibila come una vipera: «Attenta a come parli. Non scordare che la tua miserabile vita è nelle mie mani!»

    «Per quel che vale, potete prendervela subito. Morire bruciata sul rogo in un giorno di sole non è una fine migliore dell’essere sgozzata nel buio di una cella.»

    «Se è questo il tuo desiderio, ti accontento subito», esplode di rabbia la Signora del castello. Subito dopo conficca la punta dell’arma nel petto della prigioniera e affonda la lama fino all’elsa.

    Il cuore spaccato, la vecchia ha un sussulto, quindi si accascia senza un gemito, mentre gli occhi s’illuminano di sollievo prima di spegnersi.

    Spinta dalla collera, la Contessa continua a pugnalare il cadavere sino a ricoprirsi ovunque di schizzi di sangue. Solo quando rimane priva di fiato smette d’infierire sulla vittima. Nel guardarsi le mani sgocciolanti non prova rimorso né raccapriccio per l’omicidio commesso. Semmai soddisfazione. Le sembra, infatti, che il tepore del liquido vitale sparso sulla pelle le infonda l’energia della gioventù che tanto lotta per mantenere.

    Crogiolandosi in quella sensazione di benessere, si chiede dove poter trovare un Arcistregone.

    «Maledetto vescovo! Che il Diavolo se lo prenda!» sbotta. «Non fosse stato per la crociata che ha bandito contro i figli del demonio, il reame pullulerebbe ancora di maghi e fattucchiere! Adesso, invece, i pochi scampati alla strage si nascondono come conigli nelle tane.» Il nuovo rigurgito di collera si condensa in un calcio sferrato alla morta. «Aveva ragione questa pezzente: sei una stupida, Gertrude. Hai ammazzato l’unica persona che poteva darti una briciola d’aiuto».

    Appena pronunciato quello sfogo, un brivido le zampetta tra le scapole. Le restano ancora cinque fiale della pozione e poi che succederà? La risposta le sprofonda l’anima in un mare di ghiaccio: comincerà a invecchiare! Senza possibilità di fermare il tempo.

    Costretta da una forza cui non si può opporre, posa gli occhi sul volto esangue della vittima.

    Con un singhiozzo d’orrore la Signora del castello capisce che l’obbrobrio ai suoi piedi è quanto la attende nel giro di pochi mesi! Fronte e guance rinsecchite, arate da migliaia di rughe. Ossa che affiorano da una pelle flaccida e devastata da macchie e verruche.

    L’immagine di se stessa ridotta in quelle condizioni le

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