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Hexbreaker: Lo spezzaincantesimi
Hexbreaker: Lo spezzaincantesimi
Hexbreaker: Lo spezzaincantesimi
E-book340 pagine4 ore

Hexbreaker: Lo spezzaincantesimi

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Info su questo ebook

Il poliziotto newyorkese Tom Halloran è un uomo dal passato tormentato. Se qualcuno avesse scoperto che una volta faceva parte della banda dei tunnel del famigerato O’Connel, avrebbe trascorso il resto della sua vita dietro le sbarre. Ma il suo segreto viene minacciato quando un terribile omicidio avviene mentre lui è di ronda, e sembra causato dalla stessa antica magia che ha ucciso la sua gang.
Il mutaforma gatto Cicero è determinato a indagare sulla scomparsa di un amico e sulla morte di un altro, anche se nessuno crede che i due casi siano collegati. Quando gli indizi delle sue indagini si intersecano con quelle di Tom, il bohemien Cicero riconosce all’istante il rozzo agente irlandese come il suo stregone. Anche se sono del tutto inadeguati l’uno per l’altro, Cicero non ha altra scelta che lavorare con Tom… il tutto mentre combatte la passione che gli monta dentro.
Tom sa che accettare Cicero come famiglio porterà solo allo scoprirsi e quindi al disastro. Eppure, mentre il fuoco tra loro brucia, il desiderio che prova verso l’altro rischia di superare qualsiasi obiezione razionale contro un eventuale coinvolgimento.
Ma quando le loro indagini riveleranno una cospirazione che minaccia l’intera New York, Tom dovrà compiere la scelta più difficile della sua vita: proseguire nella menzogna e cedere al volere del suo cuore, o confessare la verità e sacrificare tutto.
LinguaItaliano
Data di uscita11 mag 2022
ISBN9791220703017
Hexbreaker: Lo spezzaincantesimi
Autore

Jordan L. Hawk

Jordan L. Hawk is a trans author from North Carolina. Childhood tales of mountain ghosts and mysterious creatures gave him a life-long love of things that go bump in the night. When he isn’t writing, he brews his own beer and tries to keep the cats from destroying the house. His best-selling Whyborne & Griffin series (beginning with Widdershins) can be found in print, ebook, and audiobook.

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    Anteprima del libro

    Hexbreaker - Jordan L. Hawk

    1

    «M aledizione, dove diavolo è Isaac?» domandò Cicero. «Qui fuori mi si sta congelando il culo.»

    La torre dell’orologio in cima alla Congrega indicava che erano le undici e trenta, il che rendeva Isaac già in ritardo di un’ora. Mancava solo una settimana a Natale e l’inverno era arrivato con grande violenza: il vento scompigliava i capelli che Cicero aveva sistemato con cura e gli ghiacciava la punta del naso. Se avesse cominciato a nevicare, avrebbe abbandonato Isaac e sarebbe tornato di corsa in caserma. Non intendeva bagnarsi per colpa di un tizio a cui non importava presentarsi in orario.

    Anche se una volta, erano stati ottimi amici.

    «Non sei l’unico, gatto,» scattò Rook. Il freddo gli aveva arrossato le guance scure, e l’uomo si teneva stretto lo spesso cappotto di lana. «Ripetimi di nuovo perché siamo qua fuori.»

    «Perché Isaac non sarebbe tornato qui se non fosse stato importante,» replicò Cicero.

    «Tanto importante che è prima andato a una festa?» Gli occhi neri di Rook lampeggiarono scettici.

    «Ha detto che doveva convincere Gerald a venire con lui… e no, tesoro, non ho idea del perché,» aggiunse prima che Rook glielo chiedesse. «Era solo una breve nota.»

    L’amico alzò gli occhi al cielo. «È probabile che sia svenuto ubriaco da qualche parte.»

    Dominic mise una mano sulla spalla di Rook per calmarlo. «Perché non ti tramuti in corvo e ti siedi sul mio braccio? Ti terrò davanti a me per ripararti dal vento.»

    «No,» mugugnò l’altro, urtando la spalla di Dominic con la propria in segno di affetto. «Soffrirò con te.»

    «In realtà non puoi lamentarti così quando sei un corvo.»

    Rook emise una risata sguaiata. «Anche.»

    Cicero distolse lo sguardo dallo stregone e dal suo famiglio, sentendo una strana sensazione di amarezza. Isaac non avrebbe proposto di incontrarli in quel posto, proprio fuori dalla centrale della Polizia Magica Metropolitana, se non avesse avuto una ragione valida. Forse era proprio per quello che tardava… doveva trovare il coraggio di tornare sul luogo del suo ricordo più doloroso. Il luogo dove tutti i suoi sogni si erano spezzati.

    Il luogo dove aveva sorriso a Cicero, anni prima… la prima persona a farlo, quando lui era sgattaiolato tra le porte di ottone in cerca di rifugio. Per tutte le vibrisse se era giovane. Solo un gattino spaventato a dirla tutta, che inarcava la schiena verso chiunque si avvicinasse troppo. Isaac l’aveva fatto sentire il benvenuto. Gli aveva detto che era al sicuro e che sarebbe potuto restare lì fino a che non fosse arrivato il suo stregone.

    Be’, il suo stregone se la stava prendendo dannatamente comoda. Erano passati troppi anni ormai, e il capitano Ferguson aveva di recente smesso di fare allusioni sul fatto che Cicero era stato di pattuglia a sufficienza. Doveva ripagare il suo debito, scegliere uno stregone con cui vivere e legarsi a lui. Certo, la loro magia non sarebbe stata forte come con il suo stregone, quello che avrebbe riconosciuto d’istinto non appena incontrato. Ma la polizia voleva che diventasse un membro ufficiale al più presto.

    E dopo quello che era successo con lo stregone di Isaac…

    «Maledizione,» ringhiò Cicero, pestando i piedi per provare a scaldarli. Forse Isaac non se l’era sentita di tornare lì. Magari aveva bevuto un po’ troppo per farsi coraggio e in quel momento era a faccia in giù nell’appartamento di Gerald. Mentre lui era fermo a congelarsi le vibrisse come un cretino.

    L’orologio sopra di loro batté il quarto. Dominic sollevò gli occhi e fece una smorfia. «Cicero,» disse con cautela. «Potremmo aspettare dentro.»

    E lasciare che Isaac attraversasse quelle porte da solo? Scosse la testa. «Voi entrate, io…»

    Lo scalpiccio di zoccoli risuonò nella strada quasi deserta. Cicero si voltò speranzoso, solo per trovarsi davanti una carrozza della PMM, invece del calesse che aspettava. Con sua sorpresa, il mezzo si fermò accanto al marciapiede davanti a loro, invece di proseguire oltre fino al cortile. «Detective Kopecky?» disse il giovane mago alle redini.

    Dominic non era di servizio, ma quello non lo fermò dal trotterellare giù per le scale. «Cosa posso fare per lei, MacDougal?»

    «Ecco, ci serve un incantatore. Pensavo che non ne avremmo trovato uno fino al mattino, ma visto che lei è qui, potrebbe dare un’occhiata?» MacDougal non attese la risposta, scese dal sedile del guidatore e si avvicinò al retro del carro. «Una morte sospetta, o così pare. Il tipo stava dando una festa nel suo appartamento. I testimoni dicono che ha usato un incantesimo insieme all’assenzio, poi è impazzito e ha attaccato il compagno di stanza che lo ha spinto giù dalla finestra… di certo per autodifesa, dovreste vedere i segni dei morsi. Tutti giurano che il morto si era comportato normalmente fino a che non ha attivato la magia, quindi le sarei grato se volesse dargli un’occhiata per accertarsi che non ci sia la mano di terzi.»

    «Ma certo,» rispose Dominic. MacDougal spalancò le porte del carro, rivelando un corpo sotto un lenzuolo. Allungò la mano all’interno e prese un pezzo di carta che passò a Dominic.

    «Questo è l’incantesimo,» disse MacDougal, ma le parole parvero lontane in modo bizzarro a Cicero. Sentendosi come in un sogno, si avvicinò alle porte aperte della carrozza.

    Una festa. Un uomo morto. E Isaac era in ritardo…

    Le pulsazioni sanguigne gli rimbombavano nelle orecchie quando sollevò il telo.

    Non è Isaac… fu il suo primo pensiero, seguito dal sollievo. Ma ben presto arrivò l’orrore, perché riconobbe il viso del morto, anche sotto gli ematomi e il sangue provocati dalla caduta.

    «È Gerald,» disse con le labbra insensibili. «Gerald Whistler.»

    Gli altri uomini tacquero. Poi Rook emise un sibilo. «Presto, l’indirizzo!»

    Si sentì il frusciare di ali e Rook volò verso il cielo. Ma mentre Cicero riabbassava il lenzuolo, sapeva già in cuor suo che era troppo tardi.

    «Non è la notte giusta per essere in giro, signora Zywicki,» suggerì Tom alla donna anziana che si appoggiava in modo incerto al suo braccio. Dal cielo scendeva la neve e il vento ululava lungo la strada, facendo svolazzare i panni stesi nei vicoli, portando di continuo il fumo del carbone dai comignoli e tramutando il naso e le orecchie dell’uomo in ghiaccio. Si avvolse meglio nel suo pesante cappotto blu da poliziotto, grato per lo spessore della lana.

    Faceva abbastanza freddo da far congelare e staccare le palle a una scimmia di ottone ¹, come diceva sempre suo padre. L’altra cosa che diceva era di tenere sempre gli occhi aperti nel caso qualcuno avesse bisogno di lui e, in quel momento, c’era quella vecchietta che aveva bevuto un po’ troppo. Però, a essere precisi, aiutare le signore ubriache a tornare a casa non rientrava nei compiti del suo mestiere. Se un altro poliziotto lo avesse beccato, sarebbe finito davanti al capitano.

    Be’, non sarebbe stata la prima volta e, probabilmente, neanche l’ultima. «Cosa avrebbe fatto se ci fosse stato O’Byrne di ronda al posto mio?» domandò.

    «Lei pensa che io sia sbronza,» borbottò lei.

    «Giammai,» dichiarò Tom, anche se il fiato dell’anziana gli fece lacrimare gli occhi.

    «È colpa del freddo che aumenta i miei reumatismi,» proseguì lei. «Ho usato un incantesimo per calmarli prima di uscire, ma non è servito a niente. A niente!»

    «Lo ha comprato da un venditore ambulante?» chiese il poliziotto, mentre gli si stringeva il cuore. Metà delle volte quel tipo di magie economiche, che potevano permettersi gli abitanti delle zone popolari, non avevano visto uno stregone neanche da lontano. Era probabile che l’incantesimo non fosse altro che un bel disegnino su carta colorata.

    «Da un dottore,» mugolò la donna, agitando una mano. «All’angolo, sì. Ma conosceva mio cugino, quindi perché non fidarmi?»

    Tom si guardò sopra la spalla, felice che la porta del caseggiato in cui stava la signora Zywicki fosse vicina. Magari se l’avesse beccato la ronda di turno, avrebbe potuto dire che stava raccogliendo informazioni su un falso venditore di magie.

    Se l’avesse fatto, il capitano gli avrebbe detto che la signora Zywicki avrebbe dovuto sporgere denuncia alla Polizia Magica Metropolitana. La polizia comune non si occupava dei crimini inerenti al paranormale, anche se si trattava di finte magie. E quello era uno dei motivi per cui Tom si era sentito più sicuro unendosi a loro.

    «Eccoci qui,» disse, fermandosi davanti agli scalini che portavano al palazzo dove abitava la signora. Il vento sibilava intorno ai cornicioni di latta, producendo un suono simile a un lontano lamento di dolore. «Ce la fa a salire?»

    «Sì.» Lei lasciò il braccio dell’uomo dandogli una pacca. Aveva gli occhi appannati. «Grazie, Tom, sei un bravo ragazzo. Tua mamma dev’essere fiera di te.»

    Tom mantenne un’espressione neutra. «Lei è accanto al Signore da prima che lasciassi Dublino,» mentì. Perché non aveva mai messo piede a Dublino, e dopo tutto quello che aveva fatto la sua famiglia…

    Be’, era improbabile che il Signore li avrebbe guardati con troppa benevolenza.

    «Allora sono certa…» cominciò la signora Zywicki.

    Un grido di agonia squarciò l’aria gelida come un vetro in frantumi. La mano di Tom cercò il manganello, e si allontanò dal caseggiato con il cuore che martellava. Da dove proveniva?

    Un altro urlo, e una seconda voce si unì alla prima. Due donne che gridavano come se le loro vite fossero in pericolo.

    Le ombre della strada illuminata dalla luce dei lampioni a gas divennero minacciose all’improvviso. Tom corse sul pavimento sconnesso, calpestando pozzanghere di liquame mezzo congelato. Portò il fischietto di latta alle labbra ed emise un suono stridulo e acuto, però si trovava al centro della sua zona. Gli altri poliziotti l’avrebbero mai sentito?

    I residenti lo udirono e le finestre iniziarono ad aprirsi qui e là, mentre teste curiose si sporgevano e un uomo con un cappotto sporchissimo emerse barcollando da un vicolo, con gli occhi sgranati e spaventati. «Vada al distretto di polizia e chieda aiuto!» gli ordinò il poliziotto, superandolo di corsa.

    Ecco… le urla provenivano dall’interno del banco dei pegni di Barshtein, ora chiuso per la notte. Tom ne era certo: aveva controllato la porta durante il primo giro del vicinato, come richiesto dal suo lavoro.

    Aveva anche sentito ciò che la maggioranza non riusciva a percepire, ovvero la debole vibrazione di un incantesimo attivo sotto le sue dita. Barshtein ne usava uno antifurto sulle porte, per tenere lontani i ladri. Tom, però, aveva fatto del suo meglio per ignorare il ronzio nelle dita, come sempre, del resto.

    Comunque afferrò la porta e la scosse. Era ancora chiusa, e la magia era al suo posto.

    Estrasse uno sblocca-incantesimi dalla borsa che portava in vita e lo premette contro l’anta, appena sopra la serratura. «Apriti!» disse. Non c’erano frasi a effetto, non per le questioni di polizia.

    La molla scattò e le parti meccaniche si sbloccarono. Tom diede un calcio alla porta con tutta la forza che aveva, ma la magia era forte, e il legno rimase al suo posto in modo ostinato, trattenuto dal potere arcano.

    Le grida diventavano sempre più agitate. Si guardò intorno, ma non c’era segno di altri agenti.

    Doveva aspettare i rinforzi, o trovare il modo di entrare dalla finestra, sempre se Barshtein non aveva incantato anche quelle.

    O usare il suo talento per spezzare gli incantesimi.

    Il pensiero emerse non richiesto da profondità oscure, dove aveva relegato il passato. Non poteva. L’abilità di spezzare gli incantesimi era un talento troppo raro. Se qualcuno l’avesse scoperto, avrebbero voluto sapere perché l’avesse nascosto per tutti quegli anni.

    E cosa avrebbe risposto? Che era una maledizione crudele che portava a nient’altro che disgrazie? Che l’ultima volta che l’aveva usato, aveva ucciso suo padre?

    Una delle voci all’interno del banco dei pegni tacque in modo inquietante.

    Santa Maria, aiutami tu. Doveva fare qualcosa. Fece un respiro profondo e posò la mano sulla serratura. Dio, era passato così tanto tempo… e se non fosse più stato capace? E se avesse dovuto restare lì ad aspettare i rinforzi, mentre le persone che avevano bisogno della sua protezione morivano a pochi metri sopra la sua testa?

    Sentì l’incantesimo sotto il palmo. Era come una vibrazione, o il battito del cuore di un piccolo animale. Chiuse gli occhi e immaginò di posare una mano invisibile sul tremolio. Lo fermò, facendo rallentare la pulsazione fino a bloccarla.

    Nulla. Non c’era più alcun ronzio sotto la sua mano. Ci era riuscito, gli era venuto naturale come respirare.

    Tom spalancò la porta facendola sbattere contro il muro. Il negozio era buio, e la luce della strada era schermata dalle tende tirate per la notte. Le urla di sopra continuavano, ma ora erano accompagnate da colpi sordi costanti, come il rumore di un corpo che sbatte sul legno con grande forza.

    Si fece strada nel locale, urtando il ginocchio contro il bancone e ribaltando un piccolo espositore in vetro. Conosceva la planimetria del negozio… il signor Barshtein era il tipo di persona che offriva ai poliziotti una tazza d’acqua nelle giornate calde e che non si lagnava mai quando gli agenti andavano da lui in cerca di beni rubati. Tom trovò la porta dietro il bancone e, per fortuna, non era chiusa a chiave, così entrò. Una stretta lama di luce illuminava la cima di una scala dall’altra parte della stanzetta.

    I gradini scricchiolarono mentre li percorreva di corsa. «Polizia!» ululò mentre spalancava la porta.

    Fu colpito per prima cosa dall’odore di ferro arrugginito bagnato. Il rosso chiazzava le pareti e il pavimento del salottino. Il corpo di una donna giaceva davanti alla stufa, immobile e coperto di sangue. A Tom venne la nausea alla vista dei morsi selvaggi sul collo, sulle braccia e sulla faccia.

    Un uomo si gettò contro una delle due porte che conducevano fuori dalla stanza. La sua vestaglia era macchiata di sangue, e la faccia era così sporca che Tom lo riconobbe a stento.

    «Fermo!» gridò. «Polizia!»

    Barshtein smise di lanciarsi contro l’anta. Invece si voltò nella direzione di Tom con un ringhio inumano che gli saliva dal profondo del petto. Sembrava completamente pazzo, con le labbra tirate a scoprire i denti insanguinati e le mani contorte in artigli. E i suoi occhi…

    La sclera era diventata del tutto rossa, come se i capillari fossero esplosi tutti insieme.

    L’appartamento parve oscillare intorno al poliziotto. La carta da parati scomparve, diventando i rozzi mattoni di un caseggiato popolare. La luce delle lampade a gas divenne un incendio. I denti di suo fratello scattarono nella sua direzione e non c’era segno, nei suoi occhi rossi, che l’avesse riconosciuto, mentre Molly gli gridava di spezzare l’incantesimo. Il tutto mentre delle persone innocenti bruciavano, e le loro urla sembravano provenire dalle profondità dell’inferno.

    Tom fece oscillare il manganello con un grido inarticolato. Il pesante legno di carrubo si schiantò contro il braccio sollevato di Barshtein. Le ossa si ruppero sotto il colpo, ma l’uomo non fece neanche una smorfia. Anzi, si lanciò contro il poliziotto. La mano sana si agitò verso la gola di Tom, come se volesse strozzarlo.

    Quella volta il manganello colpì l’uomo sul cranio. Gli occhi rossi si ribaltarono e Barshtein cadde ai piedi di Tom.

    L’agente si accostò al tizio svenuto, che però respirava. Non era il 15 settembre del 1889, era il 18 dicembre del 1897. Lui era Tom Halloran, non Liam O’Connell.

    Non stava accadendo, non era possibile.

    Non di nuovo.

    2

    «S ignore?» domandò Tom sulla soglia dell’ufficio del capitano. «Posso rubarle un minuto?»

    Il capitano Donohue si appoggiò allo schienale della sedia fumando un sigaro come dopo-pranzo. Il fumo galleggiava nella piccola stanza, formando spirali sotto la lampada col paralume verde sulla scrivania. «Halloran,» disse con un insolito sorriso. «Cosa aspetta?»

    Quel sorrisetto diede a Tom un brivido di disagio. Già non era tra i preferiti del capitano, e non c’era da sorprendersi. Se un poliziotto non accettava di venire corrotto dalle persone che cercavano solo di sopravvivere, come faceva il capitano ad avere la sua parte?

    «Volevo chiederle del signor Barshtein.» Sarebbe voluto passare il giorno dopo l’omicidio, ma la sfortuna aveva deciso che fosse il suo giorno libero. Sarebbe sembrato sospetto se si fosse recato in stazione solo per domandare di un caso chiuso. «Il tizio che ho arrestato l’altra notte.»

    «Sono due giorni che è su tutti i giornali,» disse il capitano con un sorriso soddisfatto. «Pazzo uccide la moglie; cameriera innocente salvata da un solerte poliziotto. Ottimo lavoro, Halloran. Riceverà un’altra medaglia per questo.»

    Tom riuscì a fare un debole sorriso a sua volta, ma il premio non avrebbe cancellato tutto il sangue che aveva sulle mani. Soprattutto se c’era una connessione…

    Non era possibile. La notte dopo gli scontri, aveva bruciato gli incantesimi usati, in modo che nessuno potesse copiarli e farne altri. Tutti quelli che ne erano a conoscenza erano morti nel fuoco o nel sangue.

    Erano trascorsi otto anni, eppure il modo in cui si era comportato Barshtein, come se non provasse dolore, anzi, come se non provasse nulla se non la voglia di uccidere, aveva riportato Tom indietro a quella notte ribattezzata come I Disordini di Cherry Street a Manhattan. Gli occhi di Barshtein erano diventati rossi, proprio come quelli di suo padre e di Danny, e degli altri che avevano usato quei maledetti incantesimi.

    Donohue aspettava la sua reazione. Tom si sforzò di sorridere di più. «La ringrazio, signore, ma non l’ho fatto per avere una medaglia.»

    «Meno male che la cameriera ha dimenticato di attivare l’incantesimo antifurto, eh?» Il capitano scosse la testa. «Altrimenti lei non avrebbe fatto in tempo a entrare.»

    Il sorriso di Tom divenne sempre più tirato. «Il buon Dio agisce in modo misterioso.»

    Doveva lasciar perdere. Andarsene e dimenticare quello che aveva visto. Non poteva esserci un legame, non dopo così tanto tempo. «Volevo solo chiedere… cos’è successo? Perché il signor Barshtein ha ucciso sua moglie e provato a uccidere la cameriera? I giornali non lo spiegavano.»

    «Perché? Perché è pazzo.» Donohue alzò le spalle. «Quando si è svegliato, ha cominciato ad attaccare chiunque gli capitasse a tiro. Non ha detto una parola, neanche quando lo abbiamo legato. L’ho spedito al manicomio, che se ne occupino là.»

    Tom si morse il labbro. Se avesse chiesto altro, avrebbe destato sospetti. Era ovvio che Donohue considerava chiuso il caso. «Mi stavo domandando se la cameriera non avesse detto qualcosa su ciò che l’ha fatto scattare. Tipo se avesse usato un incantesimo, ad esempio.»

    Il capitano si accigliò. «Ha menzionato un incantesimo sull’assenzio.»

    «Un incantesimo sull’assenzio?» ripeté Tom privo di espressione.

    «Quelle sciocchezze che questi tipi bohémien amano,» replicò Donohue, facendo un gesto vago col sigaro. «Lo usano con il liquore. Gli fa avere delle allucinazioni o roba simile.»

    L’umore di Tom si sollevò appena. Le allucinazioni erano un problema, ma mai quanto i Disordini di Cherry Street. «Quindi l’incantesimo gli ha provocato delle allucinazioni, ed è per quello che ha attaccato sua moglie?»

    Donohue, però, scosse il capo. «Affatto. Le magie con l’assenzio ispirano brutte poesie, forse, ma è tutto lì. La PMM ha mandato un esperto incantatore a dare un’occhiata, e ha detto che non c’era nulla che non andasse nel liquore.» Il capitano corrugò la fronte. «Perché? Barshtein le ha detto qualcosa prima che lei lo colpisse?»

    «No, nulla.» Ma non riusciva a smettere di vedere quegli occhi iniettati di sangue. Il viso dell’uomo era stato protagonista dei suoi incubi, tramutandosi a turno nei volti di suo padre e di suo fratello. Accompagnati dalle urla di coloro che bruciavano nel palazzo, e dai tonfi dei più disperati che si lanciavano nel vuoto.

    «È che ho… una strana sensazione,» disse Tom. «Può chiamarlo istinto da poliziotto, ma qualcosa non va. Sento che c’è qualcosa di più che un’immotivata crisi di follia di quell’uomo.»

    Donohue spense il sigaro e fissò l’agente con un’espressione interrogativa. «Lei pensa che l’esperto della PMM abbia commesso un errore?»

    Era così? «Non lo so. Ma il modo in cui si è comportato Barshtein… faccio il poliziotto da otto anni. Ho visto uomini talmente ubriachi da non ricordare il proprio nome, e ne ho portati tanti all’isola di Blackwell. Ma nessuno di loro si agitava come lui. Non ha urlato quando gli ho rotto il braccio col manganello. Non è normale.»

    Il capitano incrociò le mani sulla pancia e osservò Tom per un lungo istante. Tom provò a sostenere il suo sguardo, sperando che l’altro non cogliesse tutto quello che aveva lasciato fuori. Tutto quello che nascondeva.

    «Non mi dispiacerebbe ridimensionare quei bastardi della PMM un altro po’,» contemplò Donohue. «Se dipendesse da me, li avrei buttati tutti in galera dopo che il loro ex capitano ha cercato di uccidere il commissario Roosevelt. Branco di damerini danzanti.» Fissò di nuovo Tom. «E sia. Vada da loro e gli dia fuoco.»

    Di certo il capitano non intendeva mandarlo alla Congrega, vero? «Signore?»

    «Quali sono i suoi compiti di oggi, Halloran?»

    «Sono in stazione come riserva.»

    «Bene, stanotte dorma pure nel suo letto. Dica al sergente che la riassegno al turno di giorno. Vada alla Congrega e si faccia sentire.»

    A Tom parve che il pavimento si inclinasse, facendogli perdere l’equilibrio. Perché non l’aveva previsto? «Alla centrale della PMM? Ora?»

    «Ha del fango nelle orecchie? Sì, agente, ora!»

    Si affrettò a uscire. Il sergente si limitò a grugnire quando Tom lo informò del cambio di assegnazione e, nel giro di pochi minuti, si trovò a salire le scale della piattaforma E1 sulla Seconda Avenue.

    Stava succedendo troppo in fretta. Da che era diventato Tom Halloran, non aveva mai messo piede sotto la Quarantaduesima Strada. C’era il serio rischio che qualcuno del passato potesse riconoscerlo.

    E adesso non solo stava tornando nella parte bassa di Manhattan, ma si dirigeva dritto alla centrale della PMM, dove una sua foto da giovane giaceva dimenticata nella galleria dei criminali.

    Erano passati otto anni. Dopo otto anni, di certo nessuno l’avrebbe riconosciuto, assumendo che ci fosse ancora qualcuno vivo, o ancora residente a Manhattan. Nessuno avrebbe avuto motivo di collegare il venticinquenne agente Tom Halloran, poliziotto veterano, con il diciassettenne Liam O’Connell, ladruncolo dei tunnel dell’East River.

    Il treno si fermò sferragliando e Tom vi salì. Notando l’uniforme, il bigliettaio non gli chiese i soldi. Tom prese posto e guardò la città muoversi mentre il treno ripartiva. Il fumo usciva dai comignoli nell’aria fredda, formando una nebbiolina nel cielo sereno. Delle pubblicità lampeggiavano su edifici lontani, usando i nuovi incantesimi che permettevano alle parole di cambiare a seconda di chi le osservava.

    Sarebbe andato alla Congrega, avrebbe fatto rapporto e se ne sarebbe tornato, accontentando il capitano. Donohue non pensava davvero che Tom avrebbe ottenuto dei risultati. Voleva solo irritare la PMM e ricordargli che non erano le uniche forze dell’ordine della città, e mandargli l’agente che meno rispettava era il metodo più semplice per farlo.

    Non sarebbe rimasto lì più del tempo necessario, a meno che non ci fosse davvero un collegamento tra quella notte lontana e l’improvvisa follia omicida di Barshtein.

    Probabilmente stava reagendo in modo esagerato al tutto. Non c’era bisogno di scaldarsi tanto. Il passato sarebbe rimasto là dove si trovava, silenzioso come le ossa di un morto. E lui sarebbe tornato a fingere di essere un brav’uomo e un buon poliziotto e non un criminale che sarebbe dovuto finire appeso alla forca.

    «Ascolta,» disse Rook. «Lo so che sei sconvolto per la morte di Gerald. Lo sono anche io. Ma le persone fanno a pugni. Bevono troppo, fanno qualcosa di stupido e succedono certe cose.»

    «Gerald Whistler sveniva alla vista del sangue,» ribatté Cicero. «E tu vuoi che creda che ha staccato l’orecchio al suo compagno di stanza prima di puntare alla gola? È da idioti persino per te, corvo.»

    Camminarono a passo svelto lungo i corridoi della Congrega… anzi, Cicero marciava e Rook lo seguiva, svolazzando e gracchiando anche quando era in forma umana.

    Le stanze della centrale della Polizia Magica Metropolitana erano silenziose di rado, ma con la prossima unione tra le unità di New York e Brooklyn, al momento rasentavano il caos. Qualche idiota, probabilmente quelli del Comitato di Polizia, aveva deciso che la centrale di Brooklyn sarebbe stata chiusa, spostando tutti alla Congrega, senza preoccuparsi che il posto bastava a stento per gli agenti attuali. Cicero si infilò tra due streghe che portavano delle scatole, scivolò in mezzo a un gruppo

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