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Gloriosi bastardi
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E-book321 pagine4 ore

Gloriosi bastardi

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Info su questo ebook

Fantasy - romanzo (249 pagine) - Tre mondi che s'intrecciano in un sortilegio. Eroi-antieroi, cavalieri, maghi, damigelle spericolate e teriomorfi. Tre universi paralleli, ma uno solo è reale.

Dicono i saggi che all'addensarsi delle ombre la vera luce rifulga più intensa. Non è questo il caso, lettore: se cerchi una classica avventura, di quelle con eroi dalle chiome perfette e le armature scintillanti, rimetti questo libro nello scaffale o toglilo dal carrello. Ma se vuoi scoprire l'oscurità delle Navate insieme all'ibridato Murbion Undakar, gli intrighi di corte con la bella Gormlada di Valmoria e una mortale partita di scacchi con l’irascibile cavaliere Bulba Bolivar, che non sopporta di essere fissato, allora hai scelto giusto. Non eroi ma bastardi, infidi, violenti e facili al gozzoviglio. Eppure il destino sembra credere che solo loro  possano fermare l’apocalittico trionfo del Dio-Ratto. Staremo a vedere.
Dagli autori di True Legends un romanzo collettivo che piacerà agli estimatori di Fafhrd e Grey Mouser.

I tre autori, complici e amici, nel 2019  hanno esordito assieme con il romanzo distopico True Legends – Reclutamento, edito da Robin Edizioni, che ha avuto un lusinghiero successo di vendite  e recensioni. Questa è la loro seconda collaborazione letteraria, frutto di oltre un anno di lavoro. Vivono a poche centinaia di metri l’uno dall’altro, a Santi Cosma e Damiano e Castelforte, paesi contigui in provincia di Latina.
Sergio Mastrillo, nato nell’aprile del 1976 a Minturno (LT). Nel 2020 ha pubblicato Crazy Heroes con Edizioni Scudo.
Salvatore Vita, nato a Formia nel 1980, è appassionato di cinema, narrativa fantasy e horror, comics e manga.
Riccardo Vezza, nato a Formia (LT) il 9 gennaio 1974, è stato folgorato in gioventù da Robert E. Howard e dal suo Conan che gli ha aperto le porte della narrativa fantastica.
LinguaItaliano
Data di uscita29 giu 2021
ISBN9788825416718
Gloriosi bastardi

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    Anteprima del libro

    Gloriosi bastardi - Sergio Mastrillo

    La statua

    Salvatore Vita

    Il tribuno Huldar dava le spalle all’ingresso del suo solarium. Sedeva assorto, contemplava il terrazzo e, oltre, il cielo ocra. Nulla sembrava potesse distoglierlo dall’inerzia meditativa. Non accennò un fremito neppure quando gli arrivò a due passi di distanza.

    – Benvenuto – sussurrò all’improvviso senza voltarsi, quasi a non voler spezzare l’incantesimo del crepuscolo. – Perfettamente puntuale, te ne rendo merito. Ma potevi farti annunciare.

    Il Monatto sussultò. Non pensava si fosse accorto della sua presenza.

    Huldar gli indicò una poltrona lì accanto, sulla soglia della terrazza.

    Si sedette, in attesa.

    Il tribuno continuava a non guardarlo, gli occhi simili a metallo fuso, privi di iridi e pupille, fissi su una fila di alberelli che decoravano i bordi della terrazza.

    – Il mio palazzo – bisbigliò, con voce appena percettibile – è sorvegliato a vista da un centinaio di guardie, e disseminato di sistemi di … sicurezza che io stesso ho intessuto. Ma suppongo che simili inezie non siano un problema per te.

    Il Monatto scrollò le spalle.

    Il tribuno lo omaggiò per la prima volta della sua attenzione; lo sguardo serafico e impenetrabile, nel volto privo d’età, pareva intenzionato a scavargli dentro la maschera, e metterne a nudo i pensieri.

    Qualcuno dei Luminosi era in grado di farlo, aveva sentito.

    Nel suo caso era al sicuro. Refrattario alla telepatia, anche per questo molti si avvalevano dei suoi servigi. Ma non poté fare a meno di reprimere un brivido.

    – Quindi tu sei il Monatto – annuì il tribuno con sorriso mite. – Ho sentito spesso parlare di te. Mi dicono che porti sempre a termine ciò che cominci.

    Un’altra scrollata di spalle.

    – Pensateci bene, tribuno. La mia tariffa è alta, e non è negoziabile.

    Attraverso i filtri della maschera, la sua voce sembrava il respiro di una lama che scorre lungo il fodero. Un sussurro alieno, atto a spaventare.

    Il tribuno non si lasciò impressionare. Si limitò ad annuire, placido come un gatto accoccolato su una sedia.

    – È giusto. Non mi aspettavo meno da uno con i tuoi talenti.

    – Il lavoro?

    – Briganti. – Si alzò come se la cosa gli importasse poco, dirigendosi al bordo della terrazza e alla fila di alberelli. Cominciò ad esaminarne le foglie, una a una, con distaccato interesse. – Che hanno deciso di infilare le mani in una tagliola. Nel caso specifico – tolse un grosso bruco nerastro da una foglia, osservandone affascinato gli spasmi – in una delle carovane destinate a me. Assaltata e fatta a pezzi tra i vicoli della città da una banda di signori della morte, all’alba. – Scosse il capo sconsolato, quasi con pietà – gesto riprovevole, e sconsiderato. Quei poveri mercanti …

    Il Monatto fu costretto ad alzarsi e a seguirlo per udirne i bisbigli. Si chiese come riuscisse uno come il suo potenziale cliente a farsi ascoltare e temere, nella fossa di serpenti che i più ingenui chiamavano Senato di Wulengrim.

    Huldar continuava a esaminare il bruco con vaga curiosità.

    – Non succhiano la linfa. Sono carnivori, si nutrono di parassiti. Una vera manna per le piante. Creature affascinanti. – Lo ripose con delicatezza sulla foglia. – Il carico perduto non era così prezioso. Chincaglierie per la mia collezione personale, poco più che pietre raccolte nel vecchio mondo, ma uno dei pezzi sottratti mi sta particolarmente a cuore, devo confessarlo mio malgrado. – Strinse gli occhi a fessure sonnolente, a scrutare l’ultimo, accecante spicchio di sole. – Una statuetta. Un piccolo idolo di ossidiana e pietre di sangue. Un pezzo unico. È mio e lo rivoglio. Il prezzo per averlo è stato troppo … alto per poterci rinunciare.

    – Perché me? Avete altri canali per eventualità del genere.

    Huldar tolse una foglia secca da un albero. – Vero. E di fatto il grosso della banda è stato rintracciato dagli Arcangeli e dissuaso dal perpetrare ulteriori scelleratezze.

    Un brivido. Conosceva il modo in cui gli Arcangeli erano soliti dissuadere.

    – Ma non tutti.

    – Ahimè, no. Il loro capo è svanito nel nulla, col mio prezioso reperto. E chiunque riesce a sfuggire agli Arcangeli, oltre a meritarsi il mio rispetto, non può che essere andato che da una parte.

    – Le Navate.

    – Immagino. Un atto disperato ma coraggioso. Probabilmente non tornerà mai più indietro, e quel triste luogo sarà anche il suo sepolcro, ma quanto valore. Quali grande cose avrebbe potuto fare per la sua specie, non fosse stato un criminale sanguinario. – Sospirò. – Sia come sia, rivoglio indietro la mia statua.

    – Conoscete il suo nome?

    – Me lo hanno riferito. I suoi stessi uomini lo temevano e ci hanno messo un bel po’ a lasciarselo sfuggire dalle labbra. Un osso duro. Combatteva nelle arene, prima di riuscire a strangolare il suo lanista nel sonno e a fuggire, qualche luna fa. In pochi riescono a liberarsi da soli dal sigillo di sottomissione, davvero notevole.

    – Amigdala. – Il Monatto annuì. – Tutti i cacciatori di taglie di Wulengrim sono sulle sue tracce.

    – Mi stupirei del contrario. E molti sono morti, ho sentito. Un osso duro, ribadisco, anche se temo non abbastanza per le Navate. Ma non importa. Ti pagherò il doppio della tua tariffa, più il prezzo della taglia se riuscirai a riportarmi indietro quanto è mio. Quanto al predone, beh, la sua sorte non mi riguarda

    Il Monatto annuì. Il tribuno continuava a togliere foglie ingiallite con amorevole cura.

    – Suppongo tu consideri il mio un futile capriccio da antiquario. In parte è così, ma quella statuetta è bene che giunga alle mie mani. Io mi limiterei a conservarla in una teca, per la gioia dei miei occhi di studioso. Ma temo che per altri dalla mente più debole potrebbe rivelarsi un artefatto alquanto suggestivo.

    – Spiegatevi.

    Huldar sorrise. – È sempre saggio guardarsi dagli oggetti dei tempi ancestrali. Diciamo soltanto che ha dei poteri. Niente che possa impensierire uno come te, beninteso, ma ho sentito che abbia un curioso ascendente su elementi più… malleabili. – Si portò la mano sul mento. – Sto cominciando a chiedermi se la temerarietà del nostro Amigdala sia soltanto frutto della sua naturale predisposizione, o ci sia dell’altro …

    Ma il Monatto non lo stava più ascoltando. Osservava tra fascino e ripugnanza uno dei rami appena ripuliti dalle foglie marcite. Spuntava, scuro e levigato, da un’orbita oculare, delicata e pallida come porcellana. Guardò meglio. Altri viticci erano germogliati a centinaia da bocca, orecchie, pori della pelle, avvolti strettamente come grovigli di serpenti neri e verdi intorno al corpo che li aveva rigurgitati. Un corpo femminile. Una Luminosa, a giudicare dai lineamenti cesellati a stento visibili e dall’unico occhio ancora integro.

    Con crescente disagio si accorse che tutti gli alberi che li circondavano un tempo erano stati esseri umani … e inumani.

    Huldar sembrò accorgersene e rise con voce cristallina. – Il mio piccolo giardino. Il passatempo di un vecchio annoiato. Questa – indicò la Luminosa, o quel che ne restava – era la favorita tra le mie concubine. Capita spesso a quelli come noi di essere colti da melanconia. La sua tristezza era bellissima, una perfetta lacrima cristallizzata. Fin troppo facile perdersi nella sua contemplazione, e seguirne l’esempio. Così le ho donato la pace. Ora la sua bellezza non sarà mai corrotta dalla noia dei secoli. – Lo fissò e questa volta il volto era di metallo come i suoi occhi. – Quelli della mia casta credono fermamente nel valore terapeutico della punizione. Estirpa l’erbaccia e il giardino crescerà rigoglioso. Io lo ritengo uno spreco. Tutto a mio avviso può essere recuperato … e migliorato, come parte integrante di un’armonia superiore. Non ne convieni?

    * * *

    L’ultimo degli Arcangeli si era da poco alzato in volo quando Murbion sbucò tra le immondizie.

    Per sua fortuna non stavano cercando lui, altrimenti neppure i suoi talenti furtivi lo avrebbero tenuto al sicuro. Si tolse gli stracci di dosso e si avvicinò al cadavere spolverandosi la giacca logora.

    Angus Brim, o quel che ne restava. Il suo corpo si stava rapidamente scarnificando. Tra breve sarebbe diventato liquame puzzolente.

    Osservò il corpo fumante che si decomponeva, come corroso da migliaia di voraci vermi invisibili e storse il muso. Era arrivato troppo tardi.

    Brim era il braccio destro di Amigdala, arrivare a lui significava alitare sulla nuca di quel grosso bastardo.

    Era stato a un passo così dall’azzannargli la giugulare.

    Quasi …

    La sua gente doveva aver scosso qualche alveare di troppo e attirato l’attenzione dei calabroni.

    Fine della caccia.

    E adesso non poteva nemmeno servirsi della testa di Brim per incassarne la taglia.

    Puttana Huuma.

    Supponeva che anche il resto della banda si stesse dissolvendo qua e là, Amigdala compreso.

    Peccato. Gli sarebbe piaciuto tanto schiacciargli il cranio con le sue zampe, per il disturbo e il tempo che gli aveva fatto perdere.

    Si grattò seccato dietro l’orecchio, quindi annusò l’aria.

    L’odore di carne decomposta copriva tutto il resto. Se pure c’era stata qualche traccia di quel pezzo di merda nelle vicinanze, era andata definitivamente perduta, anche per uno con il suo fiuto.

    Colpì con un calcio il cadavere sfrigolante. Il teschio si staccò dal resto dello scheletro e rotolò via, lasciando dietro di sé una scia nerastra. Si polverizzò prima ancora di andare a frantumarsi contro un muro, con un crepitio simile a una risata di scherno.

    Una risata gli bussò nel cranio, riportandogli alla mente qualcosa che fino a quel momento gli era stato nascosto dalla paura e la rabbia.

    Cercavano qualcosa.

    Prima di accelerarne la putrefazione per ripicca, lo avevano perquisito per bene. Immaginava gli avessero frugato anche nel cervello, a giudicare dalle urla laceranti che aveva sentito nel suo rifugio di stracci abbandonati. Di solito gli Arcangeli non erano così meticolosi, né così lenti nell’uccidere.

    Erano arrabbiati, e frustrati, quindi la loro missione non si era risolta come speravano.

    Ma è solo questione di tempo.

    Oppure no?

    Non li aveva mai visti arrabbiati, segno che qualcosa … o qualcuno era sfuggito alla loro ispezione. E nessuno sfuggiva mai agli Arcangeli. A meno che …

    Ghignò.

    La sua era solo una supposizione, ma che aveva da perdere?

    Quei bastardi volanti erano alimentati dalla luce e dal calore del sole, nel freddo buio delle profondità, lontani dalla loro sorgente vitale, sarebbero stati ciechi, deboli e inermi come bambini. Inoltre, la loro preveggenza artificiale non riusciva a scandagliare il sottosuolo, il che poteva spiegare la loro furia inusuale.

    Un limite certo, ma chi sarebbe stato così sciocco da andarsene a zonzo per sempre nel livello zero, sperando che magari un giorno gli Arcangeli si dimenticassero di lui?

    Ma Amigdala era un folle, giusto? Anni di botte e sangue nelle Arene gli avevano intaccato il cervello, nonché ogni traccia di lungimiranza, e di quella salutare paura che serve a restare vivi.

    Per questo molti di quelli che gli avevano dato la caccia erano crepati. L’esperienza serve a poco contro una bestia chiusa in un angolo.

    Forse la sua era solo una sciocca speranza, ma che aveva da perdere, a quel punto?

    Si sarebbe fatto una passeggiata al fresco nella peggiore delle ipotesi, lasciandosi cullare dall’adrenalina mentre si muoveva a tentoni nel buio.

    Ma se aveva ragione …

    Ridacchiò, raccolse qualche resto annerito dello spolverino di Brim, se lo mise in tasca e controllò che Ultimo Saluto fosse ancora al suo posto, dietro la schiena. Il suo peso micidiale gli ridiede coraggio.

    Se aveva ragione, la taglia che avrebbe guadagnato sulla testa di quel fottuto sarebbe stata sufficiente per lasciare una buona volta quella schifosa città.

    Al varco più vicino per il livello zero c’era una guardia che non aveva mai visto. Un giovane nerboruto coll’aria altezzosa e le labbra arricciate, quasi gli avessero infilato un mucchietto di merda su per il naso.

    Quando vide Murbion, si affrettò ad attivare il guanto alchemico d’ordinanza, con movimenti che probabilmente credeva furtivi.

    Caricato per stordire. Illuso.

    – Salve a te, amico.

    La guardia lo scrutò dalla testa alle zampe con disgusto crescente.

    – Hai superato la distanza di sicurezza, ibridato. Il livello zero è in quarantena.

    – Lo è da sempre, figliolo. Ma ciò non cambia che, come pubblico ufficiale, sono automaticamente autorizzato a passare.

    La guardia osservò il marchio sulla giacca e storse il labbro più di quanto non facesse già in natura.

    – Cacciatore di taglie, eh? E da quando i ratti sono pagati a testa?

    – Da quando hanno cominciato ad abbandonare le gabbie. E mi risulta che un topo bello grosso si sia da poco intrufolato da quelle parti.

    – Che strano, ibridato. A me non risulta.

    – Per questo ti trovi qui a fare la guardia.

    Il bestione lo guardò in cagnesco. Era abbastanza alto da poterlo fissare negli occhi. Il guanto d’ordinanza cominciava a emettere un sibilo minaccioso, attivato da pensieri di rabbia repressa e disgusto. Sputò ai suoi piedi.

    – Le fogne sono a due passi, tasso parlante. Puoi entrare di là per le tue esigenze.

    Murbion si tirò le vibrisse con gli unghioni. – Ti ringrazio, ma oggi non sono in vena di scoparmi tua madre.

    Il guanto, carico di magia artificiale fino all’orlo, cominciò a gemere come un cane bastonato.

    – Schifoso sacco di pulci puzzolente, ti insegno io a stare al tuo posto!

    Sollevò il braccio armato.

    E si ritrovò con un unghione affilato infilato su per la narice.

    – Sta’ buono su – Murbion gli sorrise con aria gioviale – se non vuoi una grattatina al cervello.

    – Cosa … hai intenzione di fare?

    – Entrare nel livello zero. E posso farlo in amicizia, o con il tuo naso come ricordo.

    – Finirai… in galera.

    – Per aver storpiato il custode di una galleria? Ne dubito. Non è così, Vinicius?

    Vinicius Stromm, guarda-strade e capo vigilante di settore, aveva provato a stordirlo giungendogli di soppiatto alle spalle. Peccato che la puzza d’aglio glielo avesse annunciato ad almeno venti metri come un araldo con la tromba.

    – Cavolo Murbion, sei tu? Cosa diavolo credi di fare?

    – Insegnare al ragazzino un po’di rispetto per i più anziani – sorrise mettendo in mostra i canini. – Oltre a una bella lezione sulle apparenze: non sottovalutare mai un tasso parlante, specie se va di fretta.

    – Solo un coglione sottovaluterebbe un ibridato di due metri per due, con una specie di enorme mannaia a tracolla. Ma quello lì è Marcus? Beh, tutto nella norma allora … È un coglione. – Si avvicinò scuotendo il testone calvo con un sospiro. – È solo un ragazzo cresciuto oltremisura, Mur, con lo zelo e la presunzione dei novizi. Potresti togliergli quella specie di dito dal naso?

    Murbion ubbidì, pulendosi ostentatamente l’unghione sull’uniforme del povero Marcus, troppo impegnato a tenersi la sua appendice olfattiva e a impallidire di rabbia per scansarsi.

    Vinicius lo omaggiò con una pacca sulla spalla.

    – E ora figliolo, se non ti dispiace, ti do il cambio. Le puttane di Via della gioia hanno perso un gattino. Va’ ad aiutarle.

    – Ma signore, questo qui …

    – È un gatto molto prezioso, Marcus. Se lo trovi magari stavolta non ti fanno pagare. Fila ora.

    Marcus ubbidì, molto a malincuore. Ma mentre si allontanava non smise neppure una volta di lanciare a Murbion occhiate che promettevano ritorsioni future.

    La prossima volta probabilmente, gli sarebbe toccato affrontarlo in compagnia dei suoi amici, in qualche vicolo buio. Sperò soltanto che una volta finito con loro, non ci sarebbe scappato il morto. I tempi per quelli come lui erano già difficili in condizioni normali.

    – Qual è la storia, Vinicius? Sono gli ibridati o i cacciatori di taglie a stargli più sul cazzo?

    – Come se ci fosse qualche differenza. Entrambi comunque, e non è il solo tra i miei uomini. Voi cercatori di teste siete considerati da molti non meno pericolosi dei tizi a cui date la caccia.

    – E a ragione. Ci hanno dato un marchio da vigilanti, ma quelli come me se ne sbattono dell’ordine pubblico. È il denaro che vogliamo.

    – Ed è per quello che vuoi entrare nel livello 0? Per denaro?

    Murbion sorrise, grattandosi l’orecchio. Quel cumulo di stracci doveva essere pieno di pulci …

    – In realtà per un po’d’ombra. Si cuoce dentro questa pelliccia.

    Stromm si grattò il pancione, rassegnato. – Ho capito, sono affari tuoi. Ma forse sei solo prudente, con tutti questi Arcangeli in giro. Ho sentito che hanno beccato Amigdala e i suoi.

    – Grossomodo. – Estrasse un pugno di pezzi di rame dalla tasca e li allungò al vigilante. – Per i tuoi cuccioli. Ieri era il compleanno della mocciosa o sbaglio?

    – Dovresti stare più attento ai tuoi soldi, Mur – replicò Stromm, che però si guardò bene dal rifiutarli.

    Murbion minimizzò con un cenno. – Oh, io costo poco, Vinicius – spiegò mentre oltrepassava la soglia – nient’altro che puttane e qualche patata.

    Il sole tramontò alle sue spalle sprizzando gli ultimi barlumi di luce mentre si faceva largo nella sterminata anticamera delle Navate. Sperava di divertirsi da quelle parti, una volta tanto.

    Il sottopassaggio verso il livello 0 era ripido e accidentato, illuminato da qualche torcia a intervalli assolutamente casuali.

    Non incontrò sentinelle, e per un po' udì soltanto lo scalpiccio dei ratti nell’oscurità e il gorgoglio dei condotti fognari da qualche parte, in uno dei passaggi paralleli che si intersecavano di tanto in tanto con la galleria principale, come tante ragnatele cave di pietra e umidità incrostata.

    Nel mentre che si allontanava dagli ultimi rimasugli di penombra, Murbion controllava il suo equipaggiamento. Ultimo Saluto sospirava impaziente e annoiata nel suo fodero a tracolla, nel portapane aveva un po’ di carne essiccata, qualche tubero secco, dello spago, acciarini.

    Alla cintura teneva appese una borraccia d’acqua, un paio di torce ben oleate e avvolte con cura per evitare che si bagnassero e due pugnali da lancio, più inutili dei tuberi secchi. La sua vista non valeva un granché, le sue qualità come lanciatore ancora meno, ma, come diceva sempre il suo vecchio, meglio avere un paio di pugnali che non averli. Sul bicipite portava arrotolata un po’ di corda, nel caso Amigdala impazzisse e decidesse di consegnarsi vivo. Nulla era certo in questo mondo.

    Ottimo, sembrava tutto a posto. Era pronto.

    Ah, e poi aveva il suo guanto alchemico. Un prodotto di seconda mano, certo, un vecchio modello, ancora più obsoleto di quelli d’ordinanza in dotazione alle guardie di Wulengrim, ma lo aveva comunque pagato una fortuna. Ed era ben più di quanto si potessero permettere molti altri del mestiere. Era caricato con due raffiche magiche, non abbastanza potenti da uccidere, utili al massimo per tramortire. Non aveva potuto permettersi di più. Quei dannati aggeggi e i loro proiettili stregoneschi costavano maledettamente troppo. Non che pensasse di usarlo ma, per l’appunto, non si poteva mai dire.

    Amigdala era un duro, lo aveva visto combattere nelle arene. Rapido e veloce, e molto forte. In più, follia sanguinaria a parte, non era neanche uno stupido. Tuttavia non era alla sua altezza, e comunque il suo fiuto lo avrebbe preservato da eventuali agguati.

    Ultimo Saluto sarebbe stata più che sufficiente a fare le presentazioni.

    Le fiaccole si facevano sempre più rade, disperdendosi nel labirinto di cunicoli che si incrociavano come serpenti impazziti. Più scendeva più diventava buio. Adesso si trovava nel livello 0

    Non che per lui facesse qualche differenza. Portava le torce soltanto per estrema necessità, udito e olfatto svolgevano più che egregiamente il loro mestiere.

    Si mosse nei meandri del livello 0 per un bel po’, annusando, cercando tracce. Conosceva bene l’odore di Amigdala, e per rinfrescarsi la memoria aveva preso un pezzo dello spolverino di Brim, su cui la puzza del fuggiasco stava attaccata come la morte sulla testa di un profeta.

    Ma finora non era riuscito a fiutarlo.

    Affrontò diversi cunicoli, non scovando altro che pareti e puzza di muffa e chiuso, incappando in fetide pozze di liquami e in qualche graffito fosforescente segnato sulle pareti come segnale per i sorveglianti (o i contrabbandieri). I cunicoli erano numerati dalla stessa vernice, ma dopo un po’ chiunque avrebbe perso l’orientamento, se non sapeva come muoversi, o cosa trovare.

    Lui stesso, che pure seguiva una traccia, dopo alcune ore cominciò a chiedersi se non stesse girando a vuoto soltanto per una sciocca speranza.

    Probabilmente il suo bersaglio era crepato da qualche parte, incenerito e scomparso per sempre dalla faccia della terra, e lui stava cercando un pugno di illusioni. Se era così, allora avrebbe potuto girare in quell’intrico infernale per giorni, se non addirittura per sempre, senza mai dover ripetere lo stesso percorso.

    Strano, non sentiva nulla. Non un’eco, né un riverbero. Persino i ratti avevano smesso di muovere le loro zampette. Le fogne si erano smarrite chissà dove, nel groviglio di passaggi e gallerie. Anche l’aria sembrava cambiata, se possibile si era fatta ancora più vecchia, umida e sgradevole. Sapeva di bende polverizzate, vomito e mummie ammuffite.

    Comprese che si stava avvicinando al passaggio.

    Il che era appunto strano. E le sentinelle? Possibile che fosse stato così fortunato da non incrociarne nessuna? A quel punto avrebbe dovuto cominciare a sentire le imprecazioni e le bestemmie dei guardiani giù al passaggio, intravedere il baluginio di qualche lanterna. Forse avevano deciso di andarsene a bere qualcosa in superficie. Dopotutto il passaggio era pesantemente sprangato, difficilmente qualcosa sarebbe potuta uscire. Quanto a chi decideva di varcarlo per scendere, beh … chi era così pazzo da volerlo fare?

    Meglio così, non aveva abbastanza denaro per corrompere anche loro.

    – È il mio giorno fortunato.

    La sua voce, a malapena un sussurro, rimbombò come lo squarcio di un tuono, diffondendosi tra i cunicoli e ritornandogli nelle orecchie simile a un alito di vento impazzito.

    Rabbrividì quando si rese conto che probabilmente era l’unico essere vivente che si aggirava da quelle parti.

    Ed era solo all’anticamera.

    Indossò il guanto alchemico. Sarebbe stato utile come un muro di sabbia sulla battigia se qualcosa fosse sbucato a sorpresa dalle Navate, ma era meglio essere pronti a tutto, con ogni mezzo a disposizione. Dopotutto non era stato il suo vecchio a dire che era meglio avere un guanto alchemico di seconda mano che non averne nessuno?

    La sapeva lunga il suo vecchio.

    E poi quel silenzio assoluto non gli piaceva affatto.

    Adagiò il passo alla quiete, riducendo gli scalpiccii a poco più di fruscii di formica.

    D’un tratto, si accorse dall’eco dei suoi passi e da almeno un centinaio di esili spifferi provenienti da centinaia di direzioni diverse che era sbucato nell’immenso, cavernoso androne dove confluivano tutti i budelli del livello 0, dalle volte così alte che poteva soltanto immaginare a che

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