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Fuga tutto pepe: Harmony Destiny
Fuga tutto pepe: Harmony Destiny
Fuga tutto pepe: Harmony Destiny
E-book153 pagine2 ore

Fuga tutto pepe: Harmony Destiny

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Info su questo ebook

Se lei scappa...
Annie Devereaux non si è mai sentita così vulnerabile. In equilibrio precario sul cornicione di un albergo, bussa alla finestra di una stanza vicina, perché è disposta a tutto, ormai, pur di liberarsi del subdolo fidanzato, che vuole sposarla solo per denaro. Be', visto il fusto che le ha aperto la finestra, non le va poi così male.

... lui la porta via con sé!
Non solo incredibilmente bello, ma anche coraggioso, Brant Wakefield ha un unico punto debole: le belle ragazze in difficoltà. Quindi accoglie Annie nella sua stanza e la nasconde poi a casa propria, pronto a proteggerla contro qualsiasi ingiustizia. Ma come gestire la crescente attrazione che prova per lei? Dovrà proteggerla anche da questa?
LinguaItaliano
Data di uscita9 ott 2020
ISBN9788830520837
Fuga tutto pepe: Harmony Destiny
Autore

Kathie DeNosky

Inizia la sua giornata lavorativa alle due di mattina, in modo da poter scrivere in tutta tranquillità prima che il resto della famiglia si alzi.

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    Anteprima del libro

    Fuga tutto pepe - Kathie DeNosky

    Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:

    Lonetree Ranchers: Brant

    Silhouette Desire

    © 2003 Kathie DeNosky

    Traduzione di Olimpia Medici

    Questa edizione è pubblicata per accordo con

    Harlequin Books S.A.

    Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

    persone della vita reale è puramente casuale.

    Harmony è un marchio registrato di proprietà

    HarperCollins Italia S.p.A. All Rights Reserved.

    © 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

    eBook ISBN 978-88-3052-083-7

    1

    Stringendo saldamente in una mano le scarpe nere, Anastasia Devereaux si appiattì contro il muro di mattoni alle sue spalle, tirò un profondo sospiro e fissò lo sguardo attraverso le lenti appannate degli occhiali. «Non guardare giù» sussurrò poi. «Puoi farcela, se non guardi giù.»

    Chiuse gli occhi per raccogliere tutto il coraggio che le era rimasto e per calmare il battito frenetico del cuore. Com’era possibile che proprio lei, una timida bibliotecaria completamente priva di senso dell’avventura, si trovasse sul cornicione che circondava il quarto piano del Regal Suites Hotel nel centro di Saint Louis? E, come se non bastasse, a mezzanotte?

    Si guardò alle spalle e sussultò. Ormai non poteva più tornare indietro. Se l’avesse fatto si sarebbe trovata in trappola. Tornò a guardare davanti a sé e concluse che la sua unica possibilità era proseguire fino al prossimo balcone.

    Tirò un profondo sospiro e fissò il palazzo di fronte per impedirsi di guardare giù. Poi iniziò a muoversi lentamente, passo dopo passo, sempre appiccicata al muro. Presto le si sciolsero i capelli, la camicetta di seta le si impigliò in un davanzale e le si stracciarono le calze di nylon. Rabbrividì al soffio gelido del vento di febbraio. Si rimproverò per non avere avuto la presenza di spirito di portarsi dietro la giacca e la borsetta quando era fuggita dalla stanza di Patrick. Non l’aveva fatto e adesso era inutile piangere sul latte versato.

    Quando raggiunse la ringhiera di ferro del primo balcone, la strinse spasmodicamente. Era come un salvagente e ci si aggrappò con tutte le sue forze, cercando di calmare i nervi sovreccitati. Sua nonna non l’avrebbe mai perdonata se fosse caduta e avessero trovato il suo corpo senza vita sul marciapiede. Sarebbe stata una fine terribilmente poco dignitosa. E una Whittmeyer, anche se portava il cognome Devereaux, non doveva mai perdere la dignità. Per nessun motivo.

    «Scusami, nonna, ma non c’è un modo signorile per fare una cosa simile» mormorò Anastasia, gettando le scarpe sul balcone. Poi sollevò la gonna e passò una gamba oltre la ringhiera.

    Con uno scatto disperato superò l’ostacolo e ricadde sul duro terrazzo di cemento. L’impatto le sbucciò le mani e le ginocchia, ma lei non ci fece caso. Si era accorta che dentro la camera c’era una luce accesa e stava ringraziando la sua buona sorte per essere finita in una stanza occupata. Si augurava solo che il cliente non stesse dormendo o non fosse uscito dimenticando di spegnere la luce.

    Raccolse le scarpe e bussò con mano incerta alla portafinestra. Silenzio.

    E adesso? Patrick avrebbe scoperto la sua assenza da un momento all’altro e gli sarebbe bastato uscire sul balcone per vederla. Riprese a battere con più forza, sperando che il vetro non si rompesse. Dopo qualche secondo sentì un’imprecazione a mezza voce, seguita dal rumore di una porta che sbatteva. Poi silenzio assoluto.

    «Per favore, mi faccia entrare!» gridò, sentendosi afferrare dal panico.

    «Dove diavolo sei?» sbraitò da dentro una voce maschile. Non sembrava per nulla bendisposta.

    «Sono sul balcone. Faccia in fretta, la prego» aggiunse, senza perdere d’occhio la terrazza di Patrick.

    Quando finalmente le tende si sollevarono, Anastasia rimase a bocca aperta. Si trovò di fronte un uomo con degli incredibili occhi blu, coperto solo da un asciugamano avvolto intorno alla vita, che la squadrava con sguardo corrucciato. I capelli lisci e scurissimi gli ricadevano sulla fronte, addolcendo la sua espressione e dandogli un’aria arruffata che lei trovò subito molto attraente.

    Lo osservò mentre toglieva la sicura e apriva la portafinestra.

    «E tu che diavolo ci fai qui?» le chiese.

    Improvvisamente spaventata, Anastasia lasciò cadere le scarpe e fece un passo all’indietro. Inciampò e sarebbe caduta, se l’uomo non l’avesse afferrata saldamente tra le braccia, impedendole di andare a sbattere contro la ringhiera e precipitare nel vuoto.

    «Accidenti, zuccherino» commentò lui con una voce profonda che le provocò un brivido inaspettato lungo la schiena. «È un bel volo e, a meno che tu non sia un angelo con le ali, non credo che fare una capriola giù dal balcone sia un’ottima idea.»

    «No.» Anastasia scosse la testa. «Niente ali, voglio dire.» Guardò oltre la ringhiera e rabbrividì, pensando al terribile rischio che aveva corso. «E temo che il mio atterraggio non sarebbe stato affatto aggraziato.»

    Senza smettere di stringerla, l’uomo entrò in camera e chiuse la portafinestra. «Adesso sei al sicuro» dichiarò con voce improvvisamente più gentile.

    Anastasia non poté fare a meno di notare i muscoli possenti delle sue braccia. Lo sconosciuto aveva un fisico molto simile a quello dei modelli che riempivano il calendario appeso in biblioteca dalla sua assistente. Il pensiero che probabilmente sotto l’asciugamano non indossava niente la fece rabbrividire di nuovo.

    «Sei gelata fino alle ossa, zuccherino» osservò lui, stringendola più forte.

    Adesso Anastasia non aveva più dubbi ed era sicura che la causa del tremito che le correva lungo la schiena fosse proprio quell’uomo. Per un attimo appoggiò la guancia al suo petto nudo e gli posò le mani sulla schiena. Quale donna non sarebbe rabbrividita?

    «Gr... grazie per avermi fatto entrare.»

    «Quanto tempo sei stata là fuori?» chiese lui.

    «Non... non ne sono sicura.» Quanto era durata la sua passeggiata sul cornicione? Delle ore, avrebbe detto, ma era impossibile. «Cinque minuti. Al massimo dieci.»

    Mentre rimuginava sulla domanda, si rese conto che l’uomo continuava a stringerla sul suo petto nudo. Si liberò di scatto, ma quando sollevò lo sguardo verso di lui si accorse che aveva il torace macchiato di sangue. Solo allora si guardò le mani e si rese conto di essersi tagliata.

    «Fammi vedere» le ordinò lui, guidandola verso il letto e facendole aprire le mani sotto la lampada del comodino. «Cosa ti è successo?» volle sapere.

    «Sono caduta quando... quando ho scavalcato la ringhiera» confessò lei.

    «Ma come diavolo sei arrivata fin qui?»

    «Ho camminato sul cornicione» sussurrò lei, rabbrividendo al pensiero di quell’imprudenza. Si rese conto che, se non si fosse seduta immediatamente, si sarebbe accasciata sul pavimento, ai piedi dello sconosciuto. Si sedette sul bordo del letto, soffocando un gemito di dolore.

    Senza chiederle il permesso l’uomo le sollevò la gonna sopra le ginocchia. «Però! Sei conciata piuttosto male, zuccherino.» Prese un borsone rosso e nero appoggiato ai piedi del letto e le suggerì: «Togliti le calze».

    Prima che Anastasia riuscisse a rispondere che non ci pensava nemmeno, si sentì bussare alla porta.

    «Aspettavi qualcuno?» chiese lei, terrorizzata.

    L’uomo la guardò con aria interrogativa. «No. Del resto non aspettavo nemmeno te» aggiunse con un mezzo sorriso.

    «Deve essere Patrick.» Anastasia si alzò di scatto e si guardò intorno in preda al panico. «Non mi deve trovare qui. Devo scappare.»

    Brant Wakefield osservò la donna che cercava disperatamente una via di scampo. Era imprevedibile come un puledro selvaggio e, se non l’avesse subito tranquillizzata, era sicuro che sarebbe tornata sul cornicione.

    «Ehi, zuccherino, non preoccuparti. Non conosco il tuo Patrick e non so perché ti nascondi da lui, ma non ti tradirò.» Si avviò verso il salottino della suite. «Resta seduta. Mi libero di questo rompiscatole e poi vedremo di fasciare quei tagli.»

    Brant si chiuse alle spalle la porta della camera da letto. Appena si fosse sbarazzato dell’intruso, avrebbe fatto qualche domanda alla sua ospite inattesa. Bussarono di nuovo, questa volta più forte.

    Brant chiuse un occhio e guardò dal buco della serratura. Dall’altra parte della porta c’era un uomo in elegante completo grigio a spina di pesce che suonava il campanello con aria impaziente.

    Diavolo, uno di quelli in giacca e cravatta! Se c’era una cosa che non sopportava era la gente così. Di quel tipo non ci si poteva fidare, ne era convinto. Anzi, avrebbe scommesso che era proprio da lui che la ragazza chiusa in camera sua stava cercando di fuggire.

    Valutò rapidamente il suo rivale e concluse di essere più alto di lui di almeno quindici centimetri e di pesare una decina di chili di più. Quindi, a meno che il bastardo non fosse cintura nera di karatè, non avrebbe avuto problemi a metterlo al tappeto.

    Aprì la porta e squadrò lo sconosciuto con un’espressione seccata. «Be’, che diavolo vuole?» chiese sgarbato.

    Il tipo fece un passo indietro. «Mi... mi dispiace disturbarla, ma sto cercando la mia fidanzata.» Tese a Brant una foto. «Mi chiedevo se per caso non l’ha vista.»

    Brant detestava mentire. Gli sembrava un’azione disonesta, senza nessuna scusante, ma aveva promesso alla ragazza di darle una mano e non poteva tradire la sua fiducia.

    «L’unica donna che ho visto nelle ultime ore è quella che si sta togliendo le calze in camera da letto» rispose con la massima sincerità. Incrociò le braccia sul petto nudo e rivolse un’occhiata feroce al visitatore. «E stavo giusto dandole una mano, quando lei ci ha interrotto.»

    Di fronte al sorriso insinuante dello sconosciuto Brant lasciò scivolare le braccia lungo i fianchi e serrò i pugni. Aveva una voglia incredibile di togliergli quel sorriso dalla faccia con un diretto ben assestato.

    Erano tutti uguali quelli come lui. Si vestivano così bene solo per nascondere la loro natura disonesta. L’uomo che aveva di fronte era anche peggio della media. Brant l’avrebbe odiato anche se si fosse presentato in jeans e maglietta. Aveva un’espressione ambigua che non gli piaceva per niente e diceva sul suo carattere più di mille parole.

    «La lascio tornare al suo divertimento, allora» disse l’uomo estraendo dal taschino della giacca un biglietto da visita e una penna d’oro. Scrisse qualcosa sul retro e lo tese a Brant. «Qui ci sono il mio nome e il numero della mia camera. Se le capitasse di vedere una ragazza piuttosto bruttina con una gonna beige e una camicetta color avorio, mi chiami.»

    Brant dovette sforzarsi per non tirargli un pugno sul naso. Quella donna non era una reginetta di bellezza, d’accordo, ma il suo fidanzato avrebbe potuto evitare di definirla bruttina. Girò il biglietto da visita e lesse: Dott. Patrick Elsworth, contabile abilitato. Stringendosi nelle spalle, fece per richiudere la porta.

    «Ah, dovrebbe portare degli occhiali neri con la montatura di plastica» aggiunse l’uomo prima che Brant gli sbattesse la porta in faccia.

    Dopo avere dato un giro di chiave, Brant buttò il biglietto da visita sulla scrivania e tornò in camera. Non c’era nessuna traccia

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