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L'ultima soglia: La leggenda di Drizzt 26 - Neverwinter 4
L'ultima soglia: La leggenda di Drizzt 26 - Neverwinter 4
L'ultima soglia: La leggenda di Drizzt 26 - Neverwinter 4
E-book646 pagine10 ore

L'ultima soglia: La leggenda di Drizzt 26 - Neverwinter 4

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Info su questo ebook

Drizzt Do’Urden percorre un sentiero tortuoso, disseminato di misteri e menzogne intrecciati con gli oscuri segreti di Dahlia, la sua compagna. La relazione che da tempo la tiene avvinta a Drizzt minaccia di spezzarsi, mentre i suoi legami con l’ex nemico, Artemis Entreri, continuano a intensificarsi.
Nel frattempo, nelle caverne di Gauntlgrym, il drow Tiago Baenre accetta l’aiuto della banda Bregan D’aerthe nel suo tentativo di distruggere Drizzt.
Determinato a difendere la giustizia nei Reami, Drizzt imbocca una nuova strada in direzione nord, verso la Valle del Vento Gelido. I suoi nuovi compagni lo seguiranno?
Può combattere l’oscurità con le sue sole forze? In ogni caso, ora sa dove è diretto, nell’unico luogo in cui si è sempre sentito a casa...
LinguaItaliano
EditoreArmenia
Data di uscita3 lug 2019
ISBN9788834435892
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    Anteprima del libro

    L'ultima soglia - R.A. Salvatore

    Prologo

    L’anno dell’Eroe Rinato (1463 DR, Calendario delle Valli)

    «N on puoi credere che questa creatura sia in alcun modo naturale», disse al vecchio dalla barba grigia la donna Shadovar dalla pelle scura conosciuta come la Mutaforma. «È la perversione incarnata».

    Il vecchio druido Erlindir si mosse a disagio, strascicando i piedi che calzavano dei sandali, e si schiarì sonoramente la voce.

    «Incarnata, ti dico». La Mutaforma batté un colpetto col dito sulla tempia del vecchio druido, facendolo poi scorrere delicatamente sotto l’occhio e attraverso la guancia fino a toccargli il naso adunco.

    «Così, sei davvero davanti a me in carne e ossa questa volta», disse Erlindir con una risatina, alludendo al fatto che quando si parlava con quella strega praticamente inafferrabile di solito ci si rivolgeva a un’immagine proiettata, a un fantasma.

    «Te l’avevo detto che potevi fidarti di me, Chioccolo», rispose lei, usando il nomignolo che gli aveva affibbiato quando l’aveva incontrato nel suo boschetto parecchi mesi prima.

    «Se non ti avessi creduto, sarei venuto qui?». Il vecchio lasciò correre lo sguardo sul cupo paesaggio del Regno delle Ombre, soffermandosi sulla fortezza contorta munita di torre che si ergeva davanti a lui, con le sue molte guglie e le innumerevoli gargolle, probabilmente animate, intente a fissarlo e a sorridergli con bramosia. Avevano appena attraversato una sgradevolissima palude che puzzava di morte e putrefazione, e che era popolata da mostruosità non-morte. Ma quella fortezza non era decisamente meglio.

    «Tu mi lusinghi, Erlindir», lo canzonò la Mutaforma, afferrandolo per il mento e facendolo voltare di nuovo verso di lei. Il suo incantesimo non sarebbe durato per sempre, lo sapeva, e non voleva che nessuna di quelle strane immagini strappasse il druido dal suo stato di stordimento.

    Erlindir apparteneva alla vecchia scuola, in fin dei conti, era un discepolo della dea della natura Mielikki. «Ma non dimenticare il motivo per cui sei qui».

    «Sì, sì», rispose lui, «lo strano felino. Vuoi che lo uccida, allora?».

    «Oh no! Certo che no!» esclamò la Mutaforma.

    Erlindir la guardò incuriosito.

    «Il mio amico Lord Draygo ha la pantera», gli spiegò lei. «Lui è uno stre… un mago di grande fama e incredibile potere». Smise per un attimo di parlare e osservò la reazione del druido, temendo che quel lapsus potesse far capire al vecchio quale fosse il suo progetto. C’era un motivo per cui quella palude brulicava di creature non-morte. Nessun druido, sottoposto o meno all’influsso di un incantesimo, sarebbe stato così ansioso di aiutare uno stregone.

    «Lord Draygo teme che il padrone del felino stia architettando altre… nefandezze», mentì lei. «Vorrei che tu creassi un legame tra lui e la pantera, così che possa vedere attraverso i suoi occhi quando verrà richiamata dal padrone, e che interrompessi i suoi legami con il Piano Astrale, trattenendola invece qui».

    Erlindir la guardò sospettoso.

    «Solo per un po’», gli assicurò lei. «Uccideremo il felino quando saremo sicuri che il suo padrone non sconvolgerà più la natura per soddisfare i propri intenti malvagi. E uccideremo anche lui, se necessario».

    «Preferirei che tu lo portassi da me, così che possa capire quali danni ha già causato», disse Erlindir.

    «D’accordo», rispose prontamente l’incantatrice, visto che le bugie le venivano molto facilmente alle labbra.

    «È stato più difficile mantenere i portali», bisbigliò Draygo Quick attraverso la sfera di cristallo al suo omologo, Parise Ulfbinder, un potente stregone di alto rango che viveva in una torre simile a quella in cui stava lui nell’Enclave dell’Ombra, ma su Toril. «E il mio sostituto mi ha detto che gli è risultato più difficile di quanto immaginasse servirsi del passo dell’ombra per tornare a casa».

    Parise si accarezzò la corta barba nera, che agli occhi di Draygo parve stranamente esagerata nello spazio ridotto della sfera di cristallo. «E hanno combattuto contro dei drow, vero? E di certo anche contro dei tessitori di incantesimi».

    «Non in quell’occasione, credo».

    «Ma c’erano moltissimi drow nelle viscere di Gauntlgrym».

    «Sì, è ciò che mi è stato detto».

    «E Glorfathel?» chiese Parise, riferendosi a un mago elfo della banda di mercenari Cavus Dun, che era sparito rapidamente e in modo del tutto inaspettato a Gauntlgrym proprio prima del grave scontro.

    «Nessuna notizia», rispose Draygo Quick, per poi aggiungere rapidamente: «Sì, è possibile che Glorfathel abbia creato qualche flusso magico per impedire la nostra ritirata. Ma non possiamo affermare che ci abbia traditi. Mentre invece siamo certi che l’abbia fatto la sacerdotessa nana».

    Parise si appoggiò allo schienale e si passò le dita tra i lunghi capelli neri. «Tu non credi che sia stato Glorfathel a ostacolare il passo dell’ombra», dichiarò.

    Draygo Quick scosse il capo.

    «E non credi nemmeno che sia stata opera dei maghi drow, o della sacerdotessa», aggiunse Parise.

    «Il passo dell’ombra era più difficile», affermò Draygo. «Ci sono dei cambiamenti nell’aria».

    «La Devastazione della Magia è stata un cambiamento», disse Parise. «La comparsa dell’Ombra è stata un cambiamento. Adesso si sta semplicemente venendo a creare una nuova realtà».

    «Oppure è la vecchia realtà che si sta preparando a tornare?» chiese Draygo Quick. Dall’altra parte della sfera di cristallo, Parise Ulfbinder si limitò a sospirare e a scrollare le spalle.

    Si trattava solo di una teoria, in fin dei conti, una credenza basata sulla lettura fatta da Parise, Draygo Quick e alcuni altri delle «Tenebre di Cherlrigo», un enigmatico sonetto trovato in una lettera scritta dal vecchio mago Cherlrigo. Questi sosteneva di avere tradotto il poema da Le foglie di un’erba, un libro andato ormai perduto, scritto quasi mille anni prima e basato su alcune profezie risalenti a un migliaio di anni prima ancora.

    «Il mondo è pieno di profezie», disse Parise, sebbene dal suo tono di voce trasparisse poca convinzione. Era insieme a Draygo quando avevano recuperato la lettera, e la quantità di sofferenza e il potere delle maledizioni contenuti nel sonetto sembravano dare un certo peso alle sue parole.

    «Se dobbiamo credere a quello che dice Cherlrigo, il libro nel quale ha trovato il sonetto era stato scritto a Myth Drannor», ricordò Draygo Quick a Parise. «Dai Divinatori Oscuri della Torre della Canzone del Vento. Non si tratta di un testo di vaneggianti deliri scaturiti dalla mente di qualche sconosciuto divinatore».

    «No, ma è comunque un libro di messaggi criptici», ribatté Parise.

    Draygo Quick annuì, riconoscendo la sgradevole verità.

    «Questo poema evoca uno stato temporaneo», proseguì Parise. «Non facciamoci intimorire da ciò che non comprendiamo pienamente».

    «Non facciamoci cogliere impreparati mentre il mondo si appresta a cambiare intorno a noi», replicò il vecchio stregone.

    «A cambiare temporaneamente!» ribatté Parise.

    «Solo se la seconda quartina viene interpretata come una misura di tempo e non di spazio», ricordò Draygo Quick.

    «Il nono verso costituisce un chiaro indizio, amico mio».

    «Ci sono molte interpretazioni!».

    Draygo Quick si appoggiò alla spalliera della sedia, unendo la punta delle dita avvizzite davanti alla fronte aggrottata, e inavvertitamente lanciò uno sguardo alla pergamena poggiata a faccia in giù su un lato dello scrittoio. Le parole del sonetto gli danzarono davanti agli occhi, e lui mormorò: «E nemici che emanano la particolare fragranza del loro dio».

    «Tu conosci qualcuno di questi favoriti?» chiese Parise, sebbene dal tono di voce lasciasse intendere di sapere già la risposta.

    «Potrei», ammise Draygo Quick.

    «Dobbiamo tenere d’occhio questi mortali prescelti».

    Draygo Quick stava già annuendo prima ancora che Parise cominciasse a pronunciare la frase.

    «È colpa tua se si è persa la spada?» chiese Parise.

    «È colpa di Herzgo Alegni!» protestò Draygo Quick, in modo un po’ troppo impetuoso.

    Parise Ulfbinder serrò le grosse labbra e aggrottò la fronte.

    «Non saranno per niente contenti di me», ammise Draygo Quick.

    «Fai discretamente appello al Principe Rolan», gli consigliò Parise, riferendosi al governante di Gloomwrought, una potente città del Regno delle Ombre all’interno dei cui confini si trovava la torre di Draygo Quick. «È giunto a comprendere l’importanza delle Tenebre di Cherlrigo».

    «È preoccupato?».

    «C’è parecchio da perdere», riconobbe Parise, e Draygo Quick si rese conto di non poter dissentire. Nell’udire dei suoni dal corridoio, il vecchio stregone salutò con un cenno del capo il compagno e coprì con un panno di seta la sfera di cristallo.

    La voce della Mutaforma che, ancora a una certa distanza dalla porta, stava parlando con uno degli inservienti, gli fece capire che doveva aver portato con sé il druido, come avevano concordato. Approfittando dei pochi istanti che gli restavano, Draygo Quick prese la pergamena e se la mise davanti agli occhi per leggere un’altra volta il sonetto.

    Godetevi lo spettacolo mentre le ombre si portano via il giorno…

    Il mondo non è altro che metà di se stesso per chi impara a camminare.

    Banchettate coi teneri funghi e pelate il loro gambo chiaro;

    Non indugiate, perché gli dei dormono sempre.

    Ma siate prudenti, col passo leggero e la voce bassa.

    Non osate agitare il divino per affrettare il giorno della Separazione!

    Una perdita profonda ma non destinata a durare,

    L’inevitabile strappo sarà, o non sarà, il risultato di una scelta.

    Oh, sì, di nuovo il tempo di vagare in un mondo solitario!

    Con regni perduti e tesori irraggiungibili,

    E nemici che emanano la particolare fragranza del loro dio.

    Divisi e interi, attraverso le celestiali sfere vengono scagliati,

    Fuori portata dei dweomer e della nave che corre nel vento;

    Con ninnoli lasciati a coloro che gli dei favoriscono.

    «La fragranza particolare di quale dio emani, Drizzt Do’Urden?» mormorò Draygo Quick. Tutti gli indizi – l’affinità di Drizzt con la natura, la sua condizione di ranger, l’unicorno che cavalcava – stavano a indicare Mielikki, una dea della natura, ma a lui erano giunte molte altre voci secondo le quali Drizzt sarebbe stato il favorito di una dea decisamente diversa e molto più cupa.

    In ogni caso, il vecchio stregone avvizzito non aveva alcun dubbio circa il fatto che quel drow scellerato godesse dei favori di qualche divinità. E, al punto in cui si trovava con la sua ricerca, aveva ben poca importanza quale fosse.

    Nel sentir bussare alla porta, girò di nuovo la pergamena con le «Tenebre di Cherlrigo» a faccia in giù sullo scrittoio, si alzò lentamente e si girò, invitando la Mutaforma e il suo compagno a entrare.

    «Benvenuto, Erlindir di Mielikki», disse garbatamente, chiedendosi che cosa avrebbe potuto sapere di quella dea, e magari anche delle sue «fragranze», oltre ai compiti che la Mutaforma l’aveva già convinto a svolgere per lui.

    «È la vostra prima visita nel Regno delle Ombre?» chiese Draygo Quick.

    Il druido fece segno di sì. «La prima volta che vengo nel paese dei fiori senza colore», rispose.

    Draygo Quick guardò la Mutaforma, la quale annuì con aria sicura a indicargli che Erlindir era pienamente sotto l’influsso del suo incantesimo.

    «Avete capito qual è il vostro compito?» chiese Draygo Quick al druido. «Oltre al fatto che dobbiamo saperne di più su questo abominio?».

    «Mi sembra abbastanza evidente», rispose Erlindir.

    Draygo Quick annuì e indicò una porta laterale, chiedendo a Erlindir di fare strada. Mentre il druido si avviava, il vecchio stregone si avvicinò alla Mutaforma. Lasciò entrare Erlindir nella stanza vicina e lo pregò di concedergli un attimo, prima di chiudere la porta e fermarsi fuori con lei.

    «Non sa di Drizzt?» le chiese.

    «Viene da una terra lontana», bisbigliò lei.

    «Non farà alcun collegamento tra la pantera e il drow, allora? Le leggende su di lui sono molte e di vasta portata».

    «Non sa niente di Drizzt Do’Urden. Gliel’ho chiesto personalmente».

    Draygo Quick diede un’occhiata alla porta. Era contento e anche un po’ deluso. Di certo, se Erlindir avesse saputo di Drizzt e Guenhwyvar, quell’incarico avrebbe potuto rivelarsi difficile. Riconoscere la pantera rischiava di procurargli uno shock capace di distruggere il dweomer della Mutaforma. Tuttavia, il risultato che ne sarebbe derivato avrebbe sicuramente compensato la perdita dei suoi servigi, dato che a quel punto Erlindir sarebbe stato costretto a fornire loro delle informazioni riguardo la posizione occupata da Drizzt nei confronti della dea Mielikki.

    «È impossibile che mi abbia ingannata», aggiunse la Mutaforma. «Ero già nei suoi pensieri quando l’ho interrogato, e se mi avesse mentito, me ne sarei accorta».

    «Ah, bene», disse Draygo Quick con un sospiro.

    La Mutaforma, che non aveva idea della discussione in corso tra Draygo Quick, Parise Ulfbinder e parecchi altri Signori netheresi, lo guardò con un certo stupore.

    Il vecchio stregone rispose a quello sguardo con un tranquillo sorriso disarmante. Aprì la porta e, insieme alla Mutaforma, raggiunse Erlindir all’interno della stanza dove, sotto un panno di seta non molto diverso da quello che copriva la sfera di cristallo, c’era Guenhwyvar che stava girando in tondo in una magica gabbia in miniatura.

    Fuori dalla residenza di Draygo Quick, Effron Alegni osservava e aspettava. Aveva visto entrate la Mutaforma… la sua immagine, perlomeno, dato che non si era mai certi di vedere realmente l’instancabile illusionista. Non conosceva il suo compagno umano, ma sicuramente quel vecchio non era un’ombra, non aveva l’aspetto di un netherese, e non sembrava trovarsi per niente a casa nel Regno delle Ombre.

    Si trattava della pantera, Effron lo sapeva.

    Quel pensiero lo tormentava. Draygo Quick non gliel’aveva restituita, ma quel felino era probabilmente lo strumento più importante di cui poteva disporre per vendicarsi di Dahlia. La Mutaforma non aveva avuto successo nelle sue negoziazioni con il ranger drow, quando aveva cercato di scambiare la pantera con la tanto ambita spada netherese, Effron però non avrebbe fallito. Se fosse stato in grado di prendere la pantera, era convinto di poter togliere di mezzo uno dei più importanti alleati di Dahlia.

    Ma Draygo Quick l’aveva proibito.

    Draygo Quick.

    Il suo maestro, o così Effron credeva.

    Le ultime parole del vecchio stregone rinsecchito gli risuonavano ancora nella mente: «Stupido ragazzo, ti ho mantenuto in vita unicamente per rispetto nei confronti di tuo padre. Adesso che lui non c’è più, con te ho chiuso. Vattene. Vai a cercarla, giovane sciocco, così che tu possa probabilmente rivedere tuo padre nelle terre più oscure».

    Effron aveva cercato di tornare da Draygo, di ricostituire il loro legame.

    Ma gli allievi servitori del vecchio stregone l’avevano cacciato senza mezzi termini.

    E adesso stava succedendo quello… Effron sapeva che la visita della Mutaforma era stata anticipata dai progetti che Draygo Quick aveva riguardo alla pantera. Progetti che non comprendevano lui. Progetti che non avrebbero aiutato le sue pressanti necessità.

    Progetti che quasi certamente le avrebbero ostacolate.

    Il giovane tiefling dal corpo contorto, con il braccio inerte che gli penzolava sulla schiena, rimase accovacciato tra la buia sterpaglia fuori dalla residenza di Draygo Quick per quasi tutto il giorno.

    A fare smorfie.

    «Stai facendo un gioco pericoloso, vecchio stregone», disse la Mutaforma più tardi quella notte, mentre prendeva le monete da Draygo Quick.

    «Non se hai condotto la tua ricerca e hai fatto i tuoi incantesimi in modo corretto. Non se Erlindir è anche solo la metà del druido che sostieni che sia».

    «È decisamente potente. Ed è per questo che mi ha lasciato stupita il fatto che tu gli permetta di tornarsene vivo nel Toril».

    «Dovrei uccidere qualunque potente mago e sacerdote semplicemente per questo, allora?» chiese Draygo Quick.

    «Adesso sa molte cose», lo mise in guardia la Mutaforma.

    «Mi avevi assicurato che non sapeva nulla di Drizzt Do’Urden e che non si è mai trovato vicino a lui nel vasto territorio del Faerûn».

    «Vero, ma se lui nutre qualche sospetto, non è possibile che si sia dotato di un dweomer simile a quello che ha posto su di te… per consentirti di vedere il mondo attraverso gli occhi della pantera?».

    La mano di Draygo Quick si bloccò a metà strada verso la mensola su cui teneva il brandy di Silverymoon. Lo stregone si girò a guardare la sua ospite. «Devo chiedere indietro i miei soldi?».

    La Mutaforma si mise a ridere e scosse il capo.

    «Perché allora ipotizzi una cosa del genere?» chiese Draygo Quick, lasciando indugiare la domanda nell’aria mentre il sorriso di lei si faceva elusivo. Prese la bottiglia e riempì un paio di bicchieri, posandone uno sulla credenza e bevendo un sorso dall’altro.

    «Perché, mia astuta signora», chiese alla fine, «stai cercando di estorcermi le ragioni che mi spingono ad agire così?».

    «Devi riconoscere che le tue… tattiche suscitano la mia curiosità, eh?».

    «Perché? Sono interessato a Lady Dahlia e ai suoi compagni, certo. Mi hanno causato grandi sofferenze, e sarei un debole se non li ripagassi».

    «Effron è venuto da me», disse la Mutaforma.

    «A cercare la pantera».

    Lei annuì, e Draygo Quick notò che teneva in mano il brandy che lui le aveva versato senza però porgerle il bicchiere, e che lei non aveva preso… o che perlomeno, non le aveva visto prendere. «So che Effron desidera con tutto se stesso che questa Dahlia venga uccisa».

    «Concediamogli più forza, allora!» replicò Draygo Quick con esuberanza.

    Ma la Mutaforma, per nulla tratta in inganno dalla sua reazione, rimase in piedi a scuotere il capo.

    «Sì, Dahlia è sua madre», rispose Draygo Quick alla muta domanda di lei. «Dai lombi di Herzgo Alegni. Quell’elfa impetuosa lo ha scagliato giù da una scogliera immediatamente dopo la nascita. Purtroppo per lui, non è rimasto ucciso a causa della caduta perché è finito in un boschetto di pini che ha attutito l’impatto, spezzandogli però la colonna vertebrale».

    «Le sue lesioni…».

    «Sì. Effron era, e rimane, decisamente spezzato», spiegò lo stregone. «Ma Herzgo Alegni non lo ha abbandonato. Non a livello fisico e nemmeno affettivo, per molti anni, finché non è risultato evidente ciò che il piccolo Effron sarebbe stato».

    «Deforme. Infermo».

    «E a quel punto…».

    «Lui si è messo a studiare ed è diventato un promettente giovane stregone sotto lo sguardo attento del grande Draygo Quick», dedusse la Mutaforma. «Anzi, ben più di questo. Lui è diventato il randello per aiutarti a fare a pezzi la cocciuta determinazione del sempre fastidioso Herzgo Alegni. È diventato decisamente prezioso per te».

    «È un mondo difficile», si lamentò Draygo Quick. «Si deve ricorrere a qualunque mezzo per riuscire a procedere adeguatamente attraverso questi mari burrascosi».

    Alzò il bicchiere in un brindisi e bevve un altro sorso. La Mutaforma fece altrettanto.

    «E quali mezzi stai cercando adesso grazie alla pantera?» chiese lei.

    Draygo Quick fece una scrollata di spalle, come se la cosa non avesse importanza. «Fino a che punto conosci questo Erlindir?».

    Fu la Mutaforma a scrollare le spalle.

    «Ti accoglierebbe nel suo boschetto?».

    Lei annuì.

    «È un discepolo di Mielikki», osservò Draygo Quick. «Sai qual è la sua posizione?».

    «È un potente druido, sebbene la sua mente si sia offuscata con l’età».

    «Ma gode dei favori della dea?» chiese Draygo Quick con maggiore insistenza di quanto avrebbe dovuto, come gli fece chiaramente intendere la reazione della Mutaforma, che si irrigidì e assunse un’espressione preoccupata.

    «Non dovrebbe essere indispensabile, per vedersi concedere dei poteri?».

    «Più di quello», insistette Draygo Quick.

    «Mi stai chiedendo se Erlindir gode di speciali favori da parte di Mielikki? Se è un Eletto?».

    Il vecchio stregone non batté ciglio.

    La Mutaforma gli rise in faccia. «Se lo fosse, credi che mi sarei azzardata a raggirarlo? Mi credi pazza, vecchio stregone?».

    Draygo Quick respinse quelle stupide domande con un gesto della mano e bevve un altro sorso di brandy, rimproverandosi in silenzio per avere così ansiosamente perseguito una tale inverosimile idea. Si rese conto di essere un po’ confuso. L’intensità della conversazione con Parise Ulfbinder lo aveva messo a dura prova.

    «Questo Erlindir conosce altri che potrebbero essere così favoriti dalla sua dea?» chiese.

    «Il capo del suo ordine, probabilmente».

    «No… o forse», disse lo stregone. «Cerco questi favoriti, quelli conosciuti come Eletti».

    «Di Mielikki?».

    «Di tutti gli dei. Qualunque informazione tu possa ottenere per me su questa faccenda sarà molto apprezzata e generosamente ricompensata».

    Mentre si apprestava a versarsi dell’altro brandy, la Mutaforma domandò con grande scetticismo e interesse: «Drizzt Do’Urden?».

    Draygo Quick fece un’altra scrollata di spalle. «Chi può saperlo?».

    «Erlindir, forse», rispose lei. Vuotò il bicchiere e si avviò verso l’uscita, fermandosi un attimo a gettare un’occhiata alla stanza dove si trovava prigioniera la pantera.

    «Goditi la permanenza su Toril», disse.

    «Goditi…» mormorò Draygo Quick mentre lei se ne andava. Non era un consiglio a cui dava normalmente ascolto.

    Parte 1

    Il bambino spezzato

    Non lo ritenevo possibile, ma il mondo diventa sempre più grigio intorno a me, e sempre più confuso.

    Com’era ampia la linea di separazione tra l’oscurità e la luce quando lasciai per la prima volta Menzoberranzan. Ero talmente pieno di legittime certezze, sebbene il mio destino apparisse incerto. Potevo battere il pugno sulla roccia e proclamare con grande sicurezza e soddisfazione interiore: «È così che il mondo funziona meglio. Questo è giusto e questo è sbagliato!».

    E adesso sto viaggiando con Artemis Entreri.

    E adesso la mia amante è una donna di…

    La linea tra l’oscurità e la luce diventa sottile. Ciò che una volta sembrava una chiara definizione si sta rapidamente trasformando in una nebbia confusa.

    Nella quale mi muovo, con uno strano senso di distacco.

    Questa nebbia c’è sempre stata, naturalmente. Non è il mondo a essere cambiato, ma semplicemente la percezione che ho di esso. Ci sono sempre stati, e ci saranno sempre, ladri come l’agricoltore Stuyles e la sua banda di briganti di strada. Dal punto di vista della legge, loro sono effettivamente dei banditi, ma il livello d’immoralità non scende molto più in basso sotto i piedi dei feudatari di Luskan e persino di Waterdeep, le cui strutture sociali pongono uomini come Stuyles in una posizione insostenibile? Costringendoli ad andarsene a caccia per le strade al solo scopo di sopravvivere, di mangiare, vivendo una misera esistenza ai margini di una società che li ha dimenticati.. sì, addirittura abbandonati!

    In apparenza, persino questo dilemma sembra semplice. Tuttavia, quando Stuyles e i suoi entrano in azione, non assalgono forse, non aggrediscono, non uccidono persino dei semplici esecutori al servizio di maestri manipolatori… persone ugualmente disperate che lavorano all’interno delle incrinate strutture della società per nutrire se stessi e le loro famiglie?

    Da quale parte pende allora la bilancia morale?

    E cosa forse ancora più importante in base al mio punto di vista e alle mie scelte personali, quale direzione devo scegliere per seguire al meglio i principi e le verità che mi stanno a cuore?

    Dovrò essere un giocatore singolo in una società costituita solo da me, prendendomi cura delle mie necessità personali in sintonia con ciò che credo sia giusto? Un eremita, allora, che vive in mezzo agli alberi e agli animali, simile a Montolio deBrouchee, il mio mentore da lungo tempo scomparso. Questo sarebbe il percorso più facile, ma basterebbe a soddisfare una coscienza che ha da molto tempo privilegiato la comunità rispetto all’individuo?

    Dovrò essere l’attore principale in un piccolo stagno, dove ogni gesto ispiratomi dalla coscienza propaga delle onde verso le rive circostanti?

    Entrambe queste opzioni sembrano descrivere al meglio quella che è stata la mia vita fino ad ora, credo, nel corso degli ultimi decenni al fianco di Bruenor, e insieme a Thibbledorf, Jessa e Nanfoodle, dove non ci preoccupavamo che dei nostri problemi. Le nostre necessità personali venivano quasi sempre prima di quelle delle comunità che ci stavano intorno, mentre cercavamo Gauntlgrym.

    Dovrei avventurarmi su un lago, dove le mie onde diventeranno delle semplici increspature, o su un oceano di società, dove quelle increspature potrebbero benissimo rischiare di diventare invisibili tra le maree delle civiltà dominanti?

    Dove, mi chiedo e temo, la presunzione finisce e la realtà ha la meglio? È questo il pericolo che si corre nel mirare troppo in alto, oppure sono limitato dalla paura che mi trattiene troppo in basso?

    Ancora una volta mi sono circondato di potenti compagni, sebbene non così moralmente irreprensibili come quelli che avevo in precedenza, e molto meno controllabili. Insieme a Dahlia, a Entreri, all’affascinante nana che si fa chiamare Ambragris, e a questo monaco estremamente dotato, Afafrenfere, non ho alcun dubbio che troveremo il modo d’intervenire energicamente in alcune delle situazioni più delicate di quella regione selvaggia che è il nord della Costa della Spada.

    Ma sono anche consapevole dei rischi che la cosa comporta. So chi era un tempo Artemis Entreri, a prescindere dalle mie speranze riguardo al suo comportamento futuro. Dahlia, malgrado tutte le sue molteplici e interessanti qualità, è pericolosa e tormentata dai demoni, dei quali sto solo adesso cominciando a capire l’importanza. E oggi mi sento ancora meno a mio agio con lei, poiché la comparsa di quello strano, giovane tiefling le ha messo la mente in subbuglio.

    Ambragris – Ambra Gristle O’Maul degli Adbar O’Maul – potrebbe essere la più degna di fiducia del gruppo, anche se, quando l’ho incontrata la prima volta, faceva parte di una banda venuta a uccidermi e a catturare Dahlia per conto di forze decisamente oscure. E in quando ad Afafrenfere… be’, non so semplicemente cosa pensare.

    Quello di cui sono certo, tenendo conto di ciò che sono venuto a sapere riguardo a questi compagni, è che in base ai miei obblighi morali nei confronti delle verità che mi stanno a cuore, non posso seguirli.

    Il fatto che io possa o debba convincerli a seguire me è tutt’altra cosa.

    Drizzt Do’Urden

    1

    Echi del passato

    Delle nuvole scure galoppavano nel cielo, ma di tanto in tanto i raggi di luna penetravano quella coltre e brillavano dolcemente attraverso la finestra della stanza, bagnando di luce la spalla liscia di Dahlia. Lei dormiva girata su un fianco, la schiena rivolta verso Drizzt.

    Il drow si alzò, appoggiandosi su un gomito, e rimase a contemplarla. Il suo sonno era tranquillo adesso, il respiro ritmico e regolare, mentre poco prima si era agitata in preda a qualche incubo e aveva gridato: «No!».

    Aveva dato l’impressione di tendere la mano, come per prendere o respingere qualcosa.

    Drizzt non aveva potuto capirne di più, ovviamente. Quell’episodio gli aveva ricordato che conosceva davvero ben poco la compagna. Quali demoni portava Dahlia sulle sue dolci spalle?

    Drizzt spostò lo sguardo verso la finestra, e sul vasto mondo che stava al di là. Che cosa ci faceva, di nuovo nella città di Neverwinter? Stava aspettando il momento giusto?

    Erano tornati là dopo un viaggio denso di pericoli a Gauntlgrym, durante il quale avevano avuto molte sorprese, e avevano anche trovato due nuovi compagni, una nana e un umano. In modo del tutto inaspettato, Entreri era sopravvissuto malgrado fosse convinto di dovere la propria longevità alla spada, che era stata distrutta.

    In effetti, quando Drizzt aveva gettato l’Artiglio di Caronte nel pozzo del primordiale, era praticamente convinto che Artemis Entreri sarebbe stato distrutto insieme all’arma. Invece lui era scampato.

    Si erano avventurati nelle tenebre e ne erano usciti vittoriosi, sebbene né Drizzt né Dahlia avessero apprezzato quell’avventura, così come adesso non erano in grado di assaporare la loro vittoria. In Drizzt persisteva ancora un sentimento di rancore e gelosia, poiché Dahlia ed Entreri avevano condiviso molte cose nel corso di quegli ultimi giorni, fino a raggiungere un’intimità persino più profonda di quella che aveva lui con Dahlia. Lui era il suo amante, mentre Entreri l’aveva semplicemente baciata quando aveva creduto di essere in procinto di morire. Tuttavia, Drizzt aveva l’impressione che Dahlia si fosse emotivamente aperta a Entreri più di quanto avesse mai fatto con lui.

    Si girò di nuovo a guardare l’elfa.

    Era tornato a Neverwinter in cerca di qualche motivo di distrazione? La sua vita si era semplicemente ridotta a una serie di distrazioni fino al giorno in cui non avesse trovato il cammino che lo portava alla tomba?

    Molte volte, in passato, Drizzt aveva lasciato che il Cacciatore, il combattente avido di battaglie e di sangue, avesse il sopravvento su di lui. Il Cacciatore soffocava il dolore. Molte volte, in passato, il Cacciatore aveva distolto l’attenzione di Drizzt dal suo cuore straziato, mentre le ferite si rimarginavano almeno un poco col passare dei giorni.

    Era quello che stava facendo adesso? L’idea gli parve indecente, ma in effetti, non si stava forse servendo di Dahlia allo stesso modo in cui un tempo si era servito dei nemici in battaglia?

    No, era ben più di quello, si disse. Lui teneva a Dahlia. L’attrazione che provava per lei andava ben oltre il sesso e il bisogno di compagnia. I molti aspetti occulti di quell’elfa lo affascinavano. C’era qualcosa nascosto in lei, qualcosa di cui nemmeno lei era consapevole – o così almeno sembrava – che Drizzt trovava decisamente attraente.

    Ma mentre riportava lo sguardo verso la finestra e il vasto mondo che stava al di là, Drizzt dovette riconoscere che non stava facendo altro che guadagnare tempo… per lasciare che il dolore provocatogli dalla perdita definitiva dei Compagni di Mithral Hall si attenuasse. O penetrasse più profondamente in lui, cosa assai probabile.

    Aveva paura, era addirittura terrorizzato.

    Aveva paura di scoprire che la sua vita non fosse stata altro che una menzogna, che la sua dedizione alla comunità e la convinzione che c’era un bene comune per cui valeva la pena combattere altro non fosse che una folle missione condotta in un mondo troppo pieno di egoismo e cattiveria. Il peso delle tenebre sembrava farsi beffe di lui.

    Che senso aveva tutto questo?

    Si spostò sul fianco del letto e si mise seduto. Pensò a Luskan e alla terribile caduta del Capitano Deudermont. Pensò all’agricoltore Stuyles e alla sua banda di briganti, alla nebbia grigia nella quale vivevano, intrappolati tra la moralità e la necessità, tra la legge e i diritti più elementari di qualsiasi essere umano. Pensò al Trattato della Gola di Garumn, che aveva fatto insediare un regno di orchi alle porte della patria dei nani. Quella era stata la conquista più grande di Re Bruenor o la sua più grande follia?

    O peggio ancora, la cosa aveva una qualche importanza?

    Per qualche momento, la domanda restò in sospeso nell’aria davanti a lui, fuori portata. La sua vita non era stata altro che follia?

    «No!» esclamò di nuovo Dahlia, girandosi.

    Il grido risuonò in Drizzt, che si voltò a guardare l’elfa da sopra la spalla. Lei giaceva distesa sulla schiena, di nuovo immersa in un sonno tranquillo, con la luce della luna che le illuminava il viso quel tanto che bastava a mettere in evidenza le macchie azzurre del tatuaggio di guado.

    «No!» sentì nuovamente gridare Drizzt nel suo cuore e nella sua anima, e anziché pensare ai fallimenti e alle perdite, si costrinse a ricordare le vittorie e le gioie. Pensò al giovane Wulfgar che, sotto la tutela sua e di Bruenor, era diventato grande e forte, e aveva riunito le tribù barbare e gli abitanti di Ten-Towns nella pace e per una causa comune.

    Di certo quella non era stata una vittoria da poco!

    Ripensò a Deudermont, non alla sua sconfitta finale, ma alle numerose vittorie riportate in mare, facendo regnare la giustizia sulle acque rese pericolose da pirati senza pietà. La caduta di Luskan non poteva cancellare quegli sforzi e quelle buone azioni; quanti innocenti erano stati salvati dal generoso capitano e dall’equipaggio della Folletto del Mare?

    «Che stupido sono stato!» mormorò Drizzt.

    Ricacciò la sua indecisione, ricacciò la sua sofferenza personale, ricacciò l’oscurità.

    Si alzò, si vestì e si diresse alla porta. Si voltò a guardare Dahlia, poi tornò indietro, si chinò e la baciò sulla fronte. Lei non si mosse, e Drizzt uscì silenzioso dalla stanza, e per la prima volta dalla morte di Re Bruenor, si mosse con sicurezza.

    Giunto in fondo al corridoio, bussò a una porta. Non udendo alcuna risposta, bussò di nuovo, più forte.

    Con indosso solo le mutande e i capelli tutti scompigliati, Artemis Entreri spalancò l’uscio. «Che c’è?» chiese in tono scocciato, ma anche un po’ preoccupato.

    «Vieni con me», disse Drizzt.

    L’altro lo guardò incredulo.

    «Non adesso», spiegò Drizzt. «Non stanotte. Ma vieni con me quando lascerò la città di Neverwinter. Ho un’idea, un… motivo per farlo, ma mi serve il tuo aiuto».

    «Che cosa stai tramando, drow?».

    Drizzt scosse il capo. «Non posso spiegartelo, ma te lo mostrerò».

    «C’è una nave che salpa verso sud tra due giorni. Ho intenzione di imbarcarmi».

    «Ti chiedo di ripensarci».

    «Hai detto che non ti dovevo niente».

    «Te lo confermo».

    «Perché allora dovrei seguirti?».

    Drizzt trasse un profondo sospiro, disturbato da quel continuo cinismo. Perché mai tutti quelli che gli stavano intorno continuavano a chiedergli cosa avessero da guadagnare nel fare qualcosa?

    «Perché te lo sto chiedendo».

    «Dammi un’altra ragione».

    Drizzt lo fissò mestamente. Entreri fece per chiudere la porta. «So dove trovare il tuo pugnale», si lasciò sfuggire Drizzt. In effetti, non aveva avuto intenzione di dirglielo, dato che non aveva previsto di aiutare Entreri a recuperare l’arma.

    L’altro diede l’impressione di chinarsi appena un poco verso di lui. «Il mio pugnale?».

    «So dov’è. L’ho visto di recente».

    «Dimmi».

    «Prima devi accettare di venire con me», disse Drizzt. «La nostra strada ci porterà là abbastanza presto». Si interruppe un momento, poi si sentì obbligato ad aggiungere, per il suo bene, se non proprio per quello di Entreri: «Vieni con me, a prescindere dal motivo, senza tener conto del pugnale o di qualunque altra cosa tu possa ottenere. Hai bisogno quanto me di fare questo viaggio, mio vecchio nemico». Drizzt era convinto di ciò che diceva poiché, sebbene il piano che stava formulando nella sua mente avesse buone probabilità di portarlo a compiere un importante viaggio personale, la cosa avrebbe potuto dimostrarsi persino più importante per Artemis Entreri.

    L’uomo in preda a sentimenti contrastanti e profondamente ferito che stava davanti a lui avrebbe potuto essere la misura di tutto quanto, si disse Drizzt.

    Il viaggio di Artemis Entreri gli avrebbe dato ragione, o avrebbe reso la sua vita una menzogna ancora più grande?

    Entreri sembrava cercare di elaborare quell’ultima frase quando Drizzt riportò di nuovo l’attenzione su di lui.

    «Tutte le strade per me sono uguali», rispose con una scrollata di spalle.

    Drizzt sorrise.

    «Alle prime luci?» chiese Entreri.

    «C’è qualcosa che devo fare prima», rispose Drizzt. «Ho bisogno di un giorno, o forse due, dopodiché potremo partire».

    «A recuperare il mio pugnale», disse Entreri.

    «A trovare molto più di quello», replicò Drizzt, e mentre Entreri chiudeva la porta, aggiunse sottovoce: «per entrambi».

    Fu con un passo molto più leggero che Drizzt tornò da Dahlia. Fuori, la notte diventava sempre più chiara, pervasa com’era dal vivido bagliore della luna.

    La cosa parve decisamente appropriata agli occhi del drow che, guardando fuori dalla finestra, si mise a considerare il mondo sotto una nuova luce, e con una nuova speranza.

    Tutto d’un tratto.

    Drizzt e Dahlia procedevano lentamente lungo la strada della foresta a sud-est della città di Neverwinter… lentamente perché l’impaziente drow aveva lasciato che fosse Dahlia a stabilire il passo. Drizzt non si aspettava che lei lo accompagnasse quel giorno, e non le aveva chiesto di farlo. Cercava la casa della veggente dai capelli rossi, Arunika, che una volta gli aveva fornito – e che, con un po’ di fortuna, l’avrebbe fatto di nuovo – delle informazioni riguardo a Guenhwyvar.

    I pallidi raggi del sole proiettavano lunghe ombre attraverso i rami degli alberi e punteggiavano di una luce arancione il terreno coperto di foglie morte davanti a loro. L’inverno non era ancora giunto, anche se non era molto lontano. Alcuni alberi avevano perso i colori autunnali e adesso erano nudi ad affrontare il vento gelido, mentre altri conservavano cocciutamente le ultime foglie della stagione.

    «Perché siamo qui?» chiese Dahlia, e non per la prima volta.

    Quelle parole strapparono Drizzt alla contemplazione e lo irritarono non poco. Fu tentato di ricordare a Dahlia che lei l’aveva seguito di sua spontanea volontà, e magari di aggiungere che avrebbe preferito che fosse rimasta in città insieme agli altri.

    Fu tentato, ma decise saggiamente di non farlo.

    Quello era il suo regno, la foresta, il dominio della sua dea, il luogo dove più di tutti gli veniva ricordata la vastità della natura. Quella sensazione che incitava alla modestia permetteva a Drizzt di affrontare con calma i problemi che lo tormentavano. Davanti al grandioso schema del mondo, al ciclo della vita e della morte, alla vastità delle sfere celesti, così tanti «problemi» sembravano avere poca importanza.

    Ma Dahlia gli pose di nuovo la stessa domanda.

    «Avresti potuto restare a Neverwinter», rispose Drizzt senza soffermarsi a riflettere.

    «Non mi vuoi al tuo fianco?» disse Dahlia, con una voce dalla quale traspariva già una punta di aggressività. E Drizzt si limitò a sospirare, rendendosi conto di essere caduto nella sua trappola. Stava soprattutto cercando di dare un senso al loro rapporto, cosa che stava facendo anche lei, gli parve di capire. Ma purtroppo, quando si trattava di sentimenti personali, la logica e la ragione sembravano soffocate da emozioni più primitive e potenti.

    «Sono contento che tu sia qui», le disse Drizzt. «Vorrei solo che lo fossi anche tu».

    «Non ho mai detto…».

    «Mi hai chiesto una decina di volte perché siamo qui. Forse non c’è altro motivo se non quello di goderci i raggi del sole attraverso questa volta di rami e foglie».

    Dahlia si fermò e lo fissò con uno sguardo duro, le mani sui fianchi, e Drizzt non poté fare a meno di fermarsi a sua volta e guardarla.

    Lei scosse il capo. «Durante questi ultimi giorni sei sempre stato preso dai tuoi pensieri, al punto da sentire a malapena quello che dicevo. Sei qui accanto a me, ma è come se non lo fossi. Perché siamo qui?».

    Drizzt sospirò e annuì. «Il viaggio a Gauntlgrym mi ha lasciato con più domande che risposte».

    «Siamo andati a distruggere la spada, ed è quello che abbiamo fatto».

    «È vero», ammise Drizzt. «Ma…».

    «Ma Artemis Entreri è ancora qui», lo interruppe Dahlia. «Questo ti disturba così tanto?».

    Drizzt tacque e rifletté sulla miriade di domande che gli passavano vorticose per la mente. Tutto sommato, la questione di Entreri era un problema secondario, se paragonato al vero obiettivo di quel viaggio nella foresta, ossia cercare di apprendere il maggior numero di cose possibili su Guenhwyvar.

    «C’è uno scopo nella tua vita adesso?» le chiese. Lei arretrò di un passo e assunse un atteggiamento più guardingo, fissandolo con attenzione.

    «Abbiamo svolto parecchie missioni da quando siamo insieme», le spiegò Drizzt. «Tutte urgenti. Abbiamo riportato il primordiale nella sua trappola magica. Ci siamo vendicati di Sylora e di Herzgo Alegni, e poi abbiamo liberato Entreri dall’insidiosa schiavitù della spada. Le strade che abbiamo percorso sono state tutta una serie di missioni piccole ma importanti, ma qual è l’obiettivo principale che le tiene insieme?».

    Dahlia lo guardò come se gli fosse spuntata una seconda testa. «La nostra sopravvivenza», rispose con sarcasmo.

    «Direi di no!» replicò Drizzt. «Avremmo potuto abbandonare la regione alle forze primordiali. Avremmo potuto fuggire da quei nemici».

    «Ci avrebbero inseguito».

    «Fisicamente, o semplicemente nei tuoi sogni?».

    «Entrambe le cose», disse Dahlia. «Sylora avrebbe tentato di trovarci, e Alegni…» a quel punto si interruppe e sputò a terra.

    «Perciò le nostre strade sono state stabilite da necessità immediate».

    Dahlia alzò le spalle e continuò a dare l’impressione di essere poco convinta.

    «Ma adesso?» chiese lui.

    «Non lo stai chiedendo a me», rispose Dahlia. «Tu mi stai semplicemente preparando alla strada che ritieni più opportuno seguire».

    Drizzt poté solo mettersi a ridere e stringersi nelle spalle per parecchi secondi. «Lo sto chiedendo», rispose alla fine, «a te e a me stesso».

    «Fammi sapere quando trovi una risposta», replicò l’elfa, girandosi e incamminandosi di nuovo verso nord, in direzione di Neverwinter.

    «Ci siamo quasi», disse Drizzt dopo che lei ebbe fatto un paio di passi.

    Dahlia si fermò e si voltò. «Dove?» chiese.

    «Arunika la Veggente», confessò Drizzt. «Vorrei parlarle a proposito di Guenhwyvar». Rimase a guardarla ancora un attimo, poi si voltò, si strinse nelle spalle e si diresse verso sud. Dahlia lo raggiunse rapidamente.

    «Avresti potuto parlarmene quando siamo partiti», gli disse.

    Drizzt si limitò a stringersi di nuovo nelle spalle. La cosa aveva forse importanza? Non era nemmeno certo di sapere dove si trovasse la casa di Arunika. Da qualche parte a sud. Così gli aveva detto Jelvus Grinch, ma nessuno sembrava saperlo con precisione.

    Quando l’aveva incontrata in precedenza, dopo la disfatta degli Shadovar a Neverwinter e prima del viaggio a Gauntlgrym, la veggente aveva sostenuto di non riuscire a percepire alcuna connessione tra la statuetta che Drizzt possedeva e la pantera che l’artefatto era solito chiamare. E da quel che poteva giudicare Drizzt, nulla era cambiato.

    Tuttavia, prima di lasciare quel posto, lui doveva fare un ultimo tentativo. Lo doveva, così come molte altre cose, alla sua più fedele compagna.

    Con tutti quei pensieri che gli turbinavano nella mente, Drizzt quasi non notò un sentiero laterale segnato dalle tracce evidenti di un recente passaggio, dettaglio che di solito non sfuggiva all’astuto ranger. Fece dietrofront all’ultimo momento e si diresse verso il sentiero, chinandosi a esaminare il terreno. Dahlia lo raggiunse.

    «Questi segni sono abbastanza recenti», osservò l’elfa.

    Drizzt si accovacciò e tastò il terreno, verificandone la solidità ed esaminando con attenzione un’impronta abbastanza chiara. «Goblin». Si alzò e scrutò la foresta. Forse quel sentiero portava alla casa di Arunika, si disse. Era stata assalita da quelle piccole e sudicie creature?

    In tal caso, avrebbe probabilmente trovato cadaveri di goblin sparpagliati attorno alla dimora inviolata di Arunika. A detta di tutti, quella donna era formidabile.

    «Oppure Ashmadai», disse Dahlia, riferendosi ai fanatici adoratori di demoni che avevano costituito l’armata di Sylora Salm nella Foresta di Neverwinter. Dopo la caduta di Sylora, quella forza si era sparpagliata in tutta la regione, o perlomeno così avevano detto loro le guardie di Neverwinter.

    «Goblin», insistette Drizzt. Avanzò di qualche passo lungo il sentiero, poi si voltò a guardare Dahlia, che non l’aveva seguito.

    «Potrebbero assalire qualunque carovana proveniente da Waterdeep prima delle nevi invernali», disse Drizzt, ma Dahlia si limitò a una scrollata di spalle, apparentemente poco interessata.

    La sua indifferenza ferì Drizzt, sebbene non ne fosse sorpreso. Era consapevole di avere davanti a sé una lunga strada da percorrere se sperava di poterla rendere un giorno più sensibile ai bisogni altrui.

    Tuttavia lei sorrise, impugnò il suo bastone, l’arma magica conosciuta come Ago di Kozah, superò Drizzt e imboccò il sentiero, inoltrandosi nella foresta.

    «È da una decina di giorni o forse più che non combattiamo contro qualcuno», osservò. «Un po’ di esercizio non mi farebbe male… per non parlare delle monete di cui potremmo venire in possesso».

    Drizzt tornò a guardare il sentiero principale per un po’ mentre l’elfa si allontanava. Le parole di lei non lasciavano trasparire molto altruismo, ma forse quel sentimento era comunque presente, nascosto sotto il fardello che le gravava sulle robuste spalle.

    Lei era tornata a Gauntlgrym e dal primordiale, dopotutto, e sebbene sostenesse di averlo fatto semplicemente per vendicarsi di Sylora Salm, Drizzt sapeva che non era così. Era stato il senso di colpa a riportare Dahlia ad affrontare l’estremo pericolo di quel luogo oscuro. Il senso di colpa generato dal bisogno di rimediare ai terribili danni a cui lei aveva contribuito, dato che aveva svolto un ruolo nella liberazione della mostruosa creatura di fuoco, e di conseguenza anche nella catastrofe che aveva distrutto Neverwinter un decennio prima.

    Nascosti in Dahlia c’erano compassione, empatia, e un senso di giusto e

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