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Love Killers
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E-book248 pagine3 ore

Love Killers

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Info su questo ebook

Paolo, scrittore di racconti, precipita in un incubo senza fine: una serie di omicidi vede infatti come vittime sia le donne che ha amato nella vita che le muse ispiratrici dei suoi libri, in un allucinante intreccio di realtà e fantasia.
Psic, come viene presto battezzato dalla stampa l’astuto serial killer, ha tra le peculiarità quella di lasciare sul luogo del delitto biglietti che, nelle sue folli intenzioni, avrebbero lo scopo di far riflettere sul senso della vita e dell’amore.
Sentendosi braccato dalla polizia dato che le vittime conducono inesorabilmente al suo nome, Paolo decide di rifugiarsi in una casa sperduta in un bosco, dover ripercorre le tappe della sua vita sentimentale per cercare di svelare il mistero.
Love Killers ci regala una delirante discesa nelle tortuosità della mente, una lotta estenuante tra il bene e il male, un percorso a ostacoli tra eros e thanatos.
LinguaItaliano
Data di uscita3 lug 2014
ISBN9788867931118
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    Anteprima del libro

    Love Killers - Dario Pasquali

    http://creoebook.blogspot.com

    Dario Pasquali

    LOVE KILLERS

    Questa è un’opera di fantasia. Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono fittizi o usati in modo fittizio. Tutti gli episodi, le vicende, i dialoghi di questo libro, sono partoriti dall’immaginazione dell’autore e non vanno riferiti a situazioni reali se non per pura coincidenza.

    Ogni uomo si confronta con una mancanza,

    con il fantasma di ciò che non c’è più

    e che si vorrebbe invece ricreare.

    E’ per questo che sostengo che nella coppia

    non si è mai in due,

    ma almeno in quattro:

    i due partner più i loro rispettivi fantasmi,

    che trovano consistenza in tutta quella serie di proiezioni

    che l’uno riversa nell’altro.

    ALDO CAROTENUTO

    I

    La casa nel bosco

    C’è una casa di legno nascosta tra gli alberi di un bosco. I colori muovono dal blu al grigio, non c’è molta luce, e il legno del pavimento risuona cupo e morbido ai passi lenti di Paolo.

    Si ferma, quindi, quasi al centro della stanza e guarda fuori dalla finestra, come se stesse aspettando qualcuno. Non c’è vento forte e i rami degli alberi si muovono, lenti.

    Paolo è un uomo di circa quarantacinque anni, capelli neri, occhi scuri, altezza media.

    Continua a guardare verso l’esterno, si ferma immobile, come se avesse sentito qualcosa. Sembra aspettare qualcuno. Poi si distrae, si distende, si va a sedere sul bordo del letto che è sulla parete opposta alla porta finestra di ingresso.

    Abita in quella casa da qualche giorno, ha dovuto lasciare l’Italia, perché ricercato dalla polizia. Ha attraversato il confine e si è nascosto in quel villaggio, poco fuori Parigi.

    Paolo, fin da piccolo, aveva avuto una grande passione per i libri, per la lettura e per la scrittura. Aveva scritto il suo primo racconto attorno ai diciassette anni e da allora non aveva mai abbandonato questa abitudine. Dopo la laurea in psicologia, aveva cercato un impiego per lavorare nel mondo dei libri. Era stato assunto dalla Future Editions come lettore, addetto all’editing e correttore di bozze e non aveva mai più cambiato lavoro.

    Adorava conoscere in prima persona gli scrittori, per lui riuscire a connettere un racconto al suo autore era la vera magia. Gli sembrava di poter finalmente trovare il collegamento tra i fatti e la loro creazione. Nei libri e nei racconti non ci potevano essere dubbi di natura metafisica, e non era necessario ricorrere alla fede. Il processo di creazione era chiaro, così come le responsabilità degli avvenimenti.

    Poi per quanto riguardava i suoi racconti, non aveva mai smesso di scriverli e di conservarli. Li rileggeva più volte, nel tempo, li correggeva e li modificava continuamente. Era questo il suo modo per vivere e rivivere, come se fosse sempre la prima volta, come se niente fosse scontato e tutto potesse accadere, cambiare, dare ancora un’altra opportunità. Paolo scriveva per essere sorpreso, per mantenere la speranza che nessuno mai potesse scrivere la parola fine.

    La sua vita era andata avanti tra alti e bassi, come è per tutti, tra periodi di vita condivisa e periodi di solitudine, in anni in cui sembrava che non potesse vivere senza forti emozioni e passioni e in anni in cui il distacco e il silenzio erano stati medicine meravigliose.

    Non era successo niente per molto tempo, poi tutto era stato stravolto dall’impossibile, dalla mancanza di senso, dalla follia. Un giorno un assassino, un serial killer, aveva cominciato a uccidere nella vita reale, una dopo l’altra, tutte le donne che erano state nella finzione personaggi dei suoi racconti. Il folle sembrava essere in grado di identificarle e raggiungerle, sia che fossero persone del mondo reale, sia che, al contrario, fossero solo inconsapevoli e casuali fonti di ispirazione.

    Paolo, incredulo, aveva accolto la notizia del primo omicidio con un dolore incerto, come se fosse ovviamente solo un caso. Alla seconda vittima aveva avuto il battito del cuore accelerato per tutta una notte. Infine gli investigatori delle squadre speciali di polizia avevano identificato in lui l’unico elemento in comune tra tutte e Paolo non aveva potuto fare altro che fuggire via.

    Nella sua nuova casa di legno tra gli alberi, nella campagna francese, ritrovata un po’ di lucidità, aveva prima terminato un nuovo racconto che aveva in mente. Poi aveva ordinato tutti gli altri dall’ultimo al primo e aveva cominciato a rileggerli, in attesa che il killer venisse lì da lui.

    Per cui ora, nel presente, Paolo si volta e osserva di nuovo verso la finestra di ingresso, come se qualcuno potesse entrare da un momento all’altro. Ha tra le mani una copia cartacea dei racconti, ordinati in senso inverso nel tempo, sembra pronto a ricominciare la lettura. Posa i fogli a lato sul letto.

    Non ha altre idee, questa è l’unica cosa che pensa di poter fare a questo punto, l’assassino verrà a cercarlo proprio lì, in quella casa, per eliminare l’unico testimone in grado di tradirlo. Lui sarà lì ad aspettarlo quando arriverà, sa come fare per attirarlo.

    Respira con calma, sul comodino a fianco c’è la foto di due ragazzi, un maschio e una femmina e nell’altra metà del letto una donna giace distesa. La donna ha i capelli scuri, indossa un vestito a fiori, ha gli occhi chiusi, non si vede se respira, potrebbe essere addormentata oppure morta.

    1

    Difendere la linea

    (Brano consigliato per la lettura:

    San Jacinto – Peter Gabriel – New Blood version)

    Paolo

    Le storie finiscono, si schiantano contro mura invalicabili. Perché far finire una storia è come essere Dio, è come disegnare il destino. In giro ci sono assassini di storie seriali, le uccidono con violenza, all’improvviso, con un colpo netto. Per salvare le mie storie ho scritto racconti e romanzi, fino al punto in cui ho perso l’orientamento.

    Ma da qualche mese, nel mondo reale, c’è veramente qualcuno che sta uccidendo le donne dei miei racconti, una dopo l’altra, un vero serial killer. So di non avere scampo a questo punto, solo io posso fermarlo e forse posso provare a capire, cercando di rimanere sulla linea del limite il più a lungo possibile, accettando le sue regole del gioco. Sul bordo di confine tra la vita e la morte, tra la fine e l’inizio, tra la realtà e i sogni, cercando le verità che ho negato a me stesso e a tutti gli altri. In quella terra di nessuno tra l’immaginario e una possibile realtà. Devo cogliere il senso per puro intuito. Perché se il mondo reale non ascolta e quello dei sogni illude, nell’area di confine, dove le correnti si mischiano, dovrà pur esserci un luogo di trasparenza, creato per puro caso. Tra acque, correnti, gorghi, vento, sabbia e pure intuizioni.

    E adesso tutto sembra pronto, sono seduto sul bordo del letto e so che questa volta sto facendo la cosa giusta. Nella vita reale gli altri avrebbero voluto che fossi diverso.

    Osservo in basso i miei piedi nudi sulle tavole di legno del parquet, muovo le dita, giusto un po’, le sollevo e poi le contraggo proprio perché le guardo, come a salutare. Non ho paura. Per il momento. Non ho paura di me. Ma tutto è lento e chiaro. Guardo di nuovo in basso, ho in una mano una busta di plastica trasparente, nell’altra un rotolo di nastro adesivo, quello marrone lucido, per imballaggi. Ma c’è della musica, quel brano di Peter Gabriel, ascolto le parole.

    Ma ecco che mi distraggo, come al solito, non riesco mai a mantenere la concentrazione a lungo, mi scappa via un pensiero, lo osservo allontanarsi, prendere la rincorsa, curvare in volo e puntare contro di me. Rabbrividisco, è una sensazione di pericolo, improvvisa e implacabile.

    Sento freddo, guardo avanti perché, in verità, so che quel pensiero mi fa tremare per la paura di voltarmi per vedere cosa ho alle spalle. Lì, dietro di me, c’è tutto ciò che esiste, che accade, si muove, si avvicina, mi osserva alle mie spalle, ma io non posso proprio ruotare la testa per controllare, basterebbe poco. Sono immobilizzato da un terrore inutile, perché ora sono un oggetto da colpire, da ferire, da uccidere. Guardo avanti, attendo, mi stringo a me, come se quel qualcosa che ho dietro potesse colpirmi all’improvviso, è una sensazione terrificante, molto più del mio morbido suicidio e il tempo sembra non passare mai.

    Io so che c’é una donna distesa lì, nell’altra metà del letto, il suo corpo è a pochi centimetri da me, forse basterebbe solo che facessi scorrere la mano un po’ più in là, per toccarla ed io ora non sono in grado di cedere alla voce tentatrice che insinua il desiderio di voltarmi. Forse è morta, forse il suo ultimo respiro è venuto fuori come un sospiro, forse è ancora viva.

    Non mi muovo, per non interrompere quel sonno qualsiasi e immagino pensieri pericolosi e cattivi. Lei è distesa, ha gli occhi chiusi, sembra dormire, ma ecco che improvvisamente li apre, sono occhi neri, si muove subito, un po’ a scatti, in modo innaturale, si solleva e mi fissa a pochi millimetri dalla mia spalla. Io sento la sua vicinanza con quella specie di tatto a distanza che fa rabbrividire. Qui si blocca, forse posso sentire il suo respiro. Ha il volto bianco, lo sguardo freddo, gli occhi gialli di sangue. Rimango impietrito dal terrore, non mi volto, non posso, proprio no, aspetto inorridito di sentire la sua mano sfiorarmi le spalle, il freddo di una ferita mortale, tremo per i brividi. Sento il suo respiro, un soffio cattivo, il vento sottile che precede un’esplosione di violenza.

    Ma ora è meglio che la smetta e la faccia finita, una volta per tutte. Sto perdendo tempo con l’immaginazione, una donna è distesa sul letto, alle mie spalle, non si muove, forse è morta.

    Poi i pensieri scappano di nuovo via e mi perdo ancora una volta nel nulla. A fatica recupero il filo del ragionamento e, se deve essere l’ultimo pensiero, che sia quello giusto, provo allora a recuperare il mio intento iniziale. Ora muoio. Questo era quello che avevo deciso.

    Infine sono venuto qua, in questa piccola casa, in un bosco a pochi chilometri da Parigi, con una copia di tutti i miei racconti in valigia. Perché ora c’è un assassino che sta uccidendo le donne, reali o immaginarie, protagoniste delle storie che ho raccontato nei miei scritti. Per questo ho cominciato a rileggere i miei racconti, uno per uno, perché pensavo che ci avrei potuto trovare quell’indizio, quel piccolo segreto che mi avrebbe permesso di capire e di smascherarlo, perché forse la verità non è nella realtà e la fantasia è vera, anche se non reale. O forse sono io che ogni volta ho fatto in modo che i miei amori avessero fine.

    Ma se l’assassino che le sta uccidendo appartiene al mondo reale, io so che con la realtà non sono mai stato a mio agio. E ora, in equilibrio tra la vita e la morte, in un istante che potrebbe durare per sempre, proverò a rivivere in prima persona nelle mie storie inventate, per arrivare a scoprire chi è l’inesorabile assassino che ha ucciso e sta uccidendo i miei amori. Per mia fortuna ho con me la musica.

    Mi ripeto che sono arrivato a questo punto, perché non ho voluto arrendermi e forse mi sto già trasformando in un personaggio di un mio racconto. Ho accettato la sfida e non mi sono arreso. Sono qui per mantenere la linea, per resistere fino all’ultimo.

    Allora decido di voltarmi, ora posso, i pensieri mi hanno spinto abbastanza lontano, lentamente, osservo, lei è immobile, distesa sul letto, è l’ultima, non ho il coraggio di guardarla in viso. Mi basta pensare che non si sia mossa. Scorgo i colori del suo abito a fiori. Mantengo la linea.

    Sollevo la busta di plastica e vi infilo dentro la testa, vedo il mio respiro annebbiare dall’interno le superfici trasparenti, lo faccio di proposito, non vedo niente e poi piano torna un po’ di luce. Non mi arrendo.

    Con il nastro adesivo sigillo i bordi della busta attorno al mio collo. Mentre respiro la plastica si avvicina e si allontana dalle mie labbra e dalle mie guance. Respiro il mio respiro. Mi pressa sugli occhi. Mi distendo sul letto, al suo fianco. Prendo la sua mano nella mia, la stringo. È fredda, rigida. La stringo, come per riscaldarla. Pensano che sia stato io. Pensano che le abbia uccise tutte io. In Italia sono ricercato dalla polizia. Ma ora mi rimane poco tempo. Respiro già a fatica. Mi manca il respiro. Mantengo la linea. Rimango a distanza.

    E nel mentre, nella mia storia, proprio in questo istante, una donna corre per il bosco, tra gli alberi. Corre e sbatte contro i rami. Ha il volto coperto, non si vede il viso, il colore dei capelli, indossa un giubbotto con un cappuccio nero. Non ho più tempo. Sto per morire, ma non ci penso. La donna nel bosco avanza, cercando di evitare i rami, si ferma, forse ha perso l’orientamento.

    Lo hanno soprannominato Psic, il killer degli amori, le sta uccidendo tutte, una dopo l’altra, anche se le avevo conosciute solo per brevi, lunghi, inutili, inventati, sofferti, felici, virtuali incontri o intersezioni di vite. Donne che ho amato o che ho creduto di amare o che ho provato ad amare o che ho solo incontrato per poco o che ho semplicemente immaginato, giusto da uno sguardo o dall’ascolto di una voce o di un particolare del viso o da un paio di scarpe.

    O forse sono stato io. Perché tutte le mie storie prima o poi finiscono sempre. O tutto finisce sempre. Sì, forse sono stato io a far finire ogni volta tutto. Vivere o morire, costruire o distruggere. E di qualsiasi colpa sia responsabile, giuro che non me ne sono reso conto.

    Perché ho incontrato più verità nei personaggi dei miei racconti, che in tutte le persone che ho incontrato nella vita reale.

    Ok, mio caro Psic, a noi due!

    Psic

    Primo giorno - Parole di Nostro Signore:

    «Oggi portami l’umanità intera, specialmente tutti i peccatori e immergili nell’oceano della mia Misericordia. Così tu addolcirai la mia amarezza per la perdita delle anime.»

    Poi, all’improvviso, mi è diventato tutto chiaro. Non era giusto andare avanti così ed io non potevo rimanere a guardare. Vanità, possesso, denaro, potere, seduzione, egoismo, successo.

    E allora in una libreria ho scelto un po’ a caso libri di psicologia, di sociologia, di filosofi, di religione e ho cominciato a leggere, così come veniva. Finché ho ricostruito le parole che cercavo, in un'unica enorme verità. Un’unica enorme verità:

    C’è il consumismo che ci obbliga solo a desiderare ed essere desiderabili, siamo malati di narcisismo, pensiamo di meritare attenzioni particolari, niente e nessuno mai ci soddisfa e reagiamo con rabbia a qualsiasi negazione. Il narcisismo è, in verità, mancanza di amore e la seduzione è solo un inganno. Ci sono prigioni invisibili e la libertà totale fa paura. Si fugge dalla libertà, per fondersi con qualcuno o qualcosa al di fuori da sé, per acquistare la forza che ci manca. E gli individui vivono uno stato di dipendenza da altre persone o da istituzioni o dalla natura, perché sentono la vita come qualcosa di irresistibilmente potente, che esse non sono in grado di dominare o controllare. Nel masochismo si viene spinti a diminuirsi e a sottomettersi a forse esterne, a farsi del male e a infliggersi delle sofferenze. Nel sadismo si tende a rendere gli altri dipendenti da noi e ad avere un potere assoluto e illimitato su di loro, per andare oltre, sfruttare, usare, rubare loro, fino al desiderio di far soffrire. Ma è inutile farsi troppe illusioni se si tenta di capire con la logica, le razionalizzazioni tendono a spiegare un’azione o un sentimento razionalmente e realisticamente, anche se sono determinati da fattori irrazionali e soggettivi.

    Ho annotato tutti questi concetti, li ho un po’ mischiati e, anche se l’ho fatto in modo disordinato e casuale, ora vedo un percorso, finalmente un senso. Leggo e rileggo, sfoglio altri libri, ricopio le frasi su un quaderno, le aggiungo, le cancello, cerco di metterle nel giusto ordine e ogni tanto mi ripeto che le razionalizzazioni non bastano. A volte mi disarmo, tutto mi sembra troppo complesso, e ho paura di non avere comprensione. Ma adesso, che devo passare ai fatti, non posso limitarmi a una soluzione leggera o a una cura che non preveda strappi violenti, come può solo la morte. Poi tutti dicono queste cose, tipo che non esiste più l’amore o che tutto è interesse e calcolo. Ma nessuno fa niente. Nessuno cambia. Siamo prodotti in vendita, il nostro valore è quello di mercato e sta a noi venderci e acquistare nel modo migliore, in modo che nello scambio ci sia un margine di guadagno. Ma il mercato è libero e la concorrenza feroce e non ci sono più regole. Tutto vale. Non è violenza questa? E nessun reato è previsto per questo. Si uccidono vite, speranze, progetti futuri, amori.

    Ma sei stato tu a ridurmi fino al punto in cui non sapevo più chi fossi. Mi svegliavo al mattino ed era come essere persi, mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo. Chi ero? Gli altri vedevano la stessa persona che vedevo io? Allora ho cominciato a chiedere in giro, per capire chi potessi essere. C’è un amore enorme nel mondo, vi voglio bene tutti, ma, credetemi, non c’è da avere paura della morte, mamma me lo ripete quasi ogni notte, prima che mi addormenti, mi appare nel buio. Ha indosso lo stesso vestito del giorno del suo funerale. Ma io non so proprio se mi ha perdonato, forse no, forse non ancora. Ma è per questo che io andrò fino alla fine, l’amore vero è quello di Dio, in Lui si trova tutta la bellezza del mondo. Gli amori finti devono essere smascherati ed eliminati. Quando mamma morì, io non ero con lei, al suo fianco, ero altrove, nell’illusione del nostro amore, che invece era finto come tutti gli altri. Gli amori finti vanno distrutti prima, ancor prima che nascano. Ora lo so. Nessuna pietà. Nemmeno quando supplicano, piangono, tremano, prima di morire.

    Non c’è da avere paura della morte. È solo un attimo.

    II

    Nera

    Paolo aveva scritto il suo ultimo racconto proprio in quella casa, lo aveva intitolato Superman.

    A volte i protagonisti dei suoi racconti

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