Mi Rasna
Di Monica Serra
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Info su questo ebook
Fantasy - racconto lungo (35 pagine) - Sete di giustizia, oltre la morte e il tempo!
Anno 1243: Michele fugge da Viterbo, stretta nell’assedio degli Svevi, diretto a Roma, dove intende iniziare una nuova vita. La distanza non è molta, ma gli ostacoli sono ardui: Malaspina, una ladra pronta a saccheggiare una tomba etrusca, i soldati del papa, un cardinale che non è un cardinale e “presenze” che arrivano dall’altro lato del tempo…
Monica Serra, “narratrice di mondi”, percorre universi fantastici districandosi tra famiglia, gatti e lavoro. I suoi racconti sono stati pubblicati in varie antologie. Ha una spettacolare magnolia giapponese, spesso fonte di ispirazione, ama i viaggi e i libri. Con il racconto Mi Rasna ha vinto la seconda edizione (2018) del premio intitolato a Gianfranco Viviani.
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Anteprima del libro
Mi Rasna - Monica Serra
Viviani.
1
Viterbo, A.D. 1243
Michele scivolò senza far rumore a pochi passi dalle tende più piccole. Erano spuntate nella valle sottostante le mura con la velocità dei funghi intorno al sontuoso padiglione dell’Imperatore: una distesa di rozzi ripari eretti laddove fino a poco tempo prima c’erano vigne e campi di grano. Ora le ali dell’aquila bicefala degli Hohenstaufen svolazzavano indomite e nere come il nulla sui vessilli giallastri, fino ai limiti estremi a cui si poteva spingere lo sguardo. L’esercito dello Svevo circondava la città come una robusta cinta d’acciaio, stringendola in un implacabile assedio.
L’aria era densa di umori e Viterbo, austero gigante di pietra, si stagliava contro il cielo bluastro, mezzo miglio alle sue spalle. Un’alba dorata liberò i primi raggi di sole sul campo addormentato e l’erba brillò nella bruma del mattino.
Dev’essere il mio giorno fortunato, pensò Michele alla vista del cavallo bardato di tutto punto che pascolava incustodito appena fuori dalle linee fortificate. Dovevano sentirsi al sicuro, quei maledetti alemanni, se a quell’ora non girava nemmeno una sentinella. Per un istante si chiese se fosse meglio tornare indietro e mettere le sue braccia al servizio del cardinal Capocci. Non avrebbe voluto andarsene in quel modo, come un ladro, ma ormai in città per lui non c’era più nulla, dopo la morte di suo padre, nessun affetto, nessun legame. A Roma, invece, aveva un vecchio zio per parte di madre che forse lo avrebbe accolto nella sua casa e magari gli avrebbe trovato un lavoro. Guardò il puledro. Tra Viterbo e Roma c’erano tre giorni di cammino e la cavalcatura sarebbe stata preziosa per abbreviare la distanza. Ricacciò ogni scrupolo e fece per avvicinarsi. Un calpestio strascicato raggelò il tiepido mattino primaverile. Michele borbottò un’imprecazione e si affrettò a nascondersi dietro i cespugli più vicini.
Forse non è un giorno così fortunato, pensò. Se l’avessero scoperto, avrebbero fatto piantare la sua testa in cima a una lancia, come monito agli assediati. Strusciò le mani gelide e sudate sui calzoni, si asciugò il labbro superiore con la manica, sfoderò il pugnale senza far rumore e attese.
Sbirciando tra i rami, vide due gambe inguainate in calzoni di cuoio fermarsi proprio davanti al suo nascondiglio. A pochi passi di distanza, il cavallo sbuffò.
– Guten Morgen, Pferdefreund – salutò l’uomo in tono allegro. I riflessi d’oro dei capelli riverberarono attraverso il fogliame. Michele strinse l’arma. Ci fu un rumore di stoffa, seguito da un lungo scroscio, poi un sospiro soddisfatto e di nuovo fruscio di tessuti. La puzza gocciolò con l’urina e Michele si lasciò sfuggire un insulto. Il cespuglio fu quasi strappato via dal terreno. Michele scattò in avanti e piantò il pugnale nel collo dello svevo prima che questi potesse fiatare. L’uomo emise un gorgoglio e uno spruzzo di sangue scintillò nella luce dell’alba. Sfruttando la sorpresa, Michele lo spinse a terra e scaricò sopra la lama tutto il peso del corpo. Il pugnale penetrò nella gola del soldato fino all’impugnatura. Il corpo fu scosso da un fremito, poi restò immobile. Ansimante, Michele rotolò via dal cadavere e senza perdere tempo lo trascinò tra i cespugli. Recuperò il pugnale e si avvicinò al cavallo.
– Avanti, bello – mormorò. – Diventiamo amici, prima che gli imperiali mi scoprano.
Blandì l’animale in tono appena percettibile per non innervosirlo. Allungò la mano sporca di