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Il figlio di Nergal
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Il figlio di Nergal
E-book474 pagine6 ore

Il figlio di Nergal

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Info su questo ebook

Fantascienza - romanzo (342 pagine) - L'atteso seguito del romanzo finalista al Premio Urania "Il nastro di Sanchez"


Ormai Halcon è sempre più convinto di voler restare per sempre su Tequiero, il mondo dove ha trovato la sua dimensione e la sua grande passione, il volo. Solo una cosa lo trattiene ancora sulla Terra: l'amore per Sofia. Così, quando anche la ragazza arriva su Tequiero, per lui sembra la realizzazione definitiva di un sogno.

Ma è davvero così? Il suo mentore non ne sembra affatto convinto, e anche il suo amico Pericle cerca di metterlo in guardia, ricordandogli l'inganno del cavallo di legno creato da Ulisse.


Giovanna Repetto, nata a Genova e residente a Roma, è psicologa e psicoterapeuta.

È redattrice della storica rivista letteraria online Il Paradiso degli Orchi fin dalla sua fondazione.

Ha pubblicato per Moby Dick i romanzi La banda di Boscobruno (1999, premio Selezione Bancarellino), Palude, abbracciami! (2000, premio Navile Città di Bologna). La gente immobiliare (2002) e Cartoline da Marsiglia (2004), e per Gargoyle L'alibi della vittima (2014). Col romanzo Il nastro di Sanchez è arrivata in finale al Premio Urania.

LinguaItaliano
Data di uscita25 giu 2019
ISBN9788825409406
Il figlio di Nergal

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    Anteprima del libro

    Il figlio di Nergal - Giovanna Repetto

    9788825401936

    1

    – Ehi, Halcon, avvicinati, vieni qui.

    Decius, ritto in piedi sul Picco del Desiderio, aveva steso le sue ali nuove di zecca. Indossava una corta tunica bianca, il suo colore preferito, e si preparava al primo volo pavoneggiandosi.

    Halcon, fiutando la trappola, si manteneva a una certa distanza.

    – Vieni, fermati qui con me. Sto aspettando Mentore. Dux me ducebit. Guiderà il mio volo. Non vuoi essere presente?

    Halcon, per non mostrarsi scortese, atterrò su uno spuntone di roccia e ripiegò le ali. Il numida sorrise.

    – Vieni più vicino. Apri bene le ali, fammi vedere quanto sono grandi.

    – Non ci tengo a questi confronti – si schermì Halcon.

    – Hai paura? Anche tu conoscerai l’invidia, adesso.

    – Non invidio nessuno. Hai delle ali bellissime, chi lo nega? Goditele.

    Decius aveva già indossato i guanti e i calzari da volo, gli uni e gli altri provvisti di artigli che consentivano di aggrapparsi alle rocce. I Tessitori li avevano confezionati inserendovi le spine durissime della Bella Dolorosa. Il ragazzo scalpitava in attesa del momento in cui si sarebbe staccato dal Picco del Desiderio per planare nell’aria fino a raggiungere il Picco della Felicità. Quella rupe, irraggiungibile a piedi, rappresentava il primo traguardo di chiunque aspirasse al volo.

    Hermosa e Linda, le due piccole lune gemelle, rischiaravano delicatamente il cielo notturno di Tequiero, ma all’orizzonte una striscia splendente annunciava il levarsi della Terza Luna.

    – Sarà meglio che ti lasci solo – disse Halcon. – È il tuo momento. Dovrai concentrarti per godertelo al meglio.

    Da un lato il ragazzo gli faceva tenerezza, gli ricordava il suo primo volo così denso di emozioni. Ma non era facile levigare certe spigolosità.

    – Vuoi già scappare? Davvero non sopporti di vedermi in volo.

    – Smettila con queste stupidaggini. Volevi le ali. Ora le hai, e io ne sono felice quanto te.

    La Terza Luna si affacciò all’orizzonte, irrorando il cielo della sua luce gloriosa. Halcon rimaneva ogni volta senza fiato. Pensava che a certe forme di bellezza non si fa mai l’abitudine.

    Una sagoma scura attraversò il disco di luce. Mentore si stava avvicinando con il suo volo placido e maestoso, e a ogni movimento la luna gli inargentava le ali.

    Ave, Dux! – gridò Decius appena fu abbastanza vicino. Si vedeva che la sua eccitazione era al culmine.

    Hola, chicos! Bene, siete già qui tutt’e due! Decius Aliger, sei pronto per il volo?

    Paratus sum.

    Halcon, che si era appoggiato a una roccia, si raddrizzò per assumere la posizione di lancio.

    – Allora vi lascio. Auguri, Decius! Fa’ un buon volo.

    Allargò le braccia e stese le ali, che con i loro viticci prensili si saldarono ai polsi e ai gomiti.

    – Aspetta. – Mentore lo fermò. – Non andartene, mi servi qui.

    Decius contrasse le labbra in uno dei suoi sorrisi serpentini.

    – Sta scappando – disse – non sopporta di vedermi volare.

    Mentore rise e andò a sedersi su una roccia sporgente. Si sfilò i guanti da volo e si massaggiò il viso. Aveva l’aria di volersela prendere comoda.

    – È meglio che vada – insisté Halcon. – Vedi, la mia presenza lo innervosisce.

    – Sedetevi tutt’e due. Devo parlarvi.

    – Ma io sono già pronto a volare! – protestò Decius.

    – È proprio vero – commentò Halcon – le ali non hanno influito affatto sul suo cattivo carattere.

    – Non sei tu che devi giudicare il mio carattere.

    – Basta così – intimò Mentore severamente. – State zitti e ascoltate, posto che ne siate capaci.

    Finalmente tacquero. Halcon ripiegò le ali e sedette su una roccia. Decius rimase in piedi, imbronciato.

    – Il volo è una cosa seria – disse Mentore – e io non sopporto queste scaramucce infantili. Chi vola deve dimostrare serietà, senso di responsabilità e consapevolezza dei propri limiti. La tecnica viene dopo.

    – È anche per me la lezione? – domandò Halcon seccato.

    – La tua domanda dimostra che sì, hai ancora bisogno di imparare qualcosa.

    Halcon incassò senza rispondere. Sapeva per esperienza che lo zio non scherzava su certi argomenti.

    – Bene – continuò Mentore – c’è una considerazione da fare, ascoltate. In un percorso di addestramento ogni allievo si trova sempre in un punto in cui è più indietro rispetto a qualcuno e più avanti rispetto a qualcun altro. Dunque è bene che chi ha raggiunto un certo grado di conoscenza spenda un po’ delle sue energie per aiutare chi sta ancora all’inizio. Non vi pare?

    I due lo ascoltavano con la fronte corrugata e il viso contratto, e non ci fu risposta.

    – Perciò oggi sarai tu, Halcon, a dare a Decius i primi rudimenti del volo.

    Decius scattò come una molla.

    Dux, non puoi farmi questo!

    – Non mi sembra opportuno! – aggiunse Halcon alzandosi in piedi. Era terrorizzato all’idea di coltivarsi quella serpe in seno.

    – Invece è molto opportuno – rispose Mentore.

    – Ti prego, Dux, Domine… spero che sia uno scherzo. Non puoi affidarmi a questo bamboccio, che a stento riesce a pulirsi il naso quando piange.

    – Ti prego, zio, esentami dal compito. Se gli tendo la mano la morderà.

    – Ti supplico, pater! – rilanciò Decius.

    – Smettetela di darmi questi epiteti. Non ho nessun legame di parentela con voi due. E sono così disgustato che sto pensando di rinviare il tuo primo volo, Decius.

    – No!

    – E anche a te, Halcon, consiglierei un po’ di riposo…

    – Vuoi punirmi a causa sua?

    – Voglio vedervi volare. Dipende da voi. Che ne dite?

    Halcon e Decius si guardarono in cagnesco. Sembrava che non ci fosse altra soluzione. Trascorse qualche minuto imbarazzante. Poi Halcon si rivolse sommessamente a Decius.

    – Mettiti in posizione, Aliger. Ho visto che sai già come fare.

    Decius aprì le braccia. Le ali si dispiegarono e i viticci si legarono ai polsi e ai gomiti.

    – Ora devo farti una domanda. Io avevo paura, la notte del mio primo volo. È una cosa naturale. Tu hai paura?

    – Stai scherzando – rispose Decius – io non ho mai paura.

    – Mentore dice che se uno non ha paura non è veramente pronto.

    – Parla per te, Halcon. Io non ho avuto paura nemmeno quando mi sono sfracellato insieme a Pablo.

    – Ma allora volevi morire. Ora suppongo di no.

    Mentore li guardava con il suo sorriso sornione, senza muoversi dalla roccia su cui sedeva.

    – Ti ho detto che non ho paura.

    – E va bene. Ora fa’ attenzione. Hai la spalla destra un po’ indietro.

    Halcon sapeva che sulla Terra Decius era privo del braccio destro. Gli era stato amputato dopo che una leonessa del circo gli aveva dilaniato la mano. Gli toccò la spalla per allinearla all’altra.

    – Non accarezzarmi troppo – sussurrò Decius in tono mellifluo – sai che ho un debole per te.

    Halcon finse di non aver udito.

    – Ora vai.

    Decius non aspettava altro. Allungò le braccia in alto come un tuffatore e si gettò in picchiata.

    Halcon, che si era lanciato subito dopo, se lo vide sotto.

    – Ti stai abbassando troppo, cerca di recuperare.

    – Non ho bisogno dei tuoi consigli!

    Per farsi sentire meglio Decius aveva girato leggermente la testa a sinistra e in alto, mentre cercava di aprire bene le ali per far presa sull’aria. L’ala sinistra incontrò una corrente ascendente che la gonfiò verso l’alto, mentre la destra rimaneva rattrappita lungo il braccio che si era istintivamente avvicinato al corpo. Il ragazzo rischiava di ribaltarsi.

    – Apri il braccio destro! – gli gridò Halcon scendendo per raggiungerlo.

    Decius, nel tentativo di rimettersi in asse, aveva cominciato a sgambettare in un modo che peggiorava la situazione. Halcon lo affiancò e gli afferrò la mano destra.

    – Lasciami! – protestò Decius.

    I movimenti divennero scomposti, e nel tentativo di aiutarlo Halcon si sbilanciò. Finì per innescarsi una specie di colluttazione, e i due corpi avvinghiati cominciarono a precipitare.

    Mentore, senza scomporsi più di tanto, si era alzato in piedi e aveva emesso un fischio.

    Una piccola squadra di Cacciatori uscì volando da un boschetto sottostante. Avevano teso una rete fra loro, e coordinarono i movimenti per trovarsi sulla traiettoria dei duellanti prima che si sfracellassero al suolo.

    Mentore si lanciò e planò dolcemente sul prato, in tempo per vedere Decius e Halcon che si dibattevano avviluppati nella rete come due mosche.

    Fra sonore risate i Cacciatori li scodellarono sul prato, ammaccati e afflitti dalla vergogna.

    Decius fu il primo a schizzare in piedi, seguito da Halcon che si massaggiava le ginocchia.

    – Era il mio primo volo! – urlò il numida in faccia a Mentore. – Avete rovinato tutto! Perché non mi hai guidato tu? Ti odio!

    Mentore non sembrava affatto impressionato. Halcon borbottava.

    – Sapevo che sarebbe finita così, zio. Questo pazzo preferisce ammazzarsi piuttosto che accettare un aiuto.

    – Bene – concluse Mentore – credo che non ci sia mai stata una lezione più efficace di questa.

    Decius gli si avvicinò e cominciò a tempestarlo di pugni sul petto. Piangeva di rabbia.

    Con una rapida mossa Mentore lo afferrò per i polsi. Il ragazzo era più forte di lui, eppure si bloccò immediatamente, perché nel confronto l’autorità del maestro superava la sua forza.

    – Decius Aliger – disse Mentore con dolcezza – questo non è il tuo primo volo. Il primo volo lo hai fatto nella tua vita precedente, cavalcando senza ali il corpo di Horacio e combattendo contro di lui per la nostra salvezza. È quello il volo che ti fa onore. Quello che era giusto l’hai già fatto. Ora devi imparare a sbagliare.

    Decius si abbandonò contro la sua spalla e scoppiò a piangere. Era la prima volta che Halcon gli vedeva sgorgare lacrime vere.

    Rimasero per un po’ come un quadretto vivente. Halcon defilato per non mettere in imbarazzo Decius, su cui non aveva nessuna intenzione di infierire. Mentore lasciava che Decius si sfogasse fra le sue braccia.

    Il ragazzo si riprese presto. Si scosse come per cacciar via le lacrime e corse a lavarsi al fiume.

    – Lavati anche tu, Halcon – lo esortò Mentore. – Fa’ in modo che l’acqua ti tolga dal viso quella spocchia da vecchio saggio.

    Si lavarono e si ripulirono dal sangue dei graffi che si erano prodotti con gli artigli. Anche Mentore, per non essere da meno, si lavò il viso.

    Sedettero tutt’e tre sul prato, con le ali ripiegate sulla schiena. In pianura erano tutti uguali e inermi, poiché il loro volo poteva iniziare solo planando da un’altura.

    Mentore era tranquillo, i due ragazzi mortificati. Decius aveva visto naufragare il momento tanto sognato nella sua precedente vita tequieriana, quando la sua schiena era liscia e il desiderio delle ali lo attanagliava come un tarlo insonne. Halcon aveva sperato che lo zio apprezzasse il suo atteggiamento maturo e conciliante, da fratello maggiore, ma ora si sentiva retrocesso al ruolo di scolaretto indisciplinato. E come spesso gli era accaduto con Mentore, si sentiva vittima di un’ingiustizia.

    – Vi stimo più di quanto pensiate – esordì Mentore. – Molto più di quanto stimate voi stessi.

    Decius lo guardava come per dire: non ci credo. Halcon pensava: lo zio sta spendendo i suoi pochi spiccioli di diplomazia.

    – Voi credete di essere due bambini che giocano a volare. – Li fermò con la mano prima che protestassero. – O nel migliore dei casi due atleti in gara.

    Scosse il capo, con espressione grave.

    – No, ragazzi. La verità è che noi tre, da soli, siamo la flotta aerea di Tequiero.

    Suo malgrado Halcon scoppiò a ridere. Mentore si oscurò in viso.

    – Che ti succede, hombre? Non ho visto bolle di Bella Ridente spiaccicartisi in faccia.

    – Scusa, zio. Non sapevo che fossimo in guerra.

    Mentore alzò un sopracciglio.

    – Ah, no?

    – So cosa vuoi dire, Dux – intervenne Decius. – Pablo tornerà, e dobbiamo essere pronti.

    Continuava a riferirsi a Horacio chiamandolo Pablo, ma tutti sapevano che il loro nemico era capace di indossare nomi e volti diversi. E chissà quale sarebbe stato il prossimo.

    – Finché incombe la possibilità del suo ritorno non doterò di ali nessun altro, per non rischiare di darle proprio a lui. Questo dispiacerà a te, Halcon, perché contrasta con il tuo senso di giustizia sociale. So che al contrario a te, Decius, che temi i rivali, la cosa farà piacere.

    – Zio – domandò Halcon – perché nella flotta aerea non hai incluso Paloma?

    Mentore ridacchiò.

    – Paloma è un cane sciolto. Finché crede di essere la dea Ishtar, e sfido chiunque a convincerla del contrario, non prenderà ordini da me né da nessun altro. C’è solo da sperare di averla amica piuttosto che nemica.

    Halcon si trattenne dal far commenti a causa della presenza di Decius. Avrebbe voluto dire che gli schiamazzi che facevano lei e lo zio accoppiandosi in volo testimoniavano lo zelo con cui ne coltivava l’amicizia. Un sorrisetto sul viso di Decius lasciava capire che stava pensando la stessa cosa. Mentore continuò come se non lo avesse notato.

    – Dunque verrà il momento, e sarà senza preavviso, in cui dovremo lottare per la sopravvivenza. Perciò la cosa è seria e non voglio che la sicurezza sia messa a repentaglio da futili giochi. Se volete sfidarvi nelle vostre baruffe fatelo a terra. In volo mai. Dovete giurarlo.

    – Sono d’accordo – dichiarò Halcon.

    Iuro, Dux!

    Mentore sorrise e si massaggiò il viso.

    – Molto bene. Ma non possiamo fermarci alle parole. Sarete sottoposti a un addestramento severo.

    – Sono pronto.

    Paratus!

    – Magnifico. Ora, prima che finisca la notte, tu verrai con me, Decius, a completare la tua formazione di base.

    Gratias tibi ago, Dux.

    – Questo non vuol dire che tu non debba ascoltare i suggerimenti di Halcon, che ha più esperienza. Nei prossimi giorni vi eserciterete nel volo a occhi bendati.

    – A occhi bendati?!

    Decius e Halcon avevano gridato in coro.

    – Domani tu, Decius, sarai bendato e volerai tenendo la mano di Halcon che ti guiderà. Dopodomani sarai bendato tu, Halcon, e sarai guidato da Decius che nel frattempo avrà acquistato, si spera, un altro po’ di pratica.

    – Ma zio…

    Dux

    Mentore alzò le mani in un gesto definitivo.

    – Si chiama fiducia. È uno strumento indispensabile. È l’unica arma che non può essere neutralizzata.

    Halcon e Decius si guardarono di sottecchi. Imparare a fidarsi l’uno dell’altro sarebbe stata una bella impresa.

    2

    Poiché l’addestramento di Decius con Mentore doveva svolgersi nei pressi del Picco della Felicità, Halcon decise di allontanarsi il più possibile per volare in pace e in solitudine. Sentire il corpo proteso nella posizione di volo, tutt’uno con le ampie ali, gli dava una gratificazione profonda.

    Non cessava mai di ricordare le parole che Mentore aveva pronunciato subito prima di iniziarlo all’uso delle ali.

    Non sarai più lo stesso uomo, dopo. Non vorrai mai più fare a meno delle tue ali. Piuttosto che rinunciare al volo sarai disposto a rinunciare a cose che nemmeno immagini.

    Era così. Per le ali aveva rinunciato alla sua vita terrestre, di cui pure rimpiangeva tante cose. L’amore di Sofia innanzitutto. Nel suo ultimo Transito sulla Terra era stato fra le sue braccia, aveva goduto del suo calore e del suo profumo. Continuava a sperare che lei arrivasse un giorno a materializzarsi in un corpo tequieriano, anche se questa gli sembrava un’eventualità lontana. Sofia l’aveva sempre preso per pazzo ogni volta che faceva riferimento alla sua vita parallela, e lui aveva finito per parlargliene sempre meno per non turbarla. Ora si rimproverava di non aver insistito. Se davvero, come pensava, il suo corpo tequieriano aveva raggiunto il Consolidamento, non poteva più tornare più indietro per convincerla.

    Cercò di non pensarci. Ormai aveva fatto la sua Scelta. Si abbandonò alla carezza del vento. La splendida luce della Terza Luna inondava il paesaggio inargentando le rupi che sovrastavano la valle. Sul fondo vedeva luccicare l’acqua del fiume presso il quale aveva sostato poco prima con Mentore insieme a Decius. Una grande ansa delimitava il prato delle Meduse Volanti che sciorinavano i loro colori in una danza instancabile. Quelle creature vivevano una sola notte. Verso l’alba, prima che perdessero del tutto la loro forza, i Cacciatori avrebbero teso le reti per catturarle e portarle ancora vive sulle tavole imbandite del Palazzo di Pietra.

    In lontananza il Vecchio Brontolone, con le sue colate di lava incandescente, brillava di luce propria.

    Halcon si diresse verso la cresta montuosa che delimitava la Palude Nascosta. Era un luogo inospitale che non mancava di un fascino sinistro. Era là che lo zio aveva tracciato sul fango morbido il disegno del Nastro di Sanchez per fargli capire come fosse possibile per una mente umana spostarsi fra due corpi viventi su due diversi pianeti, senza perdere la continuità del tempo. Là gli aveva mostrato il pericolo mortale delle sabbie mobili e gli aveva rivelato il sentiero segreto per evitarle e risalire abbastanza in alto per potersi lanciare in volo sottraendosi alla trappola.

    Il tragitto verso la Palude era abbastanza lungo da costituire, fra andata e ritorno, un buon allenamento al volo, ormai non troppo faticoso per lui, ma tonificante.

    Arrivato alla cresta si accorse che su uno spuntone di roccia c’era già qualcuno, che vedendolo si alzò in piedi.

    – Paloma! Che cosa fai qui da sola?

    La donna sorrise. I capelli neri e folti le circondavano il viso come una nube voluttuosa. Aveva l’abitudine di volare nuda, e Halcon pensò che la bellezza del suo corpo, come il fulgore della Terza Luna, era qualcosa a cui non ci si abituava mai. Paloma-Ishtar non rinunciava però all’ornamento dei gioielli che aveva confezionato lei stessa con i materiali trovati nei boschi di Tequiero, e gli occhi erano bistrati con il succo delle bacche nere.

    – Ora non sono più sola – rispose con la sua voce profonda. Aveva imparato a sostituire le astruse parole in lingua babilonese con quel po’ di spagnolo che aveva imparato e se ne serviva in modo abbastanza fluido.

    – Lo zio sta insegnando a volare a Decius – spiegò lui come a giustificarne l’assenza.

    – Ma tu sei qui.

    Lo guardava in un modo imbarazzante. Halcon non sapeva che cosa dire. Era consapevole dell’attrazione che esercitava su di lui, e ancora di più della sua completa disponibilità. Ma non voleva in nessun modo fare torto allo zio.

    – Lui è il tuo sposo – precisò.

    – Lui è Marduk. – Paloma allungò le braccia e gli appoggiò le mani sulle spalle. – Tu sei Tammuz.

    Halcon conosceva il mito di Ishtar. Marduk era lo sposo, Tammuz l’amante.

    – Io sono Halcon, non sono Tammuz.

    Paloma scoppiò a ridere.

    – Ognuno ha molti nomi. Io sono Ishtar e sono Paloma. Sono ogni dea a cui si rivolge il tuo cuore.

    Gli accarezzava il collo. Si era tolta i guanti da volo, per fortuna, ma le sue unghie erano così dure e affilate da far concorrenza agli aculei della Bella Dolorosa. Avvertì il dolore dei graffi, ma non era niente al confronto dell’eccitazione che lo stava dilaniando.

    – È meglio che vada – disse con un ansito. – Mi ero fermato solo per riposare.

    – Riposa con me, Tammuz.

    – No, non voglio far torto a Mentore. A Marduk, come lo chiami tu.

    – O vuoi che ti insegni come ci si ama volando?

    – Queste cose te le ha insegnate mio zio perché tu le faccia insieme a lui.

    – Voglio dividere con te la mia conoscenza. Non si respinge la dea.

    Gli stava sfilando la tunica da volo con il tocco abilissimo delle sue mani. E intanto gli aveva appoggiato le labbra sul collo. Sentì i denti aguzzi stuzzicargli la pelle. Le piaceva giocare come una gatta.

    – No… – esalò Halcon con un sospiro che era già una resa.

    Su Tequiero non era stato fortunato in amore, e il suo corpo tequieriano era ancora vergine.

    O meglio, lo era stato fino a quel momento. Ora, avvinghiato a Paloma, si accorse di aver infranto anche quel tabù. Scordò Mentore, la lealtà verso lo zio, tutti i buoni propositi su cui sarebbe stato pronto a giurare fino a un minuto prima. Si sentiva accolto in un immenso mare, caldo e pulsante. Lo splendore della Terza Luna lo abbacinava fuori e dentro con un’incandescenza mai provata.

    Quando riprese il volo per tornare al Palazzo di Pietra si sentiva esausto. Faticava tanto che dubitò di riuscire ad arrivare in tempo per il pasto dell’alba.

    Paloma era già scomparsa, agile e leggera, e sarebbe arrivata prima di lui. Fra poco si sarebbero seduti tutti a tavola sotto il portico da cui si godeva la vista dell’aurora ammirando i colori con cui il sole incendiava il cielo prima di fare la sua comparsa. Un momento meraviglioso prima di rifugiarsi al chiuso per difendersi dal furore dell’astro. Per i Non Consolidati era un pericolo mortale, per gli altri un’inutile sofferenza.

    Pensandoci bene Halcon concluse che non se la sentiva di presentarsi allo zio con il collo pieno di graffi e succhiotti e il senso di colpa stampato in viso.

    Giunto con fatica al Palazzo di Pietra, entrò da un ingresso lontano dal portico orientale e si diresse furtivamente verso la sua stanza. Prima di ritirarsi cercò un Cuoco e lo pregò di portargli un po’ di cibo in camera e di avvertire lo zio che si sentiva troppo stanco per presentarsi a tavola. Sapeva che Mentore ne sarebbe stato contrariato e che Decius avrebbe fatto battute maligne, ma questo era il minore dei mali.

    Si immerse nell’acqua tiepida e profumata e si lavò accuratamente. Poi scelse una tunica pulita e uscì per inoltrarsi nei corridoi del Palazzo. Benché il giorno fosse dedicato al riposo, non tutti lo trascorrevano dormendo. Nelle stanze comuni c’era animazione e fervevano attività.

    Incontrò Billy nella stanza dei Tessitori, che intenti ai telai ascoltavano la musica della sua ocarina di terracotta. L’ennesima ocarina che aveva commissionato ai Vasai, senza mai essere contento del risultato. Il suo corpaccione dalla pelle nera, avvolto dalla stoffa bianca di un camicione e di improbabili brache, sovrastava l’uditorio muovendosi allegramente a ritmo. Si scambiarono un cenno di saluto.

    – Che ti succede, Halcon? – gli domandò in una pausa, mentre i Tessitori intonavano canti per conto loro.

    – Ho l’aria di uno a cui succede qualcosa?

    – Eccome, brother! Metà della tua faccia dice che hai visto l’inferno, l’altra metà che hai toccato il paradiso.

    – Ah, si vede così chiaramente?

    Billy scoppiò in una risata.

    – Certo non poi sostenere che non ti sia successo niente.

    – Accidenti, credevo che il bagno mi avesse resettato.

    – Resettato?

    – Scusami, è un termine preso in prestito dall’informatica. Negli anni Sessanta non puoi conoscerlo.

    – Insomma, che ti è successo?

    – Credo di aver combinato un guaio.

    – Hai litigato con Decius?

    – Oh, quella è una cosa normale. Mi parrebbe strano il contrario.

    – Sei pieno di graffi sul collo.

    – Si notano tanto?

    Halcon era costernato.

    – E non solo graffi. Ti ha baciato un vampiro?

    – Non so come rimediare.

    – Passerà. Se è guarita la mia schiena dalle frustate di Horacio…

    In realtà Billy era guarito solo parzialmente. Una delle sue piccole ali da Raccoglitore era rimasta lesionata. Ma lui non ne faceva un problema. Anche perché non era lontano dall’idea di abbandonare il suo corpo tequieriano e tornare definitivamente alla vita sulla Terra.

    – Non mi riferisco ai segni sul collo. Il problema è che ho offeso gravemente lo zio, ma lui ancora non lo sa.

    – Non lo sa?

    – Forse lo scoprirà presto. O forse dovrei dirglielo io. Non so che fare.

    Billy gli strizzò l’occhio.

    – Su col morale, fratello. Le questioni di donne si sistemano, è l’amicizia che conta.

    – Ah, vedo che hai capito.

    – Ce l’hai scritto in faccia, brother.

    Gli diede una pacca sulla spalla.

    – Non so come farei senza di te, Billy. Riesci a prendere tutto con buon umore.

    – Ma non la musica, Halcon. Qui mi manca la musica vera. La mia orchestrina, il jazz e tutto il resto. Credo davvero che dovrai fare a meno di me.

    – Vuoi andartene?

    – Ci penso spesso. Ma ho ancora un po’ di tempo prima della Scelta.

    – E i tuoi guai giudiziari?

    – Il processo è stato riaperto. Il secondino che ho fatto secco soffriva di cuore. Il mio avvocato sta cercando di dimostrare che ha fatto tutto da solo.

    – Mi mancheresti davvero, Billy.

    – Ti lascerò in eredità la mia ocarina, quella che suonavo mentre fischiava la frusta. Ti insegnerò a usarla.

    – Pensi che finirò per essere frustato anch’io?

    – Spero di no, amico. Ma in ogni caso la musica è una grande consolatrice.

    3

    Consumò da solo anche il pasto del tramonto. Avrebbe inventato chissà che cosa per procrastinare l’incontro con lo zio. Ma non poteva non presentarsi all’addestramento.

    Dovevano vedersi al sorgere della Terza Luna, e ne approfittò per volare un po’ da solo alla luce discreta di Hermosa e Linda.

    La valle, irrorata da un chiarore latteo, era quasi deserta. I Raccoglitori aspettavano di muoversi nella luce piena delle tre lune, che avrebbe consentito loro di selezionare con più precisione i materiali di cui fare provvista. Qualcuno aveva tirato fuori dalla Caverna le slitte che sarebbero servite per trasportare i carichi più pesanti, e si apprestava a trascinarle verso il fondo valle.

    Quando raggiunse il Picco della Felicità vide che Decius era già sul posto, in piedi, con le ali ripiegate sulla candida tunica da volo, sull’attenti come un soldato. All’orizzonte stava sorgendo la Terza Luna.

    – Salve, Aliger.

    – Salve. – Il numida sogghignò. – Dux iratus est.

    Halcon deglutì. Era la notizia che aspettava e temeva. Pensò che era stato un errore mancare a tutt’e due i pasti comuni. Si domandò se fosse stato solo quello a irritare lo zio, o se avesse già scoperto tutto. Non era il caso di chiedere spiegazioni a Decius: ne avrebbe approfittato solo per rivoltargli il coltello nella piaga.

    Andò in silenzio ad appollaiarsi su uno spuntone di roccia, ma non dovette attendere molto.

    Ecce Dux! – Decius appariva trionfante nel vedere Mentore in arrivo.

    Planando con le grandi ali maestose lo zio atterrò sulla rupe con eleganza. La Terza Luna illuminava in pieno il suo bel volto deciso. Halcon scattò in piedi, e Mentore non perse tempo in preamboli.

    – Halcon, il tuo spirito di corpo lascia molto a desiderare. Per due volte ti abbiamo aspettato inutilmente a tavola.

    – Ma io avevo fatto avvertire che non sarei venuto al pasto dell’alba.

    Quello era il momento conviviale più importante, e di conseguenza l’infrazione più grave.

    – Certo, hai mandato a dire che eri troppo stanco per sederti con noi. Troppo stanco. Credi che Decius si sentisse riposato, alla fine della sua prima notte di volo?

    – Davvero, zio, non stavo bene.

    – Per favore, evita di evocare parentele imbarazzanti. Chiamami Mentore.

    In effetti non aveva nessuna ragione per chiamarlo zio, se non l’abitudine acquisita spontaneamente all’inizio della sua vita su Tequiero.

    – Sì, Mentore, scusami.

    Decius assisteva in silenzio all’interrogatorio con un sorriso beffardo stampato in faccia.

    – Perché te ne stai con il mento incollato sul petto? – continuò Mentore. – Se ti vedesse Horacio penserebbe che ti sei già arreso. Alza la testa, Halcon, la Terza Luna splende anche per te.

    Suo malgrado, Halcon alzò il viso in piena luce.

    – Ah – commentò Mentore – ecco il problema! Il tuo collo sembra un campo di battaglia!

    Decius sghignazzò.

    – Che ti è successo? – domandò lo zio implacabile.

    – Non lo so, penso… Ieri, quando sono caduto insieme a Decius, senza volere ci siamo graffiati.

    – Uhm…. Strano, ieri ho visto che avevi i graffi sulle braccia. Ora si sono spostati sul collo e sul petto. Che ne dici, Decius Aliger? Hai mai visto le cicatrici andarsene in giro per il corpo?

    Numquam, Dux!

    Mentore si sfilò i guanti da volo.

    – Vediamo se tornano al loro posto!

    Con la mano nuda colpì Halcon sul viso. Una manata, più che uno schiaffo. Il ragazzo non si difese.

    – E questo per rispettare la simmetria – aggiunse Mentore colpendogli l’altra guancia.

    – Non è colpa mia – balbettò Halcon.

    – Ah, no? Chi ti ha costretto a disertare la mensa?

    – Forse vuol dare la colpa a Paloma – insinuò Decius come una serpe.

    Halcon ebbe voglia di ucciderlo.

    Mentore gettò stizzosamente ai piedi i suoi guanti e andò a sedersi su uno spuntone di roccia. Si passò le mani sulla testa e sul viso con il gesto che gli era abituale.

    – Bell’esercito di eroi mi ritrovo. Voi sareste i difensori di Tequiero? Sareste voi i compagni con cui dovrei condividere i pensieri e la volontà come se fossimo un solo uomo?

    – Cosa vuoi dire, Dux? Tibi fidelis sum!

    – Due bambini impauriti! Uno impastato di vergogna e bugie, l’altro che gode della debolezza del compagno! Mi conviene aspettare il ritorno di Horacio per consegnarmi direttamente a lui.

    – Zio… Mentore… io ti chiedo perdono. Io sono pentito.

    Mentore rise amaramente.

    – Scommetto che sei pentito della cosa sbagliata.

    Halcon era confuso. Non capiva le parole dello zio. Sapeva solo di avergli dato una delusione monumentale.

    Rimasero in silenzio per un po’. Infine Mentore emise un gran sospiro e si rivolse a Decius.

    – Aliger, vorresti provare a renderti degno delle tue ali?

    Iube, Domine. Comandami ciò che vuoi.

    – Il tuo compagno è in difficoltà. Che cosa credi che dovresti fare?

    Decius sbirciò Halcon, che se ne stava inerte come un sacco vuoto.

    – Devo aiutarlo? – azzardò con riluttanza.

    – Splendida intuizione.

    Decius si mordicchiò le labbra come chi è combattuto fra impulsi diversi. Poi si rivolse ad Halcon.

    – Halcon, tu eri l’ultimo uomo mancante alla collezione di Paloma. Lei è fatta così, lo sai. Il sesso è la sua religione. Se invece di nasconderti fossi stato sincero, Mentore avrebbe brindato con te per festeggiare la tua perduta verginità.

    Halcon lo guardò sinceramente stupito.

    – Stai parlando bene – disse Mentore. – Continua.

    – Mentore si è adirato perché hai alzato una barriera fra lui e te. Questo ci indebolisce tutti, perché la nostra forza risiede nell’unione. Cuncti invicti.

    Era semplice, in fondo. Halcon si sentì come liberato da un peso, anche se per un altro verso lo addolorava la consapevolezza di essere stato puerile e meschino.

    – Grazie, Decius Aliger – disse, poi si rivolse allo zio.

    – Ora ho capito, Mentore, di che cosa devo pentirmi. Sono stato davvero stupido.

    – Cominci a ragionare, chico. Ma questo non ti esimerà da una punizione.

    – L’accetto. – In fondo era consolante poter riparare in qualche modo. – In che consiste?

    – Sarai tu il primo a volare bendato.

    4

    Mentore aveva fatto un piccolo volo di perlustrazione per

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