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Il sole all'orizzonte
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E-book503 pagine7 ore

Il sole all'orizzonte

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Info su questo ebook

Steampunk - romanzo (420 pagine) - Un antichissimo talismano passa nel corso dei secoli di mano in mano, ispirando chi ne viene in contatto a prendere decisioni capaci di creare differenti destini paralleli. Un Sole all'Orizzonte. Alba o tramonto? O forse entrambe le cose?


Grazie alle ispirazioni dei Messaggeri evocate dal talismano che rappresenta un Sole all'Orizzonte, Ferruccio Alberti, doge della Serenissima Unione delle Repubbliche d'Italia, mira a stabilire contatti con culture in Asia, Africa e America in nome della scienza e della sapienza. Le navi volanti progettate da Leonardo da Vinci permettono ora di trasvolare oceani e catene montuose. Ma forze oscure evocano i Demoni, Ombre dei Messaggeri, che tentano gli umani per gettare il mondo nelle tenebre della barbarie. Per ben due decenni del '500, in piena fioritura del Rinascimento, questa nuova fase dell'eterna lotta tra Luce e Ombra si svolgerà dalla Scandinavia all'Egitto, fino al Giappone.


Paolo Ninzatti, Milano classe 1950. Oggi vive a Tommerup, nell'isola di Fionia, in Danimarca. Pedagogista in pensione, suona in diverse band, o come solista. Presente in diverse antologie edite da Delos Books, Edizioni Scudo, Alcheringa, Reverie, Montecovello. Ha scritto la sceneggiatura del fumetto Oltre il cielo di Giorgio Sangiorgi, tradotto anche in danese col titolo Over Himlen. Con La Mela Avvelenata ha pubblicato l'ebook Missione Medea.

LinguaItaliano
Data di uscita10 dic 2019
ISBN9788825410785
Il sole all'orizzonte

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    Anteprima del libro

    Il sole all'orizzonte - Paolo Ninzatti

    9788825409062

    Parte prima: dalle origini al passato

    1.

    Le origini - 325 Avanti Cristo

    – Il potere del simbolo del sole che spunta all'orizzonte viene da chi lo porta. La sua magia è in realtà la magia di chi ci crede. Esso non è altro che uno dei tanti simboli sacri a cui la gente attribuisce chissà quali proprietà. Un talismano. Per il diffidente, lo scettico, essi sono soltanto oggetti inutili.

    Il vecchio parlava, e il giovane ascoltava con impaziente disinteresse.

    – Potremmo in realtà anche farne a meno, visto che è lo spirito che conta. L'uomo che impara a nuotare può anche attraversare le acque pericolose dell'Indo. Prima o poi raggiunge l'altra sponda. Ma navigando con un traghetto si arriva prima e più facilmente. Quest'oggetto è uno dei tanti traghetti. Credici e percorrerai una scorciatoia nella lunga strada spirituale tra te e il tuo deva personale o, se sei fortunato, quello della tua stirpe, o addirittura il devaraja dell'Occidente a cui appartieni, Virupaksha.

    Teofilo di Sparta studiò l'uomo magro vestito soltanto di un perizoma e un turbante, l'universo intorno al quale brillava il ciondolo rappresentante un mezzo sole con sette raggi.

    Una luce proveniente da una finestra del tempietto si rifletteva nell'oggetto.

    Una nuvola coprì il vero sole fuori. Il simbolo dell'astro all'orizzonte perdette la sua luminosità abbagliante e un embrione di scrupolo salì alla superficie della coscienza sporca del giovane greco.

    Mandato a sedare una ribellione di reparti dell'esercito macedone in India, aveva colto l'occasione per far bottino nella piccola città ai piedi della grande catena montana.

    L'uomo col turbante sedeva, quasi immobile, con le gambe incrociate. La bocca coperta dalla barba bianchissima si muoveva appena mentre parlava.

    – Cosa vuoi, greco? Cosa credi di trovare in questo luogo sacro? Tesori inestimabili? L'unica cosa di valore è ciò che mi porto al collo. Oro puro. Puoi comprarti una casa e un campicello nella tua Sparta. O una barca. O l'amore di cento e passa prostitute. Di più non vale per lo schiavo della materia. Per l'uomo di spirito puro è invece il cavallo alato, il Pegaso per raggiungere il vostro Olimpo.

    Teofilo fissò la propria mano che stringeva la spada. Arroganza giovanile e bramosia d'oro. Era sorpreso, ma non volle darlo a vedere. Rispose brusco, cercando di apparire minaccioso.

    – Tu parli la mia lingua, sai da che città vengo, conosci i miei dèi, vecchio ba…

    Un senso di rispetto involontario al quale cercò disperatamente di resistere non gli consentì di finire la frase. Il vecchio riprese parola.

    Barbaro, stavi per dire, vero? Per la tua genia, chi non è greco è barbaro. Ma guardando nei tuoi occhi vedo che sei troppo intelligente per crederci veramente. Hai visto le nostre città, le nostre pagode, il nostro modo di vestire, la nostra cultura. Per arrivare fino a qui avete conquistato la Persia, siete stati testimoni anche della loro, seppur diversa, raffinatezza. Il vostro re Alessandro ne è rimasto abbagliato. I barbari vivono a Occidente, nell'Esperia, la terra al tramonto ai limiti del vostro effimero impero. Come ho imparato la vostra lingua? Sono due anni che siete qua. Sento i discorsi dei vostri soldati fuori dal santuario. Li sento conferire con gli interpreti. Ascolto gli stentati dialoghi tra greci e le nostre donne. Il tempo è dalla mia parte, la mente è aperta, le inibizioni che ci fanno credere che sia impossibile comunicare oltre la parola sono superate. Il greco, tra parentesi, è un idioma estremamente facile.

    L'uomo tacque. Come aspettando una replica, Teofilo allungò la spada in avanti, finta protezione dell'ignorante nei confronti del saggio. Le sue parole assunsero il tono aggressivo di chi non aveva altri argomenti che non la forza fisica o la minaccia delle armi.

    – Alessandro sottometterà ben presto tutta l'India. Le sue armate arriveranno finalmente ai confini del mondo. Allora getterà tutte le sue forze alla conquista dell'Occidente e lo civilizzerà.

    Teofilo si fermò. Non aveva più argomenti. Era giunto il momento di strappare il gioiello dal collo del vecchio. Senza capirne la ragione, esitò. L'anziano parlò di nuovo.

    – Ne avrà di strada da fare. Sottomessa l'India dovrà conquistare i regni della Cina dove vivono gli uomini dagli occhi a spina. Poi dovrà allestire una robusta flotta per conquistare le isole del Regno Yamato di Nippon. E quand'anche dopo anni di guerre vi riuscisse, la conquista dell'Esperia non sarà facile. Laggiù i barbari si stanno raffinando, scopiazzando naturalmente voi greci, che ai loro occhi siete la quintessenza della sapienza e della civiltà.

    Teofilo sentì la frustrazione invadere il corpo. Puntò la lama della spada alla gola dell'uomo. La sua voce aveva ora un tono furente.

    – Adesso basta, vecchio! Mi stai raccontando un sacco di fandonie, facendomi credere che tu sia una sorta di oracolo per salvarti la pelle e per non cedere il tuo sole dorato. Ma esso mi appartiene di diritto. Il sole raggiante è il vessillo di Alessandro, sicuramente forgiato da qualche orafo greco e tagliato a metà da chissà chi. Dove l'hai rubato, vegliardo? Me lo sto soltanto riprendendo.

    Ma il vecchio confutò con la calma di chi sente di aver ragione.

    – Quest'oggetto è antichissimo. Me lo diede mio padre ed egli lo ebbe dal suo e così via. Mille anni, o forse di più. Forse prima che voi greci distruggeste Troia, forse ancora prima che sotto la guida di Doro e Ione vi stabiliste nella vostra terra. Forse forgiato da orafi di quell'isola citata dal vostro Platone, sprofondata nell'Oceano, Atlantide, sempre che sia esistita. Alessandro usa il simbolo del sole. Niente di nuovo. Anche il mikado di Nippon l'adotterà per questo. Il sole brilla su tutti i popoli.

    Teofilo dovette ammettere che quell'uomo non mentiva Forse la storia degli uomini dagli occhi a spina era una favola locale, ma le leggende di Troia e Atlantide appartenevano alla cultura greca, ma la sfida era aperta. Riprese.

    – Vecchio, voglio credere che tu sia un veggente capace di scrutare nel passato e nel presente. Sei in grado di leggere nel futuro come l'oracolo di Delfo?

    Un sorriso sformò la bocca del veglio, prima che questo parlasse.

    – Meglio ancora. Costui, da buon greco credente al Fato inamovibile, te ne può profetizzare uno e uno solo. Io posso mostrare almeno due alternative.

    Teofilo ribatté, indignato.

    – Il Fato è inamovibile! Ciò che è scritto accadrà e neppure gli dèi possono mutarlo.

    La risposta del vecchio assunse un tono leggermente offensivo.

    – Voi greci siete come i cavalli col paraocchi. La vostra scienza è fatta di angoli retti precisissimi. Cito il vostro Pitagora. Ma voglio metterti in crisi, proprio tirando fuori la matematica, della quale, ammetto, siete maestri. Quante soluzioni ha un'equazione di secondo grado?

    – Due. E allora? – rispose prontamente il greco.

    L'indiano seguitò.

    – E lo stesso ha il futuro. Anzi, molte di più, tante come le scelte che l'uomo fa. Ma restiamo a due per il momento, altrimenti il tuo giovane cervello rischia di andare in fiamme. Vuoi sapere le due soluzioni del tuo Fato personale? Tra non molto Alessandro abbandonerà l'India e tu te ne tornerai a Sparta. Il tuo re morirà di malattia tra due anni. Questo è scritto e non si può cambiare, purtroppo, non è l'incognita dettata dalle scelte umane, bensì qualcosa di veramente inevitabile come le catastrofi naturali, una costante. Ma veniamo a te: tra, diciamo, una ventina d'anni, sbarcherai in Esperia per depredare e saccheggiare, e morirai ucciso da un barbaro.

    L'ira fa divampare Teofilo. Urla: – Come osi vegliardo! Dimmi che non è vero. Dimmi che non è vero. Io, che divento predone e vengo ucciso da un barbaro. Non me lo merito. Basta, altrimenti ti taglio la gola.

    Il vecchio, calmo, rispose: – Non lo farai, perché so che vuoi sentire la seconda soluzione dell'equazione. Alfa: morirai perché sceglierai di tenerti ciò che mi sottrarrai tra poco. Beta: sopravviverai perché avrai l'umiltà di cedere il mezzo sole al barbaro, il quale, generosamente, ti risparmierà la vita. Tornerai a Sparta e finalmente metterai giudizio. Ricorderai ciò che ti sto dicendo e diventerai saggio.

    Teofilo si sentì pervadere dalla curiosità, e anche da una latente umiltà, e domandò: – Vuoi dire che potrò sfidare e contrastare il Fato?

    È il vecchio ora ad assumere un tono saccente nella risposta: – Ecco che già ti senti grande nella tua giovanile arroganza. Sì, puoi manipolare il Fato, ma non per la tua piccola e insignificante vita. Il protagonista della tragedia è questo talismano. Il destino è suo. Tu sei soltanto il mezzo di trasporto. Vedi, insistendo a tenere il medaglione nascosto sotto la tunica, il barbaro non lo vedrà. Tu morirai, e il tuo cadavere verrà bruciato in un rogo comune. L'oro si scioglierà e un mezzo per comunicare con gli dèi andrà irrimediabilmente perduto. Donando il sole al barbaro, invece, questo lo porterà tra i tanti trofei della vinta scaramuccia, le armi, le navi catturate della vostra sfortunata spedizione, nel tempio di una dea. E da lì, tra molti secoli, arriverà in possesso a un uomo che ha in mano una nuova doppia soluzione; un uomo saggio che ne capirà il valore al di sopra dell'oro e che ne farà buon uso mettendosi in contatto con il deva della sua stirpe. E la sua scelta avrà conseguenze sull'armonia di molte genie, ivi compresa anche la tua.

    La curiosità di Teofilo venne stuzzicata.

    – Dimmi, vecchio.

    L'indiano rispose con un sorriso.

    – Ah, cominci a credermi, giovane soldato. Sono spiacente di deluderti. Non sta a me farlo. Sarà la tua scelta a darti la conoscenza. Pecca di avarizia anche davanti al pericolo, e morirai in terre barbare voltando le spalle alla saggezza. Sacrifica il simbolo, e, finalmente dopo anni, questo ti aprirà la mente. Sarà la divinità protettrice della tua stirpe a darti la profezia. E adesso, facciamola finita; prima che l'irruenza e la stoltezza ti facciano usare la spada, sarò io a sacrificare il simbolo. Non credere di stare rubandomelo. Ricorda, sono io che te lo dono, greco.

    L'uomo si sfilò dal collo il ciondolo e lo strinse per un attimo tra le mani, quasi volesse dare l'addio a qualcosa di vivente, commentando: – Una scelta saggia. Resistendo, morirei, tu te ne impossesserai ugualmente ma con lo spirito del ladrone. La cosa ti chiuderà la mente e tu sarai più propenso a considerarlo una preda. La cosa ti darà forme pensiero negative. Passerai anni col timore che qualcuno te lo possa sottrarre. La saggezza che tu ti porti dentro, latente e pronta a uscir fuori con la maturità, rischierebbe di restare sepolta per sempre. Un dono, invece, avrà un migliore influsso sulla tua indole. In realtà, il mezzo sole appartiene agli dèi; gli uomini lo hanno soltanto in usufrutto, come i templi, gli altari sacri. Io ormai ho raggiunto uno stadio in cui posso fare a meno del traghetto per comunicare con gli dèi. Addio greco, ricorda le mie parole. Ecco, prendi.

    Ciò detto il vecchio porse a Teofilo il ciondolo.

    – Grazie – balbettò il greco, sorpreso di averlo detto. Come per confermare che il sole gli era stato donato si affrettò a rinfoderare la spada. Strinse per un attimo l'oggetto dorato tra le mani, lo osservò e palpò l'oro. Si sentì pervadere da una strana sensazione; il sole sembrò all'improvviso venire a far parte del suo corpo, prender vita, brillare.

    Il vecchio e il santuario svanirono.

    I raggi del talismano sembrarono prendere vita, diventare enormi tentacoli di un polipo dorato. Infine si fusero insieme, trasformandosi in una figura conosciuta: una donna armata di lancia con in testa un elmo.

    – Pallade Atena – mormorò Teofilo, prima che la dea si trasformasse di nuovo in un mezzo sole dorato che diventò sempre più piccolo.

    Si ritrovò in India nel tempio.

    Si mise al collo il talismano e, barcollando, uscì.

    2.

    In un probabile passato - 11 settembre A.D. 1513

    – Scomunicati veneziani! – urlava l'uomo dal balcone – Non temiamo i vostri macchinari creati dal pervertito Leonardo da Vinci che voi usate per difendere la nuova Babilonia che chiamano Rinascenza, basata sulla filosofia diabolica che pone l'Uomo al Centro dell'Universo e vorrebbe sostituirlo a Dio. Lo spirito della Firenze di Savonarola è ancora vivo, e né i vostri congegni volanti, né le altre macchine spinte dal vapore del diavolo ci piegheranno. Dio è con noi…

    Anche la Spagna è con voi, pensava Loretta Santus. Al suo fianco, anch'essa nascosta tra la folla e vestita da suora, Silvana sembrava intuire e indovinare i suoi pensieri. Accadeva da quando suo nonno, Ferruccio Alberti, le aveva donato il ciondolo col simbolo del mezzo sole a sette raggi.

    – Siamo pronti a sacrificare i prigionieri e morire. Io e i Nuovi Fragellanti ai miei ordini non ci vergogniamo d'esser italiani, nonostante la nostra terra abbia dato i natali a Leonardo il Maledetto, incarnazione di Satana. La Sacra Repubblica è nata oggi, undici di settembre dell'Anno del Signore 1513, in questo palazzo che abbiamo conquistato con le armi. Ben presto la nostra bandiera sventolerà sul resto della città, e Bergamo diverrà la capitale di una Repubblica protetta da Dio che un giorno non lontano si estenderà in un'Italia austera, senza donne vestite sconce, né uomini che si fanno femmine. Le fiamme dei roghi della vanità distruggeranno libri e dipinti peccaminosi. La nostra arma è il terrore. Lo leggo negli occhi dei pervertiti che abbiamo catturato sorprendendoli mentre erano intenti nella loro orgia. Ora tremano davanti alle canne dei nostri archibugi e alle lame delle nostre spade. Abbiamo imposto i cilici a tutti e le cinture di castità alle meretrici. Da ieri stanno espiando i peccati commessi.

    Fuori dal palazzo, le automovili corazzate con gli archibugi a mitraglia sulle torrette non osavano attaccare. Gli ornitotteri volando a bassa quota, avrebbero potuto lanciare bombe e missili a getti di vapore, ma non lo facevano, per paura di uccidere gli ostaggi.

    L'uomo vestito da frate continuò: – E quando la nostra piccola enclave avrà conquistato la città, saranno i suoi abitanti il nostro scudo: ostaggi che un giorno diverranno fedeli e soldati. Il Leone Alato che da tre anni tirannizza tutta l'Italia tremerà davanti ai vessilli con la Spada e l'Archibugio messi a croce, la mano armata di Dio. Confischeremo ricchezze, gabelleremo ogni territorio conquistato e trasformeremo in crociati anche i fanciulli.

    Il Flagellante dettò all'ufficiale le condizioni: – Sgombrate il quartiere, consegnateci armi e macchine e ordinate agli abitanti di rimanere chiusi in casa. Vogliamo anche due rampe di missili a getti di vapore.

    Loretta si tenne pronta. Come ogni volta che entrava in azione tastò il medaglione sotto la tonaca, quasi esso fosse stato un portafortuna, un amuleto. Ricordò il giorno, l'anno addietro, in cui Ferruccio Alberti, doge della Serenissima Unione delle Repubbliche d'Italia, gliel'aveva donato con la stessa riverenza con cui avrebbe fatto consegnandole una corona reale. O un oggetto magico. Loretta era scettica riguardo l'occulto. Fortunatamente, nelle missioni era sempre affiancata da Silvana, che aveva poteri extrasensoriali e considerava l'oggetto un talismano, un mezzo per comunicare con entità tra l'uomo e il divino. Era palese che il nonno doge fosse in grado di farlo. Il giorno in cui glielo aveva donato le aveva confidato che l'oggetto era antichissimo, ma ora lui, che aveva gli stessi poteri di comunicare con, diceva, i Messaggeri, poteva farlo anche senza l'oggetto dorato, dopo anni in cui, a suo dire, aveva imparato a nuotare nel fiume che divideva gli uomini dagli angeli, o deva, o messaggeri che all'inizio poteva essere varcato soltanto grazie ai talismani, ponti o traghetti.

    Per un attimo invidiò sia il nonno che Silvana. Nonostante nipote di un sensitivo non ne aveva ereditato le prerogative.

    Cacciò il pensiero. Rivolta alla compagna, ordinò: – Sorella Artemide, tienti pronta ad agire.

    Le Sorelle di Minerva di cui lei e Silvana facevano parte erano una congrega antica, donne guerriere, che ora in tempi moderni si dedicavano ad azioni di controspionaggio e antiterrore. Come le monache, assumevano un nuovo nome anche lei era divenuta Atena. Silvana aveva scelto il nome della dea che sapeva lanciare frecce, grazie alla sua abilità con armi da lancio di ogni tipo.

    Una mano al talismano, l'altra stretta a quella della consorella. Pronte all'azione.

    Ahimè pensava il capo dei Flagellanti, se i miei prodi frati guerrieri non fossero solo dodici, avremmo potuto pretendere l'intera città. Purtroppo, la fondazione della Repubblica di Dio in Terra richiede tempo e pazienza. Ma non appena avremo in mano una fetta della Città Alta, che domina la pianura, molti si convinceranno della nostra giusta causa e si uniranno a noi. Ne bastano un centinaio."

    Si fece coraggio pensando all'esperienza di quando era condottiero al servizio degli Sforza, e già aveva in mente come bloccare le vie non appena avrebbe avuto a disposizione i carri corazzati a vapore. E non appena padroni di tutta la città e un paio di rampe di missili sarebbero stati in grado di respingere ogni attacco.

    – Luogotenente, vi concedo un'ora per presentare le nostre condizioni al podestà – ordinò all'ufficiale.

    Venne interrotto da urla femminili e un trambusto. I soldati si tirarono di fianco lasciando passare due suore che camminavano verso il palazzo. Una zoppicava.

    – Fate largo o ci ammazziamo – intimò una voce femminile decisa. Stringevano ciascuna un archibugio tenendolo puntato alla tempia. Erano giovani.

    – Vogliamo unirci all'esercito di Dio – sbraitò la monaca non appena sotto il balcone.

    I soldati non si opposero; non volevano divenire responsabili di un suicidio.

    Povera Italia attaccata alla vita terrena e schiava di una filosofia sbagliata pensò il frate militante Ringrazio il Signore per averci inviato le prime soldatesse volontarie della Sacra Repubblica. Che il loro esempio venga seguito da mille, e un giorno la bandiera con la Spada e l'Archibugio possa sventolare da Venezia a Palermo.

    La porta venne aperta e le monache fatte entrare. Non appena al sicuro, quella dagli occhi bruni si inginocchiò ponendo l'archibugio a terra e spingendolo davanti ai piedi del Flagellante, come fosse stato un dono. La zoppa, dopo un po' di fatica a genuflettersi, imitò la compagna, con gli occhi verdi che lo guardavano come fosse stato l'immagine di Gesù in persona.

    Il frate soffocò la vanagloria ringraziando Dio per i rinforzi e due archibugi in più.

    – Alzatevi – esortò. – Da questo momento vi dichiaro cittadine della Sacra Repubblica.

    Dubitò però che le due suore fossero in grado di combattere. Aveva notato quanto fossero maldestre nell'impugnare le armi. Non importava: quello che contava era che già si la voce di giovani religiose che avevano scelto la via guerriera del Signore si sarebbe sparsa. Un esempio da imitare.

    – Sono scarichi. – Indicò i due archibugi dopo averli ispezionati.

    – Ma i soldati del Diavolo ci hanno creduto. Adesso, fratello, insegnaci a caricarli e siamo pronti a combattere e morire per Dio – rispose la monaca alzandosi e aiutando la compagna claudicante a fare altrettanto. Mille come queste, e vinceremo, pensò mentre conduceva le due nuove accolite nella sala piena di ostaggi tremanti.

    – Dodici, come gli Apostoli – commentò la zoppa dopo aver contato i suoi uomini.

    – Quattordici con voi – rispose. – Ma un giorno saremo migliaia.

    – Dubito – rispose quella dagli occhi bruni. Un attimo dopo lo colpì alla base del collo col palmo della mano.

    Paralizzato dal colpo, assistette alla scena della zoppa che si alzava la sottana come una volgare prostituta, mostrando una stampella. No. Non era una stampella, sembrava una balestra. Guardò meglio, impotente a muoversi, ma spettatore della tragedia: un archibugio con un supporto a più canne disposto a croce. Una versione portatile dell'organo a mitraglia inventato da Leonardo il Maledetto. La finta zoppa impugnò l'arma e sparò a raffica. Sette dei suoi uomini vennero falciati prima di poter reagire. I superstiti alzarono le mani in segno di resa. Avrebbe voluto urlare di combattere fino alla morte, ma il colpo della donna gli aveva tolto la voce.

    – Bravi, fraticelli. Tenete le mani bene in alto e non fate mosse false – urlò la donna con gli occhi color castagna. – La mia compagna veniva chiamata l'Artemide dell'Archibugio dalle sue parti, quindi siete avvisati. Tranquillo, tu: il colpo da me inferto non è mortale. Ringraziamo le arti marziali cinesi. Se avessi dato un po' più di forza saresti rimasto paralizzato a vita. Un poco ancora e saresti morto. Un'ora e sarai di nuovo fresco, anche se in catene.

    Lo guardò con un misto di compatimento e disprezzo.

    Quella dagli occhi verdi prese parola.

    – Non mancavo una lepre nei boschi tra i miei monti prima di servire la Serenissima. Niente scherzi o vi bucherello i sai.

    Un'arrogante bifolca valligiana, ma furba abbastanza per fingersi zoppa nascondendo quell'affare sotto le sottane. Quella che l'aveva colpito aveva l'accento veneziano. Una coppia di donne diverse l'una dall'altra. Figlie del demonio, ingannatrici come tutte le femmine, da Elena a Dalila. La prima battaglia dell'esercito della Repubblica di Dio era persa, con vergogna: tredici uomini vinti da due e femmine per giunta. La rabbia gli visualizzò quella coppia di streghe sul rogo, come quella Giovanna D'Arco che aveva guidato i francesi alla riscossa bestemmiando e spacciandosi per inviata dal Signore. Un'altra becera contadina che aveva osato impugnare la spada.

    Oggi sarebbe stato un giorno di lutto per i veri credenti, coloro che in nome di Dio erano disposti a morire e far morire. Impossibile sfoderare la spada e piantarsela nel ventre, paralizzato dalle arti guerresche degli infedeli cinesi. Pochi martiri, nessun peccatore punito. Oh Signore, perché mi fai tutto questo? Pensò. Ho militato nelle tue file. Ho cercato di instaurare la Tua Repubblica in Terra e tu invece mi hai mandato due femmine a impedirmelo. Dove ho sbagliato? Dove ti ho offeso, mio Signore? Ho tentato di emulare i Crociati in Terrasanta, né più né meno. Vivrò per sempre con l'onta peggiore: non battuto dalle terribili macchine da guerra di Venezia, ma da chi vestiva l'abito delle Tue spose e serve. Perdonami Signore.

    Sia fatta la Tua volontà.

    3.

    Le origini - 302 Avanti Cristo

    L'urlo dei barbari echeggiò agghiacciante per la palude, improvviso e minaccioso, come l'ululato di un lupo che, creduto addormentato, braccato o in preda a fuga precipitosa, si accingesse invece, contro ogni aspettativa, ad aggredire.

    La valanga umana uscì dal villaggio di capanne dal tetto di paglia come formiche dal nido.

    Le lame delle loro armi scintillavano al sole primaverile: spade, scuri, lance, forche. Davanti agli occhi esterrefatti degli spartani che soltanto un attimo prima erano sicuri di una vittoria facile, un'orda di uomini di tutte le età, ma anche donne e ragazzi, si gettò al contrattacco.

    I campi ben arati e ordinati dietro al villaggio che quei rudi contadini si accingevano a difendere facevano da sottofondo, immobili spettatori, quasi sicuri che niente e nessuno sarebbe stato in grado di calpestare le loro zolle.

    Il piatto paesaggio ancora più lontano che si perdeva all'orizzonte sembrava delineare il limite estremo del mondo.

    Teofilo il Veterano non si spaventò alla vista di quell'orda che avanzava. Soltanto una ventina di anni prima, al seguito di Alessandro il Macedone, aveva combattuto contro nemici ben più temibili. I persiani sui loro carri da guerra, i loro ausiliari, gli arcieri sciti, che sembravano vivere sui loro cavalli quasi fossero stati centauri, e i guerrieri dell'Etiopia, montagne di muscoli color pece. E poi i soldati dell'India che montavano elefanti. Alessandro era sempre andato all'assalto in testa alle sue armate ridendo in faccia alla morte, protetto dagli dèi; i suoi soldati l'avevano sempre seguito nella mischia.

    Cleonimo, il condottiero di quella spedizione, avrebbe fatto altrettanto, sperò. Erano o non erano spartani? La stirpe di Leonida, l'eroe delle Termopili che alla testa di trecento opliti aveva resistito a migliaia di persiani. Spartani. La genia di Menelao, davanti ai cui guerrieri i troiani tremavano. Figli di Sparta, per gli dèi. Non rammolliti ateniesi tutto sofismo e filosofia.

    Teofilo aspettò un esempio dal suo condottiero, un gesto, un segno. Vide Cleonimo girarsi e urlare.

    L'ordine di ritirarsi.

    Inaudito.

    Quale ignominia! pensò Teofilo. Spartani che se la davano a gambe davanti a un pugno di barbari usciti da capanne di paglia.

    Cleonimo non era Alessandro, né quella banda al suo comando un esercito degno di conquistare imperi di raffinata civiltà. La flotta di triremi che si era spinta fino agli estremi limiti del mondo civilizzato era soltanto una masnada di pirati.

    Soltanto venti anni prima, i soldati della Grecia unita avevano raccolto bottini da città stupende con edifici che sembravano dimore di dèi. Ora, al disfarsi dell'effimero impero di Alessandro, l'Ellade, di nuovo divisa, mandava i suoi corsari a depredare villaggi di capanne. Povera Grecia. Povera Sparta. Così moriva il mito di un grande e glorioso passato, in quel luogo tanto lontano, all'estremo Settentrione, dove il mare finiva, ai limiti dell'Occidente, nella Terra del Tramonto dimenticata dagli dèi.

    Meglio così. Che essi non vedessero la vergogna dei figli di Elleno che voltavano le spalle davanti a una banda di contadini e pescatori.

    La barca si staccò dalla bassa riva melmosa; veloce, spinta dai rematori, navigò attraverso l'intrico di canne verso le triremi.

    I barbari misero in acqua le loro piatte imbarcazioni e li inseguirono. Altri, dalla riva, insistevano a bersagliarli con le frecce.

    Da un cespuglio che si affacciava sull'acqua sbucò un natante carico di indigeni.

    La barca di Teofilo non fece a tempo a virare né evitare di venire speronata. Barbari e greci finirono nell'acqua bassa che arrivava al petto.

    Iniziò un combattimento fatto di spruzzi e clangore di lame.

    Teofilo si trovò davanti un barbaro non giovane, pressapoco della sua età. L'uomo impugnava una scure. Mentre parava i colpi della mannaia con la propria spada, il greco indietreggiò, riuscendo finalmente a uscire da quelle acque limacciose dentro le quali il barbaro sembrava trovarsi perfettamente a suo agio.

    Lo spartano, ora all'asciutto, si muoveva agilmente, cionondimeno non sembrò affatto fiaccare la veemenza dell'avversario. Vide i suoi compagni intenti al combattimento. Vide che i loro antagonisti erano anche un uomo meno anziano, un paio di donne, tre giovani ancora imberbi e un fanciullo di forse dodici anni. Sembrava che il veglio che lo stava affrontando si fosse portato dietro l'intera famiglia.

    Quella genia era pronta a difendere ogni palmo delle loro terre paludose e inospitali.

    Un colpo di scure del barbaro spezzò la sua spada. Come non fosse bastato, lo spartano scivolò nella melma di quella maledetta terra umida, e cadde. Il barbaro gli fu sopra e alzò la scure.

    In un attimo, a un passo dalla morte, Teofilo ricordò parole profetiche udite molti anni prima, alle quali allora non aveva prestato molta fede.

    Per istinto, afferrò l'unico oggetto che avrebbe forse potuto proteggerlo dal colpo mortale della mannaia: il medaglione dorato che si portava al collo. Allungò le mani stringendo l'oggetto, e questo, posto davanti ai suoi occhi, mostrò la sua forma in controluce.

    La sagoma nera di un mezzo disco del sole con sette raggi, grande quanto la sua mano, si parò tra lui e il barbaro. Un attimo dopo, come per magia, il simbolo del sole cominciò a brillare di luce dorata. Il volto del barbaro, il cielo, il panorama di quelle terre aliene svanirono. L'astro parve diventare enorme. Parole che credeva aver dimenticato gli riparlarono nella mente…

    Il barbaro d'Esperia, ora fermo come una statua, insieme al paesaggio tutt'intorno, svanì.

    Teofilo si ritrovò in un tempio. Candide colonne marmoree con capitelli ionici lo circondavano, architravi lo sovrastavano.

    Non era mai stato in quel luogo prima, ma il tutto sembrava famigliare: i bassorilievi, le statue. I temi non erano alieni. Si sentì a casa, in Grecia. O forse no. L'ambiente era pervaso di una luce non terrena.

    Teofilo giunse alla conclusione che quello fosse l'Olimpo. Il barbaro l'aveva ucciso e lui tra poco avrebbe iniziato a navigare lo Stige.

    Una figura di donna apparve dal nulla. Vestiva una lunga tunica, imbracciava una lancia e uno scudo. In testa aveva un elmo. Il suo corpo brillava come di luce propria. Aveva visto tantissime volte quell'immagine scolpita sul marmo. Ma la figura si muoveva, camminando come sospesa nell'aria.

    – Oh Pallade Atena. Abbi pietà di me. Perdona i miei misfatti – implorò Teofilo.

    Non osò dire altro.

    La dea lo guardò, aprì la bocca e parlò: – Teofilo di Sparta, dopo anni di vita sprecata, hai finalmente preso la decisione più saggia. Non ho detto giusta, ma saggia. Il simbolo del sole all'orizzonte potrà così continuare a esistere. E tu hai contribuito a un piccolo ma significante passo verso qualcosa di incredibilmente grande. Ascolta. Tra molti secoli, a Occidente, non lontano dal luogo dove ora si trova il tuo corpo, verrà fondata una città costruita sull'acqua. Essa crescerà ricca e potente fino al giorno in cui le sue armate verranno sconfitte del quelle del Gran Sacerdote con la Spada. Da allora essa decadrà e un giorno finirà per perdere la sua indipendenza.

    Fece una pausa e riprende: – Ma il Fato può essere cambiato. Se tra molti secoli un uomo saggio, portatore del simbolo del Sole all'Orizzonte, ascolterà la voce della dea protettrice della sua stirpe, la mia simile d'Esperia, e prenderà la decisione più savia, sarà in grado di evitare la decadenza della città contribuendo alla vittoria contro le orde del Sacerdote Guerriero. La città diventerà allora ancora più potente. Le sue armate libereranno la nostra terra dal dominio della Luna Crescente. Sarà allora che sorgerà il Terzo Impero della Grande Grecia e che i figli dell'Ellade torneranno di nuovo a parlare con gli dèi. Oriente e Occidente saranno vicini. La scienza dell'Ellade e d'Esperia fuse insieme. Nuova sapienza ci attende, nuova saggezza, nuovi mondi, nuove sfide. Il tramonto sarà anche l'alba. Falsi profeti minacceranno il mondo. E il mondo dovrà sconfiggerli.

    Pallade Atena sparì e con essa il tempio.

    Teofilo si ritrovò di nuovo in Esperia.

    Il barbaro afferrò il talismano per la catena. Sorrise mentre si metteva al collo il gioiello.

    Fece con la mano un segno che forse voleva dire oggi ti risparmio la vita, pirata, e corse via. La famiglia lo circondò mentre lui mostrava loro il trofeo conquistato.

    Teofilo si alzò. Da una barca greca alcuni compagni fecero segno di saltar sopra.

    Poco dopo, l'imbarcazione raggiunse le triremi alla rada.

    Il sole volgeva al tramonto mentre navigavano alla volta di Sparta.

    4.

    In un probabile passato - A.D. 1514 - Marzo

    Sotto la veste da monaca la donna era ancora bella. Aveva provato tutto durante la sua ancor giovane vita. Era stata ammirata per la sua bellezza, aveva goduto le gioie del matrimonio. Le era stato poi tolto tutto. Lo sposo ucciso. Ma lei aveva trovato conforto nella fede, o meno nella ricerca di essa. Aveva sposato il Signore, ma il dubbio la divorava sempre. Ora nella chiesa di Canuto il Santo re di Danimarca che aveva servito la Chiesa e che era stato ucciso cinque secoli addietro da ribelli, lei credeva di trovare una risposta. Correva la leggenda che fossero accaduti miracoli e prodigi presso la tomba del Re Santo. Tanto che la nuova cattedrale era stata eretta in suo nome e i resti riesumati lì. I sogni l'avevano perseguitata per notti e notti. E ora era lì e anelava all'incontro. La presenza di Canuto era vivida e palpabile quanto invisibile. Lei non era l'unica persona a sentire voci dall'Aldilà. Ma perché proprio quel santo e perché proprio lì, tanto lontano dal suo paese d'origine? Ai comandi di Dio non si poteva trasgredire. I segni le erano stati dati. E ora lei era consapevole di aver raggiunto la sua meta. Era sera e la chiesa era semivuota. Un figura bianca le apparve: un uomo biondo barbuto con in mano una spada.

    – San Canuto – bisbigliò

    Lo spettro la guardò; lo sguardo era paterno nonostante l'espressione severa. La voce le penetrò nella mente.

    – Non sono soltanto chi tu credi, bensì molto di più. Osserva.

    L'immagine si trasformò. L'uomo dai capelli e la barba bionda rimase se stesso, ma la veste da re divenne un'armatura più simile a quella di un più antico vichingo. Così avvenne per la spada e la corona che si contrasse in un elmo. Una benda dorata chiuse un occhio dell'uomo. L'altro mantenne lo sguardo paterno.

    Fu soltanto quello che confortò la suora dall'orrore che la assalì. Ebbe il coraggio di bisbigliare:

    – Odino! Un dio pagano. Vade retro Satana! – poco convinta e in cuor suo curiosa di sapere la verità. La figura sorrise, quasi capisse il dilemma della mortale che lo osservava. La monaca sentì di nuovo la voce della strana apparizione che le parlava.

    – Vi sono misteri che sono difficili da spiegare, figliola. Questo luogo è sacro da molto prima che il cristianesimo arrivasse in queste regioni. Anche la città che venne fondata intorno a questo luogo porta il nome dell'entità che i locali chiamavano Odino. Odin ve, il sacrario di Odino, oggi Odense.

    La divinità si manifesta attraverso i suoi messaggeri. I sei una donna colta e da donna colta ti parlo. I greci chiamavano questi messaggeri, anghelos. In oriente li chiamano devas. Non siamo dèi, bensì una stirpe tra Dio e gli uomini. Non abbiamo poteri magici o possibilità di far miracoli o portenti. Possiamo soltanto apparire a determinati prescelti e dare loro suggerimenti. Vedi, non sto negando il Dio a cui credi, bensì estendendo tutta la metafisica. Cristo nacque 1514 anni fa, ma Dio esiste da sempre. E di messia ne arriveranno ancora. La via per la verità è lunga e tortuosa. Ma ora mi fermo. La tua strada è giunta a una pietra miliare. A te è stata affidata una missione. La Fine del Mondo è prossima. Dovunque vai e di qualsiasi fede la gente sia, tante profezie locali stanno per avverarsi. Simboli, ma che hanno un punto in comune. In questi luoghi la Fine del Mondo viene chiamata Ragnarok. I miti norreni si collegano a quelli dell'Apocalisse. Per comprendere il contesto siamo costretti a visualizzarlo. Secondo il mito del Ragnarok ci sarà una battaglia finale tra gli dei e gli Jætter, i Titani della mitologia greca. Ma da queste parti, l'inconscio e le tradizioni tramandate citano anche Niohoggr, un drago che divorerà le radici dell'Albero del Mondo e Jormundandr, il gigantesco serpente che messo al limite del Mondo, uscirà dai suoi ranghi e lo devasterà. Chiaro che sono soltanto simboli, come i Quatto Cavalieri dell'Apocalisse della tradizione biblica. Ma ogni mito sulla Fine del Mondo prevede una Rinascita. A te è data la missione di costruire il Nuovo Mondo. Sia il tuo mezzo rinnovare la fede negli Asi, gli dei norreni. Il cristianesimo sta vacillando, la Chiesa è in crisi. Predica antiche fedi e avrai migliaia di seguaci. Usa il paganesimo in nome di Dio. Basta la fede. Ma, ti supplico in tutta umiltà: salva il Mondo.

    Aprile

    Notte stellata spagnola sopra. Luci del castello a delinearne le forme, sotto. Un'ora circa di volo dalla base della Serenissima di Gibilterra. L'agente Atena fece segno al pilota di scendere di quota. Appesa sull'altra ala dell'ornitottero, quasi tutt'uno con la notte per via del costume nero, l'agente Artemide fece segno col dito di essere pronta.

    Tuffo nel vuoto col rallentacadute, centro perfetto sugli spalti della torre est. Le sentinelle, con lo sguardo volto al di là del fossato, non si accorsero che l'attacco proveniva da dietro, silenzioso e nero come le tele dei rallentacadute e le maschere delle agenti. Un paio di colpi di kung-fu e tonfi.

    – Buonanotte amigos. Sogni d'oro per un paio d'ore – bisbigliò Atena.

    Giù per le scale e via per i corridoi, sicure per aver imparato a memoria ogni angolo del castello e le abitudini degli armigeri della Duchessa.

    Artemide si tenne pronta con l'archibugio a mitraglia. Atena sfoderò la spada. Le sentinelle del dormitorio alzarono le mani.

    – Dentro – intimò Atena.

    Varcata la porta, Artemide urlò: – Sveglia, dormiglioni.

    Gli assonnati soldati, destati di soprassalto, fissarono le canne dell'arma, che un attimo dopo sparò a raffica sopra le loro teste. Gli sgherri conoscevano bene quell'artifizio e si arresero.

    Le due agenti chiusero a chiave il dormitorio e corsero lungo il corridoio.

    La camera della Duchessa era piantonata da due omoni dall'aria allarmata per via dei colpi uditi poco prima. Alla vista dell'arma di Artemide, gettarono le alabarde e alzarono le mani. Le agenti li abbatterono con un paio di calci e irruppero nella camera della Duchessa.

    La nobildonna era in piedi, altezzosa anche se in camicia da notte. L'affiancavano due dame di compagnia dall'aria impaurita.

    – Non temete, fifone, porteremo via solo la vostra padrona – consolò Atena.

    – State tranquille, mie fedeli – aggiunse la Duchessa – le bandidas, non vanno in giro con artiglierie simili. Sono agenti italiane. La Serenissima Repubblica Unita scomoda le sue spie per rapirmi: molto lusingante. Ha le finanze in deficit e vuole il riscatto per la mia nobile persona? Fece una risatina.

    – Spie? Brutta parola, collega – ribatté Atena.

    – Allora conoscete la mia seconda attività. Quale onore. – Fece un sorriso storto.

    – Poche storie e andiamo, Duchessa. Vi aspetta un bel voletto. – Artemide agitò l'archibugio.

    Un attimo dopo, un botto, e l'arma le venne strappata da un proiettile. Una delle dame impugnava uno strano archibugio corto, ancora fumante. Dalla manica dell'altra sbucò un arnese simile e anche da quella della nobile spia spagnola.

    – Pistola – dichiarò la Duchessa – dalla vostra città Pistoia. Un'invenzione sempre toscana ma non di Don Leonardo de Vinci. Ho personalmente rubato io il progetto allo sconosciuto armaiolo.

    Tacque osservando le due prigioniere,

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