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Distopia vs Utopia
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E-book430 pagine6 ore

Distopia vs Utopia

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Info su questo ebook

Fantascienza - racconti (340 pagine) - Quattordici racconti dell’Italia che verrà

Come sarà l’Italia di domani? Peggiore o migliore di quella attuale?
Una cosa è certa: siamo in bilico da troppo tempo e ora dobbiamo decidere alla svelta.
Potremmo dare libero sfogo ai più bassi istinti e annegare in una società da incubo, un inferno persino peggiore degli scenari pessimisti prospettati dai futurologi.
Oppure potremmo evolverci e donare ai nostri discendenti un’Italia diversa, della quale essere soltanto fieri.
Quali conseguenze scaturiranno dalle nostre azioni?
Ce lo svelano i racconti che state per leggere.
Schierati in fan del lato oscuro e inguaribili ottimisti, gli autori di questa antologia hanno dato forma alle realtà potenziali che occhieggiano fra le pieghe del presente per mostrarci le loro visioni del futuro.
Tecnologia, lavoro, scuola, politica, sanità, ambiente, cultura. I temi classici della fantascienza sono affrontati con lo sguardo di chi li traspone nel contesto del nostro Paese.
Il risultato è un affresco terrificante e meraviglioso, un arcobaleno di luci e ombre.
Un mosaico di storie nelle quali i protagonisti sono gli Italiani, nel bene e nel male.

Valeria Barbera: napoletana, ha pubblicato il romanzo Eroe in prova (Delos Digital, 2015), e racconti su riviste quali Urania e Robot, su Il Cittadino e in antologie di vari editori, tra cui Mondadori, Perrone, Kipple, Dbooks.it, Galaad, Delos Books. Ha vinto il Premio al Lettore di Fantascienza ed è stata finalista al Premio Robot. Ha fatto parte della giuria del Premio Vegetti e della pregiuria del Premio Urania. Collabora con autori e case editrici. È redattrice del portale Fantascienza.com e collaboratrice di Andromeda – Rivista di Fantascienza.
Andrea Tortoreto (Terni, 1976) svolge attività di ricerca in Filosofia della mente all’Università di Torino. Oltre a numerosi articoli e monografie accademiche ha pubblicato Filosofia della Fantascienza (Mimesis), Iperuranio (Delos). È autore, insieme a Franco Forte e Lorenzo Fontana, di Tarquinio Prisco. L’etrusco, per la serie Mondadori I Sette Re di Roma. Traduce dall’inglese ed è curatore, insieme a Lorenzo Fontana, della collana Chew-9 (Delos Digital).
LinguaItaliano
Data di uscita3 mag 2022
ISBN9788825420111
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    Anteprima del libro

    Distopia vs Utopia - Di Gialleonardo, Luca

    Premessa

    Questa antologia si compone di quattordici racconti.

    Dodici di loro sono opera di autrici e autori del collettivo Capitolo 29.

    Gli altri due racconti, invece, sono a firma di due grandi del fantastico italiano, Giovanna Repetto e Lukha B. Kremo, che, pur non avendo alcun legame con il collettivo, hanno simpaticamente acconsentito a essere nostre guest star in questa bonaria disfida tra distopia e utopia.

    A nome nostro e del collettivo Capitolo 29, li ringraziamo di cuore per aver giocato con noi.

    Valeria Barbera e Andrea Tortoreto

    Prefazione

    Valeria Barbera

    Insieme al buon Andrea Tortoreto faccio parte del collettivo Capitolo 29, un corposo gruppo di autrici e autori provenienti dai più disparati luoghi d’Italia e dall’estero.

    Le basi per la nascita del collettivo risalgono ai primi mesi del 2017, ma in verità c’è stata una semina di anni, fatta di quelle dinamiche del mondo editoriale che rendono familiari nomi e volti: frequentazioni di forum, corsi e workshop di scrittura, fiere di libri, convention e presentazioni letterarie e il casuale incrociarsi in contest, premi e progetti editoriali.

    Per lungo tempo non abbiamo avuto un nome che ci rappresentasse, a parte il nomignolo con cui ci chiamavano fra noi. Un giorno abbiamo rimediato alla mancanza.

    Abbiamo scelto di chiamarci Capitolo 29 perché essere parte di un collettivo ha aperto un nuovo capitolo della nostra vita, fondato sulla collaborazione e sulla solidarietà fra noi.

    Siamo persone diverse, con passioni diverse, eppure conviviamo nel rispetto delle differenze, focalizzati sull’obiettivo di scrivere storie al meglio delle nostre possibilità.

    La varietà di stili, talenti ed esperienze permette al collettivo di spaziare su più generi letterari.

    Alcuni di noi prediligono il romance, il giallo o lo storico; altri preferiscono il thriller o il mainstream; altri ancora si dedicano all’horror, al fantasy o alla fantascienza.

    Fin dalla nascita del collettivo abbiamo fantasticato di presentarci con un’antologia, non necessariamente di fantascienza e non necessariamente tutti in una volta, dato che siamo un gruppo variegato. Volevamo offrire una raccolta che non si limitasse a dire: Ehi, ci siamo anche noi, ma che parlasse ai lettori, perché si scrive innanzitutto per loro.

    Per voi.

    Nell’aprile 2020 si era ormai in piena pandemia. Ho concluso che dopo tanto dolore i lettori avrebbero – finalmente! – desiderato tornare all’ottimismo della Golden Age, aggiornato alla nostra epoca.

    La prima idea di antologia che ho suggerito al collettivo – un’antenata di questa che leggete – partiva da un tema a me caro: l’utopia.

    Non il solarpunk ma proprio l’utopia, figlia della filosofia, che esiste da millenni.

    Ebbene sì. Anche se gli eroi delle mie storie lottano contro memevirus, noozisti e complotti, sono un’inguaribile ottimista e non ho mai digerito la deriva cinica e nichilista, sebbene patinata, della società degli ultimi decenni.

    Il progetto prevedeva che ogni autore scegliesse una delle emergenze attuali e scrivesse un racconto in cui gli italiani del futuro avevano affrontato il problema in maniera costruttiva o lo avevano risolto.

    L’idea ha ricevuto dal collettivo un Ni. In quel periodo sembrava difficile anche soltanto pensare a storie ottimiste. Ho messo la proposta in stasi e ho dedicato i mesi successivi a osservare la gente, per quel poco che si riusciva a fare stando in lockdown.

    Nel mondo impazzavano gli slogan benauguranti Andrà tutto bene, Ne usciremo migliori, eppure, sui social, i flame e le teorie del complotto salivano a livelli da follia pura.

    L’Italia era a un bivio tale da pesare sul suo futuro e il bivio era incarnato dagli ottimisti e dai pessimisti, ormai scatenati anche nel fandom di fantascienza, che già in tempi normali non brillava di serenità. Nonostante la situazione tragica, una parte di lettori non si era stancata delle distopie e continuava a guardare con sufficienza le utopie, giudicate da sempre troppo rosee, zuccherose e prive di conflitto (quest’ultimo lo intendevano unicamente come guerre, complotti e battaglie). L’atteggiamento dei lettori che anelavano alle utopie era speculare e, contrariamente alla nostalgia manifestata per i bei sentimenti, altrettanto tranchant verso le distopie. Non pareva esserci via di comunicazione fra le due fazioni.

    Sul finire dell’estate 2020 ho fatto evolvere il vecchio progetto utopico. Ho tolto i paletti dei temi assegnati e ho incorporato sia le schermaglie tra i lettori di fantascienza che la doppia anima del Paese.

    La nuova antologia avrebbe messo a confronto la tanto amata distopia con la misconosciuta e dimenticata utopia in una disfida alla Star Wars, tra lato scuro e lato chiaro della fantascienza: due squadre di autori, i distopici e gli utopici, si sarebbero date battaglia per gioco sul terreno della narrativa, raccontando alcuni dei potenziali futuri della nostra Italia, così come soltanto la fantasia di chi scrive fantascienza avrebbe potuto concepirli.

    Ne ho parlato ad Andrea Tortoreto, filosofo, che si è dimostrato subito entusiasta. Abbiamo affinato il progetto e lo abbiamo proposto al collettivo.

    Bingo! Vari compagni erano anche già pronti per scrivere.

    Siamo andati alla ricerca di un editore interessato all’idea della disfida e lo abbiamo trovato in Silvio Sosio. A quel tempo non esistevano ancora le collane Dystopica e Solarpunk né il sito/movimento del solarpunk italiano e non immaginavamo che il tema dello scontro fra opposti sarebbe diventato trending topic nell’anno a venire, cosa che ovviamente ci ha fatto molto piacere.

    Ai primi di ottobre 2020 eravamo già al lavoro. Abbiamo lasciato a ognuno dei compagni la libertà di decidere se scrivere una distopia o cimentarsi nell’utopia. La fiducia è stata ricompensata: le squadre si sono formate con spontaneità ed equilibrio, senza bisogno del nostro intervento.

    Non volevamo però fare un discorso limitato al nostro gruppo, bensì imbastire un dialogo con l’esterno. L’antologia non sarebbe mai stata un campo di gioco riservato a noi, ma avrebbe avuto degli ospiti, uno per ogni squadra, ipotetici capitani degli schieramenti. Abbiamo cercato le guest star fra quelle autrici e quegli autori italiani le cui opere, secondo noi, esprimevano già magnificamente la distopia e l’utopia.

    Il nome di Giovanna Repetto è stato il primo e l’ultimo cui abbiamo pensato come guest star del gruppo degli utopici. Lei ha subito accettato entusiasta; eppure, fra un e un Ci proverò, si avvertiva un certo dubbio. Giovanna non era sicura di saper scrivere utopie. Non si rendeva conto di avere sempre passeggiato in quel territorio. Le sue storie narrano di speranza, di amore che supera i confini, di convivenza tra persone e mondi diversi. Siamo felici di aver collaborato alla sua epifania.

    Il racconto che ha scritto per noi interpreta il tema con la tenerezza e l’umanità che le sono proprie.

    La ricerca della guest star della squadra dei distopici ha richiesto, com’era prevedibile, più tempo, dato il maggior numero di scrittrici e scrittori che praticano ad alto livello il genere in Italia.

    Siamo onorati che il premio Urania Lukha B. Kremo abbia accolto il nostro invito. La sua storia è una perla, carica di significati e livelli di letture.

    L’unica direttiva data ai partecipanti all’antologia è stata quella di scrivere distopie o utopie – secondo gli schieramenti – riguardanti l’Italia del futuro.

    Per le autrici e gli autori del collettivo Capitolo 29 abbiamo aperto un gruppo segreto per comunicazioni e quant’altro, ma non abbiamo imposto scritture di gruppo, preferendo lasciare ai singoli la scelta del metodo di lavoro più consono. Qualcuno ha sottoposto varie idee, per ricevere input e scremare; qualcun altro ha condiviso la trama o direttamente il racconto completo; altri hanno lasciato il velo fino alla fine. Non tutte le proposte sono state accettate, in alcuni casi gli autori hanno dovuto riprovare fino a trovare la storia giusta.

    La fase di editing ha sempre visto presenti noi curatori ed è stato un momento di crescita e di scambio per tutti, così come dovrebbe sempre essere.

    Abbiamo trascorso, poi, settimane trepidanti in attesa della valutazione finale dell’editore. Se oggi ci leggete è perché tutti quei mesi di lavoro non sono stati vani.

    Ed eccoci ai racconti. La prima squadra a entrare nell’arena è quella dei distopici e lo fa in maniera sorprendente e incisiva.

    L’immaginifico Lukha B. Kremo impugna la penna del futuro e lancia una storia matrioska e double-face, un cyberpunk dickensiano che ruota come una moneta prima di scegliere da che parte stare. Davide De Boni, giovane medico, sguazza nel proprio ambiente con una distopia sanitaria in cui la linea di confine tra buoni e cattivi è più sottile della lama di un bisturi.

    Etica e morale sono gli ingredienti anche del poetico racconto di Daniele Pisani. Il suo protagonista non avrebbe motivo di lamentarsi, eppure si macera tra ansie, dubbi e domande. Cosa fa di un essere umano sé stesso? La risposta si cela da qualche parte… tra il rosso e l’azzurro.

    Nei futuri di Lorenzo Fontana e di Andrea Montalbò i colori sono smorti e perdono forza ogni secondo che passa. I personaggi annaspano dentro incubi ambientali, lande calpestate dall’uomo o riconquistate dalla natura, dove le macchine sembrano le uniche capaci di integrarsi nella nuova realtà. I luoghi diventano protagonisti e ispirano azioni. Ci immergiamo a fondo nel problema, guidati da un filo di Arianna intessuto di enigmi, pericoli e sorprese. Alla base di tutto c’è la speranza; forse illusoria, forse concreta, ma sempre vibrante di umanità.

    Dopo essere scesi negli abissi dell’animo umano riemergiamo nel mondo senza luce di Luigi Brasili. Figure indefinite, poco più che ombre, rimestano nella polvere di un’Italia spettrale, dove perfino i nomi sono andati perduti e la morte è la sola certezza.

    Miseria, sofferenza. Quando il desiderio di una vita migliore diventa cieca ambizione, può spaccarci, dentro e fuori. La protagonista disegnata da Beppe Roncari è mora ma anche bionda; ha gli occhi verdi ma anche azzurri. È questo che succede quando si nasce in un’Italia monca, orfana di qualcosa che, tempo fa, abbiamo rischiato di perdere sul serio e che, tra avanzati mezzi di trasporto e ambiziosi progetti d’ingegneria, torna indietro a sconvolgere il già precario equilibrio.

    Potrebbe sembrare strano, in un’antologia sul futuro del nostro Paese, trovare anche un’ucronia, un racconto di storia alternativa, qualcosa che, per definizione, fantastica su ciò che avrebbe potuto essere e che non è stato, ma – ehi! – esistono anche i corsi e i ricorsi storici. La memoria è importante e quando i popoli non imparano dal passato – o lo negano – sono destinati a ripetere gli stessi errori. Se pensiamo a certe nostalgie che allignano all’estero e nella nostra nazione, l’Italia ha forse più di un motivo per temere di risvegliarsi, un giorno, in un mondo simile a quello descritto da Roncari: un futuristico – e beffardo – ritorno ai vecchi tempi.

    Abbandoniamo i gironi infernali dei mondi distopici per esplorare il lato più luminoso e ottimista della fantascienza: le utopie.

    Con Educazione critica, Giovanna Repetto dimostra che una forma di utopia, almeno qui in Italia, potrebbe essere più fattibile e stabile di quanto si creda… se soltanto.

    D’accordo, ma come nasce un’utopia? Paolo Leonelli lo spiega in Future generation, un racconto d’azione e d’amore ispirato, a sorpresa, al distopico Blade Runner e alle opere di Philip K. Dick.

    Luca Di Gialleonardo è più pragmatico. La sua utopia parte da una profonda ristrutturazione del governo e del sistema politico nazionale. Partiti, maggioranze, opposizioni, liti e interrogazioni parlamentari: l’Italia di Massimo benessere ha risolto la questione in maniera spiazzante. Dal canto suo M.R. Del Ciello ci ricorda che una vera utopia deve poggiare su fondamenta solide e sicure. Quelle del mondo pulito di Cellophanìa affondano nel mare… e nel passato dei personaggi.

    Difetti. Li cerca anche Angelo Frascella nella sua utopia a base di intelligenze artificiali. La soluzione ai problemi dell’Italia sarà quella di farci da parte e badare al giardino?

    E qualora dovesse realizzarsi davvero un’utopia, siamo sicuri che l’Italia ne ricaverà soltanto vantaggi? Se lo chiede Fernando Nappo in Dillo con parole mie. La storia ruota intorno a una professione già oggi bersaglio di critiche e attentati alla sua sopravvivenza, un mestiere che, in barba al progresso, resta artigianale e i cui maestri tutto il mondo ci invidia: il doppiaggio.

    Non è detto, comunque, che per avere la nostra utopia si debba rinunciare al passato. Ci sono anche altre strade. La giovane protagonista di Flavia Imperi ci porta in gita turistica dentro una versione progredita dell’Impero Romano e dimostra che antico e moderno possono convivere in armonia… se soltanto abbiamo coraggio.

    Sette sogni e sette incubi raccontati da quattordici voci. C’è poi una quindicesima voce, quella dell’Umanità. È lei la vera protagonista del saggio finale di Andrea Tortoreto, perché la nostra specie è da sempre in bilico tra ombra e luce, ma non smette mai di interrogarsi ed esplorarsi attraverso la lente della fantascienza, per cercare risposte e connessioni fra i vari aspetti dell’esistenza… anche mediante una fittizia battaglia tra distopia e utopia.

    Buona lettura!

    Introduzione

    Andrea Tortoreto

    Il collettivo Capitolo 29 si presenta con la sua prima antologia e lo fa proponendo un terreno di confronto tanto affascinante, quanto impegnativo; sceglie di indagare il futuro del nostro paese, muovendo le proprie riflessioni nel delicato confine che separa l’utopia dalla distopia. Nell’intraprendere questa sfida, noi curatori abbiamo scelto due ospiti d’eccezione che su un simile terreno di battaglia si muovono senza alcun indugio: Giovanna Repetto e Lukha Kremo sono infatti due fuoriclasse della fantascienza italiana che conoscono nel profondo queste tematiche.

    Ne scaturisce un’antologia che per approccio, livello dei racconti e tematiche scelte, rappresenta un unicum nel panorama nostrano, attingendo a piene mani originalità e qualità. Distopia vs Utopia è un viaggio nell’Italia che verrà, nel quale le molteplici opzioni che il tempo futuro dischiude dinnanzi a noi vengono percorse con forza immaginativa, sguardo cinico o ironico, talvolta con l’animo colmo di speranza e, altre volte, con la volontà di mettere in guardia rispetto alle devianze pericolose che il tempo presente sta prendendo.

    I temi classici della letteratura fantascientifica come l’intelligenza artificiale, lo sviluppo dei nuovi media, la questione ambientale, il controllo delle menti, la ricerca del sistema politico perfetto, l’ucronia, vengono affrontati con uno sguardo nuovo; lo sguardo di chi li traspone nel contesto italiano. Una volta ancora, la fantascienza si propone come letteratura di indagine, votata a stimolare l’esercizio critico del pensiero tramite l’intrattenimento e l’intreccio di storie avvincenti. Ed ecco allora che, si tratti di trame distopiche o speranze utopiche, ognuno dei racconti proposti è un modo per gettare uno sguardo più profondo sulla realtà in cui viviamo e cogliere i risvolti più oscuri o le più inespresse potenzialità del Bel Paese.

    C’è stato un tempo in cui si diceva che i dischi volanti non possono atterrare a Lucca. Questa antologia dimostra che forse non arriveranno gli UFO sui nostri cieli, ma visioni ben più originali, provocatorie e coinvolgenti.

    Buon divertimento.

    The Dark Side: le distopie

    L’altra faccia dell’utopia

    Lukha B. Kremo

    1

    I polpastrelli di Amanda scivolano veloci sulla tastiera a schermo. Il software fa fatica a starle dietro e le lettere si selezionano con un ritardo che crea una scia che segue le dita, raggiungendole solo quando lei si ferma.

    Codice di programmazione, nomi di subroutine, script già pronti e cancellature, tante cancellature. Troppe.

    Amanda fa girare il nuovo lavoro. Si blocca tutto. Tira un pugno sul pad.

    – ‘fanculo.

    La donna resta un po’ a fissare il numero di errore sullo schermo, digrignando i denti e serrando la mascella. Poi si alza e va verso il frigo. È il momento di smettere, perché proseguire sarebbe inutile, forse deleterio. Quando gli occhi sono troppo stanchi, ogni operazione di debug, ogni errore corretto, è accompagnato dall’aggiunta di un’altra svista ed è quindi meglio rimandare a quando si è più riposati.

    Il frigo, però, non le mette la consueta gioia. È quasi vuoto. Dovrebbe ordinare qualcosa. Afferra il telefono, ma qualcuno ha il grilletto più veloce del suo. Il nome di Manenti, il suo capo, appare prima che lei riesca a chiamare la pizzeria.

    Prende un profondo respiro. Pensa alle parole da usare, ma soprattutto al tono; deve stare attenta a come le pronuncia, quelle parole, già selezionate con cura.

    – Sì?

    – Ne ho bisogno per domani. Dopodomani arriva il cliente.

    Silenzio. Sarebbe la censura di quello che la pancia le suggerisce di dire.

    – Ci sei?

    – Ho… ho ancora un problemino sui flussi e…

    – Santo Dio, ancora sui flussi! Così va tutto a puttane.

    Amanda si chiede sempre perché Manenti si possa permettere certe parole, e lei no.

    – Ci sono ancora dei bug che non vanno bene nemmeno per una Beta.

    – Cristo, ‘manda, ma non puoi bypassare il tutto? Ci metti una bella funzioncina preconfezionata.

    – Cioè?

    – Una cosa che funziona solo per un certo valore. Ci mettiamo d’accordo e alla presentazione inserisco quel valore come esempio. Il cliente è contento e settimana prossima, quando riceve la Beta, è già tutto corretto.

    Che significa, pensa Amanda, che tra poco dovrà stare sveglia H24.

    – Ci provo.

    – No ci provo. Lo fai e basta. Avevi tutto il tempo. 96 ore.

    Amanda apre la bocca, qualcosa deve pur dire. Che quelle 96 ore sono comprensive di sonno, cibo e il resto della vita, ma Manenti ha già interrotto la comunicazione.

    – Arrisentirci, signor Manenti, grazie per aver chiamato, gran figlio di puttana – dice Amanda immaginandosi ciò che avrebbe voluto davvero che lui sentisse.

    La donna getta il telefono, che rimbalza sul letto e cade a terra. Impreca. E Olivia gorgoglia. Si è svegliata.

    Ci mancava pure questa.

    Sul lettino la bambina comincia ad agitarsi e sulla bocca ha già un batuffolo di schiuma. Amanda prende un fazzolettino e lo pulisce via. Olivia le sorride, agitando le braccine in maniera scoordinata.

    – Hai fame?

    Olivia alza le sopracciglia al massimo. È il suo modo di dire sì.

    Olivia ha una malattia neurodegenerativa con un nome che Amanda non ricorda, composto dal cognome quasi illeggibile dei medici che l’hanno scoperta. Ce l’ha scritto da qualche parte, ma non le interessa, la cura non esiste e i trattamenti costano troppo. Olivia fa fatica a muovere i muscoli e non riesce a coordinarli, ma questo non le impedisce di comunicare con degli strani vocalizzi e le espressioni vivaci del viso.

    La donna prende la bimba in braccio. Ormai ha quattro anni e comincia a pesare. E questo è motivo di angoscia per lei. Se Olivia rimanesse una bambina per tutta la vita, Amanda potrebbe prendersi cura di lei senza troppi problemi. Ma non è così.

    Amanda mette sul fuoco un omogeneizzato. Nel frattempo guarda fuori dalla finestra: è buio e forse c’è la nebbia, non riesce a capire. Mentre si sporge passa la metropolitana sopraelevata, facendo vibrare i vetri. I binari sono proprio al suo piano. Altra imprecazione. Si ferma a guardare i vagoni che sfilano a pochi metri. Il convoglio rallenta fino a fermarsi. Dal finestrino due ragazzini la vedono e mimano i versi della scimmia.

    Amanda chiude la tapparella.

    Ci manca anche il razzismo, oggi.

    Poi sente il convoglio riprendere velocità e allontanarsi. Allora riapre. Ma il convoglio è ancora lì, coi ragazzini che gonfiano le guance e si grattano la testa.

    – Musipallidi del cazzo – dice per ripicca. Ma loro non la possono sentire. Il treno riparte per davvero e Amanda può cercare l’insegna del kebabbaro di fronte. Ma non la vede. È chiuso o è la nebbia che…

    Suona il cellulare. Amanda lo recupera.

    – Martin, io…

    Dal telefono arriva una voce maschile, marcata. – Fammi parlare, ci ho pensato bene.

    Amanda resta in silenzio. Ma l’uomo non parla.

    – E…? – incalza lei.

    – E niente, come ti ho detto nei messaggi, inutile recuperare una situazione ormai sputtanata. Dai, ci abbiamo provato, quante volte? Ho perso il conto, e sono stufo di perdere tempo.

    Amanda vorrebbe dire, come ha fatto finora, che no, devono provarci ancora a stare insieme, almeno come frequentazione, sebbene l’obiettivo sia quello di dormire sotto lo stesso tetto, fare colazione allo stesso tavolo e… ma per la prima volta sente, in fondo, di averne abbastanza; proprio come un boccone che le fosse rimasto a metà tra gola e stomaco, un blocco che non le fa dire altro che: – E va bene, se sarà il caso di riprovarci lo dirà il tempo…

    Martin ripete che è d’accordo, che tutti i discorsi fatti via messaggio sono stati utili per arrivare a questa decisione, e che forse è la volta buona che il tentativo sia fatto al contrario.

    – Proviamo a non sentirci più.

    Amanda annuisce.

    Qualche secondo dopo la fine della comunicazione la donna bofonchia tra sé.

    Certo, bel tentativo. Ma sente che è un rigurgito di ripensamento che presto svanirà. Non le sembra il caso di deprimersi, o peggio di piangere, come l’ultima volta. Anzi, il fatto che l’abbia già fatto le permette di posticipare il pensiero.

    Non adesso.

    La donna prende il vasetto di omogeneizzato e comincia a imboccare Olivia. La bimba è un po’ agitata e dopo alcuni bocconi sputacchia tutto sul lettino. Amanda fa un gesto di stizza e lancia il cucchiaino contro il muro. Non ce l’ha con lei, ovvio. Ne ha abbastanza di tutta quella situazione.

    Qui ci vuole un kebab e una bella birra.

    Amanda torna verso la finestra, non ha ancora capito se l’insegna è spenta o è nascosta dalla nebbia.

    Ma il cellulare che stringe ancora inavvertitamente tra le mani, suona e vibra di nuovo: numero sconosciuto. Amanda aspetta ancora due squilli prima di rispondere.

    – Amanda Hegel? – chiede una voce che non riconosce.

    Lei non risponde. Hegel non è il suo cognome anagrafico. È il nick di quando si dilettava ad hackerare siti di videogame e altro.

    – Chi la vuole? – chiede con cautela.

    – Sono Neo – dice pronunciando il nome all’inglese.

    Lei ridacchia. – Come quello di Matrix?

    – Una specie.

    La donna mette la mano sul fianco e piega il collo. – Bene, Eletto. Perché vuoi Hegel?

    – Perché devo farle scegliere una pillola, mi pare ovvio.

    Amanda si chiede chi sia il burlone che si nasconde dietro quella voce calda e decisa, quasi da doppiatore.

    – Ma certo, che stupida.

    – Hai appena avuto un dejavù, se non sbaglio – continua la voce di Neo.

    Amanda ricorda che nel film il dejavù era il segnale che qualcuno aveva fatto delle modifiche alla matrice, cioè al software che rappresentava la realtà.

    – Ti sbagli. Niente dejavù – risponde lei, civetta.

    – Il treno – specifica lui. – Hai notato che è ripartito, ma subito dopo si trovava nello stesso posto?

    Amanda gela. E mente: – No.

    – Non è proprio un dejavù, ma è un segnale ancora più esplicito – spiega lui.

    Lei cerca di stare al gioco. Perché dev’essere per forza un gioco. – Allora significa che mi stanno venendo a prendere?

    – Non adesso. Ci vedremo quando sarai pronta. Ancora non ci credi.

    – A cosa dovrei…?

    – Ciao. – Neo chiude la comunicazione e Amanda scuote la testa. Non sa se la cosa sia riuscita a risollevarle un pochino l’umore o se, al contrario, l’abbia inquietata. Qualche burlone delle vecchie conoscenze online si vuole divertire.

    Poi si ricorda del treno. L’impressione che fosse partito due volte l’aveva avuta. La donna torna alla finestra e alza la tapparella, osservando i binari. Attraverso la nebbia, intravede l’insegna del kebabbaro. È l’ora di farsi un döner kebab e una birretta!

    Olivia si è calmata, forse non ha fame e il vero problema è che sente la sua ansia. Amanda l’avvolge in un pesante plaid, la stringe in grembo ed esce di casa.

    Scendendo le rampe sente un fastidioso fetore di urina.

    – Se quel vecchio di merda non la smette di pisciare sulle scale giuro che la prossima volta lo pesto.

    Fuori del portone il freddo pungente della sera l’assale. Come al solito si è dimenticata di mettersi qualcosa di pesante. Ma almeno Olivia è al caldo. E anche la mascherina!

    Non sopporto più quest’epidemia! Vorrei prendermi ‘sto coronavirus e buonanotte! Ma poi si ricorda di Olivia. Non può permettersi di ammalarsi.

    La donna alza la coperta sul viso della bimba. Non è la prima volta che si rende conto di essere premurosa nei confronti della figlia, ma di trascurare sé stessa. In giro non c’è nessuno, non ci sono nemmeno rumori di macchine, per cui punta l’insegna e attraversa quasi di corsa, trovandosi davanti al negozio di kebab.

    Dentro è vuoto. Per una volta non dovrà aspettare. Appena la vede, il kebabbaro sibila: – Il solito?

    – Sì, ma questa volta molto piccante. Vacci giù di brutto.

    Lui sorride, poi la guarda e le fa il segno della mascherina.

    – Sì, scusa, dimenticata. Sto lontana.

    – Tranquilla, tanto non c’è nessuno – risponde lui, che comincia a tagliare la carne dal girarrosto.

    Il kebabbaro mette gli ingredienti nella piadina, la chiude e la mette sulla piastra a scaldare.

    Amanda libera il viso di Olivia, che le sorride, aprendo la bocca come se volesse darle un bacino. Nel frattempo l’uomo ha confezionato il kebab nella carta stagnola e lo ha poggiato sul banco. Lei lo sta per afferrare, ma lui la ferma: – No, questo non è per te.

    – Ah, scusa – fa lei. – Sai, non avevo visto nessuno…

    Lui non aggiunge altro e si gira. Amanda continua a guardare Olivia. Che sta dormendo.

    Wow, sei crollata!

    – È pronto, eh.

    La donna alza lo sguardo: vede solo il kebab di prima. – Ehm, non lo vedo.

    Lui sghignazza. – Sei sempre in vena di battute.

    Nota che lui ha lo sguardo puntato sull’unico kebab che c’è sul bancone, nella carta di alluminio.

    – Hai detto che non era per me…

    – Per chi vuoi che sia, con la pandemia e ‘sto tempo da lupi stanno tutti in casa – dice lui, quasi protestando.

    Lei strizza gli occhi. C’è qualcosa che le sfugge. Allora temporeggia.

    – Prendo anche una birra – dice. Apre il frigo e preleva una lattina di Bavaria. Quando torna, il kebab è sempre al suo posto, sul bancone. Lo prende titubando. Il kebabbaro non la ferma.

    La donna torna a casa in fretta, senza guardarsi intorno. Sembra che la nebbia non ci sia più, ma non vuole più pensare.

    Olivia dorme ancora e lei la adagia sul lettino. Strano, pensa, forse ha capito la situazione e non vuole disturbarmi… Sorride all’idea, poi apre la carta stagnola e azzanna il kebab. Il computer è ancora acceso, allora decide di riavviarlo in modo che faccia eventuali aggiornamenti, non vorrebbe mai che la notte successiva, nel bel mezzo del lavoro, parta qualche operazione improrogabile che gli blocchi tutto.

    Amanda assapora il pasto concentrandosi sul gusto, la salsina agrodolce, la carne morbida, le verdure. Infine il piccante che le brucia la lingua, liberando le papille gustative dai sapori. Come un reset, pensa. Ora che ha riavviato PC e gola, può smorzare il piccante con una birra gelata. Fa dei grossi sorsi e si sdraia sul letto, soddisfatta, trastullandosi col cellulare. Apre un social, poi lo richiude. Meglio di no. Allora naviga a caso su YouTube.

    Un gatto che rincorre un cane. Divertente. Uno scivolone sul ghiaccio. Un colletto bianco che sclera, afferra la testiera e la sbatte a terra. Ad Amanda cade l’occhio sul listato. Deformazione professionale.

    Ehi, un momento.

    Blocca il video. Sullo schermo del PC dell’impiegato compaiono tre grosse lettere. N, E, O, e poco sotto la frase stiamo lavorando per te, in inglese.

    Amanda tocca accidentalmente lo schermo e il video scivola via. Cerca di tornare indietro, ma il video non c’è più.

    Basta. Devo rilassarmi, riposare un po’. Da domani dovrò inventarmi un trucchetto per far apparire funzionante un software che in effetti non lo è.

    Non fa in tempo a finire la lattina che già dorme.

    Quando si sveglia si alza di scatto a sedere come se avesse avuto un incubo. E invece no, ha avuto un sogno bellissimo. Si trovava in una casa piena di piante, su un balcone che dava su una valle verde come quelle dei film fantasy. Ed era innamorata. Di una bellissima orientale dalla pelle lunare.

    Caspita.

    Amanda scuote la testa. Se le fossero piaciute le donne, l’avrebbe scoperto prima.

    Il senso d’amore le è rimasto addosso come un profumo. Il desiderio di rivederla è ancora forte. Le metafore dei sogni non sono sempre facili da interpretare. Amanda cerca di compensare il dispiacere di quell’amore impossibile, morto con il suo risveglio, con la speranza che sì, il suo prossimo amore sarà proprio così.

    La donna si alza e va verso il lettino. Olivia è già sveglia, ma non si sta lamentando. Lei la ringrazia mentalmente, la prende in braccio e la bacia.

    – Hai fame?

    Lei abbassa le palpebre con decisione. Poi fa dei versi inequivocabili. Vuole giocare.

    – Ok. – La donna poggia la bimba sul materassino dei giochi, dove Olivia si diverte con i pupazzetti colorati dei suoi supereroi preferiti.

    Infine Amanda si siede al PC e avvia il software da finire. Si apre una finestra. Ciao, Hegel.

    Mio Dio, ancora!

    Ti ho inoculato questo script. Tranquilla, è innocuo. Poi ti lascio al tuo lavoro. Ma prima voglio capire se sei pronta. Neo.

    La donna batte il pugno sulla scrivania. – Proprio ora, ‘sti rompicoglioni.

    Cerca di eliminare la finestra. Se ne apre un’altra. Toc, toc. Lei scuote la testa. Se lo ricordava bene il film, bussavano mentre appariva la scritta. Bella trovata. Ma, naturalmente, niente di reale.

    Amanda riesce a chiudere la finestra, va sul registro a controllare se lo script ha cambiato qualcosa, poi fa partire l’antivirus; non si sa mai.

    Suona il citofono.

    Strano, non è l’ora dei rider.

    Va a rispondere.

    Sullo schermo del citofono vede il viso sgranato in bianco e nero di Vania.

    – Ciao, sono qui con Roberto e un suo amico, stiamo organizzando una cena a casa mia. Siamo solo noi. Tutto regolare – dice riferendosi alle strettissime norme antiassembramento a causa della pandemia.

    – No, grazie, è proprio il momento sbagliato.

    – Ok, ma c’è questo ragazzo che voleva parlarti. Dice che ti ha conosciuta tanti anni fa. Si fa chiamare Neo.

    Amanda resta in silenzio per qualche secondo.

    – Ci sei ancora? – chiede Vania.

    – Fammelo vedere.

    Vania si sposta e lascia intravedere un ragazzo, bianco, barbetta precisa, sguardo profondo.

    Carino, decide lei. Magari prossima settimana…

    – Scendi, Hegel – dice Neo.

    Amanda sbotta: – Perché mi chiami così?

    – Sono quello del messaggio. So che non hai molto tempo. Ma facciamo presto. Un’oretta e ti spiego tutto.

    Amanda riflette. Vero che ha un lavoro che non sa nemmeno quanto tempo le prenda, ma un’ora non cambierà la situazione. E poi, deve capire che diavolo vuole questo Neo. E quando cazzo l’ha conosciuto.

    – E Olivia?

    – Ma cara, lo sai –

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