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Il figlio dell'unicorno: Il Necromante 1
Il figlio dell'unicorno: Il Necromante 1
Il figlio dell'unicorno: Il Necromante 1
E-book55 pagine43 minuti

Il figlio dell'unicorno: Il Necromante 1

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RACCONTO LUNGO FANTASY - Quando la magia e il coraggio si incontrano, le anime degli uomini si forgiano per combattere il male

Selidor è un uomo privo di scrupoli, un mago pronto a sacrificare i compagni pur di perseguire i propri scopi. Ne sa qualcosa Alètheyos, costretto suo malgrado a seguirlo e a destreggiarsi in avventure fuori dell'ordinario, in cui dovrà giocare d'abilità per salvarsi la vita. Questa volta il mago è alla ricerca del figlio di un Unicorno. Perché è tanto speciale questa creatura? Perché Selidor vuole salvarla a tutti i costi, sottraendola alle grinfie di esseri malvagi? Sembra che non faccia mai nulla per nulla, dopotutto. Ma forse, stavolta, è davvero mosso da una giusta causa. E il tempo stringe.

Simonetta Fornasiero nasce a Biella il 28 giugno del 1976, attualmente vive e lavora in Francia. Ha frequentato un corso di scrittura creativa con Franco Forte nel 2012. Alcuni suoi racconti compaiono sulla rivista Writers Magazine Italia, sulla rivista Robot e su alcune antologie, edite da Delos. Un suo racconto, “La passione di Leanan”, si è classificato al secondo posto alla XXVII edizione del  Premio Writers Magazine.
LinguaItaliano
Data di uscita5 nov 2013
ISBN9788867750979
Il figlio dell'unicorno: Il Necromante 1

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    Anteprima del libro

    Il figlio dell'unicorno - Simonetta Fornasiero

    Magazine.

    1

    Le urla non avevano niente di umano. Si ripetevano incessanti, animando la foresta di spettri di paura.

    Gli animali notturni si erano azzittiti, ma il sottobosco brulicava ancora di strida e di ringhi.

    La Luna incendiava un cielo cobalto e argentava le chiome degli alberi di una luce ingannevole. Alétheyos ce l'aveva in piena faccia ora, a tradire la sua bianca pelle da elfo. Stava scappando da ore e la brezza anticipava la prossimità della prateria, ma aveva perso di vista il sentiero nella fuga. Le Foreste di Pioggia avevano cancellato ogni punto di riferimento, imputridendolo con lacrime melmose, che scivolavano dai rami, incollandosi a tutto.

    Annusò l'aria per fiutare la direzione giusta, ma il tanfo delle Areidi gli aprì lo stomaco in un conato di nausea.

    Non voleva voltarsi. Le avvertiva vicine. Fiere dal corpo di donna, questo erano, e lui era ancora a portata delle loro frecce.

    Rabbrividì, al ricordo dei loro occhi gialli, di come avevano infiammato l'oscurità di sguardi da demone. Non riusciva a calmarsi. Rievocò l'immagine dei boschi di Tinglen. Perché era stato costretto a lasciarla? Ma il giuramento di un elfo era sacro, anche quando veniva strappato con le minacce. E Selidor era così sicuro del procedere dei suoi passi, almeno quanto lui era incerto dell'avanzare dei propri. Sbirciò la colata infetta della linfa degli alberi, e si domandò se possedesse l'oscura proprietà di fomentare la disperazione.

    Un urlo alle spalle, e un dolore improvviso gli squarciò la schiena, inaspettato. Alétheyos si voltò davanti a un incubo. La belva era di fronte a lui. Lo caricò ribaltandolo a terra.

    L'avevano raggiunto.

    Il corpo nudo dell'Areide era viscido, come il pianto ininterrotto della foresta, ma freddo e sodo. Alétheyos se ne sbarazzò con uno scrollone.

    La donna soffiò, ripiombandogli addosso.

    Se la inchiodò tra le cosce, sotto una tempesta di graffi. A cavalcioni su di lei, estrasse la daga e le tranciò la gola. – La tua essenza rinasca tra le spire di Pungdul. – Mormorò la formula funebre di Tinglen, un vago sussurro tra i brusii della notte.

    La fiera gorgogliò, eruttando sangue, e Alétheyos inorridì.

    Frugò il buio alle spalle. Le compagne erano vicine e la foresta bisbigliava pericoli all'oscurità.

    Scattò tra i rami, badando a non rendere di nuovo necessario un atto tanto osceno.

    La linea dell'orizzonte si stava già infiammando d'un bagliore d'oro, quando Alétheyos giunse alla collina di Dull. Setacciò la prateria con lo sguardo e sbuffò tra sé. Selidor era in ritardo.

    Si levò la faretra dalle spalle. Il graffio era fuoco liquido sulla pelle e bruciava come il marchio di un'ingiuria. E c'erano altre ferite che, se non avesse curato, si sarebbero infettate. Il mago questa volta gli avrebbe dovuto un bel po' di spiegazioni. L'aveva infilato in quella storia, limitando al minimo i dettagli, come suo solito.

    Fiutò l'erba alla ricerca di un rimedio, ma si lasciò scivolare sul prato, rilassandosi per la prima volta in due giorni e così vi restò per alcuni minuti fino a che un mormorio gli giunse tra le spire del vento.

    Si acquattò pronto e impugnò la daga. I sensi ancora eccitati dalle avventure delle ultime ore. Strisciò fino a una macchia d'arbusti da cui la collina iniziava la discesa. Ma già il suono si faceva più forte, rivelando la presenza del compagno.

    Alétheyos sbirciò oltre il riparo, ma soffocò il saluto.

    Selidor, la schiena addossata a un masso, un braccio rivolto al firmamento, era seduto poco distante. Accarezzava con un dito le ultime stelle del mattino, unendole nell'inseguire un percorso: — Alpheratz... Mirach... Cassiopeja... — mormorava, cullandosi col suono. La testa sepolta sotto il

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