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Ricordi d’Africa
Ricordi d’Africa
Ricordi d’Africa
E-book193 pagine2 ore

Ricordi d’Africa

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Info su questo ebook

Quando si pensa all’Africa si pensa alla savana, ai leoni, ai safari; ogni tanto alle tribù indigene, ogni tanto alla povertà. Ma se non si è stati nel Continente Nero, non si può immaginare cosa voglia dire vivere in quei luoghi, non si ha idea di come la morte sia sempre in agguato. 
In questo caso, invece, grazie al suo stile semplice e al racconto diretto della sua esperienza, l’autore riesce a trasportare il lettore dall’altra parte del Mondo e a mostrare i lati più oscuri dell’Africa, ma anche tutta la sua bellezza e la forza del suo popolo.

Nato a Brebbia (VA) nel 1949, agli studi preferivo i boschi e i fiumi del Varesotto. Finite le scuole commerciali a quattordici anni, ho cominciato a lavorare e a venti ho aperto una ditta per mio conto, un’officina per la costruzione di pezzi e parti meccaniche per macchine industriali. Sempre per il mio spirito libero, ho imparato diversi mestieri che mi sono serviti nella vita, e soprattutto in Africa. Adesso sono pensionato. 
LinguaItaliano
Data di uscita30 apr 2019
ISBN9788830603813
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    Anteprima del libro

    Ricordi d’Africa - Pierangelo Giuliani

    Albatros

    Nuove Voci

    Ebook

    © 2019 Gruppo Albatros Il Filo S.r.l. | Roma

    www.gruppoalbatros.com

    ISBN 9788830603813

    I edizione elettronica aprile 2019

    Mappa dei parchi del Tanzanìa.

    I nomi dei personaggi, di questo romanzo sono di fantasia dell’autore, mentre, i fatti sono stati realmente vissuti dallo stesso.

    PREFAZIONE

    Questo libro racconta storie di un’Africa degli anni ottanta, quando gli stati Africani erano molto diversi l’uno dall’altro. Alcuni erano più moderni, altri lo erano meno, mentre oggi il Tanzanìa sembra che sia cambiato molto. Ci sono molte belle case, si trova di tutto, ci sono moltissimi telefonini, sono state asfaltate una grande quantità di strade, le automobili sono notevolmente aumentate. C’è stato uno sviluppo molto veloce. Anche le strutture per il turismo sono migliorate. Il popolo Tanzanìano è un popolo attivo, che se non viene oppresso, è molto dinamico. Chiaramente non per tutta la popolazione sono rose e fiori, ma sono sulla buona strada. Ho scelto storie non sempre attinte dalla vita di ogni giorno, ma spesso intrise da fatti complicati e dolorosi. Tuttavia non ho tralasciato di parlare di momenti sereni e felici che hanno reso indimenticabile un arco di ben cinque anni trascorsi nel lontano Tanzanìa.

    Cartina geografica del Tanzanìa

    TANZANÌA

    Mi soffermerò brevemente a dare un piccolo cenno storico sul Tanzanìa, per loro nome proprio maschile mentre per noi verrebbe più comodo dire la Tanzanìa.

    La sua storia si snoda lungo tanti secoli, ma io non ho né le conoscenze né le capacità per parlarne in maniera approfondita.

    Per raccontarla ritorno con la mente al giorno in cui mi capitò l’occasione di poter andare in Tanzanìa per lavoro.

    Possedevo un laboratorio artigianale di meccanica, specializzato in tornitura e fresatura per la costruzione di pezzi e parti assemblate per macchine industriali e facevo anche affilatura utensili per conto terzi.

    Avevo cominciato a lavorare dopo le scuole medie a quattordici anni.

    Dopo aver fatto tre anni di lavoro in un’officina artigiana, feci altri tre anni in una grande industria e a vent’anni mi licenziai per iniziare la mia attività.

    La cosa non fu molto facile perché, come è noto, le banche, se non hai niente, non ti prestano niente.

    Ma avevo le capacità, il lavoro, la buona volontà, girai fino a quando trovai un venditore di macchine utensili che mi fece un po’ di credito: così cominciai.

    Non si contavano le ore, né i sabati né le domeniche: il lavoro era sempre urgente; se lo accettavi lo dovevi fare subito; se non lo accettavi era un attimo rimanere senza, ma la ditta andava avanti.

    Un giorno però mi stancai di quella vita, anche perché la pura e semplice verità era che i risultati del tuo lavoro se li prendeva sempre il governo. Come clienti avevi solo altre ditte e di conseguenza era tutto fatturato; alla fine dell’anno quando facevi le somme mettendo in conto le tasse e i macchinari che dovevi acquistare, e altre spese non previste, pur facendo un fatturato che superava più di dieci o dodici volte lo stipendio di un operaio, non riuscivi neanche a eguagliarlo nel netto; era sempre inferiore quello che ti rimaneva, anche di molto. Nel frattempo ero rimasto solo, i miei genitori erano morti a distanza di quattro mesi uno dall’altro, io non ero ancora sposato e questa vita tutto lavoro non era proprio entusiasmante.

    Cominciavo a pensare di andare in Brasile per iniziare qualche altra attività meno stressante.

    Erano ormai quindici anni che avevo l’officina e questi pensieri si erano fatti più assillanti nella mia testa.

    Un giorno venne da me un signore di nome Vincenzo per fare dei pezzi meccanici.

    Gli chiesi: ‹‹A che cosa servono?››

    Mi rispose: «Sono pezzi di ricambio che vanno in Africa, precisamente in Tanzanìa»

    Al che presi la palla al balzo e gli dissi: ‹‹Non posso venire anch’io?››

    Rispose: ‹‹Io parto in settembre, se vuoi venire con me per vedere l’ambiente. Prepara il passaporto e fai le vaccinazioni necessarie. Poi ci sentiremo per la data precisa della partenza.››

    A quei tempi ci volevano le vaccinazioni per febbre gialla, colera e la profilassi antimalarica.

    Eravamo verso la fine di luglio e per me agosto era un mese terribile perché le ditte chiudevano e facevano manutenzione a tutti i loro impianti e macchinari. Io avevo tantissimo lavoro, comunque in qualche modo, facendo salti mortali, distribuendo anche del lavoro ad altri artigiani amici, per il 10 di settembre, riuscii ad essere pronto per partire.

    Il pensiero di andare in Africa non come turista, ma con una prospettiva di lavoro, mi aveva gasato. Il Tanzanìa, con quei nomi esotici come Dar Es Salaam, Zanzibar, mi evocava storie di grandi esploratori, di mare e di terra, di commercio di spezie, di sultani di principesse e… purtroppo anche di schiavi.

    Inoltre il Tanzanìa mi richiamava un patrimonio naturale tra i più belli di tutta l’Africa. Davanti a me vedevo già, il lago Tanganyka che è il più lungo e il più profondo dell’Africa, il lago Vittoria che è il secondo per estensione nel mondo, il lago Niassa, il Kilimanjaro la montagna più alta dell’Africa e tra le più alte del mondo.

    I superlativi, parlando del Tanzanìa non si sprecano: anche i suoi parchi sono tra i più belli e i più grandi e l’Oceano Indiano che lambisce con le sue onde, quasi ottocento chilometri di coste, con quelle spiagge di fine sabbia argentata, da veramente l’idea dell’immensità, dell’infinito. Che cosa dire poi delle isole di Zanzibar, Pemba e Mafia! È quasi impossibile descriverle tanto sono belle.

    Nella sua lunga storia il Tanzanìa è stato il punto di incontro delle civiltà africana, araba, asiatica, ed europea; e qui è nato lo swahili lingua franca di tutta l’Africa orientale, dove il moderno modo di vivere si è innestato su antiche usanze e nobili tradizioni.

    Per migliaia di anni è stato un importantissimo polo commerciale dell’Oceano Indiano: lungo le sue coste sorse e fiorì una grande civiltà islamica che ha lasciato delle belle città dall’architettura araba.

    Benché sia una nazione di recente formazione, ha una lunga storia. Infatti, sembrerebbe che, circa 3 milioni di anni fa, siano vissuti in questa zona due tipi umani: il primo non ancora ben sviluppato, ma il secondo, l’Homo abilis (uomo che sa fare un po’ di tutto) era in grado di fabbricare utensili e, con tutta probabilità, era il progenitore dell’uomo moderno, secondo quanto dicono alcuni studiosi.

    Le sue coste, abbellite da palmizi, da bellissime lagune, da antiche rovine e villaggi dimenticati, avrebbero tante storie da raccontare se potessero parlare.

    Le brezze dei monsoni rendono l’aria profumata di salsedine, di gelsomino e d’ibisco, di frangipani. Purtroppo non mancano anche odori sgradevoli quando la bassa marea lascia la battigia sotto il sole potente dell’equatore, facendo essiccare tutto quello che rimane sulla spiaggia.

    Per secoli il principale punto di approdo per mercanti e viaggiatori diretti verso l’interno è stato Bagamoyo, di fronte all’isola di Zanzibar e all’incirca in posizione mediana rispetto allo sviluppo costiero.

    È incerta l’origine del nome della città; la tradizione vuole derivi dalla parola swahili Bagamoyo che significa mettiti in pace cuore mio.

    Per gli schiavi significava sofferenza e disperazione.

    Chi era sopravvissuto al terribile viaggio dall’interno, giungeva a Bagamoyo per essere venduto, quindi veniva caricato nelle stive dei dhow, imbarcazioni a vela usate ancora oggi per il trasporto di mezzi e passeggeri lungo le coste della Tanzanìa e trasportato come un animale incatenato a Zanzibar, dove poi venivano acquistati da altri mercanti e portati in Arabia, Persia e India.

    Per lui, Bagamoyo sarebbe stato l’ultimo contatto con la terra natia, prima del viaggio senza ritorno.

    Al contrario per i portatori, che andavano all’interno con le spedizioni, tornare a Bagamoyo era motivo di gioia: erano sopravvissuti alle terribili malattie dell’interno, agli animali feroci, alla mancanza d’acqua, ed alle tribù non troppo accoglienti, erano pronti festeggiare con gli amici e le famiglie.

    Anche loro potevano esclamare: ‹‹Mettiti in pace cuore mio! Anche questa volta ce l’abbiamo fatta.››

    Se Bagamoyo per molti era la fine di un viaggio, per altri era un punto di partenza.

    Da qui i primi esploratori europei come Livingstone, Burton, Spike, Grant, e Stanley americano, partirono con le loro grandi spedizioni, per la ricerca delle sorgenti del Nilo e non solo.

    Col passare del tempo Bagamoyo perse la sua importanza a vantaggio di Dar Es Salaam e Tanga che avevano dei porti più adatti ai grandi velieri prima e alle grandi navi moderne poi.

    Fino al governo di Julius Nyerere, il Tanzanìa era rimasto un po’ fermo nello sviluppo: questa staticità era un fatto negativo per l’aspetto economico, un fatto positivo per quanto riguardava l’aspetto ambientale. Era forse più affascinante del Kenya, restando comunque pericolosa perché le vie di comunicazione erano poche le distanze molto grandi, bastava un piccolo incidente per poter mettere in serie difficoltà e rischiare anche la vita.

    Chi si avventurava e si avventura nell’interno in posti isolati, deve fare una buona scorta d’acqua che è particolarmente difficile da procurarsi. Ancora oggi una delle cause più frequenti di morte è la malaria. Ed anche una ferita qualsiasi, non opportunamente disinfettata, tende per il caldo e per i microbi a infettarsi.

    E come dicevo soprattutto l’acqua per chi si avventura nell’interno se non ha una buona scorta è molto difficile procurarla, figuriamoci centinaia di anni fa.

    È rimasta famosa negli anni la frase che i due esploratori Livingstone e Stanley si scambiarono quando si incontrarono nel 1871 ad Ujiji sul lago Tanganyica, negli altipiani all’interno del Tanzanìa mentre erano alla ricerca delle sorgenti del Nilo: "You are the Doctor Livingstone, I suppose? And you are Mr. Stanley." (Suppongo che tu sia il Dottor Livingstone, e tu il Sig. Stanley.) Io la riporto così come mi è stata riportata perché i due si conoscevano di fama, ma non si erano mai visti. Questa diventò come una storia che si raccontò per qualche anno, anzi, io nel 1985 l’ho sentita raccontare ancora. Non ebbero molte difficoltà a riconoscersi poiché di bianchi che si spingevano così all’interno non ce n’erano tanti; tra di loro vi era anche una certa rivalità.

    Dovevano affrontare moltissime difficoltà: farsi il percorso a piedi, perché non c’erano ancora strade, sperare di non prendere malattie ancora sconosciute come la febbre gialla, la malaria, la bilarzia il tifo, il colera, e le migliaia di insetti della cui puntura non conosci le conseguenze fino a quando non si manifestano.

    A circa dieci chilometri da Tabora a Kitara, è stato ricostruito il (Tembe) arabo eretto nel 1860, dove sostarono Burton, Spike, e Livingstone durante i loro viaggi.

    È un grande edificio rettangolare, con belle porte di Zanzibar, costruito attorno a un cortile interno dove di notte venivano impastoiati gli asini.

    Dopo avervi soggiornato per dieci mesi, per riprendere le forze, nel fisico, indebolito dall’alimentazione precaria e da diverse malattie.

    Nell’agosto del 1872 Livingstone lasciò Kwihara partendo per il suo ultimo viaggio. Colpito dalla dissenteria e stremato dalla fatica morì il 10 maggio 1873 a Chitambo in Zambia, a sud del lago Bangweula. Sempre a Bagamoyo nel 1868 il sultano di Zanzibar permise ai padri del Santo Spirito di fondare la prima missione cattolica nell’Africa centro orientale.

    Inizialmente si occupava degli orfani, dei bambini liberati dalla schiavitù, ma ben presto vi trovò rifugio ogni schiavo riscattato. Nel 1872 fu costruita una chiesa, furono avviate iniziative agricole, funzionavano scuole e laboratori artigianali.

    Proprio in questa missione il 24 febbraio 1874 giunsero sei africani sfiniti, portavano il cadavere disseccato di David Livingstone.

    I suoi fedeli compagni, lo avevano trasportato per più di 10 mesi in un viaggio di 2400 chilometri da Chitambo in Zambia, attraversando territori popolati da tribù ostili, e affrontando difficoltà inenarrabili.

    Si trattò forse del viaggio più massacrante e stupefacente nella storia delle esplorazioni africane.

    Una moltitudine di schiavi liberati, con l’aiuto dello stesso Livingstone vennero a rendere omaggio alla salma, prima che fosse imbarcata per Zanzibar e quindi per l’Inghilterra, dove ora riposa nell’Abbazia di Westminster.

    Ma il suo cuore rimase in Africa e fu sepolto ai piedi dell’albero sotto cui morì. L’avventura di Stanley e Livingstone segnò la fine del primo grande periodo d’esplorazione dell’Africa orientale.

    Tornando alla natura: la Tanzanìa è anche uno dei pochi regni rimasti degli ultimi animali selvaggi. Più di un quarto del territorio è costituito da parchi nazionali, riserve ed aree controllate.

    Dell’intero territorio solo il 6% è destinato ad attività agricole e il rimanente è formato in parte da boschi e foreste e molta savana, pascoli ed anche distese aride.

    È un paese dove la natura in buona parte regna ancora incontrastata.

    Anche se la popolazione non è ancora numerosa, il Tanzanìa, come molte parti nel mondo, è interessata ad un rapido sviluppo urbanistico.

    Dar Es Salaam, un tempo famoso come ‘porto della quiete’ oggi è una città frenetica con diversi milioni di abitanti.

    Le vecchie usanze di vita stanno scomparendo molto velocemente. I legami tribali si sciolgono.

    Il tempo delle nozze combinate, con le doti in capi di bestiame, nelle città, ha ormai lasciato il posto ai matrimoni d’amore.

    Il progresso, con la tecnologia, la radio e la televisione, imprime uno stile di vita che sta uniformando tutto il mondo.

    Solo nei villaggi resistono ancora le tradizioni: seduti fuori dalle capanne, alla luce della luna, o delle candele, si possono vedere ancora persone sedute a raccontare storie

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