L’albero e la stazione di servizio
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Info su questo ebook
Al di là del vetro c’è un muretto scalcinato, una rete metallica, una strada piuttosto larga, una stazione di servizio. Lontano si vede il cimitero del paese. Di fronte, dall’altra parte della strada, c’è un albero. Me ne sto lì ad osservare, di nascosto. La vista non è propriamente bella, ma neanche brutta. È vera.
La strada è trafficata, vi passano autoveicoli di tutti i tipi e poi moto e camion. Come in tutte le strade, suppongo. Ogni tanto uno di questi mezzi entra nell’area di servizio per rifornirsi. Il carburante è ovviamente necessario per la locomozione ma il suo odore è forte, penetrante, sgradevole; trasportato dal vento arriva fin dentro, nel mio ufficio. Anche all’aperto, l’aria sembra viziata. Spero che il benzinaio non mi veda mentre me ne sto qui a guardare. Magari spengo la luce.
L’unico elemento naturale, in questo assiduo viavai di macchine, è quell’albero che, da solo, s’accolla il compito di purificare l’ossigeno di tutta la zona. La sua è un’impresa ingrata.
Talvolta percorro il corridoio che dal mio ufficio porta all’uscita laterale, mi affaccio dal vetro della portafinestra, guardo quell’albero e penso: mi somiglia.”
Mirella Gusai, psicologa sarda, ha sempre aiutato le persone a trovare dentro di loro nuove forze per affrontare le difficoltà della vita. Un giorno le è capitata l’esperienza più brutta che una madre possa provare, e quelle forze le ha dovute cercare dentro di sé.
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Anteprima del libro
L’albero e la stazione di servizio - Mirella Gusai
Mirella Gusai
L’albero e la stazione di servizio
EDIFICARE
UNIVERSI
© 2019 Europa Edizioni s.r.l. | Roma
www.europaedizioni.it
I edizione elettronica settembre 2019
ISBN 978-88-5508-546-5
Distributore per le librerie Messaggerie Libri
«Non dobbiamo pretendere di capire il mondo solo con l’intelligenza: lo conosciamo, nella stessa misura, attraverso il sentimento. Quindi il giudizio dell’intelligenza è, nel migliore dei casi, soltanto la metà della verità».
[Carl Gustav Jung, Tipi psicologici, 1921]
PREFAZIONE
Al di là di tutto ciò che una autobiografia potrebbe rappresentare, questo libro offre l’occasione al lettore di mettersi a confronto e lasciarsi interpellare dalle medesime azioni personali, visibili e autonome, la cui espressione è legata al piacere di esistere che precede l’evoluzione dell’io. L’andamento come risultato mette insieme l’integrazione di due aspetti che implicano l’inserimento della parte privata con quella lavorativa; ciò dipende dal fatto che entrambi sono coordinati da caratteristiche comuni.
L’autrice si pone come elemento operante attraverso la coscienza e il sentimento, e la descrizione evolve passando attraverso una serie di immagini esterne e interne.
Nelle pagine del libro, nel suo complesso, vi è una vitalità che appartiene alla personalità dell’autrice ma, al contempo, vi è anche una vitalità che si esplica nel continuo confronto con le persone e con le cose.
Giovanna e Andrea Meloni
INTRODUZIONE
Talvolta percorro il corridoio che dal mio ufficio porta a una uscita laterale e mi affaccio dal vetro della portafinestra. Mi piace guardare il mondo fuori, ma da dentro.
Al di là del vetro c’è un muretto scalcinato, una rete metallica, una strada piuttosto larga, una stazione di servizio. Lontano si vede il cimitero del paese. Di fronte, dall’altra parte della strada, c’è un albero. Me ne sto lì a osservare, di nascosto. La vista non è propriamente bella, ma neanche brutta. È vera.
La strada è trafficata, vi passano autoveicoli di tutti i tipi e poi moto e camion. Come in tutte le strade, suppongo. Ogni tanto uno di questi mezzi entra nell’area di servizio per rifornirsi. Il carburante è ovviamente necessario per la locomozione ma il suo odore è forte, penetrante, sgradevole; trasportato dal vento arriva fin dentro, nel mio ufficio. Anche all’aperto, l’aria sembra viziata. Spero che il benzinaio non mi veda mentre me ne sto qui a guardare. Magari spengo la luce.
L’unico elemento naturale, in questo assiduo viavai di macchine, è quell’albero che, da solo, s’accolla il compito di purificare l’ossigeno di tutta la zona. La sua è un’impresa ingrata.
Talvolta percorro il corridoio che dal mio ufficio porta all’uscita laterale, mi affaccio dal vetro della portafinestra, guardo quell’albero e penso: mi somiglia.
LE MIE ORIGINI
Siniscola è un tranquillo paesino di circa dodicimila abitanti sito nella costa orientale della Sardegna, esattamente fra Nuoro e Olbia. Il nome è verosimilmente preromano e dovrebbe derivare dal latino finis colle, ai piedi del colle
. È una tipica cittadina di mare: il paese è un po’ anonimo, come gran parte di quelli sulla costa. Dal punto di vista storico la località non offre granché, se cercate i caratteristici nuraghi dovete spostarvi all’interno dell’isola. Anche per la vita sociale non offre molto, per andare al cinema o a teatro bisogna fare cinquanta chilometri e raggiungere il capoluogo di provincia. La natura invece è accogliente e ancora incontaminata, il mare è pulitissimo.
Nel mio paese è nato Francesco Di Giacomo, il cantante della band Banco del Mutuo Soccorso, molto nota negli anni settanta e ottanta. Suo padre era amico del mio babbo, ha vissuto qui fino ai cinque anni per poi trasferirsi a Zagarolo, nei dintorni di Roma. Pochi conoscono questo particolare, perché aveva un marcato accento romanesco che faceva supporre una sua origine romana. Era una persona buona, oltre che molto simpatico.
Un altro personaggio molto famoso che ha abitato qualche anno qui, pochi lo sanno, è Vasco Rossi; la sua famiglia abitò proprio vicino casa nostra. Il padre, Carlo Rossi, emiliano, meccanico in una fabbrica, era stato trasferito in Baronia e vi aveva portato tutta la famiglia. Il piccolo Vasco era un ragazzo riservato, faceva fatica a socializzare. In una intervista rilasciata anni dopo non ha ricordato quel periodo con molto affetto. Forse già allora pensava in modo divergente, originale, libero. Non sempre è facile integrarsi in un territorio tanto diverso.
Altra figura di spicco nata a Siniscola è il calciatore Salvatore Sirigu, portiere del Torino e della nazionale italiana. Un bravissimo ragazzo: conosco molto bene i suoi genitori, soprattutto la mamma Paola con la quale abbiamo mantenuto, nel tempo, quella stima che ci ha legate fin dalle esperienze condivise in giovane età.
Ma soprattutto Siniscola ha dato i natali a personalità di grande spessore politico e culturale. A Siniscola è nato il politico e avvocato Luigi Oggiano. Assieme a Emilio Lussu e Camillo Bellieni fu tra i fondatori del Partito Sardo d’Azione. Con ferma convinzione e coraggio ha dato libero corso alla sua generosità, al fine di ristabilire le condizioni materiali dell’uguaglianza tra gli uomini. Veniva definito l’avvocato dei poveri: ha persino rifiutato il vitalizio della sua attività politica perché riteneva non provenire dal lavoro. Oggi tante sono le associazioni culturali del luogo che poggiano sulle sue idee.
Di origini siniscolesi era Giovanni Rinaldo Coronas, prefetto, capo della polizia e poi ministro dell’Interno nel governo Dini. Lui fu siniscolese proprio nello spirito: ha sempre mantenuto un forte legame con il paese dove tornava sempre a trascorrere le vacanze, nella sua casa di fronte alla spiaggia delle barche, a Santa Lucia. Ha sempre conservato per le persone del luogo profondo rispetto e simpatia, al punto di parlare sempre con loro nella loro lingua, il dialetto baroniese. La sua omelia funebre, tenutasi a Siniscola, ha visto una folta partecipazione della popolazione a testimoniare il suo grande valore umano e attaccamento alle origini.
Siniscola è una meta turistica apprezzata in particolar modo per le spiagge della zona: La Caletta, Santa Lucia, Sa Petra Ruja, S’Ena e Sa Chitta, Capo Comino e Bèrchida, che nel 2011 ha vinto il premio La più bella sei tu come miglior lido italiano. Non ci sono stazioni balneari, le spiagge sono libere, questo le rende una meta accessibile a tutti; i turisti più facoltosi finiscono per prediligere località più prestigiose e con maggiori servizi, come la non lontana Porto Cervo.
I sardi non sono mai stati grandissimi navigatori. L’accesso al mare, nella nostra storia, è sempre stato visto più come una minaccia che come una risorsa, non a caso ogni porto ospita delle torri di avvistamento. I tratti costieri accessibili hanno visto la fondazione di piccoli villaggi, diventati poi borghi e oggi comuni. Il tipo abitativo adottato era la casa in muratura, chiusa da piccoli recinti per gli animali da lavoro. Nei dintorni si coltivava la vigna e l’orto. Il paesaggio ha raffigurato per anni una economia autosufficiente. Piano piano si sarebbero diffuse attività agricole e piccole fattorie che soddisfacevano i fabbisogni familiari. Queste attività, pur non essendo mai state decisive nella crescita economica e sociale della nostra zona, hanno contribuito a mantenere in vita quei caratteri e quegli usi tipici del mondo rurale che si sono conservati fino all’evoluzione attuale di Siniscola.
I più autentici caratteri tradizionali, con un genere di vita piuttosto diverso, sono da ricollegarsi invece alle regioni interne della Sardegna. Le zone montane più interne appartenevano ai possidenti, a chi viveva di pastorizia; ma erano anche culla dei ben noti fenomeni di banditismo e delle sfide per i capi di bestiame.
Nelle località marittime della zona, invece, le condizioni di vita sono sempre state modeste ma soavi. A dir la verità negli anni sessanta venivano molti turisti, tanti stranieri, soprattutto tedeschi, ci fu un vero e proprio boom economico. Giravano molti soldi, tuttavia la politica locale non seppe approfittarne. La sinistra è sempre stata molto ostile agli investimenti. Anche la destra non ha saputo governare al meglio, lasciando questi territori indietro rispetto ad altre zone della Sardegna. Soprattutto non si è voluto investire sul turismo, problema generalizzato in tutta Italia, ma qui particolarmente evidente. Nonostante ciò si è sempre riusciti a vivere andando avanti con le proprie risorse. Con quel poco che si guadagnava tutti riuscivano comunque a costruirsi una bella casa e a vivere in armonia.
Io sono nata e cresciuta qui, guardando il nostro mare solcato da imbarcazioni di ogni genere, anche moderne e di lusso. Qui vicino era attraccata la barca di Dodi Al-Fayed e Diana Spencer; recentemente George Clooney è venuto in zona per girare un film. Non ho mai potuto fare a meno di constatare una certa differenza fra i sardi all’interno dell’isola e quelli della costa come me. Si nota anche solo a distanza di 40/50 chilometri. C’è stato un periodo in cui ho lavorato a Nuoro e spesso lì incontravo persone provenienti dall’interno. Ricordo conversazioni al limite del surreale.
«Come va lì da voi, sulla costa?».
«Tutto bene, perché?».
«Bene, sono contenta, ora forse ve la passate meglio che un tempo, allora… Mia nonna mi raccontava che nella zona di Siniscola e dintorni vivevano vendendo le uova...».
Mah, perché, non servono anche le uova?! Non è forse un mestiere dignitoso e necessario anche quello? In ogni frase, in ogni considerazione avvertivo un filo di sarcasmo. Questa presunzione l’hanno sempre avuta e la si trova anche oggi; sanno farla trasparire meno, ma noi ormai siamo pratici e la percepiamo.
Forse il sardo dell’entroterra è la tipologia di sardo più nota, quella proverbiale, egregiamente descritta in alcuni libri di Michela Murgia. È quello più determinato, leale e molto ospitale, dotato di un grande autocontrollo con cui fa trasparire poco o in maniera più razionale le emozioni. Noi siamo menti più libere, più genuine per certi aspetti. Certe differenze, a ben guardare, si possono notare già nell’abbigliamento. Loro sono generalmente più sfarzosi e sofisticati nei vestiti, noi molto più semplici, modesti. Vero è che il mare ti porta a essere più libero dai formalismi, ma certamente qualche retaggio del passato è rimasto. Quando andavo a lavorare lì era impegnativo per me: perché non mi si parlasse alle spalle dovevo stare attenta a come mi vestivo, uno stress in più di cui avrei fatto volentieri a meno.
Io non ho mai desiderato essere osservata. Un po’ per carattere, un po’ per educazione. Non sono mai stata un’egocentrica, è troppo faticoso vivere al centro dell’attenzione e, inoltre, essendo un impegno totalizzante, il rischio è quello di perdersi un sacco di cose. Invece il bello della vita, per me, è sempre stato osservare, esplorare, ammirare. Guardare il mondo fuori, ma da dentro. Come da dietro una portafinestra. Farsi trasportare dalle bellezze che ci circondano. Sono cresciuta contemplando la grandezza, la maestosità, l’insondabilità del mare. Non potrei vivere senza il sussurro costante e rassicurante di quell’immenso blu.
Sono così per carattere ma anche, come dicevo, per educazione. I miei mi hanno sempre insegnato a stare al mio posto, in particolare mia madre. Con mia mamma non ho mai smesso di frequentarmi. Siamo state e siamo ancora legatissime. Un sistema indivisibile.
MAMMA GIOVANNA
Mia mamma si chiama Giovanna, di cognome Carta, ed è nata nell’agosto del 1934 a Siniscola. I nonni materni erano di provenienza piemontese; il nostro è stato un regno sardo-piemontese, ancora oggi abbiamo in comune tante cose con loro, ad esempio i biscotti savoiardi. Il nonno, l’artista De Filippi, era venuto in Sardegna per affrescare chiese tra cui quella del patrono San Giovanni Battista. La mia bisnonna Giovanna, che avrebbe poi trasmesso il nome a mia mamma, arrivò in Sardegna da Torino e dovette adattarsi velocemente agli usi e costumi locali. Non fu una cosa facile per una persona del nord Italia ritrovarsi, dall’oggi al domani, a vivere in un villaggio di gente umile e povera e dover indossare la tipica gonna lunga e in testa il tradizionale fazzoletto sardo (su muccatore).
Il carattere della mamma, probabilmente, unisce i tratti principali di queste due genti. Dovessi descriverla caratterialmente direi che è… un leone. Anche di segno zodiacale, fra l’altro. Per nulla austera ma socievole, generosa, disponibile, fin da ragazzina è sempre stata