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E-book120 pagine1 ora

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Info su questo ebook

«Se Dio mi avesse mostrato il futuro venti anni fa, lo avrei deriso e lo avrei sbeffeggiato come si fa con un bambino bugiardo». 

Non si riconosce più il dr De Tommasi, si vede gettato in una vita che non gli appartiene. Smarritosi dinanzi all’irrimediabilità del divenire, costantemente rivolto con lo sguardo verso un passato ormai inafferrabile, sente il senso di colpa che gli si stringe come un cappio intorno al collo. Emanuele, uno sconosciuto, irrompe apparentemente per caso nella vita di De Tommasi stravolgendo il corso degli eventi. Chi è davvero Emanuele? Che cosa tormenta De Tommasi? L’incertezza è una voragine sulla quale si muovono i personaggi di questo romanzo, ambientato nella nostra instabile contemporaneità, epoca del tramonto dell’uomo. 

Vincenzo Fiore si è laureato in Filosofia presso l’Università di Salerno, dove prosegue i suoi studi. Ha esordito a vent’anni con il romanzo Io non mi vendo (2013). Ha pubblicato nel 2014 il racconto Esilio metafisico prima sul quotidiano Il Mattino e successivamente nella raccolta Cairano. Relazioni felicitanti. 

Edizione cartacea: Vincenzo Fiore, Nessun Titolo, 2016, Edizioni Nulla Die. ISBN: 978-88-6915-039-5
LinguaItaliano
EditoreNulla Die
Data di uscita3 set 2019
ISBN9788869152382
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    Anteprima del libro

    Nessun Titolo - Vincenzo Fiore

    Vincenzo Fiore

    Nessun Titolo

    © 2019 – Nulla die di Massimiliano Giordano

    Via Libero Grassi, 10 – 94015 Piazza Armerina (En)

    www.nulladie.com

    www.nulladie.wordpress.com

    www.nuovoateneo.wordpress.com/

    edizioninulladie@gmail.com

    propostenulladie@gmail.com

    ISBN:

    Edizione Cartacea: Senza Titolo, Vicenzo Fiore, Edizioni Nulla Die, 2016. ISBN: 978-88-6915-039-5.

    ISBN: 9788869152382

    Questo libro è stato realizzato con StreetLib Write

    http://write.streetlib.com

    Indice dei contenuti

    Che cosa succederebbe se il volto umano esprimesse fedelmente tutta la sofferenza di dentro, se l’espressione traducesse tutto il tormento interiore? Riusciremmo ancora a conversare? Non dovremmo parlare nascondendoci il volto con le mani?

    Emil Cioran, Al culmine della disperazione.

    ... Un giorno il vento e il sole cominciarono a litigare. Il vento sosteneva di essere il più forte e a sua volta il sole diceva di essere la forza più grande della terra. Alla fine decisero di fare una prova. Decisero di attribuire la palma della vittoria a quello dei due che fosse riuscito a togliere i vestiti al viandante. Il vento, così, si mise all’opera; cominciò a soffiare e soffiare, ma il risultato fu che il viandante si avvolgeva sempre più nel mantello. Il vento allora soffiò con più forza e l’uomo chinando la testa si avvolse una sciarpa intorno al collo.

    Il fugace tentativo di non ascoltare il caos esterno. Mi capita ormai spesso di sentirmi oppresso da una forza centrifuga, dalla quale sono circondato. La pace dei sensi è all’orizzonte fisico del quale io sono sempre al centro, anche spostandomi c’è solo l’illusione dell’avvicinamento. Una fatica ineluttabile senza fare passo alcuno. Cammino velocemente per le strade della città. Vecchi bestemmiano, amanti urlano, bambini piangono, clàcson strombazzano, sirene infastidiscono, mercanti insistono, barboni si lamentano, telefoni squillano, cani abbaiano, pioggia scroscia e, per finire, i piccioni sono tra i piedi. Classica routine cittadina la chiama qualcuno, per me sono soltanto grida e rumori vacillanti. Mi risistemo la mia fedele sciarpa rosa e continuo il tragitto, fischiettando la mia favola.

    Fu quindi la volta del sole, che cacciando via le nubi, cominciò a splendere tiepidamente. L’uomo che era arrivato nelle prossimità di un ponte, cominciò pian piano a togliersi il mantello. Il sole molto soddisfatto intensificò il calore dei suoi raggi, fino a farli diventare incandescenti. L’uomo, rosso per il gran caldo, guardò le acque del fiume e senza esitare si tuffò. Il sole alto nel cielo rideva e rideva! Il vento, deluso e vinto, si nascose in un luogo lontano...

    Il garbo e la calma, lezioni d’altri tempi quelle di Esopo. È il giorno del matrimonio al quale sono stato invitato, tutta l’alta classe borghese irpina è presente, in una grande tenuta immersa nel verde campano. Dopo qualche tentennamento infilo la chiave giusta nella serratura e apro il portone di casa. Mia moglie non mi dà il tempo di posare l’ombrello e mi rimprovera di aver macchiato la cravatta di kashmir blu, è un regalo di suo padre che ha pagato qualche centinaio di euro. Rimane pur sempre della stoffa, penso.

    Le mie umili radici non sono ancora del tutto estirpate e pensare che per una vita intera mi sono vergognato di quella vedova di mia madre. Lei i vestiti li rifiniva all’uncinetto, erano pessimi, ero oggetto di scherno dei miei compagni di liceo, ma in fondo era tutto quello che potevamo permetterci. Non come i miei figli, loro sì che hanno avuto natali accoglienti, eppure nulla sembra colmare il loro irrefrenabile desiderio di avere, di possedere.

    Margherita ha diciassette anni, il fiore della famiglia, così scontatamente fu soprannominata fin da quando la sua prima lacrima inaugurò il suo primo capriccio. E Luca, un quattordicenne svogliato, l’emblema dell’inettitudine, da scuola arrivano anche risultati positivi, è il sapere passeggero di una pagina imparata e ripetuta come una sequenza di numeri, nient’altro, ma formalmente va bene così.

    Avevo avuto un’educazione che proibiva il vizio ed elogiava le virtù, io avrei voluto invece tramandare il vizio giusto, quello della fame di lettura, della libido di conoscenza, non ci sono mai riuscito. Delle buone intenzioni non fanno di un genitore un ottimo messaggero, di conseguenza devo porgere i miei complimenti per quello che i miei figli ottengono, senza pretese. Esser fieri rimane in ogni caso qualcosa di diverso.

    Vado in bagno per sbarbarmi, mentre uno dopo l’altro i peli cadono nel lavandino, scorgo un nuovo volto, un nuovo Io, che non ho mai visto. Sì, lo ammetto, qualcosa sta cambiando da un po’ di tempo, ma oggi è come specchiarsi in un corpo che non mi appartiene più, mi rifletto in una vita accomodante che non sento mia. Quarant’anni fa passai per la prima volta il rasoio sul mio viso e in quell’occasione mi tagliai, non avendo un padre che me lo insegnasse, da quel giorno fino a questo istante, non avevo visto più il sangue scorrere sul mio viso; eppure mi sono tagliato ora, forse di proposito, quasi per rassicurarmi, da buon medico quale sono, di essere sempre io tramite quel fluido rosso che attesta la nostra identità. Rimango immobile a fissarmi e se questo specchio fosse un bugiardo? Se questo pezzo di vetro mi rimandasse indietro un’immagine fittizia, magari per prendermi in giro? Qualcuno diceva che il porsi continuamente domande offrisse la possibilità di avvicinarsi sempre più alla verità, tuttavia, nel mio caso la risposta c’è; la domanda è una scappatoia per non accettare la risposta effettiva, quella che mi terrorizza ascoltare. Mia madre se ne era accorta già da qualche tempo, diceva che la mia anima ormai assomigliava al mio sigaro, lentamente bruciava aspettando di finire, riducendosi a un mozzicone consumato. Eppure tutti siamo dei sigari, chi di scarsa qualità, chi di fine tabacco, tutti, una volta accesi, dobbiamo aspettare soltanto che dopo tanto fumo la scintilla si spenga. Io inizio soltanto a esserne conscio. Tutto qui.

    Qualcuno mi potrebbe chiedere cosa potessi volere più dalla vita, ho una moglie di bell’aspetto, un lavoro redditizio, dei figli sani, godo di buona salute e in futuro usufruirò di una pensione serena. Ma questo è il disegno di tutti, non il mio, non mi basta più cambiare le sfumature, io voglio un’altra occasione, un foglio bianco con delle matite colorate. Sogno d’essere il demiurgo degli ultimi anni della mia vita, di guardare le mie idee e materializzarle.

    L’aperitivo è consueto, nelle grandi occasioni non ci si sbilancia: bisogna essere contornati dagli schemi. La sala è molto più grande rispetto ai tavoli e agli arredamenti, l’estetica vuole il suo giusto spazio vuoto. Capitiamo seduti al tavolo con la famiglia di un noto avvocato che si pavoneggia delle sue conquiste professionali. L’eleganza delle giacche e dei vestiti non rispecchia l’altrettanta grazia degli argomenti trattati. L’avvocato racconta di quando seppe far risultare innocente lo stupratore di una ragazzina e tutto dinanzi ai suoi e ai miei figli che apprezzano distintamente. Lo scimpanzé che differisce dall’uomo solo per l’1% del dna, caccia in zone la cui copertura forestale è interrotta o irregolare, questo gli permette di monopolizzare facilmente la preda se sa muoversi nell’irregolarità, proprio come nell’uomo accade con la giurisprudenza, ma lo scimpanzé dissangua lontano dai suoi cuccioli, l’uomo no, forse quella unità centesimale corrisponde al buon senso.

    Arrivano i ravioli alla boscaiola.

    I volti compiaciuti della generazione futura mi danno voglia di dissiparmi ancor di più insieme al mio sigaro, così esco dalla sala e mi reco all’aria aperta. Nel retro della tenuta vi è una vasta coltivazione di pregiati vitigni e sulla destra un immenso campo

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