Il mio mare anfibio: Storie di un amore profondo blu
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Info su questo ebook
Quando giorno e notte, alba e tramonto rinnovano il loro ciclico e brioso sodalizio tra Uomo e Natura.
Quando una passione si fonde con un'altra e diviene ammaliante e rispettosa sfida.
Quando lo spettacolo della vita riesce ancora a stupirci e Amore a presentarci magia, beh, si corre il rischio di non scindere più la realtà dalla favola e di vivere il Sogno. E di sogno trattano questi racconti di pesca, non solo di alieutica.
Ricordi di un ex "orataro" come me, di una comunanza che mi ha riguardato, di una tribù che mi ha accolto, di un sottile erotismo che mi ha infervorato, di un'incessante ricerca tra sabbia e acqua con un'arte dimenticata, il surfcasting anfibio. Un filo diretto tra canna e fondale, tra me e... Poseidone!
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Anteprima del libro
Il mio mare anfibio - Enzo Pucciarmati
vita
Prefazione
Ricordo Pino e Gianni seduti accanto a me, su quegli scomodi massi a un metro dal mare.
Ricordo la felicità che sprizzava dai loro sguardi soddisfatti su quella bluastra vastità. Ricordo le lunghe attese sotto le nostre canne da surfcasting.
Ricordo le discussioni che riempivano quelle attese. Conversazioni di pesca, certo, ma anche di vita. A quei tempi non esistevano smartphone, niente foto o video. Ci rendevamo conto della struggente bellezza che ci circondava, dell’ammaliante sfida che ci infervorava, dell’affettuosa comunanza che ci riguardava. Eravamo tutti concordi sul fatto che quelle esperienze non andassero perse. Che quei personaggi, quelle catture, quel rispetto in quel variopinto e a volte surreale palcoscenico andasse tramandato. Ed ecco, con queste storie ho mantenuto una promessa fatta ai miei amici anni orsono, ma non solo...
Enzo Pucciarmati
29 agosto 2019
Pelo
Per essere uno a cui la vita ha dato, ho avuto pochi amori, rari amori.
Uno di questi è… la Punta!
Incrociai una persona in settembre e vidi. Incominciò così questa fantastica storia, con un vago invito al maggio successivo, rinviato poi a giugno, a luglio e che ai primi di agosto dopo varie peripezie, finalmente, approdò in porto.
Janis Joplin impazzava in macchina, la birra fluiva fresca nelle budella, il sole infuocava l'aria creando gelidi presagi sull'asfalto e laggiù in fondo a quella rettilinea strada incuneata tra arsi e rossi promontori, affiorava un'isola d’argento e oro, un ammaliante miraggio, un fluido riflesso rilucente e incerto, che leggiadra musa, lasciva, si spogliava dinnanzi a noi, lanciati a centoquaranta all'ora sul suo ombelico.
Massimo, detto Pelo, stappava bottiglie in continuazione: « Bevi ch’è già calla !», asseriva. Annuiva felice anche lui a quell'insolita, inaspettata, goliardica giornata. Sorrideva a quello struggente tramonto che di fronte a noi arroventava il mare e i nostri intenti, mostrandoci così benigna via.
A quei tempi, per me non vi era un connubio migliore: io e un amico, io e il mare, noi due e la pezza. Pelo, aggiunse subito: « noi due e dù belle fiche!».
Ma vi assicuro che per quanto siano gradevoli tali considerazioni, nulla hanno a che fare con questa storia. Se è sesso che volete beh, qui non ne troverete. Qui c'è solo passione!
[1] calla è una forma dialettale per dire calda
. In senso figurato, sta ad indicare il momento propizio
[2] pezza è lo stato di alterazione dovuto all'alcool
La foresta di Sherwood
Fu Pino che ci attendeva all'ingresso ad accoglierci. Suo era l'invito e la curiosità ci aveva spinto sin là, a ovest, lontano dall'entroterra, dal verdeggiante fiume e dalle colline in cui vivevamo, su quel litorale alle porte di Roma. Ci viveva cinque mesi all'anno, domiciliato in un camping incastonato in un bosco a cento metri dal mare. Fu amore a prima vista.
Come alzarono quella sbarra zebrata rossa e bianca per farci entrare, respirai da subito quella spartana libertà, quel controsenso fiabesco che nella sua semplicità rinnovava un gusto atavico, artefatto e rurale al contempo. Pelo sorrideva guardandosi intorno, scrutando tutto. Scrollava la testa. Come quando vai in un ristorante e ordini una buona bottiglia di vino. Il sommelier te lo serve e tu lo annusi e annuisci soddisfatto. L'ultimo tratto di macchia mediterranea, così la definiva Pino. Un'isola beata, un disparato ed eterogeneo concentrato di umanità. Serenità e comunanza la riguardavano. Una libertà briosa, esistenziale, che in natura trova i suoi stimoli e fondamenti, ma ancor più la sua smarrita e ricercata pace.
Bambini ovunque sbucavano fuori come funghi tra quelle querce e lecci, allori selvatici e cerri. Bimbi liberi, che si rincorrevano a piedi o in bicicletta come branchi di rondoni in volo che garrendo esultano all’estate. Totalmente svincolati dai grembiulini, da quelle regole impostegli sui banchi di scuola. Nudi, ribelli, felici, in simbiosi con ciò che li circondava... la Natura! Tutto ciò mentre i loro genitori in ciabatte e canottiera o pareo tentavano di dimenticare il ricatto di un progresso, facendo di tutto per rilassarsi e fermare il tempo. E in effetti mentre Pino parlava e ci presentava agli astanti, il tempo si fermò anche per me.
Roulotte ovunque, celate da graziose coperture in legno orlate di lucide pedane. Un giardino colorato, il sottobosco, curato di fiori e piante grasse. Sparsi barbecue ne sottolineavano gli intenti tra variopinti cucinini che emanavano sazi e odorosi profumi. Semplicemente fantastico quel posto, quello stile di vita. Bizzarro, vitale. Bello come i volti di quei pargoletti, la loro nuda innocenza e il loro fresco sguazzare nelle sparse mini-piscine.
«Ditemi cosa ne pensate!» Domandò Pino, offrendoci da bere in un bicchierino congelato. «È centaura, un amaro che fa Linda, la più anziana del campeggio. Crea questo liquore da erbe spontanee che conosce solo lei, arbusti che nascono tra il bosco e il mare in questo periodo, tra funghi e pesci!», asserì indicando uno squarcio tra gli alberi nella selva da cui s’intravedeva uno spezzone di mare di un argento rossastro. E lì posi il mio sguardo, degustando quell'amaro unico nel suo genere.
Pelo fremeva come me, Pino comprese e ci accompagnò su quel tratto aperto di pascoli. Cento metri esatti separavano il campeggio dal mare, cento metri di curato prato tra due felicità, tra fresco bosco e calda acqua.
Pino non ci aveva seguito, era stanco e arso. Era dalle due di mattina che stava in piedi e aveva pescato sino all'ora calda. In compenso ci aveva istruito sui luoghi a un chilometro da lì. Su uno in particolare, la Punta.
Che risate che ci facemmo io e Pelo quel giorno. Alticci entrammo in acqua, ma avevamo solo maschere e pinne, un fucile da sub e un coltello.
Gli lasciai il fucile. A quel tempo l'unica cosa che sapevamo fare era vagare, osservare il fondale, snorkeling, ma incappammo in degli strani e grandi pesci sepolti, di cui s’intravedeva solo la coda emergere dalla sabbia. Pelo sparò alla cieca, mentre io ne accoltellavo uno. Pessima mossa, ne ricevetti una scossa elettrica che per qualche secondo mi stordì. Urlai sottacqua, sorpreso e confuso, mentre Pelo, spaventato, mollava il fucile fuggendo e raggiungendo la riva. Ma non desistei, recuperai il fucile e i due pesci. In seguito, Pino ci spiegò cosa avevamo preso, non due razze come pensavamo, bensì due torpedini, che unite alle cozze e a un polpetto, in un'ottima zuppa, quella sera deliziarono i nostri palati.
Guru
Come un pescatore d'acqua dolce divenne...
Lupo di mare!
Come già detto, fu Pino a invitarmi ed io, in quella estate, ne approfittai tornandovi più volte. Non sempre capita di stare con dei guru nella vita, anche se allora ignoravo che fossero tali. Già, due guru tutti per me, Pino e Piero i miei mentori. Sicuramente se non li avessi conosciuti o non ci fossero stati, io e le mie fantastiche storie