Sulle Orme di Circe
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Anteprima del libro
Sulle Orme di Circe - Stefano Orsini
Capitolo 1
L’uomo di Neanderthal
Il risveglio fu immediato. Quasi di soprassalto. Il ragazzo aprì gli occhi e si accorse che il sole era appena sorto. Difficilmente a quell’ora si sarebbe svegliato.
Rumori inediti. Una luce pulita e diversa dal solito filtrava dalle persiane che la mamma aveva chiuso con cura, mentre lui dormiva con la testa tra due cuscini. Tortore in amore, gabbiani in lontananza. Era l’inizio di un’estate caldissima e il fatto che fosse presto e il sole non fosse ancora alto lo spinse ad alzarsi. Aveva finito di leggere a scuola una versione in prosa dell’Odissea, Ulisse e in particolare Circe lo avevano portato a sognare per tutta la notte di essere per mare su una barca. Dove solo il tempo gonfia le vele.
«Flavio, dove stai andando?»
Alla mamma non sfuggiva il minimo rumore.
«Faccio colazione al volo e vado ad allenarmi, mi sto preparando per una gara molto importante». Un dialogo tra le mura di una casa nel borgo antico che domina il mare.
«Finisci di mangiare e torna presto! Poi mi raccomando fai i compiti». Parole già lontane per lui che aveva una sete di conoscenza diversa da tutti gli altri. Rubava con gli occhi, celesti come il cielo, ascoltava e sin da piccolo pronunciava frasi proprie di adulti. Come quando a cinque anni guardando una partita di calcio disse: Ma perché punizione? Perché l’arbitro fischia sempre? Non sono grandi i giocatori per metterli in punizione?
. Divertente, a volte anche saccente ma dotato di un’intelligenza e una voglia di conoscere unica che ben presto lo portarono a fare incontri fuori dal comune.
Scese di corsa il pendio della montagna. Seguendo la strada sul bordo e poi qualche sentiero. Iniziò a guardarsi la punta delle scarpe bucate. Avrebbe dovuto comprarne di nuove ma c’era troppo affezionato, aveva bisogno di certezze e quelle vecchie Adidas lo erano come lo era Nicole, una ragazza che conosceva da tempo e che gli aveva suggerito l’idea di prepararsi insieme alla maratona Maga Circe dove, con grande soddisfazione e un ottimo tempo, era arrivata al traguardo l’anno precedente.
Arrivato in pianura iniziò il suo giro, il fiato era certamente scarso ma la mente gli imponeva di proseguire a ritmo costante.
«Flavio!»
Gli parve di sentire una voce. Ma forse si era sbagliato. Era solo. Dieci minuti ancora con la mente a volare chissà dove e l’idea di non pensare alla fatica. Arrivato tra le case decise di correre intorno alla Pinetina per raggiungere una fontanella e dissetarsi.
«Flaviooo?»
Ancora quella voce. Si girò di scatto. Niente. Non c’era nessuno. Poi ecco finalmente la staccionata. Stretching e l’acqua bevuta piano come la mamma gli aveva sempre insegnato. L’occhio gli cadde su un cartello: Grotta Guattari
. Il nome non gli era nuovo. Lo aveva letto ma non ricordava dove. Ripartì passando davanti a un cancello, in un luogo insolito per una grotta con una storia antichissima. Qui accanto erano stati costruiti un condominio e un albergo proprio a due passi dall’ingresso della cavità naturale, dove in un’ epoca primitiva qualcuno aveva deciso di trovare un posto per ripararsi vicino al mare. È dove viveva l’uomo di Neanderthal
. Arrestò la corsa. Un tremore lo bloccò. Dentro di lui una voce di donna, calda, profonda e bellissima.
«Chi sei?» pronunciò piano. Nessuna risposta. Disorientato Flavio si diresse verso un passaggio che aveva scorto accanto allo strano ingresso di quella che la voce gli aveva ricordato essere una delle dimore più antiche della storia.
«Milioni di anni fa ci fu chi si trasformò da scimmia a uomo e imparò a proteggersi dal freddo, dalle fiere e dalle intemperie».
«Chi sei, ti prego? Dimmi chi sei?»
La paura si trasformò in curiosità. Immaginò che stesse ancora dormendo e che quello fosse un sogno tutto da vivere per riempire la sua sete di conoscenza.
«Vivevano qui con animali ormai estinti e un clima molto diverso da quello attuale, diecimila anni fa».
«Va bene, non voglio sapere chi sei ma almeno dimmi perché non posso vederti» disse Flavio senza pronunciare parole ma nella sua mente proprio come faceva con sé stesso quando correva. Silenzio. Deluso si avvicinò ancora alla grotta chiusa e si ricordò di esserci entrato una volta da bambino con una visita guidata. Stava per tornare indietro quando un uomo lo vide.
«L’apertura è tra cinque minuti, fai parte del gruppo?»
Flavio non ci pensò un attimo e ricordandosi di quanto fosse rara la possibilità di visitare un sito così famoso, rispose a gran voce: «Sì, certo».
Entrò poco dopo e una guida iniziò a raccontare come questo Homo fosse socialmente avanzato e come stranamente scomparve per lasciare il mondo a un altro Homo, il Sapiens. Neanderthal è il suo nome perché in Germania nella valle di Neander nei pressi di Düsseldorf vennero scoperti i primi fossili. Poi altri ritrovamenti in gran parte d’Europa ma quello più importante è stato forse proprio al Circeo.
Flavio aveva quasi dimenticato l’episodio della voce e lo aveva archiviato come un sogno quando invece la sentì ancora.
«Davvero preferisci ascoltare questa guida invece che me, la figlia del Sole che, immortale, la storia l’ha vissuta e la vive ogni giorno da un punto di vista direi più che privilegiato?»
«Circe? Poprio tu, davvero?»
Il ragazzo capì che non si trattava di un sogno. Lei comunicava direttamente con la sua mente in un dialogo fantastico.
«Ti prego, vai avanti? Chi erano questi ominidi?»
La gente sfollò e la guida gli disse che poteva rimanere in attesa di un nuovo gruppo. Flavio si abbassò, entrò in un pertugio che in passato doveva essere molto più alto e che il tempo aveva reso poco più di un metro. Apparentemente piccola, al suo interno la grotta schiudva diversi vani con una pietra calcarea bella e luminosa e con percorsi obbligati.
«Vivevano qui, per l’epoca erano molto evoluti, in un mondo dove c’erano in questi luoghi elefanti, rinoceronti, orsi, cervi, cavalli, iene e anche un animale ormai estinto da millenni, l’uro, una sorta di grande mucca… i resti di tutti sono stati trovati proprio qui, conservati insieme agli uomini che ogni giorno lottavano per la sopravvivenza attorno a un focolare fisso dove si scaldavano e cuocevano le prede».
«Fantastico! Circe, posso chiamarti per nome?»
Il ragazzo, eccitatissimo, insisteva ma la voce, proprio nei momenti in cui cercava più intimità, si ritraeva. Allora, all’improvviso, tra i ricordi venne fuori quello che aveva letto: la grotta era stata scoperta nel 1939 quasi per caso, poi i resti dei primi due uomini furono portati in un museo a Roma dove sono ancora visibili. A riemergere tra i ricordi la storia di strani riti e di alcune ossa rosicchiate dalle iene che nei secoli si erano rifugiate anche loro in questa calda grotta. Il clima 50 mila anni fa era simile al nostro e per quel ragazzo questo viaggio a ritroso nel tempo, da protagonista, era un’avventura unica. Di quelle che aveva sempre sognato.
«Hanno vissuto qui per tantissimi anni, erano diverse comunità organizzate. Ma non sempre la ricostruzione di voi mortali rispecchia la realtà». Le parole della sua musa lo portarono a ricordare quello che aveva letto a scuola. Sul cranio di quegli uomini c’erano dei buchi che avevano indotto a fare diverse ipotesi tra cui quella della cerebrofagia, una cosa che da sempre lo aveva fatto inorridire. Aveva letto poi che quei fori potevano anche essere stati provocati da una caduta accidentale o più probabilmente dall’arrivo, negli anni successivi, proprio delle iene e questi animali potevano aver rosicchiato le ossa di uno di loro.
«Erano ominidi che conoscevano bene il fuoco, l’arte della caccia e che non sapevano dare risposte alle bellezze della natura. Per loro un fulmine era qualcosa di sconosciuto così come un arcobaleno. Quello che contava era solo sopravvivere e al Circeo c’era tutto: pesce, carne, bacche e tanto altro, proprio come ai tuoi giorni caro Flavio». Il rapporto tra lui e Circe divenne sereno, franco.
«Dimmi ancora, ti prego…»
«Il paleolitico medio, come lo chiamate voi – aggiunse la Maga – era un’epoca dove il verde delle praterie, il bianco delle spiagge e la splendida luce del sole, il mio sole, hanno permesso agli uomini di Neanderthal di vivere con un unico pensiero: la sopravvivenza. Poi un giorno, un’eclissi di luna annunciò che i tempi stavano cambiando . Arrivò l’Homo Sapiens e pian piano si sostituì a loro».
«Ma perché, cosa successe, cosa successe a questi uomini del mio Circeo?» insistette il ragazzo, che non voleva lasciare la grotta.
«Deve uscire, arriva il nuovo gruppo di turisti – urlò il guardiano – Il nuovo ritrovamento di qualche anno fa ha portato maggiori studi e attenzioni. Questo viaggio nel tempo, ragazzo, adesso lo vogliono fare in molti e stanno arrivando nuovi visitatori». La guida mandò via Flavio, che ebbe un ultimo contatto lasciando la pineta e dirigendosi al mare verso le spiagge attrezzate, pochi passi, distanti milioni di anni da quella grotta nascosta in un condominio.
«Caro il mio bambino un po’ cresciuto…. quegli uomini, dieci adulti e un ragazzo proprio come te, erano undici». Undici? Numero sempre ricorrente, come una squadra di calcio e come il giorno che aveva incontrato Nicole, che improvvisa apparve proprio quando la voce si ritrasse.
«Dai Flavio vieni con me, ci facciamo una mezza?»
Ventuno chilometri, la distanza della mezza maratona, sapeva che sarebbero stati troppi per il suo scarso fiato ma non batté ciglio e insieme, correndo, si avviarono sul lungomare.
Primo quadro
Ricordi da bambino
Per li troppi compagni in sì crudele
Guisa periti, navigammo avanti,
E su l’isola Eèa sorgemmo, dove
Circe, diva terribile, dal crespo
Crine e dal dolce canto, avea soggiorno
Omero Odissea libro decimo
Il Pallas è pieno come un uovo. Ogni volta un trasloco. Io e mio fratello sul sedile di dietro. Poco più di un’ora trascorsa a giocare a calcio e troppo spesso a prenderlo a calci. Tutto scorre veloce. Alberi, bufale, un campanile e il bosco. Poi il cigolìo del cancello di casa. Subito scalzo sento le urla di mia madre che mi rimprovera… ma sono già lontano.
Mi tolgo anche i pantaloni lunghi e corro via. Comincio l’esplorazione, quasi rapito, sotto il naso della Maga Circe avvolto da una nuvola. Prima la mia vecchia capanna tra gli alberi, poi il giro dell’immenso giardino della casa non lontana dal mare. Un rapido controllo dei miei attrezzi e via a caccia. A caccia di avventure, sia chiaro, non di altro per un innato senso ambientalista che solo una volta mi ha portato a prendermela con un fagiano. L’ho sentito chiamare la compagna, mi sono avvicinato approfittando del calare del sole, probabilmente sotto vento e l’ho visto nascosto dietro a un cespuglio. Ho preso una pietra, grande come il mio pugno e mosso chissà da cosa l’ho scagliata. Credo che se ci riprovassi cento volte non ci riuscirei mai e invece… un rumore sordo. Una manciata di piume. Piccole, come quelle dei cuscini che si alzano e l’animale che resta lì fermo con il collo a penzoloni. Il cuore va a mille, una scarica di adrenalina. Paura e chissacosaltro mi assalgono. Stavolta l’ho fatta grossa!
penso. Scappo. Corro velocissimo. Poi rifletto. Torno indietro. Quasi non voglio guardare. Alzo la frasca e il fagiano è sparito. A terra, davanti a quei piumini, giuro che non ci proverò più e così è stato, nemmeno quando mi sono costruito un arco con le frecce o una meravigliosa balestra, non ho mai più tirato a un animale. Quando ci ripenso, spero sempre che il volatile si sia ripreso e che non sia stata una volpe a portarselo via. Troppo poco tempo era infatti trascorso, tre o al massimo quattro minuti dall’impatto. Sono tornato e non c’era. Meglio