Quelli che fingon d'amarsi
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Anteprima del libro
Quelli che fingon d'amarsi - Lady Vronskaja
633/1941.
Prefazione
Nessuno, scrivendo poesia, può sentirsi del tutto a casa
. Scrivere poesia in qualche misura richiede sempre un corpo a corpo cruento con la lingua e il linguaggio: bisogna anzitutto strappare le parole dalle loro sedi espressive abituali e convin-cerle, o anche costringerle, faticosamente a intraprendere nuo-ve strade del senso e del suono. La poesia è una migrazione delle parole in luoghi inesplorati del dire, il suo dono più pre-zioso è una lingua nuova, o rinnovata, o rafforzata, comunque una lingua più ricca di quanto fosse prima. Dunque, esperienze di scrittura come quelle di Lady Vronskaja sono semplicemente esemplari di un disagio, di uno spaesamento che ogni autore deve avvertire all’atto della creazione poetica, in cui, se opera correttamente, non può che sentirsi straniero e stupito.
Lady Vronskaja avvicina la scrittura, affidandosi e riversan-dosi in essa con fuoco e ferocia, con una sincerità che com-muove ma più spesso annichila. Ovunque in queste pagine ser-peggia un sentimento di ribellione, inquietudine, demistifica-zione, un’attrazione erotica dimidiante, un senso di colpa che dialoga con un desiderio di dannazione, un’ansia di vivere che sbaraglia i fallimenti e le piccole morti d’ogni giorno. Parimen-ti, non c’è traccia alcuna di reticenze, timidezze o compromessi nella metaforizzazione lirica dell’esperienza, attuata piuttosto in forme assai estreme e dense, debitrici in primo luogo di un immaginario visionario di derivazione ermetica. Le scelte ter-minologiche praticate dall’autrice, pur soggiacendo alla descri-zione di realtà materiali, psichiche ed emotive torbide e disa-giate, si attestano su un registro me-diamente elevato. Solo per fornire un esempio, anticipiamo al lettore solo questi versi tratti da Esperienze paranormali:
Una legione di formiche
comprime le mie ossa
ed assopisce i miei sensi.
La mente si rompe in mille porzioni,
che cieche e goffe s’urtano tra loro.
Prima di potermi opporre,
un’esalazione sonnolenta si arrotola
sul mio corpo nudo;
m’avvisa che la carne
già non m’appartiene.
In questo orizzonte interviene in modo salutare proprio lo spaesamento linguistico dell’autrice, che trova una sua auten-ticità del tutto nuova e seducente proprio in certe durezze es-pressive, in certi termini non del tutto conformi, peraltro gioca-ti all’interno di un movimento retorico alquanto sostenuto, am-pio e ambizioso. L’altissima tensione espressiva che abbiamo descritto sopra e che presenta senz’altro il rischio di affaticare il lettore, viene sciolta e corretta proprio da simili inciampi lin-guistici. La stessa corrente che potrebbe condurre all’esito di una seriosità tragica viene intralciata, franta e indirizzata nuo-vamente dall’eccezione linguistica che finisce in tal modo per dare immediata concretezza e verità esistenziale alla poesia. È proprio in questi passaggi che si avverte infatti la realtà e la storia del parlante, e si comprende che le sue non sono le paro-le dovute in base al gioco convenzionale della letteratura, ma che provengono dall’esperienza stessa del linguaggio, dalla fa-tica, questa sì commovente, che esso ha fatto per formarsi onde giungere a dirci.
L’atteggiamento ermetico e visionario viene per questa via ironicamente depotenziato. In Lady Vronskaja è assai frequente l’uso di termini impoetici o gergali, a cominciare dal titolo, Quelli che fingon d'amarsi, piuttosto bukowskiano come alcu-ne poesie della raccolta quale, ad es., Whisky, cognac ed altri saggi alcolici, ma conta soprattutto il rifiuto dell’italiano medio e l’assunzione del rischio di maneggiare un italiano invece vi-tale, plastico, fluido, non importa se nei codici letterari o nella sala che strabocca di viziosi
, mettendo così in gioco la pro-pria storia: il viaggio di una vita, il viaggio delle parole, la dan-nazione delle parole, che i seguenti versi di Lady Vronskaja possono illustrarci in modo sbalorditivo: "C’è qualcosa d’in-trinseco. / Qualcosa che si genera da