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Voleva solo amare
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E-book198 pagine3 ore

Voleva solo amare

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Il diario di una vita e di un amore di un ragazzo gay siriano. E poi un viaggio verso casa con la speranza di ricostruire il rapporto con il padre.
di Diego Di Leo
Leonardo trova casualmente il diario di Shadi, un ragazzo gay siriano che è scappato da suo padre e dal proprio Paese per non rischiare di morire. Quello che si trova tra le mani è il racconto sincero di una vita e della storia d’amore tra Shadi e Ale, messa a dura prova da un ragazzo conosciuto in vacanza. Il cuore, però, parla una lingua diversa dalla razionalità e la loro separazione li rende consapevoli di non poter stare lontani. Dopo un periodo di sofferenza, ansia, incontri e riflessioni, i due tornano insieme più uniti di prima e si sposano a Parigi. Shadi, però, sente che gli manca ancora qualcosa per essere del tutto felice e decide di andare in Siria per condividere con suo padre l’evento più importante della sua vita. L’incontro va nel peggiore dei modi perché suo padre lo rinchiude e lo maltratta per giorni. Ale, non avendo più sue notizie, parte per Aleppo; nel frattempo Shadi riesce a fuggire. È un ragazzo con il cuore e l’anima ferita che scrive le ultime pagine del diario in una stanza d’albergo, chiedendosi come possa esistere tanta cattiveria e cosa ci sia di così sbagliato nel suo amore, così simile e così diverso da qualsiasi altra relazione. Leonardo si è talmente appassionato alla storia di Shadi che vorrebbe incontrarlo per chiedergli di finire la stesura del diario. Riesce a incontrare Ale e gli racconta di come quella lettura gli abbia aperto la mente. Ale gli consegnerà il diario completato, ma le ultime frasi sono scritte da lui. Sono pagine drammatiche, in cui Ale racconta della sua inutile corsa ad Aleppo e della sua disperazione quando trova il corpo privo di vita di Shadi, ucciso da suo padre per la sola colpa di essersi innamorato.
LinguaItaliano
Data di uscita19 dic 2019
ISBN9788833283913
Voleva solo amare

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    Anteprima del libro

    Voleva solo amare - Diego Di Leo

    Picasso

    1.

    Rasha è una signora dagli occhi tristi, ha un viso segnato dalle rughe che non mentono sul fatto che abbia alle spalle molti inverni, esperienze e storie da raccontare. Il capo è avvolto in un velo nero.

    Mi sorride e con un cenno mi invita a entrare. Percorro il vialetto d’ingresso bordato da rose di vari colori, salgo i tre gradini che portano al portico e la seguo fin dentro casa.

    Si è trasferita da poco e ha bisogno di aiuto per sistemare le ultime cose; io d’estate mi rendo disponibile in paese per fare dei lavoretti e lei ha trovato il mio numero sul volantino che ho appeso qualche settimana fa al supermercato.

    Tra di noi si crea subito un’ottima sintonia e iniziamo a sistemare le prime cose.

    Le racconto qualcosa di me, lei invece sembra schiva e l’unico accenno alla sua vita è che è nata in Siria, ad Aleppo, e che ha messo al mondo tre figli in quella stessa città. Non aggiunge altro, quindi immagino che sia divorziata o vedova e non abbia voglia di parlarne. Io sono curioso di natura, ma non voglio rischiare di sembrare invadente e nonostante la tentazione di farle altre domande non insisto.

    La prima stanza in cui entriamo è piena di oggetti da sistemare e sembra che ogni cosa abbia una sua propria storia, che forse solo Rasha conosce.

    Mi capita tra le mani una foto in bianco e nero di due persone con in braccio una bambina. Sullo sfondo un paesaggio desertico e alcuni vecchi edifici.

    «Sono i tuoi genitori?» le chiedo.

    Rasha si ferma di colpo, guarda la foto che stringo fra le dita e fa un sorriso malinconico. La prende in mano e ne studia ogni particolare, come se la vedesse per la prima volta.

    «Sì, sono i miei genitori. Da piccola ero innamorata di mio padre, era il mio principe azzurro, ma la malattia l’ha portato via quando avevo ancora bisogno di lui. Ricordo ancora quella mattina: mia madre era in lacrime e io non capivo cosa fosse successo perché fino a quel momento mi avevano nascosto le sue condizioni di salute. Con un filo di voce mi disse che mio padre se n’era andato per sempre. In quel momento sentii il mondo crollarmi addosso e corsi subito in camera sua sperando che non fosse vero. Era disteso sul letto, con gli occhi chiusi, un sorriso appena accennato e una mano sotto al cuscino con la quale stringeva questa foto che teneva sempre con sé. Sembrava stesse dormendo. Cominciai ad accarezzarlo e per alcuni istanti non realizzai che non avrei più sentito la sua voce, non avrei più sentito le sue mani calde sfiorarmi il viso come faceva sempre e che non avrei più visto i suoi occhi. Lui era un esempio d’amore infinito, trattava me e mia madre come fossimo la cosa più preziosa e importante e con molta probabilità lo eravamo davvero. Da quel giorno è cambiato tutto, mia madre cadde in depressione e io cominciai ad avere paura della vita.»

    «In che senso paura della vita?» domando.

    «A sedici anni si dovrebbero avere i problemi tipici di quell’età, non sentirsi soli. Bisognerebbe scoprire i propri limiti sapendo che c’è sempre qualcuno che può aiutarti e che è pronto a proteggerti. Senza un padre e con una mamma in depressione, la vita fa paura perché si può contare solo sulle proprie forze. Non si ha però l’età per poterlo fare e si teme che al primo passo falso si possa cadere senza che qualcuno ci aiuti a rialzarci. Mostravo a mia madre di essere forte ma ogni sera mi addormentavo piangendo. La vita fa paura quando si hanno progetti e non si ha idea di come affrontare il futuro.»

    Ora comincio a capire perché i suoi occhi sono così tristi. Dopo aver preso un respiro, dico: «Posso capire cosa hai provato. L’anno scorso anche mio padre se ne è andato dopo una lunga sofferenza e da quel giorno sento un gran vuoto dentro di me. Mia madre è una donna forte e posso sempre contare su di lei, ma so bene come ci si sente quando una delle persone più importanti della propria vita sparisce per sempre. A volte lo sogno, è felice e sorridente come quando stava bene. Mi piace pensare che sia davvero lui che viene a trovarmi la notte per farmi sentire meno solo e per farmi capire che sta bene.»

    «Mi spiace Leonardo, spero di non aver toccato una ferita aperta, non era mia intenzione...» si scusa subito lei.

    «Non preoccuparti. L’ultima frase che mio padre mi ha detto è stata: Non perdere mai il sorriso, io ti guarderò, sempre. Cerco sempre un motivo per essere felice e non abbattermi; perché se davvero mio padre mi sta guardando, voglio che veda che ho ascoltato il suo consiglio.»

    È bello parlare con questa donna. Nonostante la differenza d’età, mi sento in sintonia con lei e le nostre esperienze passate ci avvicinano molto. Vorrei conoscere di più della sua vita perché c’è qualcosa nel suo sguardo che mi incuriosisce. Oggi sembra essersi aperta molto con me; è una persona sola e spero di averle fatto capire che di me si può fidare.

    Andiamo nel garage, dove l’aria profuma di legno umido, uno di quegli odori che mi sono sempre piaciuti, tipico delle taverne, e che mi riporta a quando, da piccolo, giocavo a nascondino con mio fratello e mi chiudevo in cantina. Ci sono certi odori che non si possono dimenticare e che hanno il potere di farci rivivere momenti felici; altri, invece, che ci riportano alle nostre cicatrici. Sentirli è come ricevere un pugno allo stomaco.

    Allontano i miei pensieri e mi guardo intorno. La stanza è davvero piena di scatoloni e sacchi pieni di cose.

    «Temo che ci sarà molto lavoro da fare qui...» si scusa subito Rasha.

    «Sono venuto apposta, quindi non devi preoccuparti.»

    Inizio a spostare alcune scatole in modo da fare un po’ di spazio e potermi muovere meglio all’interno del garage. Ne apro una che contiene diversi libri e li ordino tutti in una bella libreria che si trova in salotto.

    È strano metter le mani tra gli oggetti degli altri perché sembra di violare in qualche modo i loro ricordi e la loro vita; ho sempre paura di rompere qualcosa che per me potrebbe non voler dir nulla ma che per qualcun altro potrebbe invece avere un grande valore affettivo.

    Torno nell’appartamento e inizio ad aprire gli scatoloni. Dentro, oggetti di ogni tipo ammassati in modo disordinato. Immagino che, se potessero parlare, potrebbero raccontarmi della vita in Siria e i motivi che ora li vedono qui.

    Rasha è andata a riposare e io continuo a sistemare. Trovo molti vestiti e oggetti che penso possano appartenere al figlio di Rasha e li porto nella sua camera.

    Dalle t-shirt che mi capitano fra le mani deduco possa avere sui venticinque anni e un ottimo gusto nel vestire. Prendo in mano una sciarpa e ne sento il profumo, un buon profumo. Sistemo le sue cose come le sistemerei se fossero mie e intanto cerco di farmi un’idea di come potrebbe essere.

    Dev’essere stato difficile lasciare il proprio Paese e trovarsi in un posto in cui non si conosce nessuno... Potrei diventargli amico e aiutarlo a conoscere nuove persone e luoghi dove poter trascorrere un pomeriggio o una serata...

    Trovo una serie di fotografie e capisco che si tratta davvero di un bel ragazzo: capelli scuri, carnagione olivastra, occhi verdi e dolci come quelli di Rasha e un bel sorriso. Dovrebbe essere alto circa un metro e ottanta e sembra avere un fisico asciutto ma muscoloso. A pensarci bene, non sono poi tanto sicuro di volerlo come amico, perché un ragazzo così sarebbe desiderato da tutte le ragazze e io diventerei il semplice amico del tipo figo appena arrivato in paese!

    Apro uno scatolone pieno di CD; non conosco molti di quei cantanti, credo siano del suo Paese, ma in mezzo agli altri trovo tutta la discografia di Lady Gaga, un paio di album dei Coldplay, dei Queen e uno di Mika. Sotto tutti i CD trovo un diario consumato avvolto in una stoffa viola. Ne accarezzo la copertina e i bordi rovinati dall’umidità. Sembra essere caduto in una pozzanghera e che sia stato avvolto nella stoffa ancora umido. Lo apro e al centro della prima pagina trovo una scritta colorata: Shadi’s Diary – Secrets and Confessions.

    Mi incuriosisce, ma prima che io possa iniziare a scorrerne le pagine sento un rumore provenire dalla camera di Rasha. D’impulso riavvolgo il diario nella stoffa e lo nascondo nel mio zaino. Chiudo la cerniera e in quel momento lei entra nella stanza, si guarda intorno, prende in mano la sciarpa, l’annusa proprio come ho fatto io poco prima, poi si siede con aria triste sul letto, fissando la parete davanti a sé.

    «Quanto mi piace sentire il suo profumo... e che bello vedere le sue cose in ordine. Grazie per quello che stai facendo. Ora, però, torna pure a casa da tua madre, si sta facendo tardi. Continueremo i prossimi giorni.»

    Temo possa accorgersi della mancanza del diario e sono tentato di rimetterlo al suo posto, ma ormai è troppo tardi: Rasha mi accompagna già alla porta. Come cavolo mi è venuto in mente di rubarlo? È una cosa personale, non avrei dovuto prenderlo, mi dico uscendo in strada.

    Il sole sta già tramontando ma decido di fare un giro più lungo per godermi questa meravigliosa luce e la leggera brezza che spesso soffia in questa stagione. Mi siedo poi sull’argine del fiume, guardo l’acqua scorrere, quindi tiro fuori dallo zaino il diario di Shadi.

    Non so se aprirlo o meno, infine scorro velocemente le pagine e mi rendo conto che sono tutte scritte con una grafia curata ed elegante. Decido di leggerne solo la prima pagina e mi riprometto di riportarlo al suo posto l’indomani mattina. Sfioro la copertina, volto la pagina con la scritta Shadi’s Diary e inizio a leggere.

    Ieri è stato il mio compleanno e ti ho ricevuto in regalo da un amico per me molto importante. Non ho mai avuto un diario, quindi non so di preciso cosa scrivere e non so nemmeno se mi abituerò a usarti. Ho pensato però che vorrei impegnarmi a sfruttarti al meglio.

    Sono Shadi, sono nato ad Aleppo ventisette anni fa e adesso vivo in Italia. Sono una persona che cerca sempre di vedere il lato positivo delle cose, anche quando è difficile trovarlo. Amo ridere e sorridere, e allo stesso modo amo le persone che trasmettono positività attraverso i loro sorrisi. Tutti noi abbiamo molti motivi per essere tristi, ma ne abbiamo altrettanti per essere felici, e visto che la vita è una sola, ho deciso di viverla nel modo migliore possibile, cercando sempre l’allegria nelle cose che faccio.

    A pensarci bene, credo di aver capito come potresti essermi utile. Non sempre infatti riusciamo a dire agli altri tutto ciò che pensiamo e proviamo. A volte evitiamo di raccontare qualcosa di noi per vergogna, per paura o per pigrizia, altre volte perché non ne abbiamo il tempo, altre ancora perché non abbiamo la persona giusta con cui confidarci o perché non vogliamo dirlo e basta. Su queste pagine, invece, voglio dire tutto senza alcun filtro e alcun timore. Scrivere sarà un po’ come parlare con me stesso.

    Sei un regalo semplice ma prezioso, come la persona che ti ha regalato a me. Ho molte cose da raccontare di quello che sto vivendo e mille dubbi da chiarire, ma ora è tardi e il sonno sta prendendo il sopravvento. I prossimi giorni ti dedicherò più tempo e inizierò a scrivere la mia storia e a raccontare ciò che mi succede.

    Shadi

    La brezza mi accarezza il viso e il rumore dell’acqua che scorre ai miei piedi crea un’atmosfera tranquilla e rilassata. È il posto ideale per leggere.

    Mi ero detto che avrei letto solo la prima pagina, ma dopo queste poche righe la mia curiosità prende il sopravvento e non riesco a fermarmi. D’istinto giro pagina, poi, per un attimo, mi fermo a pensare se ciò che sto facendo sia giusto oppure no. Arrivo alla conclusione che il segreto è stato ormai violato e che non sarà quindi qualche riga in più a cambiare le cose.

    Da qui in poi, il diario è scritto come se si trattasse di un piccolo libro.

    Per un altro istante osservo il paesaggio intorno a me, quindi mi immergo di nuovo nella lettura.

    2.

    Il momento più bello della settimana è senza dubbio l’ultima ora di lavoro del venerdì. Anche se quegli ultimi sessanta minuti sembrano non passare mai, sono anche il momento in cui si riesce ad affrontare qualsiasi problema lavorativo con più leggerezza perché puoi dirti: Beh, ci penserò lunedì. Quell’ultima ora separa dalla libertà ed è sempre in quell’ultima ora che si ha il massimo delle aspettative per il fine settimana.

    Sono le quattro in punto e tra un’ora esatta uscirò da qui per godermi il tanto atteso week-end. Guardo fuori dalla finestra. È un tipico pomeriggio estivo: per strada non passa quasi nessuno, il sole splende e l’aria è immobile. È stata una di quelle giornate in cui avrei fatto qualsiasi cosa pur di non lavorare; unica consolazione è che in ufficio c’è un condizionatore.

    Oggi è il compleanno di Ale e non vedo l’ora di correre a casa per poter passare la serata con lui. Una serata che sarà di certo magica. A me piace festeggiare in compagnia, ma quello che amo di più è trascorrere il giorno dei nostri compleanni noi due soli. Domani sera ci vedremo anche con gli amici, ma oggi ho prenotato una cena per due in un bel ristorantino della zona e ho dei regali per lui già pronti in macchina che spero gli piaceranno. Ho cercato di preparare tutto fin nei minimi particolari e sono un po’ emozionato per la serata che ci attende.

    Squilla il telefono e rispondo. È una signora che dalla voce sembra piuttosto anziana; cerca il dottore. Di sicuro ha sbagliato numero. Le chiamate che arrivano in ufficio a quest’ora del venerdì sono solo di due tipologie: clienti e fornitori che hanno un problema urgente da risolvere oppure persone che hanno sbagliato numero.

    La vecchietta al telefono mi fa tenerezza perché faccende semplici e ovvie per chi è giovane, per molti anziani sono invece più complicate di quanto si possa immaginare. Ormai per trovare un numero di telefono è sufficiente consultare internet e in un attimo il problema è risolto, ma per chi è anziano, non è così facile. La faccio attendere un attimo in linea e cerco io per lei il numero che le serve. Mi è sempre piaciuto aiutare gli altri, non sono uno di quelli che quando vedono una persona in difficoltà si voltano dall’altra parte. Mi viene sempre spontaneo tendere la mano a chi ne ha bisogno, anche solo con un piccolo gesto o con un sorriso. Sono convinto che il mondo sarebbe un posto più piacevole se tutti noi ci comportassimo così. Amo sorridere e mi piacciono le persone che sono capaci di regalare un sorriso, anche così, senza motivo. I problemi esisteranno sempre e di certo tenere il muso non aiuterà a risolverli, mentre credo che un sorriso possa aiutare a star meglio e che spesso valga più di mille parole.

    Finalmente sono le cinque. Spengo il computer, prendo gli occhiali da sole e le mie cose e mi avvio

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