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Philip Snow e la fantastica storia di Babbo Natale: La renna volante
Philip Snow e la fantastica storia di Babbo Natale: La renna volante
Philip Snow e la fantastica storia di Babbo Natale: La renna volante
E-book230 pagine3 ore

Philip Snow e la fantastica storia di Babbo Natale: La renna volante

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Info su questo ebook

Dopo aver risolto l’enigma del mago dei boschi sulla missione del Natale, Philip Snow e i suoi amici si avventurano in un’altra impresa: trovare la renna volante e sottrarla alle grinfie dello spietato animaliano Reptilius.
Sul loro cammino incontreranno cervi magici, giganti, draghi, fantasmi, fate e creature misteriose. Nel mentre, Pandoria è sotto assedio e molti umagici vengono rapiti dall’animaliano lucertola. Al castello, invece, tutti lavorano assiduamente nei tre laboratori: dei giocattoli, della slitta e della cucina, per preparare quello che serve alla grande missione.
Riusciranno gli umani-magici alla guida di Philip Snow a fermare il giro di tempo, salvare la renna volante e, così, portare un dono ai piccoli nonumagici del mondo?
LinguaItaliano
Data di uscita12 nov 2019
ISBN9788833170763
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    Philip Snow e la fantastica storia di Babbo Natale - Christian Touch

    Philip Snow e la fantastica storia di Babbo Natale

    La renna volante

    Christian Touch

    Astro junior

    I Edizione novembre 2019

    © 2019 Astro edizioni

    S.r.l.s., Roma

    www.astroedizioni.it

    info@astroedizioni.it

    ISBN 978-88-3317-076-3

    Direzione editoriale:

    Francesca Costantino

    Progetto grafico:

    Elisabetta Di Pietro

    Editing:

    Francesca Noto

    Illustrazioni interne e copertina:

    Rosaria Trivisonne

    Tutti i diritti sono

    riservati, incluso

    il diritto di riproduzione

    integrale e/o parziale

    in qualsiasi forma.

    Al mio principe Filippo

    La Vigilia di Natale

    La Vigilia di Natale si diffonde la magia,

    i bambini nell’attesa sono pieni di allegria,

    il cielo si prepara al volo temerario,

    con la slitta il vecchio Toymas vola in alto solitario,

    entra dentro i camini, beve latte in abbondanza

    e le stelle tra le nuvole si esibiscono in una danza,

    i regali sono pronti, i desideri esauditi,

    ogni bimbo avrà dei giochi, dei biscotti e dei canditi,

    tutti aspettano che il sogno nella notte si realizzi,

    che la gioia e la letizia presto il male paralizzi,

    quanto tempo a Pandoria a costruire questo progetto,

    per sorprendere ogni bimbo che riposa dentro un letto,

    i camini sono pronti e a anche l’albero addobbato,

    ogni sogno e desiderio sarà presto realizzato,

    con le renne ed il suo sacco lui si aggira sopra i tetti,

    compie grandi acrobazie, i giri in aria son prefetti,

    porta un dono, in ogni casa, ad ogni bimbo, in ogni dove,

    mentre fuori c’è la luna o magari forse piove,

    presto il bene trionferà ed il male scaccerà,

    la gioia nelle famiglie come un fuoco scalderà.

    Stanotte un fiore al più gran freddo imperterrito resiste,

    sappiate, ragazzi miei, che Babbo Natale esiste.

    L’Innominato e la pallina bugiarda

    Quella finestra era alta. Ma la neve sembrava così soffice.

    Il manto bianco avrebbe attutito il suo volo disperato verso l’ignoto e la conoscenza.

    Il piccolo umagico buttò fuori un sospiro, chiuse gli occhi, strinse la funecorda nelle mani e si dondolò cercando di non fare troppo rumore.

    Chi me l’ha fatto fare, pensò poi.

    La funecorda si ruppe e lui cadde all’indietro.

    Ebbe paura per un attimo. Sospirò. Trattenne il fiato.

    Quando riaprì gli occhi, vide il cielo sereno e il freddo della neve riscaldò il suo cuore.

    Sorrise. Non vedeva l’ora di entrare per un giro di ora in quel mucchio di gente che aveva potuto solo ammirare dalla persiana finestra della sua camerinca.

    Si alzò, scrollò dai vestiti minuscoli depositi di cristallo e cominciò a correre. Jack, Julia e John, i compagni di avventure al chiuso, gli unici amici che aveva, in quel momento dormivano ignari della sua fuga, immersi in un riposo che la direttrice li obbligava a rispettare tutti i giri di giorno, dopo quasipranzo, al Collegio Centopenne.

    I tre compagni avevano trovato delle famiglie pronte ad adottarli. Sarebbero venuti a prenderli dopo il giorno dei mille fuochi, che si sarebbe celebrato a Pandoria pochi giri di giorno dopo. Ce l’avevano fatta. I coniugi Hardski, i Roses e i Taglialegna non potevano avere figli e si erano rivolti alla signora Coldwater, la quale aveva mostrato loro i tre umagici.

    Lui no, nessuno lo avrebbe mai voluto... non si meritava una famiglia... aveva più volte ripetuto la direttrice.

    Lo maltrattava e lo puniva senza una ragione.

    Si era insinuata in lui l’idea di essere uno spregevole essere mandato sulla terra da Chinoncèpiù soltanto per causare guai.

    Un buono a nulla, come lo chiamava la perfida umagica.

    Lui però non aveva rispettato il riposo: voleva conoscere quel Toymas. Ne aveva sentito parlare. Il suo nome era sui becchi di tutte le civette e dei gufi volanti.

    «Sa indovinare i desideri dei piccoli umagici e si racconta che sappia regalare sogni ai più bisognosi; è un vero tesoro di umagico, quel Toymas, e si accontenta solo di un sorriso. Lavora da primaluce a pienanotte per tramutare desideri in oggetti di legno e splendidi giocattoli...», raccontava Giallina, la civetta che dava il buon giro di giorno al giovane a ogni splender di luce, ad ogni Soledì, sì, perché i giorni sereni a Pandoria venivano chiamati così, mentre quelli di pioggia, Piovedì.

    A Pandoria, tutto sembrava magico. Piccoli umagici si spingevano sugli slittini. La neve cadeva a fiocchi e i vecchi con la legna sulle spalle si salutavano. I camini riscaldavano le casupole, le calde e comode abitazioni di tutte quelle facce, per lui, stranamente felici.

    «Scusi, dov’è il negozio di mister Toymas?», chiese a un umagichetto barbuto con un tubalbero in bocca.

    «Vicino alla grande piazza, avanti cento gambe di umagico e poi sulla destra, non puoi sbagliare, giovane!», gli rispose quello, strizzando l’occhio semichiuso.

    Pandoria era bella, illuminata, un cristallo di ghiaccio che riscaldava i cuori degli esseri sognatori. Provò una sensazione piacevole.

    Non è vero che è un brutto posto. Non è vero che s’incontra solo gente stramba... tutti sembrano così contenti..., pensava tra sé e sé.

    Le parole che la direttrice utilizzava per descrivere quel villaggio erano sempre state le più dispregiative, invece.

    «Gioia, felicità: che brutte cose, solo per umagici deboli!», aveva più volte scandito la perfida umagica al Collegio. «Che cosa ve ne fate di sensazioni così terribili? Vedere star bene gli altri, ma che brutta ingiustizia! Sono l’egoismo, la tristezza, la malinconia, che danno forza allo spirito e rendono forti come una montagna invalicabile, oh miei piccoli e insulsi esserini senza famiglia!».

    Pensando alla non coincidenza tra quello che gli era stato raccontato e quello che adesso poteva vedere e provare, giunse nella grande piazza e in poco giro di tempo fu dinnanzi al negozio dove molti altri umagici attendevano il loro turno per parlare al giocattolaio. Mancavano solo due giri di giorno ai mille fuochi e ognuno portava una lettera con il suo desiderio al famoso costruisci-giocattoli.

    Un umagico cicciottolone davanti a lui si rizzò sulle punte e spintonò due bambocci davanti: «Fatemi vedere, non riesco a capire cosa sta dicendo! Ehi, voi, avete sentito, dico a voi, allora...».

    «Smettila, brutto cicciobombolone!», esclamò uno dei due.

    In quel momento, una piccola biondina stava bisbigliando qualcosa nelle orecchie di quel Toymas. L’umagico barbuto si compiacque e per questo rise di gusto.

    «Io gli chiederò un peloratto mobile veloce o dei pattini nuovi...», continuava a ripetere il cicciottolone, non comprendendo che a nessuno dei presenti interessasse il suo desiderio.

    Lui, invece, da dietro, lo guardava.

    Se l’era immaginato completamente diverso. Gli era stato descritto dalla perfida direttrice come un essere viscido e fastidioso alla vista. Descrizione che contrastava con i racconti delle sue amiche civette. L’umagico si stava dondolando su una sedia di legno, teneva gli ospiti sulle sue ginocchia e ogni tanto dava un bacio sulla testa dei più simpatici.

    «OH OH OH, vieni piccolo!», e chiamava il successivo pronto a sussurrargli il suo segreto desiderio per la notte dei mille fuochi.

    Notò anche che si appuntava tutte quelle confidenze su un diario rosso. Alcuni gli consegnavano letterine di foglia-carta che venivano raccolte in una balla, ormai stracolma.

    Passò un sacco di giro tempo, e lui cominciò a fantasticare su come potesse essere l’interno della sua casupola. La immaginava di legno, i mobili intagliati con gusto e stile. Un camino colmo di ceppi scricchiolanti e riscaldanti, e, ovviamente, giocattoli ovunque.

    Poi giunse il suo turno.

    «Vieni, piccolo, posso sapere il tuo nome?», chiese Toymas.

    «Io non ho un nome e se anche l’avessi non lo direi certo a uno sconosciuto!», rispose il piccolo umagico.

    «Che bel caratterino abbiamo qui! Facciamo così, ti chiamerò l’Innominato, ok? Posso sapere il tuo desiderio per questi mille fuochi, Innominato?», rispose il giocattolaio.

    «Vorrei dei pattini per Julia, un cannone nuovo da snow ping dong per John e un martellino per Jack: abitiamo al Collegio Centopenne... qui vicino... sa dov’è?».

    «Conosco quel collegio, Henry Centopenne era il fratello di mia mogliumagica Margareth! Non ci parliamo da un sacco, da quando ha sposato quella signora Coldwater...».

    «La direttrice?!?». L’Innominato tirò fuori un’espressione sgradevole.

    «Nobile esprimere un desiderio per i propri amici, ma tu... cosa vuoi? Ci sarà qualcosa che desideri dal profondo del tuo cuore...».

    «Quello che vorrei non può essere regalato».

    «Posso almeno provarci? Mi sottovaluti...», tentò il vecchio.

    «Rivoglio la mia famiglia. Voglio rivedere mio padre e mia madre!».

    Il giocattolaio si rattristò in volto.

    «Innominato, non posso darti una famiglia, o meglio ci proverò con tutto me stesso, ma sappi che è un desiderio davvero difficile da realizzare. Comunque, guarda, ho una cosa per te, apri le mani... fa proprio al caso tuo!».

    Frugò nelle tasche e tirò fuori una pallina di aurora boreale.

    «Questa pallina è magica: se cambia colore quando esprimi il tuo desiderio diventando verde, un giro di giorno il tuo sogno si realizzerà. Altrimenti, è sempre una bella pallina, non ti pare? La puoi tenere...».

    E la consegnò nelle sue mani.

    «Esprimi il desiderio! Forza!», lo esortò il giocattolaio.

    Voglio abbracciare di nuovo tutta la mia famiglia un giro di giorno, pensò l’Innominato e chiuse gli occhi, li strinse forte...

    Fu allora che la pallina cominciò a cambiare colore e divenne di un verde brillante.

    Toymas, incredulo, sorrise.

    «Hai visto? accadrà! La pallina non sbaglia mai!».

    Ma l’Innominato mutò espressione e s’incupì. Il grigio della tristezza scese sui suoi occhi.

    «Mi prende in giro... non si approfitti anche lei di me... c’è già chi lo fa! Non sa cosa vuol dire essere frustato e incolpato ingiustamente solo perché una direttrice spregevole non ti sopporta, piangere nel letticolo desiderando di non essere mai nato, sentirsi inutili e insignificanti!». Il giovane umagico scosse la testa con rabbia. «Lei non sa cosa vuol dire correre per essere in prima fila quando arrivano nuovi genitori e un giro di attimo dopo essere rinchiusi in uno sgabuzzinatoio, sentendosi dire: Tu stai qui, nessuno può volerti come figlio!. Vederli andare via dalla persiana finestra con i tuoi compagni in braccio. Stare sveglio di notte aspettando che arrivi tuo padre a salvarti o tua madre a cullarti!». Sembrava un fiume in piena che nulla avrebbe potuto fermare, e Toymas restò ad ascoltarlo, sorpreso, quanto dispiaciuto. «Lei non sa cosa significa urlare quando sei malato senza nessuno che ti curi o non sapere quando sei nato e festeggiare il tuo giro di compleanno, a metà del giro di anno, da solo, con un pezzo di legno come torta e una foglia come candela! Fantasticare su come sarebbe stata la tua vita con una vera famiglia... Avere la sensazione di essere stati abbandonati a se stessi. Dimenticati dal destino, ripudiati dal fato».

    Prima che Toymas potesse dire qualcosa per placarlo, l’Innominato agitò una mano intorno, sempre più scosso, ed esclamò: «Tutti questi umagici hanno dei genitori, hanno le loro casupole, un caldo letticolo e comode coperticine stirappallottolate dalle loro madri. Io ho solo tre amici, ormai, tutti gli altri se ne sono andati e tra poco adotteranno anche loro. A quel punto, io rimarrò solo. Solo con quella vipera di direttrice! Capisce cosa provo... ha chiaro cosa devo sopportare? Ma non mi venga a dire che i miei torneranno, perché non le credo!».

    «Ti aiuterò, Innominato, te lo prometto! Fosse l’ultima cosa che farò!», rispose Toymas, cercando di calmarlo.

    Ma in quel momento, l’espressione commossa del bambinumagico s’incupì. Il suo viso angelico si tramutò in un inferno, i suoi occhi divennero incandescenti di rabbia e i suoi lineamenti si marcarono, duri come l’acciaio.

    «Farabutto... non è possibile! I miei genitorumagici sono morti! La direttrice me l’aveva detto e aveva ragione: tu sei un cattivo umagico, il più bugiardo! Vorrei non averti mai conosciuto!». Così dicendo, rimise in mano la pallina al giocattolaio, che lo fissò, sconvolto dall’accaduto.

    Poi il ragazzino scappò, e nel fuggire via, urtò contro il cicciottolone antipatico, che finì a terra in un ruzzolone.

    Toymas si tolse gli occhiali.

    «Innominato, dove vai? Non te ne andare, torna qui!», urlò, alzandosi in piedi.

    L’umagico senza un nome piangeva e le lacrime gelavano le sue guance a quelle basse temperature. Correva senza tregua.

    Quella pallina bugiarda! È impossibile, i miei sono volati a Chinoncèpiù e mai più li rivedrò!, pensava.

    In poco giro di tempo, fece ritorno al Collegio Centopenne e rientrò dalla persiana finestra, arrampicandosi come un roditopo. Poi si infilò nel letticolo, strisciando. Chiuse gli occhi gonfi di lacrime. Sapeva che dopo poco si sarebbero alzati anche i suoi compagni. Si addormentò piangendo, pensando a quella pallina bugiarda. Non avrebbe più messo piede a Pandoria, mai più.

    *

    Si svegliò di colpo. Era fradicio di sudore. Improvvisamente gli caddero dagli occhi come delle squame e recuperò la vista. Ci mise qualche giro di attimo per capire che si trovava nel suo letticolo di ossa.

    Si toccò la pelle squamosa. Aveva sognato.

    Quando si riprese del tutto, si rese conto di essere nella sua tetra camerinca. Il suo fiato freddo sembrava il fumo gelato di un vulcano eruttante.

    «Padrone, avete fatto un brutto sogno?», gli chiese Elficus, che se ne stava in un angolo della stanza buia e gelida.

    «Elficus, ah, eri qui. Mio servo devoto... ho fatto un brutto incubo-ricordo! Il mio vissuto riaffiora, qualche volta... è stato molto giro di tempo fa!», replicò Reptilius.

    «Padrone, cos’avete ricordato? Mi racconti... sono cose belle?», lo interrogò Elficus.

    «C’era quello squilibrato di un vecchio costruiscigiocattoli, lui e le sue bugie che risuonano ancora nella mia testa! Per fortuna, ho aperto gli occhi sul mondo e la direttrice mi ha fatto conoscere la bellezza della tristezza!», rispose l’essere animaliano.

    «E poi, padrone, cos’altro, raccontatemi...».

    «Niente, Elficus... NIENTE!!!». I suoi occhi si accesero, illuminando di una luce rossastra quella stanza del castello dei nani neri.

    Subito dopo, Reptilius si rese conto dei rumori assordanti che venivano dal piano superiore.

    «COSA SONO QUESTE GRIDA?!», urlò l’animaliano.

    Balzò giù dal letticolo di ossa e mostrò il suo corpo squamoso al gracile umagico che lo serviva. Poi indossò il mantello e si diresse correndo al piano di sopra, salendo le scale gelide di quella fortezza di ghiaccio nero.

    «Reptilius, abbiamo provato a fermarlo, ma ha una forza...», disse Joe il Nero, quando lo vide, indicando Tigre che stava strozzando uno dei nani neri.

    Reptilius si avventò sulla sua schiena, ma l’animaliano lo scaraventò contro la parete.

    «Immobilis!», gridò il suo padrone.

    Tigre si immobilizzò all’istante. Ma continuò a mostrare le zanne.

    «Mi piaci, sei molto forte, sarai utile. Ora però sei uno di noi, devi essere fedele al tuo padrone, se vuoi vivere», mormorò.

    Tigre ruggì forte.

    «Mi aiuterai a catturare la renna volante, bramo le sue corna magiche. Si dice che la sua forza sia contenuta in esse e che siano quelle che le permettano di volare. Devo azionare la macchina succhiatrice. Cancellerò la gioia, la spensieratezza e tutte queste emozioni insensate dalla testa di ogni piccolo umagico, e se non basterà la punterò anche sul mondo. I nonumagici, che sembrano identici agli umagici, ma senza alcun potere, sono una razza inferiore, e questo meritano, nient’altro!». Fece una pausa e ribadì: «Dobbiamo trovare quella creatura prima che lo faccia Philip Snow!».

    I nani neri indietreggiarono.

    «Renna volante, sarai mia!», esclamò Reptilius.

    Poi tirò fuori dalla tasca una sfera nera. La girò come una trottola sul tavolo che si trovava dinnanzi a lui.

    «Mostrami cosa sta succedendo a Pandoria!», ordinò.

    La palla cominciò a roteare ed emise un intenso bagliore.

    «Se qualche pandoriano dovesse fuggire o lasciare il villaggio, non esitate e attaccate. Non permettete che fuggano. Se dovessero anche solo provarci, uccideteli. Intanto, ho inviato un’orda di nani guerrieri a seminare un po’ di paura a Pandoria: siate pronti a coprire le loro spalle, se

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