Twinkle
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Anteprima del libro
Twinkle - Martina Nicole Cerri
TWINKLE
di Martina Nicole Cerri
Prima edizione: dicembre 2019
Tutti i diritti riservati 2019 BERTONI EDITORE
Via Giuseppe Di Vittorio 104 - 06073 Chiugiana
Bertoni Editore
www.bertonieditore.com
info@bertonieditore.com
È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi
mezzo effettuata, compresa la copia fotostatica se non autorizzata.
Martina Nicole Cerri
TWINKLE
PREFAZIONE
Il racconto trasmette buon umore perché la sua forza sta proprio nel considerare non solo la trama, ma l’intuizione, la percezione e i sogni di una famiglia in una cittadina sognata così bene da sembrare vera.
Intriso di realismo e fantasia il romanzo procede a zigzag e sballotta il lettore come il carro con i cavalli con cui si apre il primo capitolo, tra cose buffe e malinconiche.
Ho apprezzato, dunque, questa speciale e un po’ magica atmosfera e lo stile che è davvero insolito e molto poetico. I personaggi sono ben delineati, a partire dalle atmosfere, dagli ambienti, i personaggi principali e soprattutto quelli marginali. Non ce ne è nessuno che si possa dimenticare, è un romanzo che in certi passaggi sembra scritto con una penna così calcata da bucare la pagina, mentre in altri diventa un color pastello sfumato e delicatissimo; riesce a essere cupo, tragico e leggero, brillante e comico. Le bambine descritte sono intelligenti e con poco senso del pericolo, che interpretano il mondo degli adulti come un qualcosa di strano e alieno: compiono atti curiosi e fanno riflessioni intelligenti, allontanandosi dallo stereotipo
della classica figura infantile ma, allo stesso tempo, l’autrice ci dimostra di conoscere molto bene il suo pubblico di ragazzi: in questo modo il lettore è costretto a entrare davvero in un mondo magico e simbolico (La valle delle Pietre) non prevedibile, perché ogni tipo di difesa
razionale finisce per perdere valore.
Il contatto quasi magico con il piccolo Pi ha un valore altamente simbolico che dà al romanzo un'aria caleidoscopica ed è questa commistione di caratteri animali e umani a rendere perfettamente l'idea di famiglia, delle piccole beghe quotidiane e dei loro piccoli amici che assistono amorevoli. I fatti della vita di tutti i giorni dei membri della famiglia si dipanano con grazia e sobrietà, a tratti anche con pungente ironia o divertente senso di humour, fino a tracciare un'immagine, più o meno definita, della società, con i suoi vizi e le sue virtù procedendo attraverso quadri a tinte lievi, larghe e rilassate immagini. Uno stato di grazia che l’autrice riesce a cogliere nelle minime manifestazioni del quotidiano, fino nei numerosi riferimenti alle condizioni del tempo, nei il temporale si era allontanato lasciando riemergere dalla nebbia i tetti rossi
, nelle nuvole, nel cielo bianco
fino a quel momento scivolato via arioso e pieno di luce (un topos costante nella sua narrazione, la verità possiede, credo, il senso della rivelazione e della luce). Questo richiamo continuo al simbolismo rimanda alla vita che a volte brucia, a volte riscalda, a volte diventa ossimoro un fuoco… un fuoco blu, freddo… non doveva bruciare perché quando ho provato ad afferrarlo mi è passato sopra e ho avvertito freddo...
– e che solo il piccolo Pi può aver visto e capito come lei perché vive in simbiosi con la protagonista: attimi che restituiscono una dimensione di esaltazione spirituale. Questo racconto dà speranza: c’è l’euforia – la sensazione che la vita sia molto di più di ciò che appare – luce, acqua, alberi, pappagallini dolcissimi diventati indispensabili e persone speciali da incontrare sul proprio cammino.
Alessandra Perrone Fodaro
I
UN AMICO DI PENNA
Un piccolo calesse stava percorrendo una stradina che si snodava come un dolce serpente di terra battuta tra le ampie distese verdi dei pascoli e dei campi di grano attorno alla cittadina di Rèimse Oak.
Seduti sul pianale imbottito c’erano un uomo, William McDunne e sua figlia Martine.
Martine teneva bassa la tesa del cappello per ripararsi dal primo sole estivo e stava attenta ad avvistare la collina dove sorgeva la fattoria di Nelly Wells. Era una ragazzina graziosa, con un viso piccolo, dai lineamenti dolci, un naso all’insù, due occhi da cerbiatto e lunghi capelli color rame.
Quella mattina aveva deciso di indossare il vestito verde che metteva in risalto la sua carnagione chiara. Lo indossava ogni volta che la attendeva un incontro importante, proprio come quello che sarebbe avvenuto di lì a poco.
Aveva infatti convinto il padre a prendere un uccellino, così da avere un po’ di compagnia quando non c’era scuola. Non aveva fratelli né sorelle e non si era ancora fatta molti amici a Rèimse Oak, o almeno amici veri con i quali condividere il proprio mondo.
Si erano trasferiti lì dopo la morte della signora McDunne, avvenuta appena un anno prima.
Rèimse Oak era una cittadina piccola, immersa nel verde, che distava poco più di cinquanta miglia dalle grandi scogliere di Froht. Era abbastanza lontana dalla contea di Remfolk, laddove William aveva sperato di lasciare i ricordi dolorosi della famiglia.
Gli abitanti li avevano presto accolti nella comunità e questo era stato un bene, soprattutto per Martine che provava ancora una mesta nostalgia per la madre.
«Allora sei sicura? Non avrai cambiato idea…» chiese William McDunne alla figlia che se ne stava in trepidazione a scrutare l’orizzonte.
«Certo che no, papà! Sono sicura!» rispose Martine.
«Come lo sceglierai, ci hai pensato?»
«Non so, ma sarei felice se trovassimo un pappagallino. Ne ho visti alcuni su un volume della signorina Jackson e sono bellissimi. Hanno dei colori che al solo guardarli mettono allegria. Pensi che ce ne saranno?» gli chiese sgranando i suoi occhioni scuri.
«Certamente!» la rassicurò il padre. «Anzi, lo scopriremo presto perché ormai ci siamo! Quello dovrebbe essere il cancello della proprietà dei Wells», aggiunse dando comando ai cavalli di rallentare.
La fattoria di Nelly apparteneva alla famiglia Wells da molto tempo e per gli abitanti di Rèimse Oak era diventato un luogo caratteristico.
Ospitava molti animali: galline, anatre, tacchini, maiali, conigli e, ovviamente, pecore perché non c’era famiglia, in tutta Groan, che possedesse un appezzamento di terra senza avere qualche pecora.
Se in tutta Rèimse Oak c’era un luogo dove poter trovare un uccellino da compagnia, era proprio la fattoria della famiglia Wells.
Arrivarono mentre Nelly usciva dal pollaio, scrollandosi la polvere dal grembiule, e lei non appena li vide andò loro incontro sfoggiando un grande sorriso.
I lunghi capelli grigi raccolti dietro la nuca, il viso abbronzato e i due occhi piccoli, luminosissimi e color cielo fecero provare a Martine un’immediata simpatia.
«Buongiorno! Come posso aiutarvi?» chiese.
«Vorremmo comprare un uccellino, anzi un pappagallino se possibile», rispose prontamente Martine.
Nelly si fece pensierosa, poi aggiunse: «Ne ho uno solo al momento. Sono volatili particolari e non ne ho grande richiesta.»
A quelle parole, Martine provò una leggera delusione: aveva sperato di poter scegliere tra una grande varietà di pappagalli.
«Ma prego, seguitemi», disse Nelly indicando loro la strada.
Si avviarono così lungo un vialetto alberato dove, nell’ombra, c’erano numerose gabbie che ospitavano vari tipi di uccelli. Oltrepassarono i recinti dei tacchini e raggiunsero una grande aia. Martine si guardava attorno e d’un tratto notò una testolina color arancio chiaro che faceva capolino da una piccola gabbia.
Appena sentita la voce di Nelly, il pappagallino dai colori sgargianti si era arrampicato lungo le sbarre allungando il collo di un bel po’.
«Oh, eccoti qui piccolo mio. Ti ho portato degli ospiti», disse rivolta alla creaturina. Poi gli aprì la porta della gabbietta e subito l’uccellino le volò sul taschino del grembiule iniziando a scrutare di traverso Martine e William.
«Oh papà, com’è carino! Ed è piccolo, proprio come lo avevo immaginato!» disse lei all’improvviso felice.
Nelly pose l’uccellino tra le sue mani ma quello iniziò subito a dimenarsi.
«Forse non gli piaccio» mormorò Martine.
«Ma no, cara, è diffidente perché non ti ha mai vista - la rassicurò Nelly - Prova a prenderci confidenza.» Ma l’uccellino si liberò dalla sua stretta e volò maldestramente per finire contro una pila di ceste. «Oh su, andiamo, non essere timoroso!» fece lei che era solita parlare ai suoi animali come fossero persone. «Vedete - disse poi rivolgendosi ai due - è nato da due mesi e conosce solo me. In realtà è un gran simpaticone!»
Martine lo osservava dispiaciuta e iniziò a sentir scemare tutto l’entusiasmo provato poco prima. Aveva dato per scontato che l’animaletto sarebbe stato socievole, ma non era così.
«Allora signor…? Oh, che sbadata! Non vi ho chiesto neppure il vostro nome, perdonatemi» disse Nelly.
«William McDunne, signora. Non vi preoccupate. Mia figlia è talmente esuberante che non mi ha dato modo di presentarmi» rispose lui divertito.
«Allora signor McDunne, siete decisi?»
«Sì signora, lo prendiamo!»
«Benone! Allora seguitemi che vi preparo tutto l’occorrente» disse lei con un gran sorriso.
Quindi prese un sacchetto di semi e iniziò a spiegare le cose più importanti.
«L’ho allevato io da quando è uscito dall’uovo, quindi è abituato alle persone. Ha già imparato a mangiare da solo, qualche volta dategli anche dei pezzettini di mela, ne è ghiotto. Vedete, ora ha i colori un po’ spenti ma crescendo cambieranno e... Oh, non preoccupatevi, non crescerà molto. Gli ho spuntato le penne di un’ala così che non potrà scappare. Quando ricresceranno, se vorrete, potrete riportarlo qui e le spunterò di nuovo.» Così dicendo prese il pappagallo e gli strofinò il becco: «Ciao simpaticone, hai trovato una famiglia. Mi mancherà il tuo musetto…» E, dopo averlo consegnato a Martine, li salutò.
Quando il calesse ripartì, il piccolo iniziò a lanciare fischi striduli e cinguettii rauchi, non smetteva di muoversi e di guardarsi indietro, spaventato com’era, quasi stesse cercando l’aiuto della donna che lo aveva allevato con affetto fino a quel momento.
Vedendolo così agitato, Martine si sentì triste e la assalì uno spiacevole senso di colpa per aver stravolto la vita di quella piccola creatura.
William, che aveva intuito i suoi pensieri, cercò di rassicurarla. Era un uomo molto giovane, dalla corporatura robusta ma dall’animo sensibile e conosceva bene sua figlia. «Non devi abbatterti. È solo spaesato. Quando abbiamo lasciato Remfolk, hai guardato indietro per almeno un miglio ma ora ti trovi bene a Rèimse Oak. Lo stesso sarà per lui, puoi starne certa.»
«Non vorrei sentisse troppo la nostalgia di Nelly - rispose poco convinta la ragazzina - Hai visto come stava sul suo taschino?»
«Io sono certo che, se ti comporterai come una buona amica, tra qualche tempo ti apprezzerà anche più di Nelly.»
Martine lo guardò dubbiosa ma annuì, in silenzio.
Assorta, guardava il suo piccolo amico agitarsi. «Mi prenderò cura di te piccolo», gli sussurrò con dolcezza. «Anche se ora non ti piaccio, saprò farmi voler bene» e quello piegò la testolina di lato, fissandola attento con i suoi occhietti di giada scura. Emise uno strano versetto con cui parve risponderle, facendola trasalire.
Sembrò quasi che le avesse letto nel pensiero e i pensieri, per Martine, erano la cosa più preziosa che una persona potesse avere.
«Sai papà? - disse all’improvviso in tono solenne dopo un lungo silenzio - Credo di aver scelto il suo nome. Penso che lo chiamerò Pi.»
«E che nome sarebbe Pi?» domandò lui cercando di trattenere una risata.
«Ma come, non l’hai notato? È il verso che fa sempre e credo sia un nome carino. È un po’ buffo, ma pratico… Sì, ti chiamerò Pi!» sentenziò avvicinando il naso alle sbarre della gabbia che lo custodiva.
Pi, abituato da Nelly, le rispose dandole una specie di bacio.
II
ABITUARSI
Rèimse Oak era una città piccola e tranquilla. C’erano la scuola, una biblioteca, la chiesa, l’infermeria del dottor Cupert, l’emporio della signora Lynde, un albergo e persino un ufficio postale. Il resto era un alternarsi di campi e fattorie separate da viali alberati e cortili.
La casa di Martine e William sorgeva in un appezzamento circondato da cascine e il loro terreno confinava con quello dei Roland. Erano la tipica famiglia contadina composta da padre, madre e da ben cinque bambini, tutti più piccoli di Martine.
La signora Roland era una donna giovane e buona che aveva preso subito a cuore la sua piccola vicina e, per non lasciarla troppo sola, quando non c’erano le lezioni, l’aiutava a svolgere le faccende domestiche e a cucinare. Martine apprezzava la sua compagnia, anche se avrebbe preferito che lì con lei ci fosse stata sua nonna Eveline, o Eve, come la chiamavano, ma nonna Eve abitava a Froht, nella baia omonima, vicino alle scogliere.
Froht distava da Rèimse Oak una cinquantina di miglia e da più di un anno Eve non vedeva suo figlio e sua nipote.
Era ormai passata una settimana da quando erano stati all’allevamento di Nelly e la conoscenza con il pappagallo non registrava molti progressi. Il primo giorno in casa McDunne l’animaletto era rimasto tutto il tempo in un angolino sul tettuccio della gabbia senza muoversi e senza mangiare né bere. Quando avevano provato ad accarezzarlo, si era ritirato, impaurito.
Quell’atteggiamento aveva preoccupato la ragazzina che, per non rendergli le cose più difficili, in quei primi giorni, si era limitata a mettere i semi, cambiare l’acqua e aprire la porticina per permettergli di salire sul tettuccio da dove poteva guardare fuori.
Una mattina come tante, lo osservava seduta al tavolo della cucina. Era così piccolo ma già così bello. Aveva un piumaggio lucido, una testolina arancio, il corpo e le ali verdi brillante e la coda di un azzurro intenso. Un’ala era più corta dell’altra. Nelly l’aveva spuntata, assicurando che non era stata un’operazione dolorosa anche se lei non ne era troppo convinta. Anche perché, quando provava ad accarezzarla, Pi si scansava subito di lato.
In quel momento lo guardava sbirciare fuori, come se si sentisse in prigione, e questo la intristiva. Così, qualche ora più tardi, decise che avrebbe risolto quella situazione, pur non sapendo come. Poco dopo uscì.
«Cosa fare? Come posso sapere cosa può piacergli, quali sono le sue abitudini? È così piccolo…» diceva tra sé e sé seguendo la sua ombra muoversi tra le grandi querce del viale. Andava dritta verso la piazza, come se lì avesse potuto trovare una risposta a quelle domande tuttavia, quando arrivò, si rese conto di aver compiuto soltanto un gesto privo di senso.
Allora si mise a sedere sul bordo del grande fontanile, al centro della piazza, per riflettere. In quell’istante dall’ufficio postale uscì di corsa la signorina Blennett che urlava contro l’impiegato. «Dico io! Ditemi voi! È questo il modo di trattare una signora? Anzi, signorina! Neanche mi conosce. No! Non sa chi sono io!» continuava mentre cercava di raddrizzare il suo cappellino ornato da tante margherite di stoffa.
La signorina Blennett, così chiamata perché non sposata, era tra le donne più anziane della città e, chiunque avesse assistito alla scena, avrebbe capito subito perché nessuno l’avesse mai voluta per moglie: era convinta di aver sempre ragione e di essere la sola donna al mondo a non commettere mai un errore.
Martine la guardò allontanarsi con aria divertita poi, d’un tratto, balzò in piedi come se quella scena bizzarra le avesse portato un’illuminazione. «Ma come ho fatto a non pensarci prima! - disse battendosi la mano sulla fronte - Non conosco la razza del mio pappagallo! Se trovassi qualche informazione in un libro, magari come quello della signorina Jackson, potrei capire come avvicinarlo.» Prese, quindi a correre ed entrò nella biblioteca come una folata di vento.
«Buongiorno Marti…» la accolse, perplessa, la signorina Ruth tirando su il naso dal registro dei prestiti settimanali. «Cosa ti porta qui oggi?»
«Oh… ecco… io… avrei bisogno di un libro dove trovare informazioni sui pappagalli. Ne avete?» rispose la bimba ansimando per la corsa.
«Uh… deve essere una cosa importante se arrivi correndo», sottolineò Ruth in tono ironico. Si infastidiva facilmente davanti a comportamenti che, per lei, non si addicevano a una signorina: come entrare di corsa, scomposta, in un luogo aperto al pubblico.
«Vediamo un po’… dovrei avere qualcosa…» disse, poi, sospirando e la sua figura, stretta in un lungo vestito color pastello, sparì tra gli scaffali.
Intanto Martine aspettava, strofinandosi le mani. Per lei aspettare non era mai piacevole, se non altro, stavolta, avrebbe avuto tempo per riprender fiato e poter parlare decentemente.
Ruth fu svelta e tornò presto con un grosso volume.
«Ecco cara, qui dovresti trovare qualcosa. Ci sono descritte molte specie di uccelli. Visto che i pappagalli non fanno parte della fauna del nostro paese, forse non ci sarà molto, ma di sicuro qualche informazione la conterrà», disse con voce stridula, puntando gli occhiali sul naso. «Mi raccomando, abbine cura. Ti aspetto tra una settimana: purtroppo non posso farti un prestito più lungo perché per alcuni volumi è vietato.»
«Oh, non vi preoccupate, tra una settimana verrò a riportarlo. Vi ringrazio signorina Ruth. Arrivederci!» rispose lei, sparendo via