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Come una preda braccata
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E-book215 pagine2 ore

Come una preda braccata

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Info su questo ebook

Il 4 maggio del 1954 nelle miniere di carbone di Ribolla, in Maremma, 43 minatori perdono la vita a causa di un'esplosione di grisou. E' una tragedia annunciata, preceduta da una lunga serie di incidenti, di inchieste, di richieste di aiuto da parte degli operai e delle organizzazioni dei lavoratori. Ma l'azienda proprietaria, la Montecatini,può permettersi di rischiare la vita dei suoi minatori, tanto che il processo che vede imputati i suoi dirigenti si concluderà a Verona nel 1958 con la piena assoluzione di tutti, senza che vengano stabilite le cause del disastro. I parenti delle vittime accetteranno gli indennizzi pattuiti con la Montecatini e abbandoneranno il processo prima della sua conclusione. Poi, nel 1959, la miniera chiuderà definitivamente, lasciando orfano il villaggio che era nato proprio per circondarla e accudirla.
Questo libro, né romanzo né saggio, è il tentativo di colmare questo vuoto.
LinguaItaliano
Data di uscita10 ott 2019
ISBN9788834199657
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    Anteprima del libro

    Come una preda braccata - Laura Maggi

    LAURA MAGGI

    COME UNA PREDA BRACCATA

    Ribolla, miniere Montecatini…

    Ribolla lontana dalla sua realtà, paese curioso, incomprensibile. Paese misterioso, avvolto in una cappa di solitudine e di parole non dette, di verità totalmente altre camuffate da discorsi ambigui e di rito. Paese chiuso, difficile come la sua miniera. Paese di vita per tanti anni, con i suoi quasi quattromila operai e le sue casine che nascevano come promessa per il futuro. Casine basse, piccole, ma principio di tante speranze e troppe illusioni. Paese fiorente e ricco, punto di forza nell'economia toscana degli anni '30 - '40 e punto di arrivo per tanti lavoratori provenienti da ogni parte d'Italia.

    Ribolla paese di morte, di disperazione, di dolore, di lotte esasperate contro i padroni sfruttatori. Paese di sopravvivenza a tutti i costi, di voglia di non sentire più quell'impressione di terrore ogni volta che un turno doveva lasciare la luce del sole. Volti, nomi, persone, emozioni... tutto passato così, in un soffiare di vento; tutto dimenticato come una brutta storia che i nonni non hanno mai raccontato ai nipoti i quali non sanno, non si spiegano il perché di questo luogo tanto diverso dagli altri, fatto di persone il cui cuore è rimasto legato alla terra dei tempi andati. Calabresi, siciliani, marchigiani, toscani, veneti, sardi: piccole comunità autosufficienti che hanno cercato di conservare tradizioni, dialetto, usanze; tutte accomunate dalla certezza di voler dimenticare la storia della miniera, sicure di avere voltato pagina e di non aver più niente a che fare con quel passato.

    La Ribolla che non vuole ricordare e che cancella le tracce come una preda braccata. Che annulla ciò che resta di un passato politico, economico, sindacale, umano. Tutto ciò che gli operai hanno cercato di fare, di portare avanti è andato in fumo il 4 maggio 1954; le loro lotte, i sindacati, le rivendicazioni, gli scioperi, il lavoro. Tutto inutile di fronte alla forza dei pochi e alla ribellione dei molti.

    Quel cinema che avevano costruito pietra su pietra, ha avuto l'ultimo compito di essere camera ardente per i minatori che via via venivano riportati in superficie. E poi il processo di Verona che in molti hanno vissuto come una farsa; tanti amici morti e spariti nel nulla, straziati di nuovo nel momento della sentenza.

    Ribolla che dimentica per sopravvivere.

    Ribolla che indugia nel raccontare, che scuote la testa ed esita, lasciando intendere che la verità probabilmente è altra e che nessuno mai pronuncerà certe parole; che abbassa gli occhi e rivive, per pochi attimi, quel senso di impotenza, di sconfitta - un dolore ancora vivo, impellente, ma segregato da qualche parte, lontano dalla nuova vita - e poi preferisce parlare di altro, si indigna per quelle domande così insidiose che evocano emozioni tenute a distanza, che minacciano una posizione di stallo tanto difficilmente conquistata.

    Però gli occhi sono lucidi di lacrime. Lacrime di rabbia e di sdegno nel raccontare, finalmente con liberazione, la propria storia di lavoro duro, di lotte fallite, di amici morti, della beffa finale. Ma sempre con l'orgoglio di chi sa di aver dato tutto a questo paese, di averlo aiutato a nascere e a crescere. Le casine sono state in gran parte rialzate, i pozzi abbattuti o crollati. Del pozzo Camorra resta uno scheletro con un enorme albero dentro, la cernita è un teschio smembrato che osserva silenzioso ciò che rimane di sé. Tanti edifici sono stati adibiti ad altri scopi, svenduti dalla Montecatini per nascondere i ricordi dolorosi di cui essa era una delle cause, mossa solo da interessi economici.

    Una Montecatini due volte matrigna: prima per non aver salvaguardato il lavoro e l'avvenire di troppe famiglie e poi per non aver dato la possibilità al paese di vivere il suo futuro, lasciandogli la testimonianza tangibile di ciò che è stato, senza la quale per i giovani è e sarà impossibile legare un passato fatto di lavoro e sudore a un presente fatto di domande senza risposta.

    A Ribolla si sente questo vuoto, la mancanza di un anello nella catena della crescita della popolazione. Un paese rimasto nel limbo, con il suo contrasto graffiante tra quello che era e quello che è, frutto della doppia volontà di cancellare le tracce e di dimenticare, per motivi diversi, ciò che è accaduto.

    Una verità doppiamente scomoda.

    Una verità totalmente altra?

    Dicembre 1953 - Maggio 1954

    Il presente.

    Dicembre 1953 - Maggio 1954

    4 dicembre 1953, Santa Barbara

    Un rumore violento, un'esplosione nella notte...

    Giovanna è seduta sul letto, con il cuore in gola e perle di sudore che le scorrono giù dalla fronte; per istinto cerca accanto a sé e sente il corpo di Luigi. Dorme ancora, lui è abituato a questo baccano. La seconda esplosione la fa sussultare di nuovo, come in un incubo, come nella visione di un presagio. Si getta addosso a Luigi che si sveglia; si rende conto del chiarore dell'alba, dei piccoli fasci di luce che entrano dalla finestra. Intravede il suo uomo sorridere teneramente, si sente trascinare verso di lui e appoggia il viso sul suo petto caldo; ascolta quel respiro che teme di non risentire, ogni volta che scende nei pozzi della morte. Avverte qualcosa di orribile e lui la stringe a sé, forse per infonderle coraggio o forse per farsi coraggio, le arruffa i capelli e le chiede di pensare a un giorno di festa, la festa di oggi, il 4 dicembre... Santa Barbara...

    Un'altra esplosione si sente a distanza, ma adesso non fa più paura, adesso è festa per i minatori e per le loro famiglie. Giovanna salta giù dal letto e inizia a cercare gli abiti buoni, quelli delle grandi occasioni, per lei, per Luigi e per la bambina. Aurora cresce così in fretta! Il vestitino dell'anno scorso sarà un po' corto, ma nessuno ci farà caso, saranno tutti impegnati a gustarsi giochi, balli e rinfreschi. Prende dal baule il suo unico abito elegante: gonna e giacca blu che aveva usato per il viaggio di nozze a Roma... tre giorni di infinito benessere, lontani da tutto e da tutti; la camicetta bianca è meticolosamente avvolta nella carta e nel nylon, per non farla ingiallire. Prende anche il vestito di Luigi e sente una stretta al cuore. Quel vestito usato per le feste, quel vestito tenuto lì per... non si sa mai, ogni volta che entrano sotto terra...

    Ma scaccia i pensieri, li allontana come fantasmi e cerca di immaginare ciò che accadrà oggi. Lui si rade, si lavano, si vestono in fretta; la bambina guarda curiosa, osserva i genitori sorridenti con gli abiti di natale e non vuole farsi fare i codini; i riccioli castani sono una chioma indomabile... Intanto il babbo si mette la giacca, si osserva nel piccolo specchio. Giovanna è splendida nella sua gioventù e nel suo abitino, ma non ha occhi che per lui: gli sistema la camicia, il colletto, cerca di aggiustare la piega ai pantaloni e non pensa a quanto tutto questo lo renda felice. E non si guarda nello specchio perché non vuole immaginare, non vuole riflettere. Preferisce preparare la colazione per tutti e uscire, rapidamente, per immergersi nella festa che sta prendendo vita nel centro del paese.

    La banda è già arrivata a svegliare il suo direttore, il Sillari. Tutti i suonatori sono nel parco della Rimembranza, c'è un monumento ai caduti della guerra e tutto intorno le colonne con dei ferri orizzontali che i bambini usano per giocare agli acrobati. Suonano: la festa è iniziata. Quelle che hanno fatto sussultare Giovanna erano solo delle mine esplose fuori dalla miniera come tributo a Santa Barbara.

    Il paese si anima, è irriconoscibile; sembra tutto bello, sembrano tutti felici e determinati a dimenticare per un giorno. Un giorno di gioia e senza pericoli, senza scendere in quelle viscere. Ecco il Sillari che esce; chissà da quanto tempo era lì, dietro alle finestre chiuse, ad aspettare il momento! La banda continua a suonare, mentre la gente si avvia verso il pozzo due, quello vicino alla cernita. " Ci sono tanti passi da fare fin laggiù, andiamo! dice Giovanna, tenendo per mano la bambina, godiamoci una passeggiata tutti insieme... c'è un bel sole... "

    Intanto, al pozzo, alcuni operai sono scesi a prendere la statua della Santa e la stanno pulendo, le stanno togliendo di dosso la polvere di carbone che si è accumulata negli ultimi giorni. Non è mai molto sporca: quando qualcuno le offre dei fiori, sull'altarino, cerca anche di ripulirla un po'. Adesso è fuori, tutti la possono vedere; il colorito scuro della sua pelle la rende così affascinante... l'immagine della vita, della salvezza sperata. Lei guarda tutti con serenità. Giovanna pensa che il suo compito sia proprio quello di rassicurare gli animi e allontanare i cattivi pensieri. Di fronte a questa armonia i suoi presagi sono spariti, sente di amare quella terra che dona la possibilità di sopravvivere e di crescere la sua bambina, Aurora, nata proprio nel momento in cui il sole iniziava a sorgere. Aurora, incantevole sogno che ha permesso a entrambi di andare avanti, di accettare anche i momenti più tristi.

    La bambina, lungo la strada, ha colto un fiorellino. Un fiore selvatico, di scarpata e lo pone, timidamente, ai piedi della statua. Poi alza gli occhi ed è quasi intimorita da quello sguardo che sembra seguirla... cerca la mano del babbo che la prende in braccio.

    Le persone continuano ad arrivare; c'è Lorena, con suo marito e suo figlio. Aspetta un altro bambino, nascerà a maggio, ma già si vede la bellezza radiosa della donna incinta. Roberto e Aurora iniziano a giocare, a correre fra le gambe dei tanti presenti; ormai la timidezza è svanita e il timore per quella statua è stato sostituito dalla curiosità. Oggi Ribolla è una grande famiglia serena, altri bambini si uniscono ai giochi, mentre in cima alla piccola discesa compaiono le vesti bianche di Don Giuseppe e dei chierichetti che si avvicinano. Tutto è pronto per la messa, c'è una grande folla che attende quelle parole di ringraziamento, ci sono anche delle vedove, con i loro figli. Giovanna si chiede come sia possibile, come abbiano fatto a non perdere la fede e il rispetto; eppure sono lì, come se la convinzione fosse più forte di troppe smentite. E pregano, quando Don Giuseppe inizia a parlare. Pregano perché mai più una moglie viva quello che loro hanno passato, perché una madre non debba più accudire la tomba di un figlio morto in miniera.

    Pregano, ma i volti sono colmi di rabbia. Perché tutta questa rabbia a Ribolla... Giovanna si guarda intorno e ascolta ciò che prova. Le donne sono le più ferite, quelle che sentono maggiormente il peso del lavoro del minatore, sono quelle che fanno finta di essere tranquille, ma che dentro hanno il terrore; donne che preferirebbero scendere in miniera piuttosto che stare otto ore ad aspettare la fine del turno e il ritorno del marito, dei figli. Occhi tristi camuffati da abiti belli e da buone speranze. Anche Giovanna ha già iniziato ad assaporare questo terrore, a cercare di conviverci, ma non si rende conto, ancora; sono arrivati da poco e si devono abituare all'odore di carbone che invade il paese e all'odore di morte che circonda i pozzi. È difficile imparare a vivere ora dopo ora, senza sapere come sarà domani, senza avere certezze. E poi qualcuno le ha raccontato di quella leggenda: ogni dieci anni la miniera reclama i suoi morti, quasi come tributo alla sopravvivenza degli altri. " Adesso siamo nel '53"... questi sono i pensieri di Giovanna. "Forse abbiamo ancora due anni per cambiare le cose, per migliorare la situazione. I sindacati si danno da fare, gli operai lottano per la loro sicurezza... forse riusciremo a smentire quella profezia, o forse è solo una credenza popolare che usano per spaventare i nuovi arrivati... Si, sicuramente è così, stanno cercando di prendersi gioco di noi.. .".

    I suoi occhi incontrano quelli di Luigi e lui la stringe a sé, cercando di nascondere agli altri quella disperazione. Lentamente la porta lontano e le dice che mai quella terra prenderà la sua vita, perché ha ancora tanto da fare, perché vuole vedere la sua bambina diventare una donna, perché vuole costruire la loro casa: " Stai tranquilla, non sono ancora disposto a lasciarti... "

    " Andiamo via, Luigi, andiamo a Milano o a Torino... nelle città c'è lavoro in fabbrica, posso ricominciare a cucire in casa, per dare una mano e per stare con Aurora; portami via da qui, questo paese mi sta prendendo e assorbe la mia voglia di sperare."

    " Ti chiedo solo di pazientare ancora un po'. Le nostre lotte stanno andando avanti, stiamo combattendo per i nostri diritti e per la nostra sicurezza. Dammi un anno di tempo, se le cose non cambieranno allora andremo via, te lo prometto… Guarda, si sta muovendo la processione. Andiamo. "

    La statua è portata da quattro operai, ci vuole un po' per arrivare fino alla chiesa; tutti camminano lentamente, chi in silenzio, chi pregando. La polvere dello sterrato ha già imbiancato le scarpe; Giovanna e Luigi tengono per mano la loro bambina e seguono gli altri. Camminando, lei coglie la conversazione di due operai: " L'altro giorno ho trovato Dino davanti alla statua, pregava la Santa di far sprofondare la miniera, di farla andare fino all'inferno, perché gli avevano dato solo due pezzi per fare un'armatura e non sapeva dove trovare il terzo. Gli ho detto: oh bischero! Ma non ti basta di essere così in basso? Vuoi andare ancora più giù? ". E fra parole e preghiere si arriva in paese.

    La chiesa è gremita, ci sono anche alcuni dei più estremisti di sinistra che si professano atei, ma Santa Barbara è Santa Barbara e non c'è niente da fare, sono così tanto abituati a vederla in quella nicchia scavata nell'argilla, sotto terra, ad averla accanto, che nei momenti più difficili si ritrovano a pregarla e rispettarla. Ci sono fiori sull'altare e il freddo, dentro, diventa pungente; è difficile riuscire a prendere posto su una panca, ormai sono tutte occupate e poi Aurora non starebbe certo ferma. Giovanna si siede in un piccolo spazio libero e Luigi tiene la bambina per mano, incuriosita dagli altri piccoli che si agitano, insofferenti.

    Don Giuseppe parla delle difficoltà di questo lavoro, ricorda a tutti i nomi degli operai che hanno dato la loro vita. Gli ultimi, Giovanni Brisigotti ed Ermanno Pisani, due amici. Ermanno è morto in un incidente e in questi tre mesi non si è fatto che parlare di lui. Era un bravo lavoratore, onesto, aveva 31 anni e tre figli da crescere; quel giorno di settembre era rimasto coperto da una frana in fondo al pozzo Camorra. Aveva mandato il suo compagno, sedicenne, a chiamare aiuto e in pochi minuti erano accorsi altri

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