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Favole, racconti e vecchie storie
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E-book108 pagine1 ora

Favole, racconti e vecchie storie

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Info su questo ebook

I ricordi, le storie e le tradizioni di Aielli sono alla base dei quindici racconti, nati per stimolare piacevoli ricordi e per trasmettere qualche prezioso insegnamento di vita ai più giovani. Si tratta di racconti, credenze e favole di un tempo non lontano, che oggi viene percepito assai distante e privo di interesse, trascurando il fatto che le nostre radici affondano ancora ben salde nella semplicità di allora
LinguaItaliano
Data di uscita23 mag 2023
ISBN9791222410463
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    Anteprima del libro

    Favole, racconti e vecchie storie - Vittorio Maccallini

    VITTORIO MACCALLINI

    FAVOLE, RACCONTI E VECCHIE STORIE

    ATILE EDIZIONI

    A Valerio e Maria Vittoria

    che mi hanno spinto a cercare

    nuovi stimoli per la loro fantasia

    Sei qui solo per una breve visita.

    Non fare in fretta, non preoccuparti.

    E assicurati di annusare i fiori lungo la strada.

    (Walter Hagen)

    PREFAZIONE

    " Sono comuni a ognuno i fatti veramente importanti della vita: il nascere, l'amare, il soffrire, il morire; ma non per questo gli uomini si stancano di raccontarseli."

    (da Fontamara, Ignazio Silone)

    Il rimembrare è il flashback della vita quotidiana, ovvero il passato che torna a farci compagnia empatizzando con il nostro mood, e assieme ai ricordi – fatti della vita che ci raccontiamo, talvolta con nostalgia interiore – si fa largo il senso di fanciullezza e lo fa con un linguaggio semplice, così come semplice e senza fronzoli, ma anche colloquiale, è il codice comunicativo del nostro neofita scrittore Vittorio Maccallini.

    Spesso, attraverso il ricordo ci si cala nella propria esistenza e, in fondo, la si analizza, consapevolmente o no, quasi a ricercare il traguardo della vita pur vivendo nell'ordinario. Mediante i ricordi Vittorio ritrova le radici della sua terra e scoperchia lo scrigno delle tradizioni e dei valori antichi. Innanzitutto svetta quello della vita fra i quindici racconti, misti a leggende, favole e storie vere, che sono accompagnati da fotografie dell'autore che imprimono nella mente i tanti e differenti messaggi pescati nel passato di un borgo dell'antica terra dei Marsi, Aielli, custode di vicende dimenticate e valori morali, oggi per lo più trasformati, che, tuttavia, sono il substrato del nostro presente.

    La torre medievale del borgo raffigurata in copertina rappresenta, nell'opera di Vittorio, l'anello di congiunzione con lo scrittore Ignazio Silone e la sua Fontamara. Silone e Maccallini, entrambi originari della Marsica, parlano delle condizioni di vita dei primi decenni del secolo scorso in modo diverso. Impegnato l'uno a evidenziare la povertà e l'esclusione dai processi di ammodernamento di Fontamara, scanzonato narratore Maccallini nell'esporre tradizioni, usanze, esperienze di vita, giochi fanciulleschi, persino innocenti approcci sentimentali, della sua Aielli. Due descrizioni di realtà sociali diverse eppure molto simili. Lo notiamo a tavola, quando raramente si mangiava la carne; oppure nel giorno della prima comunione, quando il vestito era prezioso perché soltanto in certe occasioni era possibile avere degli abiti nuovi; oppure quando la capretta era un'importante fonte di sopravvivenza e aveva il suo posto nella casa, piccola, di Beatrice e Orazio, protagonisti di uno dei racconti. Lo notiamo nel personaggio comune a Fontamara e ad Aielli: il brigante Berardo Viola. E, in fondo, nell'underground del brigantaggio. Quindi anche l'opera di Maccallini ha un profilo sociale e politico non indifferente.

    L'opera di Vittorio si apre con l'immagine di un grande camino scoppiettante nelle lunghe e fredde sere invernali. Quasi un freeze-frame che, a tutt'oggi, ci immerge nella calda e serena atmosfera delle storie o delle favole di una volta tramandate, come una piccola e preziosa eredità, dalla voce dei nonni, considerati saggi e rispettati per il ruolo di valore a essi attribuito. Lo scenario metaforico, pur con la presenza di altri ambienti narrativi, che Vittorio ha saputo creare è proprio quello in cui domina un grande camino che raccoglie familiari e amici in attesa dei racconti dei più sapienti, allo stesso tempo rinforzando i loro legami; tale scenario è il fil rouge dell'immaginario collettivo e muta i racconti in veicolo di emozioni. Come filo conduttore è anche la riflessione sul senso della vita mediante le esperienze di un borgo e dei suoi abitanti, fra i quali zio Antonio.

    Egli è un uomo molto avanti con l'età che ha vissuto una vita piena e intensa e ci guida a riflettere proprio sulla vita, che deve avere uno scopo, che deve consentire di raggiungere la pienezza della sua essenza ma attraverso i valori dell'umiltà, della misericordia, della fratellanza. È in tal maniera che, in fondo, ognuno può trovare la propria strada e Maccallini ci mostra quella strada aprendo una fessura sugli aspetti culturali, antropologici più che sociologici, che possono esaurirsi ma dei quali serbare sempre il ricordo, anche come insegnamento, non oscurantista o retrivo, per affrontare le situazioni quotidiane. Del resto è proprio zio Antonio ad affermare: « Ogni fatto della nostra vita è importante e spesso sono proprio gli accadimenti apparentemente irrilevanti che danno un senso e una svolta alla nostra esistenza. »

    Elena Midolo

    LA STREGA

    Ricordo sempre le lunghe sere d’inverno intorno al camino di nonna Gelorma: il fuoco scoppiettante, le scintille miste al fumo che salivano alte lungo la cappa, il chiassoso vociare e qualche pianto, mentre fuori si udiva il sibilo del vento che sollevava la neve in un turbinio bianco verso il cielo scuro. Eravamo tanti tra fratelli e cugini, i più piccoli non avevano più di quattro anni e i grandicelli non superavano i dieci. Quando si andava a casa della nonna a mangiare sagne patate e fagioli era una festa indescrivibile perché ai bambini era concessa qualche libertà in più e si poteva andare a letto tardi. Si cominciava subito con la cena: il caldaio veniva preso dal camino e depositato tutto fumante su una ciambella di erbe secche intrecciate, che serviva a evitare il contatto col pavimento e a mantenere fermo il fuligginoso recipiente. I più piccoli e più chiassosi erano serviti per primi. Nel piatto veniva versato un grosso mestolo colmo di minestra scottante e senza indugio iniziavano a mangiarla, soffiando sul cucchiaio. Non si aspettava mai che tutti fossero serviti, ognuno cominciava il pasto appena ricevuto il piatto che, non so perché, era sempre colmo fino all’orlo. I grandi mangiavano lentamente raccontando storie incomprensibili e inascoltate dai piccoli, i quali gareggiavano tra di loro per finire per primi il piatto. Durante questa sfida, spesso avvenivano rovesciamenti di minestra sul tavolo, che non aveva tovaglia; sul piano del tavolo di legno nudo e scuro si vedevano chiaramente gli antichi segni di tagli, di colpi e qualche buco qua e là. I genitori non si curavano molto del fracasso dei cucchiai contro i piatti e dei rovesciamenti dovuti alla foga della gara. Dopo la minestra si mangiava qualche mela che la nonna tirava fuori dalla grotta che fungeva da dispensa e da cantina, posta proprio dietro la cucina. Assieme alle mele portava anche un cestello di noci e un mucchietto di sorbe, che qualche mese prima lei stessa aveva tagliato a metà e infilate come una collana per farle seccare appese alla finestra. Poi cominciavano i giochi semplici e rumorosi, talvolta qualcuno piangeva perché aveva perso o perché era stato imbrogliato.

    Quando il baccano si faceva insopportabile, nonna Gelorma prendeva in mano la situazione: radunava i bambini intorno al camino, alimentava il fuoco con legna secca e sottile e raccontava le sue meravigliose favole. Subito calava il silenzio e l’atmosfera si faceva profonda e solenne. Noi conoscevamo tutte le sue favole, ma ci piaceva riascoltarle sapendo che ci avrebbero procurato ogni volta la stessa emozione. Lei ci chiedeva sempre quale volessimo sentire; la più richiesta era la favola di Marcamà. Lui era un omone grosso con un grande cappello che portava sempre calato sugli occhi, aveva baffi e barba lunghi fino a terra, calzava pesantissime scarpe di ferro, aveva un bastone lunghissimo e sempre un sacco sulle spalle dove metteva i bambini che facevano i capricci. Marcamà girava per le vie del paese nelle

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