In mezzo a troppi perché
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Anteprima del libro
In mezzo a troppi perché - Elisabetta Galvan
volevo.
I
Era una fredda mattina d’inverno, la ricordo bene, guardai fuori dalla finestra, come ero solita fare appena sveglia, pensando già a quello che mi avrebbe riservato la giornata. Forse era il caso di vestirsi più pesante, pensai. Non era ancora spuntata la prima luce dell'alba, erano solo le sei del mattino, i rami degli alberi si muovevano a destra e a sinistra per le forti raffiche di vento, gli spazzini erano avvolti da pesanti giacche e berretti fluorescenti color arancione.
A quell'ora erano gli unici a passare sotto casa mia.
La mia routine quotidiana inizia con un’abbondante colazione. Con la molletta ancora in testa, capelli arruffati e un occhio semi chiuso preparo il caffè e ascolto il notiziario locale.
Per deformazione professionale, essendo giornalista, cerco di captare eventuali suggerimenti nel modo di fare e di esporre dei miei colleghi.
Poi passo alla fase più critica, ovvero cosa mi metto oggi
.
-Dove ho messo la giacca rossa con il cappuccio ? Nell'anta di destra? In quella sinistra? No, no, non credo. Forse nel terzo cassetto....forse...ah giusto!! Dentro il contenitore del letto!-
Sono sempre stata molto disordinata, eternamente indecisa, tanto che se veramente tutti abbiamo un angelo custode il mio deve aver raggiunto il culmine dell’esasperazione. Non ho mai avuto regole e orari, lavorare è per il momento la mia unica preoccupazione, solo in quell'ambito riesco a dettarmi ritmi e regole ben definite. Per il resto, un vero disastro. Nessuno deve toccare o spostare i miei articoli che inizio a scrivere spesso nel cuore della notte, quando tutto tace, quando le voci si fermano, quando nessuno mi passa davanti alla scrivania con quell'insopportabile ticchettio di scarpe tacco dieci, quando finalmente non sento più le lamentele delle mie colleghe sui loro mariti.
Tutto è più semplice la notte. A tu per tu con me stessa, con le mie sensazioni, riesco a plasmare le parole, a dar voce ai fatti di cronaca che succedono e che cerco più o meno armoniosamente di far arrivare in modo efficace ai miei lettori.
Per questo preferisco non prendere impegni, lasciare al caso ogni mia giornata. L'unico appuntamento fisso che ormai per scaramanzia aspetto sempre, è quello con la mia dirimpettaia Zoe, simpatica ottantenne, la quale, spiando dalla finestra di fronte, mi dà il buongiorno ogni mattina, così da ricordarmi che è giunto il momento di uscire di casa e correre al lavoro.
II
-Ehi Adele buongiorno! Ma hai riposato stanotte? Sembri parecchio stanca. Mi dispiace dirtelo ma hai due gran brutte occhiaie e non è da te. Su dai, prendi un caffè ristretto. Zucchero ?-
E’ Sabine, la mia unica amica/collega, la mia spalla, colei grazie alla quale riesco a ricordare tutti i miei impegni e le uscite per i servizi che mi vengono assegnati di volta in volta. L'unica probabilmente in grado di sopportarmi, per quel mio modo di fare ostico e poco gradevole, l'unica che ha saputo nel tempo guardare oltre lo sguardo cupo e le sopracciglia aggrottate delle cinque del pomeriggio, quando i dubbi mi assalgono, quando cerco l'ispirazione per il mio prossimo articolo.
-No, oggi non è una bella giornata. Ho dormito poco e male. Niente zucchero Sabine, oggi amaro. Non voglio niente di dolce. Chissà perché quando la giornata inizia con il piede sbagliato il caffè lo prendo sempre amaro. Se deve essere storta che lo sia fino in fondo.-
-Scommetto che non trovavi i vestiti che cercavi. O almeno avrai perso mezz’ora solo per questo.-
Entrambe scoppiammo a ridere.
-Esatto! Come al solito sai leggermi nel pensiero.-
Cercai disperatamente lo specchietto nella borsa verde a cui ero particolarmente affezionata.
Con quello specchietto giocavo con Sabine a specchio specchio delle mie brame chi è la più mostruosa in questo reame ?
- Mi guardai perplessa quel giorno, con la mia espressione che passava dall’ ironico al malinconico.
-Hai ragione Sabine, oggi le occhiaie sono le protagoniste del mio viso. Vado a ritoccarle. Poi porto ad Erik l'articolo. Se anche lui ha la giornata storta sono rovinata!-
III
Dicono di me che sono un'affermata giornalista al The New York Times, lavoro da circa cinque anni qui, in Times Square, al settimo piano dell' edificio che è ormai diventato la mia seconda casa. Ho trasformato il mio ufficio in un mini monolocale, sempre con tutto a portata di mano, dalle mie bevande ipocaloriche, alle merendine integrali che sono solitamente il mio pranzo, fino alle ciabatte color lilla che indosso quando mi fermo la sera tra la preparazione di un articolo e l'altro. Sono riuscita a ricavarmi un angolo dell'armadio, destinato in realtà alla raccolta documenti, dove tengo qualche abito di ricambio, necessario per le trasferte improvvise, un cofanetto con la collanina d’oro e l’anello con la perla bianca di mia mamma.
Ho troppa paura di perderli o temo più che altro possano rubarli a casa, dato che il numero di furti è cresciuto nella mia zona negli ultimi mesi. Nonostante la vigilanza costante di Zoe i ladri riescono ad intrufolarsi nel condominio, anche se lei, puntualmente, ad ogni rumore, sposta la tenda della cucina ed esce con la scopa in mano a controllare cosa succede. Ma i balordi sono un po’ più furbi, appena si richiude in casa agiscono indisturbati svaligiando almeno un appartamento ogni due, tre mesi. Pertanto ho deciso di tenere quei due oggetti preziosi al lavoro. Con il via vai di gente che c’è in ufficio sono più al sicuro. Privarmene significherebbe per me perdere l’ unico filo conduttore che mi lega alle mie origini. Gli unici oggetti che mi fanno sentire la presenza di mia madre. Spesso mi capita di stringere la collanina tra le mani, quando i ricordi si fanno strada tra i mille impegni, quando la malinconia bussa alla porta della mente e mi lascia il tempo di fermarmi un attimo a pensare.
Non ho molti ricordi del mio passato, e quei pochi che mi si affacciano sono sbiaditi e hanno il sapore amaro della tristezza.
-Certo, la mamma se l’ha fatto avrà avuto i suoi buoni motivi - penso ogni tanto per consolare me e per giustificare lei, mettendo a tacere così la rabbia.
-Dai Adele, Erik ti sta aspettando, muoviti ! Non ha una gran bella giornata, auguri!-
Sabine con la sua voce stridula mi riporta sempre alla realtà delle cose. Quella realtà sopra la quale cammino in punta di piedi per non far sentire il gran rumore che ho dentro e che tengo a bada da tanti, troppi anni. Sono solo le nove del mattino, faccio qualche esercizio di respirazione, quelli che ho imparato a yoga, che consistono nell’inspirare contando fino a quattro, trattenere il respiro, contare fino a sette, buttare fuori l’aria, contare fino a otto. Mi passo velocemente un filo di rossetto mentre controllo nel mio magico specchietto se le occhiaie sono ancora presenti.
-Specchio specchio delle mie brame….mmmm che orrore, ti chiudo, non vorrei ti rompessi.-
IV
-Zoe buongiorno, le ho portato pane e latte. Come va oggi ? "
Era Clarence, il ragazzo che si occupa della distribuzione del pane e del latte nel nostro quartiere.
-Oh buongiorno tesoro, ecco l’unico momento della giornata in cui qualcuno riesce a strapparmi un sorriso. Come vuoi che vada? A ottant’anni suonati, sola, un po’ sorda e malandata oltre che a guardare fuori dalla finestra e seguire i miei programmi preferiti alla TV non mi resta un granché da fare. E pensare che quarant’anni fa ero agile, scattante, correvo verso la vita e la vita mi accoglieva a braccia aperte. Ero una roccia, nemmeno mio marito Carlos mi riusciva a frenare. Da quando è venuto a mancare la solitudine per un periodo piuttosto lungo mi ha spaventata, ma ora ? Ora regna sovrana nella mia casa. Il silenzio è l’accettazione di questo stato in cui mi sento rinchiusa e da cui non posso scappare. Mah.. o mio Dio Clarence ti sto facendo perdere tempo, scusami non me ne sono resa conto. Vai, vai, altrimenti finirai troppo tardi e non puoi permettertelo, a casa hai la piccola Sophie da accudire.
-Non si preoccupi Zoe, è sempre un gran piacere farle visita e fare due chiacchere insieme. Ci conosciamo ormai da qualche anno e devo proprio confidarle che in tutto il condominio lei è la mia preferita.-
Le lezioni di vita che impartiva Zoe a tutti sono cosa rara ai giorni nostri e ogni giorno Clarence andava a suonare il suo campanello volentieri. Guai se non ci fosse lei !
-Vado. A domani, e mi raccomando, sia sempre positiva, anche il silenzio nasconde sempre un certo fascino. E se vede Adele me la saluti, caspita non la si vede più in giro !-
-Ah mio caro, Adele è un tutt’uno con il lavoro ormai, la vedo rientrare tardi e a volte si ferma addirittura in ufficio a causa dei servizi che le assegnano all’ultimo minuto. A domani Clarence, grazie.-
Zoe era rimasta vedova da circa quindici anni, adorava il marito Carlos. Insieme avevano affrontato momenti difficili, in primis il trasferimento da Posadas, estremità nord-orientale dell’Argentina, alla metropoli di New York. Il lavoro a Posadas scarseggiava, Carlos aveva lavorato per anni in una nota azienda che esportava tabacco ma la crisi economica della fine degli anni novanta aveva colpito anche Posadas e con essa tutte le attività industriali e commerciali grazie alle quali fino ad allora le famiglie avevano potuto godere di un tenore di vita dignitoso.
-Carlos mi dispiace ma dobbiamo chiudere, il bilancio non si è chiuso in positivo neppure quest’anno, non abbiamo più i soldi per pagare i dipendenti. Cercati un altro posto di lavoro e…un consiglio, vattene da questo paese. Non ci sono prospettive.-
Queste furono le ultime parole dell’Ing. Gonzalez , che, con suo enorme dispiacere aveva avuto il compito ingrato di congedare i suoi dipendenti tra cui il suo fidato Carlos, sempre disponibile e attento ai compiti che gli venivano assegnati. Quando c’era un carico complicato da preparare chiamavano sempre lui, per il suo spiccato senso organizzativo, per la razionalità e la pazienza che sapeva sfoderare nelle situazioni più complicate.
Quella sera, dopo l’annuncio ricevuto da Gonzalez, Carlos non andò subito a casa, fece una lunga passeggiata lungo l’argine del fiume Paranà. Non era un uomo dalla lacrima facile, ma in quella circostanza non riuscì a trattenerle.
Il nodo alla gola era troppo grande. In realtà era subentrata la paura mista a rabbia. Come avrebbe reagito Zoe? Cosa avrebbe potuto fare ora che l’Argentina era nel bel mezzo della crisi? Durante quella camminata non ebbe risposte dalla sua coscienza, accettò e incassò il colpo.
-Qualcosa di buono farò, ci sarà un’altra opportunità, dai Carlos non mollare, dai.-
Continuò a ripeterselo fino a casa.
Le luci del salotto erano soffuse, il che significava che Zoe era in divano a guardarsi la sua serie tv preferita.
-Ciao Zoe, sono qui-
-Ah Carlos finalmente! Dov’eri finito?-
-Senti Zoe, devo parlarti, per favore spegni la tv.-
Zoe fece un sobbalzo, si tolse gli occhiali e con l’espressione preoccupata chiese di cosa si trattava.
-E’ finita Zoe, Gonzalez chiude, ha licenziato tutti.-
-Oh Carlos tesoro, questa non ci voleva.-
Si abbracciarono per due lunghi interminabili minuti, senza dire una parola. I battiti del cuore di lui erano veloci come quelli di lei, in preda ad un momento di panico.
-Ed ora cosa faremo Carlos? Mio Dio, mi tremano le gambe,