Cordelia
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Anteprima del libro
Cordelia - Nicoletta Vallorani
La seconda vita di Cordelia
N. Vallorani
Cordelia ha cominciato ad esistere nel 2006, in un piccolo libro pubblicato da un piccolo editore (Flaccovio) e intensamente voluto da un grandissimo editor, Luigi Bernardi. Era già per me, allora, un libro prezioso: una deviazione consapevole dal mio genere d’elezione, il poliziesco, e un regalo a un’altra mia passione, quella psicogeografica, fino ad allora consumata solo nei lavori di saggistica. Come tutti i personaggi dei miei libri, Cordelia è venuta al mondo, silenziosamente ma con grande determinazione, nel mio immaginario prima di farsi personaggio di carta
. Quando è arrivata sulla pagina, era già pronta a raccontarmi la sua storia, sommessa e importante, con la voce spesso rimossa dei bambini che nessuno ascolta. L’ho amata perdutamente, nonostante il suo profilo poco vendibile
e a dispetto dello scetticismo di altri editori che non si sono sentiti di accompagnarla nel suo viaggio attraverso Milano e nel mistero delle parole. E continuo ad amarla anche ora, così com’è, per l’ostinazione con cui si è rifiutata, a dispetto dei consigli di editori più importanti, di diventare diversa, più conforme alle regole del mercato, più sensazionale
e meno fedele a se stessa. Non ho potuto far nulla per modificarla, e neanche ho voluto farlo: Cordelia va bene così, perché è così che doveva essere, con la stessa necessità assoluta che caratterizza le persone vere.
Ci sono due componenti importanti in questo romanzo.
La prima è la città, questa Milano umida e difficile, così priva di colori visibili e che invece, per essere compresa, ha bisogno del gusto delle sfumature nascoste. Non so dipingere, ma amo i colori. Ho imparato a vederli
anche nella mia città d’adozione, e attraverso guide importanti. Ricordo le ore preziose, passate a chiacchierare con un altro grandissimo scomparso, il pittore Beppe Devalle, un altro genio controcorrente al quale il mondo dell’arte contemporanea ancora non riconosce il coraggio e la determinazione, il genio e il lavoro rigoroso e durissimo. Da Devalle ho imparato che i colori sono parole, e che come le parole non vanno sprecate: devono avere un peso, una densità, una precisa direzione e valenza. Da Devalle ho imparato quello che fa di Cordelia un personaggio importante: una direzione nell’attraversamento del paesaggio complicato dell’arte(http://www.beppedevalle.com/)
La seconda componente è il mistero dell’infanzia. Ho due figlie. Sono parte della persona che sono, eppure parlano con voci autonome. Imparare questa cosa della maternità significa accettare il mistero della differenza, e pacificarsi col fatto che non si comprende mai abbastanza. Cordelia è un pegno a quello che non ho saputo capire, un riconoscimento di quello che, accidentalmente, ho saputo fare e un modo per cercare di intuire di più, ora che le mie figlie sono grandi, e che hanno imparato, come Cordelia, qual è il loro colore.
Questa nuova pubblicazione di Cordelia è una scelta d’amore e, come diceva Bernardi, un atto di libertà. Per questo Prospero Editore è il luogo giusto per restituire Cordelia ai lettori: una bella avventura, un luogo che promette di diventare importante e che ha voluto accogliere la bambina arcobaleno.
Se ogni romanzo è una scelta di dialogo, è qui, di nuovo qui, che Cordelia ricomincia a parlare.
E infine: questo libro è dedicato a Beppe Devalle, il genio, per tutto quello che, sulla vita e sull’arte, ho imparato da lui.
0.
Arcobaleno
E così, piccola mia, non c’è stato tempo abbastanza. Non ho finito il dipinto, non ti ho salvata. Ti rimane questa tela incompleta, insieme a tutte le parole che non ho detto, tutta la vita che non sono riuscito a comprarti.
E così, piccola mia, mi sono svegliato stamattina e ho capito che non avrei potuto accompagnarti fino in fondo. Ti ho detto la storia e i colori. Ti ho dipinto il mondo. Ma è un mondo che non ho potuto completare, e alla fine ho pensato che andava bene così, e che era giusto che il disegno lo finissi tu. Principessa che non ha le parole, e che deve conquistare il suo posto. Io non ci sarò quando troverai quello che ti serve, e va bene così, perché solo tu sai quello che ti è necessario per crescere.
E così, piccolo sole, ora che ti ho insegnato tutto quello che so dei colori, sarai tu che dovrai combinarli. Ognuno ha il suo disegno, e il tuo non posso farlo io. C’è un pennello per ogni persona. C’è una libertà per ogni creatura. Ora devi lasciarmi andare, anche se il disegno non è finito.
E ancora, scarpetta di nebbia, ricordati bene che la risposta è nel mondo che conosci, nella cosa di cui hai paura, nel viaggio che non hai ancora fatto, nella battaglia che non hai ancora combattuto. Io non posso proteggerti, e ti ho detto tutto quello che sapevo. Ora devo andare. È il tempo giusto, il momento che tu viva.
E così, piccolo arcobaleno, il mio tempo è finito, e bisogna che io cammini fuori dal tuo mondo. Cerco di farlo in punta di piedi. Lo so che dovrai fare il tuo viaggio e sconfiggere i mostri. I colori che si allargano a coprire le tinte vere del mondo. La paura che nasconde le parole. Promettimi. Promettimi. Promettimi che sarai grande, e sicura, e la persona che è giusto che tu sia.
E così, ora vado, ma resto con te. Cercami nelle tue tasche e nelle pagine del tuo quaderno. Cercami nei libri che non hai ancora letto. Cercami nei passi incerti e in quelli sicuri. Nella corsa e nelle storie. Cercami, e sii felice.
Trova i colori.
Trova le parole.
E io, piccola mia, troverò il mio senso con te.
1.
Rosso
Tutto il mondo è nella mia testa.
Solo, ha i colori diversi da quelli veri.
Per questo non capisco se sotto la panchina c’è sangue o fango.
Se il signor d. muore alla fine di questo giorno, vuol dire che è sangue.
Ieri non è morto, ma oggi è un giorno speciale.
Il signor d. sta seduto sulla panchina con la coperta avvolta sulla pancia. Per lui, questo è un mattino come sempre. La coperta è umida e sporca. E la panchina ha sotto le pozze scure di fango-sangue.
Anche il signor d. ha gli stessi occhi celesti di ieri e di avantieri. Il celeste è un po’ pallido, come se ci fosse sopra domopak stropicciato. Ha una scarpa nera e una marrone, e molto freddo sul naso rosso e sulla testa con pochi capelli. Ci sono gocce sulla pelle rosa, anche se adesso non piove. Il signor d. ha pure una matita sull’orecchio, però non capisco cosa ci può fare, perché non ha un foglio per scrivere. Ogni tanto legge dei libri. Ogni tanto, quando passo per andare a scuola, lo vedo che legge qualche libro, ma oggi no. Oggi ha un paio di bottiglie vicino ai piedi, però da qui non vedo se sono piene o vuote, e neanche cosa c’è dentro, se acqua o vino.
È molto presto, e il signor d. è un barbone.
Dietro al signor d., la scuola dei ragazzi grandi ha le solite scritte sul muro, ma i ragazzi grandi non ci sono. Passano persone con le sciarpe intorno alla testa, ma nessuna sciarpa ha i colori giusti. E tutto rimane grigio e spento. Questo mi pare molto triste.
Il signor d., invece, ha lo stesso colore celeste degli occhi anche sulla coperta e sulla maglietta di sotto. È vecchio e ha trovato il suo colore, e ci sta bene su questa panchina, anche se fa molto freddo.
Non mi avvicino mai al signor d.
Non ho paura che mi faccia male. E quello che dicono certi grandi non è vero: il signor d. è sporco e brutto, ma non può fare male a nessuno, perché non è una persona, ma una cosa. Il signor d. è come lo scivolo o la girandola o il cavallo di legno zoppo del giardinetto piccolo: sta qui sempre e non cambia. Non fa male ai bambini. Li guarda e ogni tanto chiede una sigaretta.
-Hai una sigaretta, bambina?
Scuoto la testa. Certe volte gli ho detto che non fumo, ma lui non lo ricorda. Quando invecchi ti passa la memoria, dicono. Al signor d. gli è passata la memoria insieme a buona parte della vita, però gli è rimasta la fantasia di fumare.
Ci vuole una bella fantasia, diceva nonno, a pensare che il fumo ti faccia passare il nervoso: è solo fumo nella gola e nei polmoni. Nuvole a ghirigori che entrano dalla bocca ed escono, quando escono, dal naso. Penso che il fumo se si ferma nella pancia ti gonfia i muscoli e le ossa, e se ci sta abbastanza tempo ti fa volare come un palloncino leggero leggero leggero nel cielo di Milano. È vicino, il cielo di Milano. Basso e grigio quando fa freddo e quando fa caldo, sembra sempre di star dentro una stanza chiusa.
I palloncini nel cielo spariscono prima di rimpicciolire.
I colori sono ingoiati dal grigio.
Come quella volta che ho ingoiato la verdura e sono stata zitta.
Non mi piaceva, ma l’ho ingoiata.
Ho chiuso gli occhi stretti e ho mandato giù. Avevo un po’ paura che non scendesse. Invece, è stata ferma in gola un momento solo, poi è sparita. Ingoiata, un palloncino verde nel cielo di Milano. Ho riaperto gli occhi e ho visto la faccia di mamma. Ed era strano, perché non sembrava contenta. Per me, anzi, le dispiaceva. Non lo so, però, perché è un ricordo molto lontano e tutto sbiadito, perciò non posso essere sicura.
Una cosa la so: ho ingoiato la verdura in fretta solo perché ero spaventata. Ho pensato che se ingoiavo la verdura come mamma mi diceva di fare, la paura sarebbe passata, e così è successo. La paura è passata. Dopo, mamma è andata alla finestra della cucina e ha acceso una sigaretta. Io ho continuato a guardarla dal seggiolone. Certe volte, quando ero piccola e mamma stava a casa con me e non andava al lavoro, si avvolgeva tutta nel fumo della sua sigaretta e da lì dentro esplorava me e la casa e il tavolo e la cucina e le ciotole sporche e il seggiolone e tutto tutto tutto come se non fosse casa, ma solo un posto che odiava. Che forse era vero.
Come ho letto in un romanzo giallo, dove il detective-faccia-di-topo fuma e fa la corte alle belle signore scollate.
Però anche nonno fumava. E anche nonno, gli ultimi tempi, era sempre seduto come il signor d., così potevo guardarlo in faccia e non nell’ombelico. Sorrideva di più, e non aveva la faccia come un calzino sporco rovesciato. La faccia-calzino del signor d. era rossa, prima, quando era pulita. Da usata e rovesciata, adesso, ha macchie scure e dure sulle guance e intorno a un occhio, e una crosta di ferita sulla fronte. Un buco slabbrato vicino all’orecchio, e dei posti gonfi sotto agli occhi. Il signor d. forse non basta mettergli la faccia in lavatrice. Il signor