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La direzione di un battito
La direzione di un battito
La direzione di un battito
E-book413 pagine5 ore

La direzione di un battito

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Info su questo ebook

“Ancora una volta mi ritrovo a far scorrere la mia penna su una pagina bianca, un foglio così povero ma con un’importanza enorme.
È strano scrivere la parola fine per noi. Per anni ti ho chiuso nel mio mondo, fingendo che nessuno potesse separarci ed invece tu eri già lontano.
Il tempo per noi non è stato un amico, ci ha divisi inesorabilmente e ci ha cambiati. Ero qui, immobile, ad aspettare di riprendere vita, mentre il mondo andava avanti.
Rivederti è stata la tempesta che hai sempre portato in me, ma stavolta rischi di devastarmi per sempre. È per questo che ti lascio andare, perché ti amo, ma ritrovarci con tutta questa rabbia mi farebbe dimenticare quei giorni che ancora mi riscaldano quando sono al buio.
È l’ultima volta che ti scriverò. Queste lettere mi hanno salvata una volta, ora spero possano aiutare anche te. Prendile sono sempre state tue.
Per sempre,
un’amica.”

Chiudo la busta. Sigillo il mio cuore.
La stringo ancora una volta, non sono pronta a lasciarlo andare via, ma devo. Lo devo a noi.
Addio amore mio.
LinguaItaliano
Data di uscita7 giu 2017
ISBN9788826449265
La direzione di un battito

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    Anteprima del libro

    La direzione di un battito - Layla Tales

    ë

    Prologo

    Luglio 2012

    Entro in casa chiudendo con forza la porta, non credo che qualcuno me ne vorrà, so bene che l'unica ad aspettarmi sveglia è la solitudine. L'intera villa è buia e troppo grande, senza nemmeno un quadro che la colori e nessun pezzo d'arredamento a cui io sia davvero affezionato, eppure dovrebbe essere il mio orgoglio.

    È estate ma sento freddo, una sensazione che non riesco a mitigare con il fuoco. Sospiro consapevole che il vuoto gelido che mi porto dentro, rimarrà lì per sempre, troppo vicino al mio cuore. Ho lo stomaco è contratto e nonostante l'ora non ho fame. Da stamattina nei miei pensieri c'è solo la sua disperazione. Lei, che è mia da sempre e che io ho fatto piangere. I suoi occhi dolci, che conosco in tutte le loro sfumature, mi hanno implorato di ascoltarla, arrendendosi poi nell'attimo in cui ha capito che non c'era speranza. Avevo progettato tutto questo, doveva soffrire per capire cosa significasse avere il cuore a pezzi. Ho desiderato per anni la mia vendetta per essere stato tradito e quando ne ho avuto l'opportunità ho agito d'impulso. Solo ora mi accorgo che l'unica cosa che volevo era sciogliere quell'armatura di freddezza e riaverla tra le mie braccia. Oggi ho toccato il suo dolore tra le lacrime che piangeva ed incurante sono andato via. Come avevo deciso. Come aveva fatto lei con me.

    Respiro e tremo. Le motivazioni della mia rabbia in questo momento mi sembrano inconsistenti e odio questo senso di colpa. Non ho sbagliato io! Io l'ho amata davvero, dannazione, la amo tutt'ora!

    Entro nel mio studio e mi spoglio esasperato. Sono un bell'uomo e se non bastasse il mio faccino, sono anche benestante, e questo alle donne piace. Ho quello che ho sempre desiderato, ma non è sempre stato così, C'è stato un tempo in cui non avevo nulla e le persone mi evitavano. Non lei, perché a lei non è mai interessato quanto guadagnavo. Né ora, né prima. Mi lascio cadere sulla poltrona spossato e mi copro il viso con il braccio.

    Ancora lei.

    Deve essere sicuramente la stanchezza che fa brutti scherzi. Apro il cassetto in cui tengo gelosamente nascosto il mio tesoro, il mio segreto e prendo quella fotografia tornando a quasi cinque anni indietro. Lei è così giovane, così bella, così felice mentre si volta guardandomi da sopra la spalla, e automaticamente mi porto la mano sul cuore. Ripongo la foto al sicuro. Fa male.

    Sistemo alcuni documenti per distrarmi, finché non noto un post-it lasciato sul tavolo da lavoro insieme ad una busta. Era alla porta d'ingresso, ma non c'è il mittente. Le ho lasciato dei tramezzini in cucina. Leggo, sorridendo, il messaggio della mia cuoca-tutto fare, preoccupata della salute di un uomo di trentacinque anni. Afferro il pacco leggermente giallognolo con su scritto il mio nome e lo apro svuotandone il suo contenuto sulla mia scrivania. Svolazzano tante, troppe lettere e mi manca l'aria mentre afferro le parole su un bigliettino. So che non potrai perdonarmi, l'ho capito e non ti biasimo. Ma forse queste ti sapranno spiegare quello che io non sono riuscita mai a dirti. Se puoi conservale, sono sempre state tue. Un'amica.

    Impallidisco e di colpo non ho più sonno. Rigiro tra le mani quei fogli notando le diverse date. La più recente è di aprile di quell'anno, le più vecchie, di quasi cinque anni prima, sono stropicciate come se qualcuno le avesse aperte per rileggerle troppe volte. Scorro veloce le prime frasi con le parole che si inseguono nella mia testa scivolandomi addosso e colpendomi come lame. Non riesco a fermare le lacrime che scendono e prendendomi la testa tra le mani e ripeto il suo nome con la voce roca . ed i ricordi si affollano nella mente.

    Come potrai perdonarmi amore mio?

    Luglio 2007

    "Caro Luca,

    posso chiamarti caro vero?

    Sento che sarebbe più giusto dirti amore mio, ma so che sei arrabbiato e probabilmente questo foglio finirebbe nella spazzatura. Non basta chiederti scusa. Non ho nemmeno il coraggio di guardarti negli occhi perché se lo facessi mai e poi mai troverei la forza di andarmene.

    Ti chiedo di non giudicarmi da questi giorni. O forse si. Se tu mi ricordassi come una ragazzina che si è tolta un capriccio, mi dimenticheresti e staresti meglio, andresti avanti. Perché tu devi rimanere lì, seguirmi significherebbe strapparti il cuore e non potrei. Io non potrò mai cancellarti.

    Penso ai nostri discorsi per cullarmi la notte, per cercare di calmarmi.

    Chiudo gli occhi per rivedere i tuoi sorrisi. Il modo dolce con cui mi hai conquistato ha lasciato un segno indelebile nel mio cuore, che è solo tuo.

    Vorrei spiegarti cosa sta succedendo, testa e cuore combattono una guerra che io non sono in grado di affrontare, e se rimanessi qui finirei per perdere me stessa . Scusami... "

    Capitolo 1

    Una famiglia quasi normale

    Ieri, Gennaio 2007

    LARA

    «Hai qualche domanda Lara? ».

    Guardai l'uomo che avevo di fronte pensando che sarebbe potuto diventare il mio capo se avessi passato il colloquio. Il mio primissimo colloquio. Sembrava un tipo tranquillo, doveva avere dai trentacinque ai quarant'anni con un fisico asciutto, i capelli rossicci e degli occhiali troppo grandi per il suo viso. Nel complesso aveva quell' aria raccomandabile da brav'uomo.

    Presi un bel respiro e risposi alla sua domanda con un timido no.

    « Ne parlo con mia sorella, l'altra proprietaria del pub e ti faccio sapere, va bene? ». Continuò gentilmente placando la mia ansia ed io lo ricompensai con un cenno della testa, stavolta per annuire. Presi la borsa con i libri della scuola ed uscii dal locale, dove l'aria fredda mi investì di colpo facendomi rabbrividire nella mia sciarpa.

    Dovevo essere proprio impazzita per aver scelto di utilizzare la bicicletta in quei giorni invernali. Certo, Cerveteri era una meta calda d'estate, ma quell'inverno la regola secondo cui il clima sarebbe stato mite grazie alla vicinanza del mare, stava andando a farsi benedire.

    Pensai tristemente che se non mi fossi affrettata a tornare a casa sarei sicuramente diventata un cubetto di ghiaccio e sbuffai per l’ennesima volta lamentandomi con me stessa per non aver insistito per farmi accompagnare. E rano tutti impegnati oggi!, fece capolino la mia coscienza. " Oggi non potevo proprio puntare i piedi, ma la prossima volta non potranno dirmi di no".

    Mi morsi il labbro consapevole che la futura prossima volta, non sarebbe stata diversa. Mi conoscevo, non avrei mai chiesto qualcosa che potevo fare anche da sola. Avevo sentito svariate scuse quel pomeriggio: era la prima giornata lavorativa dopo le feste natalizie, il primo giorno di scuola del nuovo anno, il primo appuntamento libero dal dentista. Gli impegni si erano concentrati tutti in quella giornata, ma ormai poco importava come fossi arrivata fin lì. Erano venti giorni che aspettavo quel momento e per fare una buona impressione ed essere assunta sapevo che dovevo presentarmi puntuale, quindi, nonostante i problemi che la mia famiglia aveva sollevato, ero partita da sola, armata dell’ unico mezzo a mia disposizione: la mia infallibile bicicletta. Riconosciuta la mia pigrizia, meritavo il posto solo per l'impegno.

    Sistemai lo zainetto pronta per partire, consolandomi del fatto che in dieci minuti sarei arrivata a casa e mi sarei goduta una cioccolata calda, ma non avevo considerato la mia personale nuvola nera. Il mio delicato rottame aveva una ruota a terra. Bofonchiai contro il maltempo e la situazione e, desolata, scesi dalla bici.

    « C'è poco da fare Lara », bisbigliai a me stessa e alzai gli occhi guardando il cielo. «Quantomeno non piove».

    « Serve aiuto? ». L a voce forte di un uomo mi distrasse dal mio parlottare e divenni subito rossa, chiedendomi da quanto tempo mi stesse osservando e se mi avesse sentito parlare da sola. " Bella figura Lara". « Ehm…non credo. No, no grazie ». R isposi senza voltarmi nella speranza che si allontanasse.

    « Sicura? ». La sua insistenza mi incuriosì, e mi voltai per guardare chi fosse l'eroe del giorno, ma l'unica cosa che potei osservare furono due bellissimi occhi scuri che mi fissavano con aria interrogativa. Aveva un cappello sulla testa e una sciarpa rossa che lo copriva completamente ma era chiaro che si stava divertendo. «Hai una ruota a terra... », continuò . Mi stava prendendo in giro? Alzai un sopracciglio, ricambiando lo sguardo. « Lo so », sospirai un po' seccata. «E ra a p-posto quando sono uscita poi… ». Parlai facendo la mia misera figura da balbuziente che blaterava senza senso. Lui, al contrario, stava ancora sorridendo davanti a quella scena patetica, rendendomi nervosa. «M i conviene andarmene se non voglio peggiorare la situazione con una bronchite... ».

    « E questa? », c hiese ancora indicando la mia bicicletta. Evitai di dirgli che non erano affari suoi e smisi di rimanere imbambolata ad osservarlo.

    « La prenderà mio padre ». C ercai di sembrare indifferente scrollando le spalle, per poi ripensarci. « Anzi no. Metti che poi uno squilibrato passa di qui e me la ruba? La porto con me ».

    « Ok ». Il tipo si spostò cautamente mentre io tentavo di spostare il mio mezzo , capendo probabilmente che aveva incontrato l'unica pazza in circolazione. « E se ti aiutassi? ».

    Sorrisi per l’offerta ma in ogni caso avevo perso la pazienza, ero infreddolita e avevo voglia di cioccolata. E poi, se fosse stato un killer?

    « No…ma grazie », r ipetei stavolta più dolcemente e mi voltai per andarmene e mi arrivò un a presto borbottato.

    Percorsi la strada principale, notando che alcune vetrine avevano ancora gli addobbi di Natale, mentre altre si accingevano a toglierle. Ritornai con il pensiero al mio colloquio di quel pomeriggio. Lo avevo fatto per i miei genitori, perché se mi avessero assunta, quei soldi ci sarebbero stati utili.

    La mia era una famiglia dalle possibilità modeste, che amava atteggiarsi a benestante. In realtà con quattro figli ancora studenti di cui tre minorenni e solo mio padre che lavorava, le difficoltà erano evidenti a tutti.

    Non mi lamentavo mai dell'educazione ricevuta e del modo in cui i miei genitori ci avvolgevano per stare tutti insieme. Mi piaceva passare delle giornate con loro e vedere un po’ di serenità quando riuscivano a lasciare fuori le difficoltà che affrontavano durante la settimana. Agli occhi di tutti sembravamo sempre felici, ma quando la porta di casa si chiudeva, i miei genitori sentivano il peso dei problemi familiari e nell'affrontarli si scatenava l'inferno: la mia mamma urlava per risolverli, il mio papà rimaneva immobile.

    Babbo era un semplice impiegato statale, che si era impegnato anche in altri lavoretti permettendo a noi figli il lusso di crescere con qualche capriccio senza mai esagerare. Il suo carattere era particolare. Era difficile farlo arrabbiare, ma quando succedeva, calmarlo diventava impossibile. Lo amavo senza condizioni anche se non lo capivo. Poche volte l’avevo visto prendere una decisione da solo, poche volte aveva parlato chiaro, poche volte si era fidato di noi, tenendosi tutto dentro. Era come un tetto indistruttibile e impenetrabile, pronto a proteggerti ma troppo in per poterlo toccare. Non conoscevo molto della sua storia di quando era bambino, e quello che raccontava era la normale vita di un ragazzino che amava giocare, che si burlava in maniera giocosa del padre, un adolescente che otteneva quel che voleva visto che era il più piccolo di tre fratelli. Insomma era diventato uomo senza particolari difficoltà. Dovevo ammetterlo però, era bravo a fare qualsiasi cosa gli passasse per la testa. Aveva un dono speciale nelle mani, poteva costruire qualsiasi cosa anche se non l'aveva mai vista fare.

    La casa in cui abitavamo l'avevamo ereditata dai miei nonni paterni. Avevo adorato mio nonno quando era in vita, perché lui adorava me. Era un modo egoistico di pensare lo so, ma ero stata una bambina impegnata a cercare l'approvazione di chiunque mi circondasse e lui era sempre dalla mia parte. Per i miei fratelli era stato tutto più semplice, la natura li aveva dotati di spigliatezza, bellezza e ribellione, concedendo loro un occhio di speciale riguardo, mentre per me la più grande del gruppo aveva lasciato un corpo paffuto, una timidezza esasperante e una fragilità da impietosire. Durante l'adolescenza l'aspetto fisico era migliorato, purtroppo per il carattere c'era poco da fare.

    M io nonno non sembrava notare tutto questo: mi amava così come ero ed io mi crogiolavo nel suo amore. Oggi mi mancava il suo viso spigoloso tanto bello e quegli occhi azzurri tristi anche quando sorrideva. La sua vita si era dimostrata una coperta troppo corta e poco calda per un uomo solo, punendolo con la perdita di una figlia giovane e stracciandogli il cuore definitivamente portandogli via la donna amata. Aveva un carattere orgoglioso e astioso racchiuso in un bellissimo e possente corpo. Sapevo che la gente lo rispettava per paura e che avrebbe potuto contare su pochi amici. Sapevo anche che per il suo esasperante carattere anche per i suoi figli, i fratelli di mio padre, era difficile da gestire. Quando mostrò i primi segni della malattia, non ne avevo capito la gravità e probabilmente non avrei potuto visto che ero ancora una bambina. Nonno perse quasi completamente la capacità di parlare bene, ricordava poco ma si emozionava guardando vecchie fotografie. I suoi tremori aumentarono giorno dopo giorno e il suo cuore si indebolì sempre di più. Non aveva perso il vizio di fumare, e per noi era impossibile non esaudire il desiderio di un uomo condannato. La malattia esplose improvvisamente e un velo nero si posò su di lui. Non riuscivo a comprendere perché fosse necessario tutto quel dolore ed ero completamente inerme davanti a quel corpo distrutto e troppo magro, a quella bocca che accennava discorsi incomprensibili, a quegli occhi troppo piccoli che chiedevano la pace. Se ne andò in una notte d’estate, e quella notte sentii freddo. Avevo perso la mia spalla, il mio conforto, la mia risata quotidiana e quell'amore senza spiegazione.

    Ricordo che mi alzai dal letto sentendomi una stupida: pensavo solo al mio dolore come se quella morte toccasse e ferisse solo me. Scacciai le lacrime con violenza e rassegnazione guardandomi allo specchio così in disordine. Lo chiamai in silenzio nel buio e forse fu solo suggestione, ma in quel momento avvertii la sua presenza al mio fianco e mi convinsi di non averlo mai perso.

    Lasciai la bicicletta nell’antro del portone di casa mia e m'incamminai verso il mio appartamento.

    «Lara sei tu? ». Cercai di rispondere a mia madre ma mi fu impossibile con i denti che battevano per il freddo. « Tesoro sei impazzita? Non potevi rimandare a domani? Guarda stai tremando! ». M amma continuò a commentare le mie condizioni, minacciandomi di mandarmi a scuola anche con la febbre. « Mai che m'ascolti! ». Ecco un'altra pecca nel mio carattere: ero cocciuta e testarda.

    « Ma’ sto bene davvero. Un po’ infreddolita ma se mi lasci preparare una cioccolata il mio mondo sarà migliore e più caldo ». Mi avvicinai ai fornelli prendendo tutto il necessario.

    « Almeno è andata bene? Cioè, tu sai quanto ci serve uno stipendio vero? Glielo hai detto? ».

    Avvicinai le mani al fornello del gas per riscaldarle. « Mammì era un colloquio con un tipo che gestisce un pub, non con quello che fa i miracoli ».

    « Lara! ». Sbuffai, quando mi chiamava con la voce stridula era grave.

    «S cherzavo ». Mi giustificai allungandomi per darle un bacio sulla guancia. « Allora.. ». I niziai a dirle mentre riscaldavo il latte. « Il capo si chiama Michele e sembra un tipo a posto.Mi ha fatto fare il giro del locale e abbiamo parlato un po’. G li ho ricordato comunque che sono ancora al liceo e questo per me è l'ultimo anno e bla bla bla. Mi ha detto che dovrei sostituire una cameriera in maternità. Lui è comproprietario con la sorella, a cui parlerà di me e mi farà sapere ». Fi nii sedendomi al tavolo.

    « Nient'altro? Quanto ti paga? Per quante ore devi lavorare? ».

    Aggrottai le sopracciglia dubbiosa. «N on lo abbiamo definito, ma mi ha detto che mi lascerebbe la domenica come giorno di riposo e l'orario dovrebbe essere dalle sei del pomeriggio fino alla chiusura. Non so quanto mi paga, dice che deve parlare con il commercialista per il contratto ». G uardai mamma che aveva il viso confuso mentre sorseggiavo la mia bibita.

    « Forse è un po’ troppo Lara. Riuscirai a concentrarti nello studio? Hai l’esame di maturità... ».

    Soffiai sul mio bicchiere prima di rispondere. « Ne abbiamo già parlato. Si, ce la farò. Se poi dovesse diventare impossibile potrò sempre licenziarmi ».

    L a vidi annuire e si alzò per preparare la cena. Sapevo che era preoccupata, ma in fondo si fidava ciecamente di me. Non ero mai stata una bambina difficile, tutt’altro. Ero silenziosa e ubbidiente e il mio carattere chiuso, schivo e riservato mi faceva apparire freddo. Questo diventava motivo costante di rimprovero e almeno una volta al mese ascoltavo frasi del tipo Perché non sei come tua sorella?, Parla ad alta voce, Tira fuori il carattere.

    In realtà il caratterino lo avevo e se la situazione lo richiedeva si mostrava fin troppo. Quando mi arrabbiavo urlavo impazzita e non ascoltavo ragioni, esprimevo con decisione la mia opinione e tenevo il punto anche per giorni. A volte mi limitavo a dispensare consigli, altre a fare da mediatrice in una lite e a mia madre piaceva questa mia capacità di capire e toccare le persone solo parlando. Apprezzava anche i miei silenzi, mi riteneva prudente e responsabile. Per me lei, era la mia fonte sicura.

    Aveva ricevuto una rigida educazione nel collegio dove aveva studiato. Era consapevole che stava crescendo senza un padre, con una giovane mamma vedova, che sembrava aver dimenticato la dolcezza delle carezze, per lasciare il posto al coraggio di una donna pronta a spezzarsi per avere un po’ di pane. La sofferenza e la miseria avevano costruito dentro il cuore di mia madre un muro invalicabile per i sogni e la speranza, finché non era arrivato l’amore con uno sguardo da una finestra, proprio come in un film. S’innamorò di mio padre subito, quel muro crollò e la speranza la portò in un’altra città per ricominciare una nuova vita. Il suo carattere orgoglioso la portava spesso a litigare con papà e le sue preoccupazioni la facevano vivere in uno stato d'ansia perenne, facendo riaffiorare vecchie paure ed insicurezze. Trovava rifugio solo in noi figli, che amava incondizionatamente e in modo possessivo. Vedeva il pericolo in tutto quello che ci circondava e passava il tempo a proteggerci da...praticamente da tutto.

    Anche ora che i figli stavano crescendo, non c’era modo di farla tranquillizzare: io la capivo e le rimanevo accanto ascoltandola e sostenendola. Ma i miei fratelli erano stufi di vivere sotto una pesante ala protettiva e così avevano iniziato a ribellarsi, gettandola a volte nella più completa confusione. Sono una buona madre? Ho sbagliato?, mi chiedeva continuamente. Per me era un'ottima madre. Nessuno le aveva detto quale era il modo giusto di comportarsi e nemmeno io lo sapevo, ma lei sapeva di buono e quindi la consolavo e rimbrottavo i miei fratelli per non farle avere altri dispiaceri.

    Quella sera quando andai a dormire rimasi a guardare il soffitto della mia camera pieno di stelle luminose, con il sorriso sulle labbra, ferma nelle mie convinzioni: amavo la mia famiglia e mai avrei fatto qualcosa per frantumare quel piccolo paradiso che a volte poteva essere così felice. Mi sembrava di non aver bisogno d’altro, la mia stanza silenziosa, il mio diario a cui mi rivolgevo per parlare con nonno, la mano della mia mamma e il viso calmo di papà.

    LUCA

    Chiusi il portone del palazzo in cui abitavo ed iniziai a salire le scale che portavano al mio piccolo appartamento. La luce filtrava da sotto la porta ed entrai sospirando. Sentii dei piccoli passi iniziare a correre ed abbassando lo sguardo vidi Gian venirmi incontro con la minuscola manina alzata.

    «Papà papà! Guadda che mi sono fatto! ».

    Lo presi in braccio dandogli un bacio sulla fronte. « Cos'è successo? ».

    « Bua », mi rispose con un espressione da cucciolo.

    Guardai il graffio ancora rosso sul suo palmo e ci soffiai sopra. « Va meglio ora? ».

    « Si! », mi gratificò con un enorme sorriso. « Andiamo a giocare con le costruzioni?». Lo feci scendere a terra aspettando che si reggesse sulle gambine incerte. « Certo. Dov'è la mamma? », chiesi mentre mi sfilavo il cappotto, la sciarpa e il cappello. Diamine, fuori si congelava.

    « Sono qui ». G uardai verso la cucina trovando la mia ex compagna sulla porta.

    « Gian vai in camera, arrivo subito ». Il piccolo si allontanò barcollando e appena sparì in stanza, iniziai a parlare. « Che ci fai qui? ». Dissi aspro sperando che carpisse il mio fastidio e se ne andasse.

    « Rilassati Luca, è ancora casa mia. Anzi di mio padre. Non capisco perché ti infastidisca tanto se vengo qui per qualche minuto, non vado a controllarti nei cassetti ».

    Respirai profondamente,cercando di calmarmi. Se avessi iniziato una discussione non sarei stato tanto fortunato da liberarmi di lei in breve. « È casa mia. Sto ripagando tuo padre fino all'ultimo centesimo, non sono un ospite ». La superai ed andai verso la cucina per preparare la cena.

    « C'è il caffè se vuoi », fece incurante del mio disagio.

    « No, non lo voglio. Vorrei invece sapere che ci fai qui con Gian. Non tocca a te stasera? ».

    Assunse un'aria contrita e mise le braccia sui fianchi. « Cos'è vuoi vedere i tuoi figli solo nei giorni stabiliti? ».

    No, era ovvio. Amavo i miei figli e se fosse stato per me li avrei tenuti entrambi per sempre. « Non cambiare argomento », continuai reggendo il suo sguardo.

    « Ho un impegno stasera quindi pensavo che tu potessi tenere Gian stanotte e domani mattina accompagnarlo all'asilo. Lidia è da un'amica quindi non preoccuparti ».

    Spalancai gli occhi « Un'amica? Chi è? ».

    « Una compagna di classe ». Fece indifferente.

    « Cazzo Vera! Ha solo dieci anni e le permettiamo di stare fuori la notte? », scossi la testa esasperato.

    « Non l'ho mandata in un bordello Luca! », si spazientì.

    « Senti, quando non puoi tenerli, me li porti qui, tutti e due. Non voglio che li distribuisci in giro ». E ro arrabbiato e non mi accorsi di aver alzato la voce. « Ok rilassati ».

    Cercai di riprendere il controllo. « Bene se è tutto puoi andartene ». C ominciai ad avvicinarmi alla porta per dare enfasi alle mie parole. « Ah dimenticavo, le chiavi ». Allungai una mano nella sua direzione e la vidi allontanarsi.

    « Che stai dicendo? Secondo te dovrei aspettare fuori al freddo con tuo figlio, ogni volta che te lo porto? ».

    Colpo basso. Bassissimo. « Va bene. Ma la prossima volta mi chiami prima di entrare », r isposi fingendo di aver vinto quel round e l e feci segno di seguirmi.

    « Non ti interessa sapere con chi esco? », mi chiese sbattendo le lunghe ciglia.

    « No, tanto tra una settimana avrà un nuovo nome. Divertiti ». Continuai a camminare verso la porta.

    « Non sei giusto Luca. Anche tu passi del tempo con delle donne e... ».

    Mi fermai sull'uscio e mi voltai per fissarla. « E non le porto a casa. Usa il telefono la prossima volta » .

    Aspettai paziente che uscisse, poi chiusi la porta e tornai in cucina. Mi appoggiai al bancone sorseggiando una birra.

    Vera non era così all'inizio. Ci conoscevamo dai tempi del liceo, avevamo fatto coppia fissa per gli ultimi tre anni, e lei era la ragazza più dolce che avessi mai incontrato. Alla fine dell'ultimo anno mi disse di essere incinta, ed io non ebbi dubbi, l'amavo molto e pensavo che questo sarebbe bastato. Andai a lavorare con il padre, un vini-viticoltore influente nella nostra città che si occupò di aiutarci economicamente per i primi anni. Imparai tutto sul suo lavoro perché mi piaceva. Nel frattempo era nata Lidia, la mia piccola principessa ed io avevo sentito il disperato bisogno di fare molto di più per la mia famiglia, volevo assicurare un futuro tranquillo a quel piccolo esserino che tenevo la sera tra le mie braccia.

    A ripensarci ora, credo che fu anche per le mie assenze da casa prolungate se Vera cominciò ad allontanarsi da me. Io ero sempre in giro, per cercare di esportare il nostro vino ad aziende maggiori mentre lei rimaneva a casa caricandosi di rabbia, che mi rigettava addosso ogni volta che tornavo, rinfacciandomi di averle rovinato la vita, che per colpa mia aveva dovuto abbandonare i suoi sogni, che non era neanche più sicura di noi. Cercavo di giustificarla, credendo che la situazione sarebbe migliorata appena avessi raggiunto una sicurezza economica, ma le liti erano all'ordine del giorno, e alla fine anche suo padre mi venne contro, persuaso che ero io la causa del dolore di sua figlia.

    C'era stato un momento in cui avevo creduto in un nostro riavvicinamento, da cui era nato Gian, ma era tornato tutto come sempre: lei urlava e rinfacciava, io lavoravo e mi occupavo dei bimbi. Poi una sera mi disse che se ne sarebbe andata, che aveva conosciuto un altro, che si sarebbe portata via i bambini, che non potevo fare niente altrimenti il padre mi avrebbe tolto il lavoro e non me li avrebbe mai più fatti vedere. Il mio mondo vacillò e poi crollò.

    La donna che avevo amato mi stava lasciando per un altro e voleva i miei figli. Mi chiesi cosa potessi fare per recuperare il nostro rapporto, ma capii che sarebbe stato tutto inutile perché lei ormai viaggiava distante da me. Quella sera piansi senza vergognarmene e promisi a me stesso che avrei fatto qualunque cosa per diventare qualcuno e chiedere l'affidamento dei bambini. Certo da allora erano passati tre anni, ma le cose stavano migliorando. Ero riuscito a comprare con i miei risparmi una bellissima terra in Toscana e con qualche lavoro sarei riuscito a trasformarla in una grande azienda tutta mia.

    « Papaaaaaà! ». S cossi la testa accantonando per un attimo i miei sogni. « Arrivo Gian » .

    Mi buttai alle dieci sul divano esausto ed accesi la tv.

    Avevo messo a letto il piccoletto e ripulito la cucina dal disastro che aveva combinato. Ero riuscito anche a strappare una buonanotte veloce a Lidia, chiamando a casa di quest'amica.

    Chiusi gli occhi, lasciando solo il vociare confuso del televisore come compagnia. Sognai una ragazza chinata su una bicicletta mentre borbottava contro la sfortuna. Avevo notato il profilo perfetto e i capelli castano scuri che scendevano mossi oltre le spalle. Era piccola, con il naso rosso per il freddo. Mi era venuto spontaneo offrirle aiuto, ma dovevo averla spaventata. Però quando mi aveva guardato.. .Dio!

    Mi ero perso in quegli occhi profondi che sfumano sul verde. L'avevo vista arrossire chiaramente a disagio per poi iniziare a balbettare. Sorrisi ricordandomela così adorabile. Alla fine si era voltata e se ne era andata.

    Chissà forse un giorno l'avrei rivista.

    Risi, sorprendendo me stesso. Che diavolo stavo facendo? Non pensavo ad una donna da anni ormai. Non che mi fossero mancate, ma c'erano i bambini e non avrei permesso a nessuno di entrare nelle loro vite rischiando di ferirli. Eppure, quella ragazzina aveva qualcosa di diverso. Tutto si era fermato concentrandosi in quell'istante e gridandomi: è lei!

    Mi diedi del matto ed incolpai la stanchezza. Spensi tutto, compresi certi sogni, e andai a letto.

    Capitolo 2

    Tutti i santi giorni

    LARA

    «Laraaaaaaa! »

    Aprii gli occhi di scatto, focalizzando il soffitto e guardai la sveglia: erano le sette di mattina e avevo a malapena mezz'ora per prepararmi per la scuola.

    «Oddio, non mi sono svegliata… », borbottai alzandomi di scatto e trovando i letti delle mie sorelle vuoti.

    Mi lavai ed indossai un maglione col mio jeans preferito.

    «Babboooo la colazione? », chiesi mentre lui stava uscendo per prendere la macchina.

    «E' pronta! Lara sbrigati… ».

    Alla mia età la mia colazione preferita era ancora una ciotola di latte con i biscotti preferibilmente al cioccolato. Era un rito sacro da rispettare, quindi mi sedetti in cucina e decisi che mi sarei truccata in macchina risparmiando tempo.

    «Ci sono », dissi salendo in macchina.

    «Sei l'ultima, come sempre.. » . Feci una smorfia verso Stesy. I miei fratelli erano già pronti belli e vispi, pronti per una nuova giornata, mentre io al contrario mi sentivo una zombie. Niente di strano, questa era la mia normalità.

    La mia vita era abbastanza noiosa. Pensai che avevo diciotto anni e, fino ad allora, non mi era successo nulla di eccitante. Avevo frequentato le scuole egregiamente senza particolari fatiche, rendendo felici i miei genitori: in realtà studiavo poco, ma mi interessavo molto a tutto. La materie classiche mi rilassavano e mi piaceva passare ore a leggere e a scrivere. Amavo poco i numeri, ma non avevo problemi a raggiungere buoni risultati anche in matematica.

    «Lara oggi pomeriggio accompagni tu Erica in piscina? » .

    Mi ridestai dai miei pensieri e guardai Stefania. « E come ci arrivo? Non pensare che prendo i mezzi con questo tempo » . Rabbrividii per aumentare l'effetto delle mie parole e presi dal mio beauty la matita per gli occhi.

    «Usa la macchina di Lele. Oggi non deve uscire » .

    Daniele fece un borbottio di conferma ed io annuì distrattamente. Misi un po’ di fard sugli zigomi e completai con un lucidalabbra rosato. Venti minuti dopo ero davanti al mio liceo scientifico di Ladispoli.

    Controllai il cellulare e lessi il messaggio della mia migliore amica che mi chiedeva di aspettarla. Vidi che Daniele ormai era entrato con i suoi amici, mentre Stesi finiva di specchiarsi.

    «Ste, aspetto Silvia », l'avvertii e mi spostai davanti l’ingresso principale.

    «Sono qui! ». L a voce bassa di Silvia mi richiamò all’attenti.

    «Dimmi Ti' », la salutai senza giri di parole.

    «Come siamo sospettose… »,

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