Schiava o regina?
Di Delly
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Anteprima del libro
Schiava o regina? - Delly
2020
I
Le nuvole correvano nel cielo azzurro spazzate da un vento di libeccio umido e tiepido, e nascondevano, di tanto in tanto, il sole sempre più pallido di novembre.
Tra la chiesa e la canonica, due antichi edifici austeri e un po' cadenti, c'era un piccolo cimitero avvolto dalla penombra.
Le foglie morte danzavano per i viali e sulle tombe, mentre i salici agitavano i loro rami sempre più spogli. Il vento fischiava e gemeva come se si lamentasse, e le corone di perle tintinnavano contro i cancelli arrugginiti.
La sconfinata tristezza di novembre, con i suoi spiacevoli ricordi che sembrano aleggiare intorno a tutto, rendeva ancora più tristi quelle tombe, cui solo la speranza regalava un minimo conforto.
Una ragazza camminava tutta sola sotto il piccolo portico che univa la chiesa al cimitero. Il suo volto tradiva una profonda malinconia e i suoi occhi erano tristi. Occhi grandi, dal taglio orientale, dolci come una carezza.
Il suo sguardo rivelava un fascino particolare, una profonda sensibilità che il mondo, con le sue cattiverie e le sue brutture, non era ancora riuscito a intaccare.
Era incantevole. Il suo viso rivelava le origini russe e circasse, anche se i suoi lineamenti non erano ancora del tutto evidenti. Era ancora giovanissima, appena uscita dall'adolescenza: i capelli neri, morbidi e soffici, ondeggiavano sulle spalle come quelli di una ragazzina.
Scese gli scalini di pietra ricoperti di muschio verdastro e si incamminò tra le tombe. Aveva un'andatura elegante, morbida e flessuosa. Il suo vestito grigio chiaro, quasi bianco, spiccava fra le tinte tenui di quel luogo. Il vento lo sollevava, e intanto agitava i riccioli neri che uscivano dal suo cappellino di velluto azzurro.
Si fermò davanti a un mausoleo di pietra, sul quale erano scritte queste parole: «Famille de Subrans». Si inginocchiò e cominciò a pregare. Fece qualche passo e si inginocchiò di nuovo davanti a una tomba ingentilita da un'aiuola di crisantemi bianchi.
Sotto la croce che dominava la tomba, c'era questa epigrafe:
Qui riposa
Gabriel-Marie des Forcils
ritornato a Dio
a diciotto anni
Le lacrime le rigavano le guance, qualcuna cadeva sui fiori bianchi.
«Gabriel, mi manchi tanto!» sussurrò.
Lungo il viale stretto, dietro di lei, si avvicinava una donna in lutto. Si inginocchiò vicino alla ragazza, le circondò le spalle con un braccio e depose un bacio sulla sua fronte.
«Non ti dimenticare di lui, Lise! Ti voleva così bene!» esclamò, con la voce rotta dai singhiozzi.
«Dimenticarmi di lui! Oh, madame!»
La signora piangeva. Sui fiori le lacrime della madre si univano a quelle della ragazza, un'amica d’infanzia. Lise cominciò a recitare il De profundis. La preghiera usciva come un soffio dalle labbra di madame de Forcils. Gli occhi azzurri della donna, che da poco aveva perso il figlio, si soffermavano sulla croce con un'espressione rassegnata.
«Che riposi in pace!» disse Lise, con la voce tremante.
Il braccio di madame de Forcils strinse ancora più forte la ragazza.
«Lise... è in paradiso. Gabriel era un angelo...»
«Sì!» replicò Lise, emozionata.
Rimanevano su quella tomba, una appoggiata all’altra, senza curarsi delle folate di vento sempre più impetuose.
Davanti ai loro occhi appariva il ricordo di Gabriel, il suo viso sempre sorridente, gli occhi azzurri e dolci, pieni di affetto, che spesso sembravano contemplare qualcosa di ultraterreno, di misterioso e affascinante.
Gabriel de Forcils era stato davvero un essere speciale, riflesso della perfezione angelica.
«Ha un solo difetto, quello di non averne!» aveva detto un giorno l'anziano presbitero di Péroulac.
Affettuoso e rispettoso, era capace di sacrificare per gli altri il suo desiderio di vivere in solitudine. Era un essere contemplativo, benvoluto da tutti: dai domestici ai conoscenti di sua madre, fino agli insegnanti e ai compagni di collegio.
Lise de Subrans aveva incontrato Gabriel per la prima volta a sei anni. Era stata subito conquistata dal carattere originale di quel ragazzino, dai suoi occhi così accesi nei quali si rifletteva qualcosa di originale. Suo padre era indifferente a tutto e sua madre era una russa ortodossa, in realtà ben poco osservante.
Lise stessa viveva lontana da ogni credo, eccetto per la breve preghiera che, qualche sera, le faceva recitare Micheline, la bambinaia del Périgord.
Ma quell’anima così riflessiva aspirava già a qualcosa di più elavato e di più puro. Così si affezionò subito a madame de Forcils e a Gabriel.
Gabriel era stato il primo consigliere di Lise, la sua prima guida. Era stato lui, quel ragazzo diventato uomo molto in anticipo, a influenzare e formare il carattere della piccola Lise, una ragazzina incline al misticismo e così timida, pronta a ritrarsi davanti agli ostacoli della vita, alla quale Gabriel diceva: «Dio è con te. Fai il tuo dovere e non avere paura di niente!»
Quando era giunto il momento di contemplare la maturazione di Lise, cui lui aveva contribuito, Gabriel morì.
Lise lo vide per l'ultima volta poco prima di morire. Era calmo, bello. Lei fu capace solo di sussurrare: «Gabriel, ricordati di me!»
Erano le stesse parole che ripeteva sempre, istintivamente, accanto alla tomba dell’amico scomparso.
Andava spesso al cimitero e confidava a Gabriel le sue preoccupazioni, le sue riflessioni, le sue gioie o le sue delusioni, proprio come quando lui era ancora vivo. La voce dolce ma energica di lui non poteva più risponderle, ma Lise si sentiva improvvisamente serena, come se un angelo l'avesse sfiorata con le sue ali e resa in questo modo più sicura.
Incontrava spesso madame de Forcils. Per la donna era una consolazione abbracciare la ragazzina che Gabriel aveva amato così profondamente, lei così timida, seria, e affettuosa. Lei che, meglio di tutti gli altri, comprendeva il suo dramma e il suo dolore.
«Non restare, è meglio che tu vada, cara» le disse a un tratto. «Il vento è forte, e tu sei poco coperta. Vai, Lise, torna a casa...»
Lise le diede un bacio sulla guancia, guardò un'ultima volta verso la tomba e si alzò. Uscì e imboccò un sentiero che conduceva direttamente verso la campagna.
Non lontano iniziava un Iungo viale di querce. In fondo c'era una villa un po' malmessa ma dall'aspetto ancora maestoso. Sulla porta alcuni stemmi ormai quasi invisibili. Quella casa era stata un tempo di proprietà dei cadetti della famiglia de Subrans.
Durante la Rivoluzione, il loro castello di Bozac, a pochi chilometri, era stato saccheggiato e distrutto, ma la Bardonnaye era rimasta ancora nelle loro mani. Jacques de Subrans, il padre di Lise, fu molto contento di tornare ad abitare nella vecchia casa dopo essersi rovinato la salute e il portafoglio cadendo nel vortice della vita mondana parigina.
Alla sua morte, la vedova continuò ad abitare lì, educando i figli con un precettore.
Lise era figliastra di Catherine de Subrans. Il visconte Jacques aveva sposato in prime nozze la cugina di Catherine, l'affascinante Xenia Zubine, russa, morta sedici mesi dopo il matrimonio per un grave quanto strano incidente accaduto durante il fidanzamento e dal quale non si era mai più ripresa.
Tornando a casa quel pomeriggio, Lise trovò la matrigna in salotto fra i vecchi mobili sbiaditi, dove trascorreva le sue giornate. Tra le sue lunghe dita, piene di bellissimi anelli, passava gran parte del guardaroba di famiglia.
Alla Bardonnaye i domestici erano pochi, anche per le condizioni economiche. Al momento del matrimonio, Catherine Zubine era, come sua cugina Xenia, molto ricca. Ma la sua dote, così come quella di Lise, era stata in larga parte confiscata a causa degli avvenimenti politici accaduti in Russia.
Rimaneva solo una discreta rendita, appena sufficiente a mantenere la famiglia.
Dopo questi fatti, Catherine aveva scoperto di avere la vocazione della donna di casa, anche se era stata educata come un'intellettuale, capace più di parlare di filosofia che di eseguire un rammendo a regola d'arte.
Quando Lise entrò, madame de Subrans sollevò il suo viso magro e giallastro. L'unica cosa bella di quel viso erano sempre stati gli occhi, grandissimi e freddi, ma vivaci ed espressivi quando qualcosa la preoccupava.
«Sei stata via un bel po', Lise.»
«Sono stata al cimitero, mamma...»
«Non esagerare. Queste visite non fanno altro che impressionarti. Dall’anno prossimo dovrai vivere un'esistenza meno ritirata, farti vedere di più in giro...»
Lise fece un gesto di disapprovazione.
«Ma l'anno prossimo avrò solo sedici anni!»
«Infatti. Non sarà il tuo effettivo ingresso in società. Ma risponderemo almeno a qualche invito degli amici... Ecco, ne ho appena ricevuto uno da madame de Cérigny. Mi chiede, molto gentilmente, di partecipare alla battuta di caccia a cavallo della settimana prossima. Ti piacerebbe andarci Lise?»
«Non lo so, non so cosa dirti... Se si tratta uccidere un povero animale ti assicuro che ne farei molto volentieri a meno...»
«Potremmo anche non partecipare alla battuta di caccia, aspettare il ritorno dei cacciatori. E, pensandoci bene, le risponderò che accetto.»
Lise si avvicinò alla matrigna e le prese la mano.
«Ma mamma, è tanto tempo che non partecipi a queste cose! Non devi sentirti costretta a riprendere le abitudini di una volta per colpa mia. A me non interessa, e a te tutto questo può solo creare problemi. I ricordi possono fare male...»
«È un mio dovere, Lise. Non posso tenerti sempre segregata qui. Un giorno dovremo pensare al tuo futuro, nessuno ti verrà mai a cercare in questa solitudine. Sali in camera e guarda se hai un vestito che vada bene per l'occasione. Altrimenti domani andremo a Périgueux»
Catherine chinò la testa. Non era mai stata molto espansiva con lei. Ma Lise aveva sempre sentito che la donna provava per lei un affetto non inferiore a quello che nutriva per i suoi figli naturali. Li amava così tanto che non si era mai separata da loro, e li aveva fatti studiare sotto lo stesso tetto con Lise.
II
La battuta di caccia stava terminando. Il cervo, ormai stremato, giunto al carrefour des Trois-Hêtres era morto. Il primo stalliere presentava la vittima all'ospite più importante dei Cérigny.
«Questa caccia non regge il confronto con le vostre in Ucraina, non è vero principe?» chiese Robert de Cérigny, il figlio maggiore, rivolgendosi al cacciatore che, per puro caso, era accanto a lui.
«Ti assicuro che mi ha divertito molto. La caccia è la mia passione, sempre.»
A parlare così era un uomo sui trent'anni. L'eleganza del suo portamento e l'armonia delle sue forme dissimulavano una statura davvero imponente. Una barba bionda circondava un viso dai lineamenti energici e virili. La fronte alta, i movimenti disinvolti e agili, erano