Felicità in coppia: Harmony Collezione
Di Kara Lennox
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Info su questo ebook
Quando diventare mamma è una questione tutta al femminile.
Le due sorelle gemelle Bridget e Liz Van Zandt hanno fatto un patto: se all'età di trent'anni non avranno ancora una famiglia cercheranno ugualmente di avere un figlio. Gli anni passano e il loro stato di single non sembra cambiare. Non è più possibile aspettare. Bridget decide di ricorrere all'inseminazione artificiale. Liz vuole adottare strategie più consuete: ha bisogno di un uomo. La scelta cade sull'affascinante multimilionario Eric Statler III. L'occasione per conoscerlo? La festa che lui sta organizzando e a cui la sorella Bridget è invitata. All'evento partecipa anche il fratellastro di Eric, Nick Raines, che ha la piacevole fortuna di imbattersi Bridget, ma ha la sfortuna di conoscere i suoi piani per il futuro: per gli uomini non c'è posto.
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Anteprima del libro
Felicità in coppia - Kara Lennox
Titolo originale dell’edizione in lingua inglese:
Twin Expectations
Harlequin American Romance
© 2000 Karen Leabo
Traduzione di Giuseppe Biemmi
Questa edizione è pubblicata per accordo con
Harlequin Books S.A.
Questa è un’opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o
persone della vita reale è puramente casuale.
Harmony è un marchio registrato di proprietà
Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.
© 2006 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano
eBook ISBN 978-88-5892-735-9
www.harlequinmondadori.it
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Prologo
«Dunque, ti senti diversa?» chiese Liz Van Zandt alla sorella gemella Bridget. Erano sedute sui sedili anteriori della Mazda nuova fiammante nel parcheggio della Statler Clinic.
Bridget giocherellò con il bordo della sua gonna di denim. «No. Pensi che dovrei?»
«Come posso saperlo?» replicò Liz. «Non sono mai stata incinta. E, probabilmente, nemmeno adesso lo sono ancora. Ho letto che ci vogliono delle ore, addirittura dei giorni, perché gli spermatozoi si facciano strada fino alla meta.»
Bridget si sentiva stordita. Si posò una mano protettiva sul grembo, sapendo che Liz stava solo tentando di romperle le scatole.
Liz, più vecchia di quattro minuti, era in tutto e per tutto favorevole al fatto che Bridget avesse un bambino. Solo non approvava completamente i metodi di Bridget.
«Non è che stai avendo dei ripensamenti, vero?» chiese Liz.
«Mi sembrerebbe un tantino tardi per averne.» No, non aveva affatto ripensamenti. Lei e Liz avevano sempre convenuto che, se fossero giunte a trent’anni senza essere sposate, avrebbero tentato la via della maternità comunque. Insieme. «Certo sarebbe bello che ci fosse anche un padre nel quadretto familiare.»
Gli occhi di Liz scintillarono maliziosamente. «Scordatelo pure. Gli uomini rifuggono dalle ragazze madri come se avessero la lebbra.»
«Non mi importa» disse Bridget con tono sprezzante. «Nel giro di una ventina di giorni, tornerò alla Statler Clinic e scoprirò se sono incinta.»
Liz si afflosciò contro lo schienale del sedile in pelle. «Suppongo sia giunto il mio turno. Sarà meglio che ci dia dentro.»
«Oh, Liz, non intenderai veramente mettere in pratica il tuo strampalato piano, vero?»
«Non è affatto strampalato. A differenza di te, io voglio sapere esattamente da che razza di materiale genetico salterà fuori mio figlio.»
«Sì, ma non puoi metterti ad abbordare il primo uomo che incontri per strada, dicendogli: Ehi, scusa, potresti darmi un po’ del tuo DNA?
.»
«Veramente, ho in programma di usare un po’ più di tatto. Se dovessi trovare un donatore idoneo...» Gli occhi le scintillarono, e Liz si interruppe per fissare qualcosa in lontananza. «Oh-la-la, eccone uno laggiù che farebbe proprio al caso mio.»
Bridget rimase a bocca spalancata quando vide l’oggetto del desiderio della sorella.
«Sì, è proprio lui. Era sulla copertina di Inside Texas un paio di mesi fa. Lo riconosco perfettamente, sangue blu compreso. E, in carne e ossa, devo ammettere che è perfino più interessante.»
L’uomo in questione, J. Eric Statler III, era appena uscito con passo leggiadro dalla struttura ospedaliera che portava il suo nome.
«Cosa diamine ci fa qui?» chiese Liz.
«La clinica è sua» sottolineò Bridget.
«Per la verità, possiede mezza Oaksboro» affermò Liz, e non esagerava nemmeno tanto. La Statler Clinic era solo un piccolo tassello dell’impero Statler, che comprendeva ospedali, compagnie petrolifere, quotidiani, ristoranti e una fabbrica di calzature sportive. Aveva attività disseminate in tutto il Texas settentrionale, compresa l’agenzia pubblicitaria in cui lavorava Liz.
Liz sospirò. «Non solo è ricco e affascinante, ma pare anche simpatico. Nell’articolo di quella rivista dice che dona un mucchio di denaro a diverse organizzazioni benefiche.»
«Questo non significa che doni anche il suo DNA» fece presente Bridget. «E se è così perfetto, com’è che non è ancora sposato?»
«Non ha trovato la donna giusta, così ho sentito dire.» Liz sfoderò un’espressione pensierosa. «Forse sta aspettando me.»
«Liberissima di sognare a occhi aperti, sorellina» fu il commento di Bridget.
«Ehi, aspetta un attimo. Sono una brillante direttrice del servizio clienti nella maggiore agenzia pubblicitaria di Oaksboro, sono in grado di mangiare gli spaghetti senza schizzare sugo da tutte le parti e ho un personale che non è affatto da buttare. Stai forse insinuando che non sarei all’altezza di Eric Statler?»
Ahi, ahi. Bridget riconobbe il lampo che attraversò lo sguardo di Liz.
«D’accordo, forse non mi sposerebbe» continuò Liz, «ma è indubbiamente ottimo materiale da riproduzione.»
«Liz, nemmeno lo conosci.»
«Posso sempre incontrarlo. Mi sarebbe facile. Ho gli agganci giusti.»
Bridget rise. «Tu sei fuori di testa» affermò, ma avrebbe scommesso che Liz stava davvero appassionandosi all’idea e stava per mettere in moto un’altra delle sue folli macchinazioni.
All’improvviso, Liz puntò i suoi occhi azzurro mare su Bridget con la forza di un doppio raggio laser. «Ehi, Bridget, ti andrebbe di aiutarmi, sì o no?»
Bridget si fece piccola piccola. Quando a Liz brillava quella luce esaltata negli occhi, niente più poteva fermarla. «Qualche contatto a cui rivolgermi ce l’ho. Vedrò che cosa posso fare per te» accettò a malincuore, decidendo che avrebbe fatto meglio a tener d’occhio la sorella dal fervido spirito competitivo. Se l’inseminazione artificiale di Bridget funzionava e fosse rimasta incinta, Liz avrebbe voluto a tutti i costi stare al passo con lei. E chissà che cosa avrebbe potuto combinare pur di trovare quello che lei stessa aveva elegantemente definito un donatore.
1
Bridget sorseggiò nervosamente il suo succo di frutta mentre osservava la folla ingioiellata che sfoggiava esclusivi abiti da sera che le stava attorno. Di solito preferiva qualcosa di più corposo del succo di frutta alla pera. Ma era incinta...
Interrompendo il corso dei suoi pensieri, si soffermò su quell’ultima parola.
Incinta. Proprio quel giorno aveva eseguito il test di gravidanza ufficiale alla Statler Clinic. I risultati non avevano fatto che confermare ciò che già sapeva per istinto. A sole tre settimane di distanza dal concepimento, infatti, il suo corpo stava già cominciando a cambiare in modo lieve e indefinibile.
Nel giro di pochi mesi avrebbe cominciato a gonfiarsi come una specie di airbag. La prospettiva era inquietante, ma al contempo anche piuttosto eccitante.
«Visto qualcuno con cui possiamo socializzare?» le chiese Liz, che si trovava in piedi al suo fianco. Avevano rimediato gli inviti all’Oilman’s Ball da una baronessa che possedeva una catena di lavasecco, un’amica di famiglia cui Bridget aveva dipinto il ritratto. Il ballo era l’evento sociale della stagione di Oaksboro, ed Eric Statler non avrebbe potuto mancare. Ma ora che erano arrivate, cominciava il difficile: trovare qualcuno che presentasse personalmente Liz a Statler.
«Sai bene che non sono mai stata molto brava ad attaccar bottone» replicò Bridget. «Ehi, aspetta. Non sono i genitori di Eric Statler, quelli laggiù?» Lei fece un cenno con il capo a indicare una coppia dall’aspetto distinto che pareva al centro dell’attenzione di un piccolo assembramento di persone.
«Sì, sono proprio loro: Geraldine ed Eric Statler junior» confermò Liz. «Per la verità, come forse saprai, tutti lo chiamano Mister Statler Two, perché junior non gli va tanto a genio.»
«E il figlio che interessa a te?» volle sapere Bridget. «Lo chiamano Mister Statler Three?»
«No, quello lo chiamano semplicemente Eric» dichiarò Liz, continuando a far scorrere lo sguardo sugli invitati.
«Com’è che sei così informata sugli Statler?»
«Internet. Aspetta, ho visto uno dei clienti della nostra agenzia» disse Liz. «Dividiamoci. Tu da una parte e io dall’altra. In questo modo copriremo una fetta più ampia di territorio.»
Bridget annuì, ben felice di separarsi da Liz. Si erano stupidamente dimenticate di consultarsi in precedenza, e indossavano dei vestiti quasi identici. Anche i loro capelli biondi che ricadevano morbidamente sulle spalle erano acconciati in un modo molto simile. Questo era uno dei rischi che si correvano a essere gemelle.
Liz strizzò l’occhio a Bridget, e quindi si allontanò, lasciando Bridget a cercare qualcuno con cui attaccar bottone. Fortunatamente, scorse la signora Hampton, la baronessa dei lavasecco.
«Bridget, sono proprio contenta che tu sia riuscita a venire» disse l’elegante matrona dai capelli color argento, quando Bridget le si avvicinò. «C’è una coppia incantevole che desidero proprio presentarti. Scommetto che sarebbero interessatissimi a un bel ritratto.»
Sebbene fosse praticamente impegnata fino a tutta l’estate successiva, Bridget era sempre ben disposta di fronte alla prospettiva di nuovi affari. E poi, chissà, magari quella coppia conosceva Eric Statler.
All’inizio, aveva ritenuto che l’obiettivo che si era prefissata Liz fosse assurdo. Ma più ci aveva pensato, più si era rafforzata in lei la convinzione che Liz sarebbe stata una buona partner per Statler. Era portata per le relazioni sociali, sapeva farsi valere e possedeva la necessaria fiducia in se stessa per tener testa a chiunque frequentasse il giro del suo Principe Azzurro, mentre Bridget, pur apprezzando le indubbie qualità di quell’uomo, sapeva che avrebbe preferito un... matrimonio più tranquillo.
La signora Hampton fece faticosamente rotta verso i conoscenti che voleva presentarle, trascinando giocosamente Bridget con sé.
Nicholas Raines scolò il suo secondo gin-and-tonic e soffocò a malapena uno sbadiglio. Non gli andavano a genio gli impegni mondani, ma sua madre lo avrebbe fatto sicuramente sentire in colpa se non vi avesse partecipato. Era un party di beneficenza, gli aveva detto. Un’occasione per vedere gente e per farsi vedere, per stabilire importanti contatti di lavoro, e via dicendo. Aveva perfino buttato lì che avrebbe potuto incontrare una donna, come se avesse tempo per una relazione. Infine, aveva giocato la carta melodrammatica. Se una madre non poteva contare sul figlio perché acquistasse un biglietto del party di beneficenza del comitato organizzatore di cui faceva parte, su chi altri avrebbe potuto contare?
Si augurava