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Resilienza
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E-book122 pagine1 ora

Resilienza

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Info su questo ebook

Ho scritto delle esperienze della mia colorata infanzia e del mio viaggio di vita, da quando sono crescita nei ghetti della Giamaica fino a un bizzarro asilo in Polonia fino ancora alle belle esperienze vissute a Berlino, per potervi descrivere la resilienza. Ho utilizzato quello che ho imparato con l'istruzione e dalla vita per dare uno sguardo a come le mie esperienze passate mi hanno formata e mi hanno reso resiliente. In ciascun capitolo mi soffermerò sulle lezioni che ho imparato e sui miei pensieri. Le lezioni forniscono al lettore modi utili per esercitare e trovare la resilienza nella propria vita, mentre i pensieri stimolano una riflessione profonda con cui il lettore avrà l’opportunità di sviluppare la propria opinione riguardo i fatti illustrati.

LinguaItaliano
EditoreBadPress
Data di uscita1 mar 2020
ISBN9781071535950
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    Anteprima del libro

    Resilienza - Tricia Morrison

    Dedica

    A mio figlio, Livingston,

    Mi hai insegnato la vera responsabilità e che cosa vuol dire amare incondizionatamente. Hai risvegliato la mia voglia di fare e di raggiungere uno scopo nella mia vita. Mi hai motivato ogni giorno e hai portato gioia, forza e felicità nella mia vita. Sono grata di averti accanto, amore mio.

    Indice

    Prefazione

    INTRODUZIONE

    CAPITOLO UNO

    Gli Agrodolci Anni dell’Infanzia

    CAPITOLO DUE

    I Radiosi Segreti della Resilienza

    CAPITOLO TRE

    Affari di Famiglia

    Lezioni

    CAPITOLO QUATTRO

    Eventi Traumatici

    Abuso Sessuale

    La Morte di Mio Padre

    CAPITOLO CINQUE

    La Mia Spiritualità

    CAPITOLO SEI

    La Sopravvivenza del Più Forte

    Le Scuole Superiori

    Il College e la Giovane Maturità

    CAPITOLO SETTE

    L’insegnante

    CAPITOLO OTTO

    In Europa

    CAPITOLO NOVE

    La Vita a Berlino

    Università Libera di Berlino

    CAPITOLO DIECI

    Verso il Futuro

    CONCLUSIONE

    Prefazione

    Nel dicembre 2017 sono diventata ufficialmente disoccupata; così ho deciso che avrei insegnato inglese come libera professionista part-time. Questo implicava che, per sopravvivere, sarei dovuta dipendere dal Sistema di Assistenza Sociale del Governo Tedesco, poiché non avrei guadagnato abbastanza per vivere. Questa situazione ha fatto nascere in me molte emozioni da dover soffocare, ma la più importante fu quella sensazione di prigionia nata dalla consapevolezza che, due anni prima, mi ero resa indipendente da quello stesso sistema di previdenza sociale. Per questo mi sentivo come se la mia vita stesse regredendo, piuttosto che andando avanti. Quella situazione mi ha costretta a mettere in discussione le basi della mia esistenza.

    Perché avevo lasciato la Giamaica? Perché avevo studiato per tanti anni? Perché credevo ancora in Dio? Qual era lo scopo della mia vita? La verità è che mi sentivo frustrata, arrabbiata e infastidita. Sono sempre stata una che accetta le sconfitte, una cittadina modello in Giamaica, una buona immigrata a Berlino, una gran lavoratrice, niente droga, nessuna malattia, disponibile, piena di speranza, oltre che membro attivo e partecipativo della mia comunità e della società. Ho anche fatto tutto quello che il sistema tedesco richiede, per poter diventare tale e per integrarmi. Quindi, cosa stava succedendo e perché mi sentivo così paralizzata? Una cosa era certa: non potevo rimanere in quello stato di frustrazione e rabbia. Ciò avrebbe portato ad una serie di altre emozioni negative e frustrazioni che non mi avrebbero sicuramente aiutata ad andare avanti. Ecco perché sono dovuta fuggire da quella situazione.

    Mi sono dovuta porre alcune domande importanti le cui risposte mi avrebbero indirizzata verso decisioni altrettanto importanti, che avrebbero determinato il mio futuro. Devo accettare la mano che la vita mi sta dando? O devo continuare la solita ostinata guerra contro le insidie che mi si parano innanzi? La scelta più facile che una madre come me, Nera, single e stanca che vive a Berlino poteva fare era quella di accettare quella situazione. Dopo tutto, avevo un permesso di soggiorno e il sistema di previdenza sociale si occupava dei miei bisogni fondamentali: cibo, dimora e vestiario. Avevo persino un’auto e riuscivo a spedire 40 euro in Giamaica ogni mese e, a coronare il tutto, organizzandomi bene potevo anche permettermi una vacanza di due settimane in Europa, ai Caraibi o anche in Africa almeno due volte l’anno.

    Non è roba da poco. Sembra proprio che io non avessi poi tanti problemi. Si potrebbe dire che io sia una persona ingrata, perché ci sono molte persone che sarebbero molto grate di essere nella posizione in cui mi trovo io oggi. Lo capisco perfettamente e, per essere precisi, non c’è niente di male in chi si trova in situazioni peggiori e cerca di raggiungere questo livello. Tuttavia, per me questo è inaccettabile. Non posso limitarmi a sopravvivere, in questa fase della mia vita, dopo tutto il duro lavoro, gli sforzi, le vittorie che ho ottenuto e le sconfitte che ho subito. Nei sette anni passati ho lavorato duramente per integrarmi nella classe operaia tedesca, cercando di ottenere un contratto di lavoro a tempo indeterminato, ma tutti i miei sforzi sono stati invano. Dopo essere stata licenziata dal mio ultimo posto di lavoro, ho finalmente capito che sarebbe stato molto improbabile trovare un contratto a tempo indeterminato che si adattasse alle mie qualifiche qui a Berlino.

    Ma come ho fatto a finire in questa situazione, cosa ho fatto di male? Dopo aver terminato sei anni e mezzo di college e di università in Giamaica e a Berlino, e dopo aver passato quasi due anni ad imparare il Tedesco come seconda lingua; dopo aver tenuto numerosi corsi brevi e dopo aver lavorato per cinque anni come insegnante qualificata in Giamaica e due anni nella scuola materna a Berlino; perché non riuscivo ad ottenere un lavoro a tempo indeterminato, anche quando a Berlino tutti dicevano che vi era carenza di insegnanti di scuola materna. È facile cedere alla tentazione di pensare che Il sistema è fatto in modo che quelli come me non possano che fallire, che È un mondo fatto per soli uomini o che Sarei dovuta andare in un altro paese, o cose del genere.

    Ma io non ho la forza né posso permettermi il lusso di giocare al gioco delle colpe. Il mio obiettivo era quello di capire come uscire da questa situazione spiacevole. Incolparmi, rimuginare sulle sensazioni negative e piangermi addosso non mi avrebbero fatta andare avanti. Chi o cosa mi aiuterà a imboccare un sentiero che mi faccia progredire? Io, me e me stessa. Prima di tutto devo scendere a patti con la mia situazione attuale. Esattamente, dove mi trovo ora e come faccio ad andare avanti? Perché non crearmi il mio lavoro? Nessuno mi può zittire. È contro il mio io interiore. Sono un’insegnante; devo insegnare, che mi venga dato un ambito in cui farlo oppure no.

    Devo ricordare chi sono e da dove vengono i miei valori morali e di vita. Dove posso trovare l’energia e la spinta per darmi da fare e raggiungere gli obiettivi che ho raggiunto in passato? Devo scavare in profondità dentro di me, fino dentro all’anima, e ravvivare le mie intrinseche motivazioni. La verità è che solo io sono responsabile della direzione che la mia vita prende. Non sono più una bambina e non verrò né aiutata né forzata a uscire dalla mia situazione attuale da alcuna forza esterna. In breve, non devo rendere conto a nessuno. Non ho un mentore, un maestro di vita o un terapista per le mie prese di coscienza. Ecco perché devo essere il mio stesso maestro di vita e devo sempre tenere a mente la famosa frase di Martin Luther King, Se non puoi volare, allora corri. Se non puoi correre, allora cammina. Se non puoi camminare, allora striscia. Ma qualsiasi cosa tu faccia, devi andare avanti.

    Questo non è per dire che io non abbia familiari che mi supportino con sincerità o amici che vogliano che abbia successo nella vita. Io sono però la più istruita della mia famiglia e nella comunità in cui sono cresciuta. Sono già una persona che ha ottenuto più di quanto ci si potesse aspettare e, proprio perché vivo in Germania, la maggior parte dei miei amici e della mia famiglia pensa che io mi sia sistemata, che stia bene e che abbia già ottenuto successo nella vita. Per quanto riguarda le persone più care che ho a Berlino invece, tutti sono troppo occupati a tentare di gestire al meglio le proprie vite, con il lavoro, la spiritualità o la sua mancanza, e le relazioni sociali.  Quindi, tentare di raggiungere il successo che ho sempre sognato fin da quando ero bambina e tenere la testa fuori dall’acqua è una battaglia che riguarda solo me.

    Ecco perché, nella mia situazione attuale, ho urlato, mi sono sentita arrabbiata, frustrata, senza speranze e ho iniziato a darmi la colpa di tutto. Poi però ho sorriso, e ho riso forte quando mi sono detta Non sono venuta a Berlino per far parte delle statistiche o per vivere alle spalle della previdenza sociale e sentirmi in colpa. Dopo tutto, le esperienze della mia vita mi hanno ben addestrata ad affrontare queste situazioni, quindi avanti tutta.

    Sono cresciuta nella povertà nella più svantaggiata delle comunità di May Pen nella Parrocchia di Clarendon, Giamaica, vedendo mia madre costretta ad alzarsi alle prime luci del mattino per andare a vendere prodotti agricoli al mercato del paese per potersi permettere cibo e beni di prima necessità per i suoi cinque figli. Molti dei giovani uomini che conoscevo sono morti a causa della violenza armata e la maggior parte delle ragazze sono diventate ragazze madri o hanno rinunciato alla scuola. Sono stata affamata, tradita e riempita di menzogne, mi dicevano che non avrei mai realizzato alcuno dei miei sogni. Sono dovuta fuggire e nascondermi dalle sparatorie tra gang rivali nella comunità in cui sono cresciuta. Ho subito abusi, mi dicevano che non avrei mai lasciato il ghetto, pensavo che non sarei mai riuscita ad arrivare al college o a studiare in Germania, oltre ad altre cose che è meglio non dire.

    Ma nonostante questi ostacoli, ho vissuto una

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