Tutto si muove da dentro - Un nuovo incontro tra generazioni
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Info su questo ebook
dal dialogo con Anna
L’ansia e l’incertezza sono i due sentimenti più diffusi tra i giovani, ma anche tra gli adulti che dovrebbero istruirli e educarli.
Che ruolo possono assumere oggi gli adulti che si confrontano sui temi dell’educazione, in un tempo complesso e difficile come quello che stiamo vivendo?
Attraverso quali esperienze e atteggiamenti possiamo rigenerare una pratica costruttiva del presente e un desiderio rinnovato di futuro?
Tutto si muove da dentro - Un nuovo incontro tra generazioni è un percorso di riflessione alimentato dal dialogo con giovani che raccontano, tra paure e speranze, la propria e originale visione del tempo che stiamo attraversando e delle sue contraddizioni.
In esso narrazione e ascolto si propongono come fonte inesauribile di occasioni per pensare il proprio ruolo di adulti in rapporto alla funzione educativa e di sostegno alle nuove generazioni.
L’ obiettivo è muovere verso la definizione, non di soluzioni magiche, ma di prospettive possibili e atteggiamenti praticabili, finalizzati a rigenerare la qualità della presenza adulta e a superare il rischio, sempre più incombente, di uno stallo e di una resa che avrebbero il sapore di una definitiva sconfitta.
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Tutto si muove da dentro - Un nuovo incontro tra generazioni - Fulvio Di Sigismondo
COLOPHON
Tutti i diritti riservati
Copyright ©2017 Oltre edizioni
http://www.oltre.it
ISBN 9788899932152
Collana *PBS
Titolo originale dell’opera:
Tutto si muove da dentro
Un nuovo incontro tra generazioni
di Fulvio Di Sigismondo
L'immagine di copertina è tratta da un'opera di Andrew Tosh
SOMMARIO
Prefazione
Saper stare nell’incertezza
Trasformiamo l’incertezza in una nuova alleanza
Raccontare una storia
La seconda giovinezza e l’attraversamento della linea d’ombra
Parte Prima
Prologo
1. Cosa ci sta accadendo?
Spazzatura, febbraio 2011
Italie, febbraio 2011
Reality show, ottobre 2013
Il prefetto imperfetto, giugno 2014
Il piccolo Aylan, settembre 2015
Il regno di Camelot, settembre 2016
Noccioline, luglio 2016
2. L’alleanza perduta
3. Iperconnessioni
4. Cose, cose, cose
5. Che ci faccio qui?
6. Nulla è come prima
7. De-regulation
8. Denigrazioni
9. Un uomo solo al comando
10. Cambio di prospettiva
11. Sassi nello stagno
Parte Seconda
1. A new beginning
2. Dialoghi
Danilo, tutto si muove da dentro
Ema, tra fancazzismo e John Travolta
Andrew, l’arte tra non lo so e perché
Alice, la violinista borderline
Nico, the backpacker
Alessia e la generazione sospesa
Taha, un futuro da console
Jack, the rider
Andrea e Anna, lo spazio del pensiero
Parte Terza
1. Suscitare pensiero
2. Lasciare un segno
3. Non abbatterti, abbattili!
4. Potere alla parola
5. Mandala
6. Chissà…
Bibliografia
Articoli
Poesie
Colonna sonora e video
Ringraziamenti
Prefazione
Wilhelm Reich, un clinico che ha aperto nuovi orizzonti nella psicoterapia corporea, diceva che la capacità di amare e la capacità di lavorare disegnano la salute emotiva delle persone. Una definizione così incisiva che è rimasta scolpita nella mia memoria dagli anni dell’università fino ad oggi.
Io aggiungerei che quando la nostra capacità di amare e la nostra capacità di lavorare si fondono facciamo un passo ulteriore: il nostro lavoro diventa creativo e costruiamo una filosofia che desideriamo condividere con gli altri. Una filosofia che non è astratta, ma è frutto dell’amore che proviamo per il nostro lavoro.
Non sempre avviene questo miracolo: a volte la ripetitività, la frustrazione e lo sconforto prendono il sopravvento soprattutto per chi, lavorando nel sociale, ha assistito al progressivo impoverimento di progettualità e risorse, al peggioramento delle proprie condizioni lavorative e all’aumento dell’incertezza.
Per Fulvio non è stato così: sono passati gli anni, cambiate le condizioni e le realtà di lavoro e lui ha seguito la trasformazione imparando dalla propria esperienza e desiderando condividerla con la stessa passione di quando ha iniziato, arricchita dalla saggezza che ha maturato.
In questo percorso ci sono alcune parole chiave che ritornano e disegnano il filo della sua filosofia: incertezza, alleanza, raccontare una storia. Io ne aggiungo solo una: la linea d’ombra della seconda giovinezza.
Saper stare nell’incertezza
Il fatto che stiamo vivendo un’epoca incerta è una specie di mantra che ricorre continuamente. Non abbiamo molti strumenti per saper stare nell’incertezza e il rischio è che l’incertezza diventi una sorta di autorizzazione all’abbandono e alla trascuratezza. Che alimenti una modalità mordi e fuggi
, senza progettualità.
Fulvio ci ricorda che l’educatore però ha la funzione di organizzare la speranza: di farla crescere e coltivarla. Il rischio, infatti, è proprio che l’incertezza faccia perdere la speranza e alimenti la fuga nei modi in cui si realizza oggi la partenza.
Chi ha fiducia si costruisce un futuro altrove, magari in altri paesi europei. Chi questa fiducia non ce l’ha rischia di diventare NEET (Not in Education, Employment or Training) giovani non occupati e che non sono impegnati in processi di formazione. Nel 2013, in Italia, un impressionante numero di giovani (il 26,0 per cento della popolazione tra i 15 e i 29 anni) risultava fuori dal circuito formativo e lavorativo. L’incidenza dei Neet è più elevata tra le donne (27,7 per cento) rispetto agli uomini (24,4 per cento). Tutto ciò è, in parte, una responsabilità della nostra generazione: non abbiamo saputo costruire posti di lavoro e quindi abbiamo tolto ai giovani, una parte della possibilità di essere mentalmente sani: la possibilità di lavorare.
In realtà credo che questo sia il punto in cui l’educatore può diventare organizzatore della speranza, in modo che l’inserimento di questi ragazzi non diventi una chimera. Non sono raggiungibili a scuola, ma possono essere incontrati negli spazi di aggregazione, nei Centri Giovani, negli Informagiovani: attività a bassa soglia che non strutturano interventi di recupero, ma li anticipano. Perché, come amo ripetere: è meglio crescere uomini forti che riparare uomini rotti.
Così l’attività dell’educatore è una possibilità di coltivare la fiducia di tutti: la fiducia che sapremo trovare in nuove forme e nuove modalità di organizzazione del lavoro.
Non mi spaventa la cosiddetta fuga di cervelli
: siamo, nel bene e nel male, sempre più una comunità globale, una comunità europea e internazionale. Mi spaventa piuttosto che cessi l’investimento per chi rimane e che questo alimenti illusorie partenze. Come se andare lontano fosse trovare il paradiso, in una nuova strategia migratoria. Non lo è: cambiare nazione senza avere una adeguata formazione non rende le cose più facili, ma più difficili e frammenta la rete sociale di riferimento e sostegno.
Tornate
, scrive una giovane poetessa milanese, in una lettera ai suoi amici e compagni di Università. Tornate
è il suo appello. Lei che è andata a studiare all’estero e ha scelto di tornare.
Cito le sue parole: "È un dispiacere vischioso, rimane incollato in faccia, e se provo a lavarlo via, mi imbratto le mani. Pure le mani. Amici. Del passato, più che del presente: diciamolo.
E ancor meno del futuro, ché non abbiamo nessun progetto (nessuno?) in comune — ed è qui che il dispiacere diventa un boccone piccante, troppo; brucia e fa lacrimare gli occhi.
Mi raccontate cose bellissime, fate e siete bravi, e mentre raccontate invidio quei Paesi in cui vivete, gli abitanti del vostro quartiere, i colleghi e soprattutto gli amici, che possono bere una birra con voi in una sera qualsiasi, o passare a citofonarvi.
Raccontate di come si sta bene, dei servizi che da noi, in Italia, neanche a sognarli, delle buone abitudini che lì tutti, qui nessuno. Cerco disperatamente una nota di nostalgia, attendo con ansia quel ‘Tutto bene però…’. E invece niente.
C’è davvero così poco che vi manca dell’Italia, di noi, che siamo rimasti?
Non vi fa soffrire che ci stiamo provando sempre in meno, sempre più stanchi e soli, a fare qualcosa di bello, qui dove è più difficile?
Tornate.
Ci divideremo quello che resta, inventeremo modi nuovi per stare insieme, stare bene, abbiamo bisogno di voi.
E se proprio non volete, non potete, fate qualcosa per chi da qui resiste, nonostante la corruzione, le disuguaglianze: anzi, più che nonostante
, contro
e anche per
. Perché dell’altro esista.
Se è vero che siete diventati più ricchi, più felici, più riposati… allora mandate un po’ di queste cose anche qui.
Le migrazioni possono produrre effetti positivi, ma devono produrli anche nei Paesi da cui i migranti partono, che rimangono orfani dei figli che hanno allevato, curato, formato.
Ci mancate".
(Arikita che vuole rimanere anonima)
Trasformiamo l’incertezza in una nuova alleanza
Quando Arikita dice tornate
, chiama i suoi coetanei. Io userei la stessa parola per richiamare gli adulti. Tornate a fare i genitori e non i coetanei, confusi e disorientati, dei vostri figli. Tornate ad invecchiare, è fisiologico e naturale, tornate a riflettere e a crescere in saggezza e non solo in impulsività. Tornate a fare i genitori, magari in modo completamente diverso da quello di chi vi è stato genitore. E, soprattutto, rimanete genitori anche dei vostri figli adolescenti. Perché quello che osserviamo oggi è un grande impegno dei genitori nei confronti dei propri bambini e poi, come se la genitorialità avesse una scadenza, una grande difficoltà a trovare un modo di continuare a fare il genitore anche di un figlio adolescente. Ci sovrasta con la sua energia, ci stupisce con la sua maturità e ci sembra che l’unico modo di fare il genitore sia garantirgli una sicurezza economica, un accesso facilitato a beni di consumo. Facciamo fatica ad essere genitori dei figli adolescenti perché siamo poco in casa e loro non si sa mai quando tornano. Facciamo fatica perché non sappiamo aspettare, forse non sappiamo noi stessi la direzione in cui vorremmo andare. È perché facciamo fatica che abbiamo bisogno, dice Fulvio, di costruire una nuova alleanza: "Oggi forse non abbiamo più la possibilità di dire ai giovani cosa fare per risolvere i loro problemi, di garantire loro certezze e soluzioni, possiamo però affiancarli per aiutarli a comprendere chi sono e esprimere cosa pensano, per rafforzare i processi di costruzione di identità. Ciò che resta dell’educazione è l’eredità che possiamo trasmettere perché, a nostra volta, l’abbiamo ricevuta come testimone essenziale da generazioni precedenti. È la ricerca costante di restituzione di parola e di riflessività, perché ciascuno possa apprendere dall’esperienza, imparando e, al tempo stesso, assumendo attivamente e criticamente ciò che impara, fino a esserne protagonista cosciente».
E lo scopo del libro è proprio questo: fornire pratiche di lavoro sociale che garantiscano supporto ai giovani nella transizione tra casa e lavoro. Un passaggio che richiede, agli adulti, di mettere da parte la presunzione di conoscere già le cose come sono. Il rapido cambiamento di questi anni, anche di questa lunga e insolita crisi economica, ci dimostra che non possiamo prevedere il futuro. Possiamo solo cavalcare il presente insieme, costruire insieme nuovi strumenti educativi, sostenere il lavoro delle famiglie con strutture a bassa soglia, sospendere il giudizio sui giovani, misurato sulle generazioni passate e riconoscere che, anche in assenza di soluzioni, possiamo essere in presenza di modalità educative che ci aiutino a stare nell’incertezza. Quella che abbiamo davanti è una nuova società che richiede nuovi strumenti educativi.
L’anima umana non vuole essere cristallizzata, vuole solo essere vista e ascoltata. L’anima è come un animale selvaggio, resiliente, tosto e timido. Se entriamo nella foresta urlandogli di mostrarsi in modo da poterlo aiutare, l’animale si nasconde. Ma se ci sediamo quietamente e aspettiamo per un po’ di tempo, l’anima si mostrerà.
Queste le parole di Parker Palmer, che si è occupato per tutta la vita di processi educativi.
Parole che ricordano la lunga sezione del libro dove si incontrano dieci dialoghi tra Fulvio e dieci persone tra i venti e i trenta anni. Giovani, ma non più adolescenti. Giovani nella transizione, giovani nella terra di mezzo, in quella che, tecnicamente, si chiama seconda giovinezza.
Raccontare una storia
Questi dialoghi raccontano una storia: la storia di un sogno, una passione, una difficoltà. Hanno il fascino delle storie: un fascino che viene dall’ascolto e dallo svelarsi dell’anima dell’altro. E nel raccontare si tesse un filo di coerenza. Una coerenza che non è data dalla relazione causa – effetto, ma dal significato che gli eventi raccontati hanno per chi parla.
Quando lavoriamo con persone che hanno vissuto una storia traumatica uno degli elementi diagnostici che viene utilizzato è la capacità di fornire un racconto coerente della propria storia. Un racconto senza evasioni, senza parti mancanti. Senza omissioni e senza fissazioni. È importante la coerenza del racconto perché significa che quello che è avvenuto, per quanto difficile e doloroso possa essere stato, non ha soverchiato l’integrità della persona. Le storie narrate nei dialoghi non sempre sono storie facili. Però sono storie coerenti. E la loro coerenza non è avulsa dalla presenza di colui che ascolta. Avere un ascoltatore interessato è parte della coerenza di una storia.
"Il più grande complimento che mi sia mai stato fatto fu quando uno mi chiese che cosa ne pensassi e prestò attenzione alla mia risposta", questo suggeriva Thoreau. Questo si realizza in questi dialoghi. L’interesse nei confronti della storia dell’altro, della sua visione delle cose e del processo per arrivare a dare un senso a quello che è successo o un senso a quello che è stato scelto. In questo modo il passato non è più un trampolino statico, ma un appoggio dinamico verso il cambiamento. Diventa il luogo in cui chi parla e chi ascolta possono costruire una memoria del futuro.
Sappiamo che esiste il domani. E questo ci innamora e ci spaventa insieme.
Non possiamo però rinunciare alla memoria del futuro. Non possiamo privarci del nostro estenderci e protenderci.
Questa memoria del futuro è fondamentale perché ci porta avanti e ci accompagna a compiere la nostra vita, aldilà della semplice esistenza. Possiamo perderla e spesso capita che, nelle situazioni di difficoltà o di incertezza, la perdiamo.
La memoria del futuro è connessa alle nostre abilità di pianificazione, progettazione e immaginazione. Ci proiettiamo nel futuro a partire dalle nostre motivazioni presenti. Ne