La portata dei sogni
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Spinto dall’impulso di condividere un dolore sommerso, un giornalista in cerca di riscatto si imbatte nelle cose che contano veramente e che non era riuscito a cogliere, affidando ai luoghi la responsabilità di farlo vivere come spaesato tra i sentimenti. Un libro delicato e leggero, per la sua scrittura frammentata, secondo il linguaggio poetico dei ricordi.
Pasquale Allegro è nato a Lamezia Terme nel 1976 e si è laureato in Filosofia con una tesi sulla scrittura di Elie Wiesel. Lavora da anni nell’editoria, scrive di cultura, e di libri in particolare, per diversi giornali, riviste e blog. Ha pubblicato la raccolta poetica Baco da sera (Controluna, 2018) e ha ricevuto riconoscimenti dalla critica e diversi premi letterari.
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Anteprima del libro
La portata dei sogni - Pasquale Allegro
Cozzitorto
PARTE PRIMA
Ovunque altrove
Per altri cieli (prologo)
Sono giorni che sento di avere un viso tirato, e me ne vado in giro per casa, in una mano le chiavi e nell’altra il giornale. A volte vado dritto in camera da letto e mi sdraio così come sono, vestito come per un viaggio.
Frugo nella mia macchina, nella mia vita alla ricerca di un minimo dettaglio per spiegare come possa sentirmi in questo momento; cerco di osservare il mondo come potrebbe farlo chiunque altro si appresti serenamente a portare avanti la sua presenza in questa vita, e faccio una gran fatica. Trovo il depliant di un convegno, vecchi scontrini (la ricevuta della cravatta regimental dai colori sobri che non indosso mai). Passo al setaccio ogni ricordo, metto a fuoco molto lentamente ogni momento, ogni attimo di vuoto.
Tu invece sei una donna determinata, a volte durissima, ma hai provato dolori che io non ho mai provato, di quelli che attanagliano la pancia e tolgono il respiro. Tu hai conosciuto la marea oscura della disperazione. E io invece?
Amo te, mia cara, e che tu mi desideri è qualcosa su cui potrei giurarci, e che io possa desiderare solo te è una cosa su cui un uomo come me non può fingere. Ho solo queste certezze adesso.
Rimango in soggiorno a scrivere e a leggere, di recente la mia collera esplode per un nonnulla, sento in petto come qualcosa che si schianta e che non riesce a fuggire. Il pensiero c’è eccome in me, e pure il corpo esiste, respira e s’accalora, piange e suda, si rallegra e si sbraccia per catturare l’aria.
Una volta mi era pure sembrato di portarmi dietro un difetto a una gamba, di zoppicare leggermente, di storpiare i miei movimenti. Poi dopo quella sensazione (non s’è ancora capito se il problema alla mia gamba, lungo i giorni, esista davvero o no) sono passato ad avvertire onde di benessere improvviso. È come se dentro di me stessi facendo provvista di emozioni contrastanti, come se questo mi stesse avvicinando alla cognizione perversa della realtà.
Nello stesso istante in cui il tuo di corpo giace addormentato nel lettone, mi sento inadatto e rimango sveglio. Io so come dormi, te ne stai accucciata su un lato, con una mano sotto il cuscino.
C’è un mistero di cui sono depositario e che paradossalmente mi sfugge: continuo a mancarmi in modo feroce. Inseguo le tracce di questo fantasma che mi si agita dentro, e mi chiedo perché. Non lo so per certo, mi rispondo. Io voglio assolutamente capire cosa sta succedendo nella mia vita, non desidero assolutamente arrecare danno alla tua. Perché non ho più potere su di me? Vorrei parlartene, con ostentazione anche, ma continuo a dirmi che avrei dovuto farlo dall’autunno precedente. In certi giorni inizio a piangere, come fai tu a volte senza nasconderti, e la voce ha la stessa sfumatura di tenerezza che indossa la tua.
«Non ti riconosco più», mi dici in questi casi. Cosa devo risponderti? Quali sono le parole giuste? Mi crederesti se ti dicessi che cerco un altro cielo?
Sono solo io la causa di questa distanza, cerco un appuntamento con una parte nuova di questo azzurro disteso sopra le nostre teste. Vorrei fargli domande immense quanto semplici. Penso che la vita stia tutta in quel suo movimento di pulviscolo e luce, non c’è caos ma tanta leggerezza. Penso che se avessi la grazia di osservarne un altro momento che ancora vuol concederci, potrei occupare il mio avamposto.
È la cosa che mi tormenta di più: essere sentinella di un cielo che non mi appartiene.
La vita è un soffio
Non è che io sappia con certezza dove andare.
Con una certa sicurezza ritengo che sotto la volta del cielo i miei sogni stiano annaspando dietro le nuvole. Andare sempre andare, mi scoppia nelle orecchie questo invito, per dove poi, un luogo sicuro è sempre più infinitamente dentro di sé e non nasconde chilometri di fiumi che straripano o superstiti che sgomitano.
I sentimenti più strani quando diventano quotidiani non suscitano più meraviglia. C’è sempre una bellezza nell’equilibrio, ma è di gran lunga più eccitante la bellezza di dedicarsi con tutto sé stesso a una causa. E poi sacrificarsi come gli artisti fanno con le proprie opere, rinunciare a qualcosa inevitabilmente: è questo l’unico modo per coccolare il proprio disagio.
In questa storia non mi ci raccapezzo più, non ricordo un giorno in cui la mia indole se n’è stata acquattata in un angolo, per scrutare poi ancora altri angoli, profondi, fino a guardare oltre. Cosa ci sarà mai dall’altra parte? Cosa di diverso da qui, non è sempre terra e sempre uguali i passi ad abbozzare percorsi? Poi certo cambia la direzione, arrivi da qualche parte, ti fermi e ti guardi attorno, per scoprire che magari sei altrove, però non è che poi tu sia cambiato così tanto. Stai sempre lì a voler essere ovunque e sempre protagonista, ovunque e subito protagonista, così domani e poi domani ancora.
Coltivo un idealismo silenzioso che diventa preda di chi invece si ritrova provvisto di coraggio. Non parlo di ambizione, questa parola mi suona lontana, distaccata da ciò che mi sta accadendo.
È una libertà antica quella che ricerco da sempre, una vecchia gloria che ricorda lo sferragliare dei treni, che si imprime negli occhi pronti a nuovi orizzonti.
Lontano, lontano me ne voglio andare, penso, mentre i miei di occhi finiscono per arrabattare uno sguardo oltre il cielo. Sono tantissime le mie idee sull’affaccendarsi dei giorni e l’avvicendarsi delle ore, eppure la meraviglia di un attimo mi costringe a riflettere sul miracolo di un cambiamento al fulmicotone.
Basta un sussulto.
Ma non dimentico mai la bellezza delle carezze dell’abitudine, non mi compiaccio particolarmente degli specchi moderni e delle mode, e forse proprio per questo mi pare di essere volubile in un modo strano. E forse non riuscirei mai a entrare in sintonia con i cambiamenti repentini, sono fatto di una materia fragile io.
E mentre sorrido a tutto questo pensiero, sento che fa freddo, che è già buio. E cerco dalle nubi