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Cento giorni
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E-book297 pagine4 ore

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L’amore e non la clonazione salverà l’umanità...
Un’intensa e passionale relazione tra una bella ragazza salentina e un affascinante lord scozzese avvolge il lettore nelle pieghe di quella sublime passione che tutto anima, tutto determina e tutto alimenta. Come scriveva la poetessa Elizabeth Barrett Browning, “chi ama, crede nell’impossibile”.
Ed è anche per questo che le due protagoniste del romanzo non si arrendono all’imponderabile malgrado vengano segnate da una profonda quanto struggente storia d’amore. Perché, se anche il destino dia l’impressione di accanirsi contro, regala loro la gioia di un’intensa emozione.
E le rende interpreti di un disegno che mira a perpetuare quel nobile sentimento nonostante il tentativo dell’uomo di smarcarsi dal giogo di colui che vede come un burattinaio per ergersi a dispensatore della vita attraverso la clonazione.
Quel progetto, però, non può portare buoni frutti. E da tale consapevolezza parte un’avventurosa corsa contro il tempo per salvare il mondo. Il destino dell’umanità è nelle mani di queste due donne alle quali spetta il compito di ridare una speranza spegnendo le velleità divine di chi è nato dalla polvere.
LinguaItaliano
Data di uscita17 mar 2020
ISBN9788835384144
Cento giorni
Autore

Cesario Picca

Cesario Picca (1972), salentino di origine, vive a Bologna. Per 25 anni ha lavorato come giornalista di cronaca nera e giudiziaria, ora si occupa dei suoi gialli e del protagonista Rosario Saru Santacroce ed è relatore e moderatore in numerosi dibattiti e convegni. Ha pubblicato (2005) il saggio giuridico Senza bavaglio – L’evoluzione del concetto di libertà di stampa.Il suo amore per i gialli è sbocciato con Tremiti di paura dove il cronista salentino Rosario (Saru) Santacroce segue le indagini per scoprire l'autore di un cruento femminicidio. Questo è il primo giallo della serie dei gialli del cronista salentino Saru Santacroce. Al momento vi fanno parte Gioco mortale - delitto nel mondo della trasgressione, Il dio danzante - delitto nel Salento, Vite spezzate ambientato a Londra e dedicato alle vittime di abusi, L'intrigo - guanti puri e senza macchia, Il filo rosso - delitto sui colli.C’è molto di Cesario Picca in Saru Santacroce. Stessa età, stesse origini, stesso modo di vivere vita e lavoro. Laureato in Economia all’Università di Lecce, Cesario Picca si è trasferito a Bologna per lavoro. Si è occupato per molti anni di cronaca nera e giudiziaria lavorando per il quotidiano L’Informazione-Il Domani e collaborando con l’agenzia Adn Kronos.Nel 2002 è stato insignito del premio 'Cronista dell’anno Piero Passetti' grazie a un’inchiesta giornalistica.Cesario Picca was born and bred in Salento, in South Italy. For 25 years he worked as a crime and judicial reporter so it was very simple start writing thrillers. In his books, like Broken Lives and Murder in the Tremiti Isles, there are many real stories crossed with fantasy.He has already published (2005) the juridical essay Senza bavaglio – l’evoluzione del concetto di libertà di stampa (Ungagged - the developing concept of freedom of the press).His love for thrillers blossomed with Murder in the Tremiti Isles where the main character, the reporter from Salento, Rosario Saru Santacroce, is involved in a femicide. But you can find Saru Santacroce in thrillers Gioco mortale - delitto nel mondo della trasgressione, Il dio danzante - delitto nel Salento, Broken Lives, a psychological thriller set in London, dedicated to victims of abuse and inspired by Criminal Minds, Il filo rosso - delitto sui colli, the esoteric L'intrigo - guanti puri e senza macchia.The main character of his thrillers is a rough and rational man, talkative, charismatic, ready to savor every moment of life as if it was the last. Nicknamed Saru (the nickname that is given in Salento to those named like him), the reporter Rosario Santacroce covers the city's crime beat. As often happens, occasionally work also follows him on holidays because a real reporter is destined (almost) never to unplug. And that is probably why he gets entangled in murders.Maybe, between Saru Santacroce and Cesario Picca there are many points in common; they love life and they think life is a gift. They love footing and untill now they have run lots of marathons. A good way, in their opinion, to relax and feel good.In 2002 Cesario Picca was awarded the Piero Passetti prize for 'Reporter of the year'. He is a speaker or moderator at numerous conferences and participates in many radio and television broadcasts.

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    Anteprima del libro

    Cento giorni - Cesario Picca

    Capitolo 1 - Sinistri presagi

    Con la sua supertecnologica struttura in acciaio e vetro, l’avveniristica clinica Healthness svettava rilucente come un fortino impenetrabile nel cuore di una Manhattan in perenne cambiamento. Un sinistro contenitore di oltre 7.000 metri quadrati divisi su quattro piani e raccolti a semi ellisse intorno a un piazzale sul quale svettava una enorme bandiera degli Stati Uniti. Un’infusione di patriottismo che mal si conciliava con le origini dell’azionista di maggioranza. L’imponente struttura, ricoperta di accecanti pannelli fotovoltaici di ultima generazione, aveva sostituito qualche anno prima un vecchio cinema abbandonato con i muri anneriti in parte coperti da graffiti incomprensibili. Un ricettacolo di immondizia che tipi poco raccomandabili avevano trasformato nel loro quartier generale, spargendo ancor più degrado di quanto non ve ne fosse già in quella zona. Spacciatori, tossicodipendenti, clochard, prostitute, vagabondi e piccoli delinquenti con improbabili manie di grandezza ne avevano fatto il loro mondo. Il comune aveva concesso le autorizzazioni a costruire in cambio di lavori dall’indubbio impatto ambientale e sociale che avevano dato un volto nuovo a quella parte della città.

    La vita era presto tornata alla normalità, portandosi dietro un cospicuo aumento dei prezzi delle abitazioni rimesse a nuovo. Tutto ruotava per lo più intorno a quell’austera clinica, dal momento che parecchi appartamenti erano occupati proprio dai suoi impenetrabili dipendenti. Era composta da numerosi laboratori, una decina di sale operatorie e tanti ambulatori che occupavano il primo piano. L’enorme sala convegni, che faceva bella mostra di sé nelle occasioni importanti, si trovava al pian terreno dietro alla reception, e nascondeva gli uffici amministrativi e la segreteria. L’ultimo evento era stato ospitato alcuni anni prima, in occasione dell’inaugurazione della struttura, alla quale avevano preso parte le cariche più importanti della città, sindaco in testa. Tra gli ospiti, anche un deputato e un senatore che avevano il proprio bacino di elettori proprio in quella zona. Qualche malpensante raccontava che i due possedessero pure delle azioni della clinica e che i ricavi che ne derivavano fossero particolarmente generosi.

    Al secondo piano c’erano le camere per i degenti, dotate di ogni comfort ed evidentemente destinate a una selezionatissima clientela, anche se c’era chi giurava di non aver mai visto un paziente in quei corridoi. A disposizione dei medici c’era una fornitissima biblioteca che occupava una buona parte del terzo piano. Su quegli scaffali c’erano volumi preziosi che non tutti avevano la fortuna di poter sfogliare e l’impressione era che fossero lì più per prestigio che per la consultazione. Quella imponente raccolta di libri veniva costantemente arricchita con pubblicazioni scientifiche e congressuali sulla fecondazione e la fertilità. Dottori, tecnici, ricercatori, paramedici e personale di servizio alla Healthness venivano scelti in maniera molto accurata. La selezione era rigidissima e finalizzata ad accogliere solo le menti più sopraffine del Paese, e non solo. Vi lavoravano circa un centinaio di persone, i cui compensi erano decisamente al di sopra della media per le rispettive mansioni. Ogni dottore aveva a disposizione un ufficio proprio al piano della biblioteca e poteva servirsi delle migliori e più avanzate tecnologie.

    Oltre al servizio di vigilanza era stato installato il migliore sistema di sicurezza disponibile sul mercato. Un rivelatore a raggi infrarossi localizzava le fonti di calore; porte e infissi erano dotati di sensori e codici di accesso che venivano cambiati periodicamente ed erano collegati con la centrale operativa posta nel seminterrato. L’ultimo piano era inaccessibile senza un codice personale e l’ingresso era dotato di un sistema di scansione dell’iride. Vi lavoravano genetisti, biologi, ostetrici e tecnici di laboratorio, impegnati in importanti studi di coltivazione, sviluppo e modifica delle cellule. Erano in tutto una decina e, secondo indiscrezioni, erano impegnati in un progetto di riproduzione assolutamente innovativo. A dirigerli era il dottor Jack Mc Strane che ricopriva pure il ruolo di direttore sanitario della clinica.

    Di origini scozzesi, era un migrante di terza generazione. Suo nonno si era imbarcato per il nuovo mondo che non aveva neppure venti anni. Aveva lavorato sodo per mettere su famiglia e farsi una posizione e il padre aveva beneficiato in parte dei frutti di quelle fatiche. Era, però, stato bravo a valorizzarli, riuscendo a far studiare l’unico figlio che aveva potuto permettersi prima che la moglie morisse giovanissima per una malattia incurabile. Il giovane Mc Strane era rimasto molto turbato da quella scomparsa prematura, che lo aveva segnato in maniera indelebile, tanto che il suo sguardo di bambino vispo e sereno aveva perso una parte della sua iniziale lucentezza. Per questo aveva deciso di specializzarsi nella manipolazione cellulare mettendo al servizio della comunità le sue scoperte. Il suo sogno era raggiungere nuove frontiere per impedire che altri ragazzini venissero colpiti da lutti così gravi e strazianti. Si era laureato con il massimo dei voti, mettendosi in luce molto presto, tanto da apparire quasi un predestinato.

    La Healthness era in contatto con le università più prestigiose del Paese, alle quali elargiva importanti e cospicue risorse, ricevendone in cambio le segnalazioni sui giovani più promettenti, come Mc Strane. Jack aveva sempre lavorato nei laboratori della clinica, maturando una grande esperienza nel campo della genetica. Era un uomo taciturno e non amava stare in compagnia. Non si era goduto né gli anni spensierati del college né quelli dell’università. Non aveva tempo da perdere e men che meno da dedicare alle ragazze, che pure ci provavano. Era un bel ragazzo, ma alla lunga il suo modo di fare lo isolava. Non aveva mai praticato alcuno sport, se non da piccolo, quando la mamma lo seguiva a qualunque manifestazione sportiva prendesse parte. Gli piaceva il basket e aveva pure fatto parte della squadra della scuola. Ma, dopo la morte della donna, diede l’impressione di aver perduto qualsiasi slancio vitale. Le maestre pensarono che avesse subito degli abusi e allertarono i servizi sociali.

    A nessuna di loro venne in mente che la gioia di quel bambino tanto allegro e socievole si fosse spenta per il lutto. Certe volte alcune persone mostravano una tale confusione nell’interpretazione e nell’applicazione dei protocolli, da creare più danni di quanti pensassero di risolverne. E certamente la preside non si era data molto da fare nel suo compito di supervisione del lavoro dei propri sottoposti. Così come gli svogliati assistenti sociali non si erano premurati di risparmiare ulteriore dolore a una famiglia già provata dagli eventi. La sorte era stata comunque benevola e aveva posto sulla strada del giovane Jack la vicepreside, che aveva a cuore quel ragazzino con cui condivideva il dolore, essendo rimasta orfana a sua volta in tenera età. Fu proprio lei a bloccare sul nascere quel pericoloso meccanismo che senza alcun dubbio lo avrebbe privato anche del padre, contro il quale si stava già muovendo il procuratore distrettuale, per sospetti abusi e sevizie nei confronti del figlio.

    Come la maggior parte dei ricercatori, Jack Mc Strane seguiva una certa routine. Ma in più occasioni aveva dimostrato di essere un creativo e di possedere la capacità di adattarsi ai cambiamenti. Due qualità che facevano senza dubbio la differenza tra un ricercatore bravo e uno eccellente, in grado di dire la propria nei consessi mondiali. Vigilava con piglio severo sui propri collaboratori, che sceglieva personalmente selezionandoli tra i migliori nella loro specialità. Non faceva mancare loro nulla e andava incontro a tutte le loro esigenze purché dimostrassero abnegazione e fedeltà cieca e assoluta per il lavoro. Ovviamente, non aveva né moglie né figli e nemmeno una domestica che si prendesse cura di lui. L’ultima era stata licenziata dopo la morte del padre, di cui si era preso amorevolmente cura riuscendo a conciliare lavoro ed esigenze familiari, grazie proprio all’ausilio di quel prezioso aiuto di cui adesso non avvertiva più alcuna necessità. Era sempre immerso nei libri e nell’infinita mole di appunti che scriveva quotidianamente nei suoi preziosissimi bloc notes. Trascorreva la maggior parte della sua vita in laboratorio, tra un esperimento e l’altro.

    Per tenere nascosto l’obiettivo del proprio lavoro aveva adottato la tecnica dei compartimenti stagni. Non era un buon metodo, ma fino a quel momento si era dimostrato confacente allo scopo. Chi lavorava con lui era specializzato in una certa branca e doveva svolgere mansioni ben determinate di cui non parlava mai con gli altri, pena il licenziamento e una causa milionaria. Ognuno conosceva solo la parte di lavoro che gli veniva assegnata, non era pagato per fare domande ed era autorizzato a parlare solo se gli veniva espressamente chiesto nel corso di apposite riunioni. Mc Strane era l’unico ad avere il quadro completo, e per questo faceva da preziosissimo collante tra le esperienze e i risultati che venivano raggiunti. Il loro committente si era sempre dimostrato molto bravo a sviare l’attenzione quando l’argomento trattato rischiava di diventare pericoloso. Ed era altrettanto attento alla riservatezza su quanto veniva fatto nei laboratori del quarto piano.

    Per non correre rischi, Mc Strane aveva dotato la clinica di un raffinato sistema di intercettazioni al quale non sfuggiva nessuna comunicazione. Tutto quello che veniva detto era registrato e poi valutato da alcuni fidatissimi addetti alla sicurezza. Solo lo studio di Mc Strane era esente dalle attenzioni di quel Grande Fratello. Ovviamente, nessuno era a conoscenza di quella sistematica e invasiva violazione della privacy immolata al business. Mc Strane sapeva che il suo segreto non sarebbe stato tale molto a lungo perché, nonostante le molteplici precauzioni, aveva comunque a che fare con gente davvero preparata. I suoi collaboratori non erano in possesso di molti dettagli, ma qualche dubbio sorgeva, viste le richieste del rigidissimo supervisore. E più di qualche sospetto alimentavano le tante voci che circolavano sulla presunta capacità di Mc Strane di creare in provetta un essere umano. Qualcuno era giunto persino a sostenere che fosse riuscito a mettere al mondo un clone di alcune scimmie e questa affermazione era stata sufficiente a farlo finire sul lastrico: aveva perso il lavoro, la casa, la famiglia, l’assicurazione e la dignità. Perché la clinica Healthness era molto potente e aveva i mezzi necessari per rovinare l’esistenza a chiunque avesse tentato di intralciare i suoi piani e il suo fiorente business.

    Fino a quel momento nessuno aveva visto i risultati del lavoro di Mc Strane, contornato da un alone di fitto mistero. Ma quelle poche voci che giravano avevano comunque contribuito a creare sospetti tra i colleghi, che lo guardavano con malcelata diffidenza. Nel corso di un convegno tenutosi a Ottawa alla fine degli anni Ottanta, aveva accennato alla possibilità di creare un essere umano bypassando il concepimento. Aveva battezzato quella procedura reazione della vita. Qualcosa in grado di creare una vita manipolando gli ovociti con una proteina che lui stesso aveva sintetizzato. In quell’assise si era limitato a fare un cenno, senza portare prove o mostrare studi. La sua era stata solo una sorta di provocazione, per capire cosa avrebbero potuto pensare gli altri scienziati di un processo a suo modo di vedere inarrestabile. Era stata una grande soddisfazione scoprire di essere l’unico vicino alla clonazione dell’uomo. In quella circostanza era stato deriso e sbeffeggiato dai presenti e addirittura allontanato dal palco e minacciato di radiazione.

    Digiuni di clonazione si erano dimostrati pure gli scienziati dell’ex Unione Sovietica, nonostante i tanti esperimenti condotti in quel campo: grazie ad agganci nella CIA, Mc Strane era entrato in possesso di alcune ricerche segrete condotte dall’Accademia delle scienze di Askania-Nova in Ucraina. In base a quanto aveva appreso, nel 1926 il Politburo del Pcus l’aveva incaricata di realizzare in laboratorio un umanoide dotato di una forza prodigiosa e di un cervello sottosviluppato: un incrocio tra l’uomo e la scimmia poco sensibile al dolore, resistente a qualsiasi temperatura, indifferente a ciò che gli veniva dato da mangiare. Un essere da impiegare indistintamente nel lavoro come nella guerra. Il progetto era stato affidato allo scienziato Ilia Ivanov che già da anni lavorava agli incroci tra animali. Aveva creato zebroidi (metà asino e metà zebra), antilopi-bue, bisonti-mucca e altre specie. Lo scienziato russo, però, aveva dimostrato di non conoscere la differenza tra le varie mappe cromosomiche ed era stata proprio tale misconoscenza a determinare il fallimento della maggior parte dei suoi esperimenti. Soprattutto quando tentò di inseminare scimpanzé e gorilla con sperma umano e di fecondare donne con spermatozoi di scimmia. Era distante anni luce dalla scoperta di Mc Strane. Furono proprio gli Stati Uniti a porre fine al lavoro di Ivanov: mettendo il tutto su un piano di legalità e opportunità politica, convinsero le autorità russe a chiudere il laboratorio.

    La fortuna del luminare scozzese era di avere trovato un magnate suo connazionale che poneva cieca fiducia in lui. Ricco e con un fortissimo fiuto per gli affari, l’azionista di maggioranza era giunto in America dalla Scozia, dove ancora viveva l’unica nipote alla quale un giorno sarebbe toccato quell’impero. La giovane moglie era deceduta a causa di un male incurabile prima ancora di dargli la gioia di un erede, ed era proprio per questo che considerava la clonazione come il modo migliore per affrontare e superare la morte. Si era, dunque, trovato subito in piena sintonia con il ricercatore, animato dalla stessa ambizione. Aveva creato dal nulla quella grande multinazionale del settore biotecnologico e sanitario e non badava a spese pur di far raggiungere a Mc Strane l’obiettivo che si era prefissato. Era sempre stato convinto che quel medico avrebbe fatto qualcosa di sensazionale ed era stato bravo a convincere di ciò anche gli altri azionisti. Aveva parlato loro di una scoperta capace di rivoluzionare il mondo scientifico e di aumentare le loro già enormi ricchezze; anche se lui non mirava solo ai soldi.

    Aveva ingaggiato da tempo una battaglia personale contro il cupo mietitore e soprattutto contro Dio che, a suo modo di vedere, ingannava l’uomo con la promessa della vita eterna solo per impedirgli di autodeterminarsi, sancendo in tal modo la sua sconfitta e quindi la sua inutilità. Quando ce n’era stato bisogno, aveva mosso anche i suoi importanti agganci governativi, e la presenza di due politici di grosso calibro e di altre importanti figure all’inaugurazione del nuovo centro ne era stata la prova. E sempre lui aveva fornito a Mc Strane il rapporto segreto della CIA sugli esperimenti sovietici; il ricercatore lo aveva ricambiato dimostrando tutto il suo valore.

    Capitolo 2 – Una scoperta rivoluzionaria

    Il primo passo per il successo della sua teoria era stata l’invenzione di una proteina capace di accelerare e controllare la riproduzione cellulare. Le cellule tumorali parevano avere parecchia somiglianza con quelle dell’embrione, a cominciare dallo stesso ciclo rapido di divisione. Lavorando sulla loro proliferazione, Mc Strane aveva scoperto il meccanismo che causava le mutazioni cancerogene. E, intervenendo con la sua proteina prima della moltiplicazione cellulare neoplastica, era riuscito a controllare lo sviluppo sano delle cellule. Quella proteina si era dimostrata capace di inviare alle cellule segnali specifici, di volta in volta decisi dal genetista che così ne dirigeva l’attività.

    Con quella scoperta, Mc Strane era riuscito a bloccare il male per eccellenza, e questo avrebbe potuto valergli il premio Nobel. Di fatto, aveva raggiunto il suo scopo, quello per cui tanto aveva lavorato subito dopo la morte prematura di sua madre. Ma giunto a quel punto, lo scienziato voleva ancora di più, animato com’era dalla sensazione di onnipotenza che i risultati dei suoi studi avevano contribuito dapprima a far crescere e poi a far degenerare. Non si accontentava più di salvare un uomo, Mc Strane pretendeva di crearlo. Per questo la scoperta dell’innovativa proteina era stata tenuta nascosta. Con il suo assenso, gli investitori avevano deciso di renderla pubblica solo se la clonazione, che era ormai l’obiettivo principale, non fosse andata in porto.

    Per dare vita al suo ingegnoso cavallo di Troia, era partito dalla normale funzione della proteina, creando una sorta di sintesi degli efficienti sistemi enzimatici di riparazione che, solitamente, nelle mutazioni genetiche staccano le basi alterate sostituendole con quelle giuste. Pertanto, messa sotto controllo la proliferazione, si era concentrato sul differenziamento che permetteva di formare i vari organi del nascituro. Ma, neutralizzando la sostanza enzimatica subito dopo la proliferazione, le cellule non erano più sotto il controllo del manipolatore e di conseguenza si comportavano liberamente, autodeterminandosi. Con la sua proteina, Mc Strane aveva risolto pure questo problema. Dopo aver capito ciò che gli serviva per la clonazione, aveva preteso ricerche mirate dai propri collaboratori e gli era bastato mettere assieme i risultati raggiunti per conseguire il risultato finale.

    Per mettere in moto il meccanismo servivano una cellula uovo e il Dna estratto da un bimbo appena nato, ma entrambi i donatori dovevano avere il gruppo sanguigno zero negativo. Unendo la proteina con una sola molecola di quel codice genetico veniva fuori una sostanza capace di controllare tutti i caratteri di un organismo. Fino a quel momento, però, l’equipe messa in piedi da Mc Strane non era riuscita a ottenere buoni risultati perché erano mancati i donatori in grado di soddisfare quei requisiti fondamentali. Nonostante i cospicui fondi a disposizione, la perfetta macchina da ricerca della Healthness era stata costretta a rallentare la propria corsa e ora era impegnata a bypassare anche quegli ostacoli. In attesa che le condizioni ideali si materializzassero, Mc Strane aveva risolto il problema etico e legale che certamente sarebbe derivato dall’uso di un utero in affitto. Impiantare una cellula uovo fecondata artificialmente nell’utero di una donna avrebbe sollevato infinite critiche. C’era da credere che il progetto si sarebbe trovato contro movimenti d’opinione, riviste scientifiche, ambienti accademici ed ecclesiastici. Ed era altrettanto facile supporre che di fronte a tanto clamore si sarebbero mossi pure i più importanti studi legali d’America. I principi del foro avrebbero cercato in tutti i modi di convincere la donatrice a denunciare lo sfruttamento del proprio corpo. Logico, a quel punto, attendersi una causa miliardaria col rischio di mettere in difficoltà la clinica mandando in fumo i suoi ricchissimi progetti.

    Fu così che in soccorso di Mc Strane giunse un suo vecchio compagno di studi che aveva inventato una sorta di utero artificiale. Una speciale incubatrice in cui far crescere l’embrione come se fosse nel grembo di una donna. Quell’anno accademico doveva essere stato molto fertile se due studenti dello stesso corso si erano dimostrati capaci di invenzioni di portata così rilevante. Il cuore della macchina era una membrana molto sofisticata, costruita con un lattice particolare, che fungeva da placenta. Un cordone ombelicale artificiale collegato all’esterno svolgeva la funzione dei villi coriali. Erano questi ultimi a permettere l’alimentazione dell’embrione nelle prime fasi del suo sviluppo. Per garantire l’elasticità necessaria, l’organo era stato studiato per restare sospeso, reggendo il peso del feto e del liquido amniotico nel quale cresceva. Le sostanze nutritive necessarie venivano immesse attraverso un dosatore elettronico di altissima precisione: il cervello elettronico seguiva una tabella nutrizionale ben precisa e monitorava costantemente le funzioni vitali del feto, fornendo al dosatore gli input per l’alimentazione. Tecnicamente era tutto pronto, serviva solo l’occasione propizia.

    Capitolo 3 - Il parto

    Disturbato dalle urla concitate del portiere, Jack Mc Strane distolse l’attenzione dai propri studi e, infastidito, chiese allo scocciatore cosa ci fosse di tanto grave da costringerlo a strillare in quel modo. L’uomo pareva un invasato, gli occhi fuori dalle orbite. Cercava qualcuno che autorizzasse il ricovero di quella sconosciuta che, senza un intervento d’urgenza, rischiava di morire insieme al nascituro. Il cuore del medico ebbe un sussulto improvviso e i suoi occhi si illuminarono come quelli di chi vince alla lotteria. Mc Strane ebbe come la sensazione che quella fosse l’occasione che aspettava e non se la fece sfuggire. Diede immediatamente l’autorizzazione al ricovero, convocò gli infermieri in servizio e diede disposizione di preparare la sala operatoria. Il portiere non riusciva a credere che in quella mega clinica da 5.000 e più dollari al giorno fossero diventati all’improvviso così magnanimi da prestare le cure a una donna senza chiederle prima l’assicurazione e senza preoccuparsi di chi avrebbe coperto le spese.

    Nel giro di poco tempo la paziente venne condotta sotto la luce delle lampade scialitiche della sala operatoria. Le ferriste avevano già preparato gli strumenti chirurgici, allineandoli nelle vaschette di acciaio, ricoperti di teli sterili. Poco dopo, dalla stanza di lavaggio giunse il dottor Mc Strane, che si trovò di fronte una nutrita schiera di validi assistenti. Un’infermiera gli allacciò il camice verde dietro la schiena e lo mise al corrente dell’urgenza di procedere. La partoriente, infatti, non stava affatto bene, il suo battito cardiaco era sempre più debole e il feto era ormai in sofferenza. Serviva un parto cesareo. Il rianimatore fece indossare alla donna una maschera e la anestetizzò. Prima di usare il bisturi, Mc Strane spronò i propri collaboratori a dare il meglio di sé per salvare quelle due vite in pericolo. In sala c’era parecchia tensione. Nessuno osava parlare e si udivano solo gli ordini perentori di Mc Strane, intervallati dai bip regolari della strumentazione.

    L’intervento durò circa un’ora e riuscì perfettamente, nonostante le complicazioni iniziali. Venne alla luce un bel maschietto di 3,3 chilogrammi che venne depositato per precauzione in un’incubatrice. C’era solo qualche complicazione per la mamma, quindi i medici decisero di tenerla costantemente monitorata, nonostante non la ritenessero in pericolo di vita. Mc Strane si occupò personalmente del prelievo del sangue dal cordone ombelicale e portò tutto immediatamente in laboratorio. La neomamma venne accompagnata in una camera silenziosa che dava sul giardino interno della clinica, nel quale erano stati piantati alberi di palma e tanti fiori a contorno di una fontana in stile barocco. Oltre al letto destinato al paziente, ce n’era un altro per l’eventuale accompagnatore. Quando giunsero i risultati delle analisi

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