Storie di scienza e altra roba forte
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Info su questo ebook
Per raccontarle, Andrea Bellati crea percorsi invisibili, capaci di unire il mondo di oggi alla storia delle sue origini, alle leggi fisiche che lo governano, ai romanzi e ai film che ne raccontano le meraviglie. Una rigorosa divulgazione adatta a tutti, brillante e divertente, che non si riesce a smettere di leggere.
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Anteprima del libro
Storie di scienza e altra roba forte - Andrea Bellati
genitori
Prefazione
Non so come la prenderebbe Andrea Bellati, se qualcuno attaccasse alla sua ars divulgatoria l’etichetta contemporanea di Pop Science.
Forse produrrebbe una di quelle facce un po’ perplesse/schifate/rabbrividenti che fanno parte del suo vasto e spassosissimo campionario espressivo. Ma poi dovrebbe arrendersi all’evidenza. E anzi, alla dura lex (sed lex) dell’etimologia. Pop
contiene Popolo
. Divulgare
contiene volgo
. Che è un po’ i’stess, come direbbero gli abitanti della sua Barona, e di Milano.
E quindi, visto che siamo nel 2020, Andrea Bellati è un Pop Scientist. Se ne faccia una ragione. Non che ci sia qualcosa di male a esserlo. Anzi. La Pop Science che il Bellati pratica giorno e notte, per iscritto o in video, davanti a un pubblico sbalordito o alle sue bambine, è esattamente quel mezzo che ha consentito alla Science di fuggire da quel mondo un po’ vetusto fatto di laboratori polverosi e vecchie biblioteche - popolato da bizzarri signori con grandi cervelli e spalle piene di forfora - e di giungere fino a noi. Noi volgo. Noi Pop. Noi che non sappiamo cosa sia la fotosintesi clorofilliana (si scrive così?), che pensiamo che il mondo sia piatto, che la natura sia roba per bambini delle elementari, che #chissenefregadelriscaldamentoglobale, noi che ah, ma quindi esistono dei virus letali
?
Ora che qualcuno invece sa farci appassionare alla Scienza, forse dovremmo starlo a sentire. Ecco perché, soprattutto in questo periodo storico, avremmo bisogno di più Andrea Bellati, per ricordare a noi esseri digitalizzati con manie di supremazia che alla fine siamo solo un ammasso di cellule e filamenti. E che no, non comandiamo noi.
Ma per fare questo ci vogliono due arti, non meno importanti della conoscenza. La prima è la capacità di comunicare. E questo al Pop Scientist della Barona non manca. Perché il Bellati non è solo un profondo conoscitore e amante della scienza. Ma è anche un fine narratore (anzi dai, scriviamo storyteller, così magari si incazza ancora di più), che sa quali storie e aneddoti scegliere per creare la perfetta alchimia di un racconto divulgativo. Stimolare la curiosità attraverso vite e vicende straordinarie, imprevedibili e oblique è il modo migliore in cui veicolare la cultura a noi masse.
E poi c’è la seconda arte, per nulla scontata: quella di una scrittura chiara, precisa, lineare, ritmata, che resta incollata al contenuto senza perdersi in fronzoli. Una boccata d’aria fresca. E ti sei letto 20 pagine senza manco accorgertene. Insomma. Io starei ore a leggerlo. Stateci anche voi.
Pablo Trincia
Autore e amico
Milano (Barona), 5 aprile 2020
Introduzione
A Londra c’è uno strano locale. Pare un po’ museo e un po’ pub, un po’ mercatino delle pulci e un po’ biblioteca. Propone corsi di imbalsamazione, aperitivi con gli insetti e mostre fotografiche. Ci sono oggetti alla rinfusa, appesi alle pareti, stipati sugli scaffali, illuminati nelle vetrine: tutte cose piene di storia e dall’aria molto scientifica. Il locale mescola scienza e storia, musica e letteratura, aneddoti e arte. Impossibile guardare senza commentare, ogni cosa invita a conversarne. Questo è lo spirito del libro. Sopra ogni argomento scientifico nascono per gemmazione storie di donne e di uomini memorabili, approfondimenti, curiosità. Ogni capitolo si chiude con le opere citate, i film e i libri. E c’è pure qualche esperimento scientifico da fare a casa.
Storie del clima che cambia
Una svedese sedicenne sfida il vento, il freddo e la pioggia per portare in piazza la sua protesta contro il clima che cambia. Lo fa con grandi cartelli dove con il pennarello scrive frasi dure per denunciare la gravità di un pericolo globale e l’indifferenza dei politici che dovrebbero decidere e intervenire. Dal 20 agosto 2018, quando Greta Thunberg marinò la scuola per portare il primo cartello davanti al parlamento svedese, le sue treccine e il suo viso severo sono diventati il simbolo di una presa di coscienza: il cambiamento climatico è reale e sta succedendo in questo momento. Chi ha detto questa frase? Leonardo di Caprio alla Notte degli Oscar del 2016, premiato per la sua interpretazione del cacciatore di pellicce massacrato dagli uomini e dalle bestie feroci nel film Revenant. Era un riconoscimento che aspettava da tanto tempo, tutti lo hanno preso in giro, povero Leo, perché ogni anno annusava l’Oscar ma poi lo davano a qualcun altro. Quando finalmente ha stretto la statuina tra le mani, ha ringraziato commosso tutti quanti e ha colto l’occasione per dire al mondo che: Climate change is real. It is happening right now
. Lo ha dichiarato in quello che, probabilmente, è stato il momento più importante della sua carriera a dimostrazione di quanto l’argomento clima gli stia a cuore. Di Caprio è portavoce di un movimento sempre più grande che ritiene l’impatto delle attività umane sul Pianeta un tema da affrontare con urgenza. It is the most urgent threat facing our entire species
, (è la peggior minaccia per l’umanità) ha aggiunto l’attore prima di scendere dal palco degli Oscar. Di Caprio è stato nominato messaggero di pace dall’Onu, è intervenuto a Parigi al vertice sul clima COP21 nel dicembre 2015, ha detto la sua nelle conferenze internazionali più importanti, ha realizzato a sue spese il documentario Before the Flood (Punto di non ritorno) e ha affrontato il tema con l’allora presidente degli USA Barack Obama e con Papa Francesco. Ha ragione Leo? I cambiamenti climatici sono davvero così pericolosi? Cosa dice la scienza?
L’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) è un gruppo di esperti di clima di nazionalità diversa. IPCC ha vinto il Nobel per la Pace nel 2007 insieme ad Al Gore (45º Vicepresidente degli Stati Uniti), è stato fondato nel 1988, conta 195 paesi ed è il principale ente scientifico che studia i cambiamenti climatici. IPCC conferma che il clima sta cambiando a causa delle attività umane e che la quantità dei gas che scaldano la Terra con l’effetto serra è in aumento costante. Gli scienziati dell’IPCC avvertono: se non limitiamo le emissioni di gas serra siamo spacciati.
L’effetto serra
Una serra è un ambiente chiuso e controllato dove le piante crescono a temperatura e umidità costanti. È un modo di coltivare che annulla gli effetti delle stagioni perché dentro alla serra il tempo è sempre bello. Il sistema funziona grazie alla copertura trasparente, di vetro o di plastica, che trattiene all’interno della struttura un po’ del calore del sole. L’effetto serra fa una cosa simile: i gas serra intrappolano un po’ di energia solare nell’atmosfera e scaldano il pianeta.
L’anidride carbonica è il gas che contribuisce maggiormente all’effetto serra (60%); è seguita dal metano (20%), dall’ozono (15%), dagli ossidi di azoto (10%) e dai clorofluorocarburi (5%). Mentre l’anidride carbonica, l’ozono, il metano e gli ossidi di azoto sono in buona parte di origine naturale, i clorofluorocarburi sono artificiali; si tratta di gas un tempo utilizzati nei frigoriferi e nelle bombolette spray e, dato che hanno provocato il famoso buco nell’ozono, sono stati banditi nel 1990, ma sono gas resistenti e quelli ancora in circolazione continuano a fare danni.
L’effetto serra è una cosa buona perché scalda il pianeta e rende possibile la vita sulla Terra. Senza l’effetto serra la temperatura media del nostro pianeta sarebbe di -19 C°, solo un po’ più caldina di quella di Marte. Su Marte, infatti, quando fa caldo ci sono venti gradi sottozero, mentre in inverno la temperatura scende a -120 C°: la media è di -40C°. Marte ha pochissima aria e la sua atmosfera è poco densa. Se da noi un metro cubo di aria pesa un chilo, su Marte pesa solo 10 grammi. C’è acqua marziana ma è congelata oppure raccolta in laghi salati sotterranei. Eppure, un tempo c’erano fiumi e laghi che hanno lasciato tracce evidenti, come canyon, valli e bacini oggi completamente asciutti. Un tempo su Marte non faceva così freddo perché prima che il vento solare spazzasse via l’atmosfera, l’effetto serra scaldava la superficie del pianeta abbastanza perché il ghiaccio fondesse. Forse esistevano semplici forme di vita che probabilmente si estinsero quando giunse il freddo. Quindi ringraziamo l’effetto serra ma, come dice il proverbio, il troppo stroppia.
L’indigestione fossile
Il principale gas serra è, quindi, l’anidride carbonica: una sostanza fondamentale per la vita tanto quanto l’acqua.
Le piante catturano l’anidride carbonica dell’aria e, grazie alla luce del sole, la combinano con l’acqua per formare i carboidrati, ovvero zuccheri e amidi: è il miracolo della fotosintesi il cui prodotto di scarto è l’ossigeno. Gli animali respirano ossigeno, mangiano i carboidrati ed eliminano anidride carbonica nell’atmosfera. Questo ciclo perfetto e senza scarti funziona da miliardi di anni: le piante crescono grazie alla luce del sole e a ciò che gli animali buttano via, gli animali mangiano le piante e restituiscono all’ambiente ciò che serve al regno vegetale per vivere. Anche gli organismi che si trasformarono in idrocarburi, cioè petrolio, gas e carbone, erano parte del ciclo. Erano per lo più microrganismi acquatici che morirono e si accumularono sui fondali e che i movimenti della Terra seppellirono sotto strati di sedimenti. Laggiù il calore e la pressione della roccia li trasformarono in petrolio, gas e carbone e laggiù sono rimasti per milioni di anni fino a quando due secoli fa abbiamo cominciato a portarli in superficie e a bruciarli: ecco perché si chiamano anche combustibili fossili. Quando bruciamo la benzina nei motori delle auto, il gas nelle caldaie e il carbone nei generatori di energia elettrica, liberiamo nell’atmosfera quella vecchia anidride carbonica che ormai era uscita dal ciclo. In questo modo abbiamo scombinato l’antico equilibrio.
Dalla metà dell’800, con la rivoluzione industriale, abbiamo cominciato a usare i combustibili fossili in modo massiccio, prima il carbone per far andare le macchine a vapore, poi il petrolio delle auto e il gas. In questo modo la quantità di anidride carbonica in atmosfera è aumentata moltissimo: da 280 parti per milione a 410. Parti per milione (PPM), ovvero si prende un campione di aria, si divide in un milione di parti e si misura quante di queste sono di anidride carbonica. 410 PPM sembra una quantità insignificante, una bollicina, ma se si considera la vastità dell’atmosfera fanno miliardi e miliardi di tonnellate.
Il riscaldamento globale
A causa dell’effetto serra nell’ultimo secolo la temperatura media del pianeta è cresciuta di circa un grado centigrado. Sembra un altro valore trascurabile ma il clima è un meccanismo molto delicato che dipende da numerosissimi ingranaggi: toccarne qualcuno potrebbe avere conseguenze imprevedibili. Qualche conseguenza, invece, è già evidente. Tra il 2009 e il 2017 l’Antartide ha perso oltre 252 miliardi di tonnellate di ghiaccio all’anno, quanto 1.800.000 navi da crociera, mentre dall’altra parte, nel Mar Glaciale Artico, in estate il ghiaccio scompare anche dove prima non si scioglieva mai. Il Passaggio a Nord Ovest è la mitica e pericolosissima rotta che collega l’Oceano Atlantico al Pacifico attraverso il Mar Glaciale Artico. A partire dalla metà del XVI° secolo fino agli inizi del XX°, un sacco di esploratori lo ha cercato invano tra i ghiacci del Polo Nord e l’Alaska, il Canada e la Groenlandia: lo spagnolo Francisco de Ulloa, inviato da Hernán Cortés, gli inglesi John Davis, William Baffin, Henry Hudson. Non è un caso se isole, baie, golfi e fiumi dell’estremo Nord portano i nomi di questi navigatori. Ci fu anche un italiano, Alessandro Malaspina, che verso la fine del ‘700 cercò il Passaggio per la corona spagnola ma non ci riuscì. Nel corso dei secoli, il Passaggio a Nord Ovest ha fatto una strage di marinai: nel 1845 gli equipaggi delle navi HMS Erebus e HMS Terror morirono tra i ghiacci.
Immagine 1 - HMS Erebus in the Ice, dipinto di François Etienne Musin, 1846. Royal Museums Greenwich.
Il Passaggio a Nord Ovest fu finalmente conquistato dal grande esploratore norvegese Roald Amundsen nel 1906: 120 anni più tardi, nell’estate del 2016, una nave da crociera ha compiuto per la prima volta la traversata. Quella che un tempo fu una meta impossibile, oggi accoglie i vacanzieri. Un viaggio di lusso per pochi e ricchi turisti: biglietti da 120mila dollari, più un’assicurazione di 50mila dollari: un incredibile sfoggio di potere e di benessere.
Il bello del petrolio
Viviamo in un’epoca di sostanziale prosperità, almeno noi che abitiamo in paesi sviluppati, un’epoca di prodotti e di servizi scambiati a prezzi molto bassi, forse unica nella storia dell’uomo. Alla radice di questa cuccagna c’è da oltre un secolo la grande disponibilità di combustibili fossili a basso costo. Il petrolio in particolare è una formidabile fonte di energia e di materie prime. È liquido, compatto, facilmente trasportabile. Da piccole quantità si ottiene molta energia: in un litro di petrolio c’è l’energia che può essere