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Le lettere del cuore
Le lettere del cuore
Le lettere del cuore
E-book205 pagine2 ore

Le lettere del cuore

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In questa articolata raccolta di lettere che il cuore sembra suggerire direttamente alla penna, e che fa della parola, intrisa di significati, la sua nota più ricercata, si intrecciano le riflessioni sull’amore, fino a quella nudità essenziale del godere che lo abitano, che cambia e ci cambia, nel suo passare e accadere.
LinguaItaliano
Data di uscita20 mar 2020
ISBN9788831664394
Le lettere del cuore

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    Anteprima del libro

    Le lettere del cuore - Francesca Giustini

    in­fi­ni­to."

    PRESENTAZIONE

    Da un ac­cor­do-di­sac­cor­do in­te­rio­re, si scor­po­ra e si fis­sa l’esi­sten­za in una sor­ta di dram­ma­tur­gia dell'ac­ca­de­re, qua­le lo­gi­ca ef­fi­me­ra ed estre­ma di coe­ren­za e lu­ci­di­tà.

    Una rac­col­ta di let­te­re do­ve chi leg­ge é tra­spor­ta­to, da chi scri­ve, at­tra­ver­so il sus­se­guir­si di un'in­ter­con­nes­sio­ne di suo­ni e di se­gni del di­re, om­bro­so e lu­mi­no­so in­sie­me, nel vis­su­to di una sen­si­bi­li­tà a tal pun­to pe­ne­tran­te da in­con­tra­re una nuo­va si­gni­fi­can­za dell'es­se­re, uno sguar­do te­so a im­pri­me­re un rin­no­va­to va­lo­re so­stan­zia­le dell'esi­sten­za poe­ti­ca, ta­le, da ri­no­mi­nar­ne l'esi­sten­te, si­gni­fi­can­za che sa es­se­re fi­ne e ini­zio al tem­po stes­so in un ar­mo­ni­co coe­si­ste­re.

    Un coin­ci­der­si, all'uni­so­na con­ver­gen­za del sé nell'al­tro, pri­va­to del som­mer­so e del non det­to, un con­fron­to con­sa­pe­vo­le, ca­pa­ce di non pa­ti­re l'estra­nei­tà del pre­sen­te av­vol­to dal­la pa­ti­na in­du­ri­ta dal tem­po, che muo­va il de­si­de­rio di di­mo­rar-si in quel­la re­gio­ne do­ve ospi­ta­no i so­gni.

    Quel con­ce­der­si di non ri­fiu­ta­re le stria­tu­re del ge­me­re e del vi­ver-si, in uni­so­no al­li­nea­men­to, per con­dur­si a quel­la nu­di­tà es­sen­zia­le dell'amo­re e del go­de­re che lo abi­ta­no.

    At­tra­ver­so la va­len­za poe­ti­ca del­la scrit­tu­ra, il di­sli­vel­lo tra le co­se e l'amo­re di ie­ri e quel­le non an­co­ra tra­scor­se, per­ce­pi­te pe­rò nel­la chia­rez­za pro­iet­ti­va del­la li­ri­ci­tà epi­sto­la­re, ci ri­por­ta al­la fon­te men­ta­le, la per­ma­nen­za dei no­stri sen­ti­men­ti e, in par­ti di noi stes­si, il pro­fon­do ra­pi­men­to del cuo­re che è la car­ne e la se­te dei sen­si.

    Nel­la ri­ve­la­zio­ne in­tro­spet­ti­va, i tra­spor­ti dell'ani­ma di­ven­ta­no dun­que tes­su­to d'espe­rien­za sog­get­ti­va, i vin­co­li del det­to e del non det­to trion­fa­no, nel­la cat­tu­ra espres­si­va del­la me­mo­ria, con­ta­mi­nan­do l'in­vol­to in­ti­mi­sta in cui ogni pa­ro­la sof­fre per man­can­za di pe­so.

    Nel­la mia ma­no la vi­sio­ne si fa ge­sto e scrit­tu­ra e non ap­pa­re che in es­sa.

    Fran­ce­sca Giu­sti­ni

    Sca­lo a sor­si la sor­gen­te del tuo amo­re da un at­trac­co di on­de nel­la not­te, da una scia di ma­rea sul­le rot­te vi­ra­li de­gli an­ni, da una ve­glia tem­pe­sto­sa, da un ba­gno ar­so di mie­le nel­la go­la, da un car­dia­co nul­la nel­lo spa­zio svuo­ta­to dal buio, dal­le so­glie pro­fu­ma­te del re­spi­ro, dai giu­ra­men­ti del­le ma­ni che ina­nel­la­no vi­bra­zio­ni di ore, da­gli istan­ti in­tes­su­ti di ca­rez­ze, da ustio­ni di pa­ro­le ri­so­nan­ti sul­la boc­ca, da uno scrit­to che va ol­tre il li­mi­te del fo­glio, da un'al­ba che ruo­ta in­tor­no a un so­le esplo­so den­tro il cuo­re, e da tut­to il sen­ti­re e ve­de­re la tua pie­na pre­sen­za.

    E apren­do gli oc­chi, co­glie­rò dal tuo sguar­do, il fuo­ri e il den­tro di un ri­chia­mo sen­za con­tra­sto, che ar­de chia­ro i sen­si, den­tro una ca­sca­ta a ri­tro­so di at­ti­mi da di­re, fia­to a fia­to.

    E' un tem­po ral­len­ta­to e in­gor­do il no­stro, sem­pre pre­sen­te, an­nu­sa­to feb­bril­men­te dal­le mie al­le tue ma­ni, sen­za omis­sio­ne al­cu­na che pos­sa ot­te­ne­brar­ne ogni pur lie­ve cur­va­tu­ra, e in for­me mu­te­vo­li e de­cli­nan­ti nel­la men­te, cu­sto­di­sce in noi l'uni­ver­so.

    Un al­tro ven­to si sol­le­va, nel ri­stret­to e nell'am­pio di ogni qua­lun­que ra­gio­na­men­to che ci fa al­lon­ta­na­re dal mon­do, co­sì co­me lo vi­via­mo; e per no­stra vo­lon­tà, si ri­du­ce, sul­la sca­la mi­ni­ma­le del­la vi­ta, que­sta in­sop­por­ta­bi­le di­stan­za, oc­cu­pa­ta da evi­den­ze na­sco­ste, fi­no all'ir­ri­du­ci­bi­le pun­to che uni­sce, l'ec­ci­tan­te del­la men­te, nel cor­po.

    Mai co­stret­ti den­tro un vuo­to re­spi­ra­to co­me l'aria, ci è vi­ta­le an­che il so­lo tra­scor­re­re, in­sie­me, le esi­gue ore, per cui re­pu­to im­por­tan­te scan­da­gliar­ne il di­rit­to e il ro­ve­scio, nel ver­zie­re del pre­sen­te, dai con­tor­ni sem­pre più net­ti, che in es­se pro­du­ce i suoi per­pe­tui gior­ni, i me­si e poi gli an­ni, sen­za mi­su­ra­re il pe­so che ci por­tia­mo ad­dos­so e che smuo­ve le mol­ti­tu­di­ni del no­stro pen­sie­ro, vor­ti­can­te nel­la sua stes­sa oscu­ra e chia­ra pie­nez­za.

    Non pos­sa aver fi­ne, fra la vo­ce e lo scrit­to, la com­ples­si­tà del no­stro rap­por­to, né l'in­tri­de­re di sil­la­be il no­stro re­spi­ro, né la so­stan­za che in un so­lo ge­sto ci fa toc­ca­re il cie­lo, lie­ve ed im­mo­bi­le sul fi­lo del fia­to.

    Che non pos­sa­no fi­ni­re, sul­le scie ven­to­se dell'az­zur­ro, e in vo­lo sul fo­glio, tut­te le gio­ie del cuo­re, a es­se­re una, li­be­ra di pro­se­gui­re sot­to­pel­le, fi­no all'ul­ti­mo gior­no.

    Si eri­ge sul­le pa­ro­le l'esi­gen­za di espri­mer­ti il mio amo­re e l'am­mi­ra­zio­ne che ap­pa­ga il ve­de­re ogni este­rio­riz­za­zio­ne del­la tua ma­sco­li­ni­tà che sfio­ra le for­me del pen­sie­ro, la mae­stà e la pul­sio­ne dei suoi abis­si, e tut­ti gli ele­men­ti e le tra­sfor­ma­zio­ni che, nei luo­ghi del­la men­te, fan­no del­la no­stra vi­ta qual­co­sa di ir­ri­pe­ti­bi­le.

    In noi esi­ste la na­tu­ra­lez­za che si af­fi­da al no­stro spi­ri­to e al­la no­stra in­tel­li­gen­za, at­tra­ver­so cui il ca­pric­cio del­la real­tà e la po­ten­za di un so­gno han­no ac­cre­sciu­to l'istin­tua­li­tà, le ela­bo­ra­zio­ni e l'af­fer­ma­zio­ne del no­stro sen­ti­men­to; co­sì, ora, tan­to con­cre­ta si ri­ve­la la no­stra li­ber­tà nel sen­ti­re più al­ta la fie­rez­za dell'amo­re, che nel com­pier­si di istan­ti e sen­sa­zio­ni, sfug­ge da noi e ai no­stri stes­si oc­chi, il li­mi­te e la bre­vi­tà dei no­stri in­con­tri, at­tra­ver­so il gio­co ine­lu­di­bi­le del ri­schio.

    Vor­rei con­cre­tiz­za­re tut­to ciò che nel tuo sguar­do re­sta as­sen­te del mio, tut­to ciò di cui si sod­di­sfa la tua men­te nell'ir­ra­zio­na­li­tà del­la mia, tut­to ciò che del tuo sor­ri­so ren­de de­si­de­ra­bi­le la tua boc­ca, fi­no a por­si, con chia­rez­za, di fron­te al­la vo­lon­tà di es­se­re noi stes­si, per com­pren­der­ne il van­tag­gio.

    Non è nien­te l'av­ve­ni­re se già non fos­se ades­so.

    Po­trò mai espri­mer­ti i pen­sie­ri, d'ogni for­ma con­ce­pi­ti, e im­pres­si dell'or­go­glio di pen­sar­ti?

    Quan­to il pen­sa­re può es­se­re vi­si­bi­le?

    Nel­la lo­ro tra­spa­ren­za mi tra­spor­ta­no di là del pen­sa­bi­le e tan­to più lo ca­pi­sco, tan­to più mi ap­pa­io­no ca­po­vol­ti nel­la men­te, tut­ti i si­gni­fi­ca­ti pas­sa­ti del­la mia vi­ta e l'as­sur­do d'es­se­re in sé no­vi­zi, im­me­dia­ti e po­ten­ti del no­stro sen­ti­men­to, nel mo­strar­si di un nuo­vo, fan­ciul­lo al­fa­be­to.

    E mi ap­pa­re quin­di ve­ro, il no­stro fre­ne­ti­co, sua­den­te so­gno.

    Amo sve­gliar­mi ac­can­to a te, nel­lo stes­so mo­men­to in cui si in­con­tra col ve­ro, di­pin­to nei no­stri sguar­di.

    L'as­sen­za di un al­tro tem­po, di un al­tro luo­go, nell'og­gi che si di­ce li con­ten­ga­no, at­tor­no e lon­ta­no da mi­nu­sco­li fram­men­ti di istan­ti, in cui de­ve in­fi­ne de­fi­nir­si già vec­chio quel che è sta­to il mio ie­ri, è l'as­sen­za di me stes­sa dal pas­sa­to, dai suoi dop­pi, dal­le sue ri­pe­ti­zio­ni che non sa­reb­be one­sto, per noi, mol­ti­pli­ca­re; e da que­sto mo­men­to, quel che fin­ge­va di es­se­re con­tras­se­gno e bi­lan­cia del mio tem­po, si ri­ve­la con­tra­rio al mio pen­sie­ro, in cui ap­pa­re, per con­tro, il va­lo­re co­stan­te del­la mia iden­ti­tà, del­la mia vo­lon­tà, del­la mia li­ber­tà, più con­for­mi a una giu­sta, fe­li­ce esi­sten­za.

    Que­sto fo­glio è il mio cor­po, il mio vol­to, il mio pro­fi­lo, il no­me, l'ani­ma, lo spi­ri­to, la cri­ti­ca, l'ana­li­si di tut­to ciò che in­ten­do e so­no; e dac­ca­po, nell'og­gi me­no aspro, tra­scor­re la mia vi­ta, non an­co­ra pie­ga­ta sot­to il pe­so dei li­mi­ti, le su­tu­re e gli ur­ti de­gli an­ni, le fe­ri­te e i più cru­di com­men­ti; ho vo­lu­to lo­ro at­tri­bui­re un sen­so, un di­re che do­ve­va es­se­re det­to ma che ora ri­chie­de si­len­zio.

    Que­sto fo­glio è le fra­si con cui è fat­to, è la pre­fa­zio­ne di quel­lo che di­rò, è la so­vra­ni­tà cui è de­sti­na­to, è una vi­ta nuo­va che ini­zia a de­fi­nir­si, è il pia­ce­re del­la tua pre­sen­za.

    Di not­te in not­te, sul pal­li­do sva­ni­re che tra­sci­na ver­so il gior­no l'al­tro ca­po dell'im­men­so fir­ma­men­to, s’in­se­guo­no fram­men­ti di me­mo­rie fra oscil­lan­ti pen­sie­ri, che già un tem­po, fu­ro­no pa­ro­le, so­vra­stan­ti il rit­mo del­la vi­ta, lun­go la via che na­scon­de e di­sper­de il suo se­gre­to.

    Dia­lo­ga­no i ri­cor­di, nel lan­guo­re di un at­ti­mo che scen­de a in­car­nar­si ne­gli istan­ti dei miei gior­ni per­du­ti, fi­no al di­re, tra lo­ro, del ti­mo­re di sfu­ma­re nel­le oscu­re ca­vi­tà del ver­bo, pri­ma dell’ini­zio, e pri­ma del­la fi­ne di tut­te le il­lu­sio­ni e dei gior­ni che fan­no l'esi­sten­za, pri­ma del­la fi­ne e pri­ma dell'ini­zio dell'ul­ti­ma pa­ro­la e del suo pro­nun­cia­men­to; e an­co­ra, an­co­ra, an­co­ra di­re, di que­sto pie­no vuo­to del­la men­te, all'in­cro­cio sen­za en­tra­ta, e nel nu­cleo sen­za usci­ta, d'ogni suo­no e si­len­zio.

    E nell'at­ti­mo im­mo­bi­le e mo­no­to­no, an­ti­chi stra­ti di sta­ti­ci­tà in­go­ia­te, ir­ri­gi­di­sco­no ma­la­te bra­mo­sie d'esi­sten­za, sui con­trap­pe­si scar­ni­ti dei sen­si, che si­gil­la­no un pas­sa­to po­stic­cio, da un pun­to sot­to­stan­te il cuo­re; co­sì, al­lo­ra, de­si­de­ro il mio di­re, con la pau­ra di non dir­mi, con l'in­so­len­za di ascol­ta­re, dal­la mia vo­ce stes­sa, elen­ca­zio­ni di pa­ro­le tra­di­te dal si­len­zio, che non pos­so­no fi­ni­re d'es­ser de­si­de­ra­te e pro­nun­cia­te an­co­ra, un pas­so die­tro e uno avan­ti noi, per vi­ver­le, e vi­ve­re par­lan­do­ci.

    Que­sto in­ce­sto del tem­po col fu­tu­ro, non può ren­de­re nul­la al no­stro amo­re sen­za re­den­zio­ne, vuo­le al­tro dal pre­sen­te; al­lo­ra la­sce­rò le stan­ze aper­te, là do­ve dor­mo­no e ve­glia­no ore sen­za ven­tre, la­sce­rò un seg­men­to di re­spi­ro, re­spi­ra­to sul tuo pet­to, do­ve si ge­ne­ra e av­vie­ne, al­ta e po­ten­te, la no­stra ve­ra nar­ra­zio­ne, pri­va del cor­po, del suo pe­so, in uno smi­sta­men­to del­la no­stra per­ce­zio­ne, per strin­ger­si a ogni fra­se ar­ti­co­la­ta che si eri­ge car­me e car­ne dal­la go­la, sul dor­so di ogni fo­glio te­nu­to fra le di­ta; e nel per­cor­re­re i con­fi­ni del­la mia e del­la tua stes­sa men­te, ne ho let­to all'in­ver­so i pre­ci­pi­zi, den­tro un cie­lo in­co­lo­re e ca­po­vol­to, che av­vol­ge, ne­bu­lo­so, il non ve­di­bi­le, da en­tram­bi i ver­san­ti del­lo sguar­do, sa­pen­do d'aver vi­sto, ri­fles­so nei tuoi oc­chi, l'in­fi­ni­to, una vol­ta.

    Re­ste­re­mo den­tro il len­to mo­vi­men­to del­lo stes­so de­sti­no.

    Esen­te dal­lo sguar­do, si so­stan­zia un ve­ro stu­po­re nel de­li­nea­re  sul tuo vol­to, so­lo il con­tor­no dei cre­scen­ti sen­ti­men­ti e di una pas­sio­ne fat­ta­si car­ne nel­le tue vi­sce­re; nel ri­pen­sa­re che non è mai bla­sfe­mo di­ri­ge­re l'esta­si del cor­po ver­so l'idea­le su­pre­mo dell'amo­re, le pa­ro­le evol­vo­no in un ge­sto che se­gue la dan­za di mi­ria­di di idee per ri­vi­ve­re ver­so l’in­fi­ni­to sen­za ver­go­gna, nel­lo stes­so am­mi­ra­re de­gli oc­chi, ten­di­ni, mu­sco­li e ner­vi, a fe­con­da­re mul­ti­co­lo­ri so­gni e par­to­ri­re in­can­ti che ro­tea­no at­tor­no al­la real­tà e al va­lo­re di un fi­nis­si­mo ba­cio a fior­di lab­bra.

    Fis­sa­ti sul­le tra­spa­ren­ti pa­re­ti di una cro­ma­ti­ca me­mo­ria, stra­ni pa­ral­le­li­smi in­cro­cia­no e sof­fer­ma­no i pen­sie­ri, te­si co­me un pon­te sul­lo scrit­to an­co­ra rac­chiu­so fra le di­ta, e in un nien­te uni­to al­la for­ma del­le tue pa­ro­le sof­fer­ma­te sul­le mie, e sul pen­sa­to an­co­ra pen­san­te che si me­sco­la  al tut­to, ri­sa­le si­no al no­stro cuo­re, la pit­to­ri­ca con­sa­pe­vo­lez­za d'ogni sfu­ma­tu­ra che sfo­cia in pu­ra emo­zio­ne.

    Ap­por­te­re­mo al­la not­te le poe­ti­che lan­gui­dez­ze dell'amo­re e que­ste sab­bie mu­ta­te fra due vi­trei mon­di in me­sco­lan­za, vo­la­ti­li co­me lie­vi co­ro­ne che cin­go­no la fer­rea pro­mes­sa del­la no­stra unio­ne.

    E so­spe­si sul vuo­to di un istan­te, splen­di­da­men­te in equi­li­brio sull'oscil­lan­te fi­lo del­la vi­ta, co­me ve­tro sof­fia­to sen­za me­ta nell'aria, ci in­con­tre­re­mo do­ve più al­to è il cie­lo, là do­ve nes­su­no al­za lo sguar­do; e tu, se­du­to all’om­bra del tuo mu­ro in­te­rio­re, ve­drai, coi miei oc­chi nei tuoi, pic­co­li squar­ci di lu­ce bian­ca il­lu­mi­na­re tra­me di pa­ro­le im­mer­se nel­la re­te del pen­san­te co­smo, che in­vi­si­bi­le oscil­la nel mez­zo gra­vi­tan­te dell'im­men­so, e che fa­scia lo spi­ri­to, ri­col­mo del­le no­stre ca­rez­ze; e un vol­teg­gio su di es­so, co­me aria sull'aria, nar­re­rà di pen­sie­ri rac­chiu­si nei su­bli­mi pen­sie­ri, di sfio­ran­ti re­spi­ri so­spe­si sul­la pel­le, dell'in­can­to sur­rea­le di ma­ni e di mo­men­ti che toc­ca­no il mi­ste­ro dell'amo­re re­cla­man­te pre­sen­ze sul­le ru­ne del chi­me­ri­co per­fet­to, e che ele­van­do­si ver­so il tem­po sen­za la­ti, sfu­ma­no in te­nui co­lo­ri, trat­teg­gian­do, da im­me­mo­re tem­po, so­gni na­sco­sti e pa­ro­le gen­ti­li al cen­tro dei tuoi ab­brac­ci, in­fi­ni­ti quan­to i no­stri col­lo­quia­li e sur­rea­li vo­li in­tor­no agli in­trec­ci scin­til­lan­ti del­le lu­ne e sui ver­si che ca­do­no ra­den­ti le not­ti, so­gnan­ti so­gni di car­ne e ca­lo­re, do­ve mai fu vi­sto l'uni­ver­so rac­chiu­so nel ma­gi­co si­len­zio di una stan­za.

    Tra i no­stri pen­sie­ri e le tue ma­ni, il sen­so di quel­lo che espri­me la for­ma ar­di­ta e raf­fi­na­ta del­le no­stre pa­ro­le, ema­na at­ti­mi di­scor­ren­ti le pa­gi­ne dell'in­te­rio­ri­tà, e sci­vo­la sul­le no­stre sen­sa­zio­ni per de­scri­ver­ne gli istan­ti re­si­dui e va­gan­ti a in­con­tra­re inat­te­se per­ce­zio­ni di ri­cor­di ap­pe­si al mu­ro, di poe­sie sen­za ti­to­lo cu­sto­di­te nei mean­dri di una for­ma bi­co­lo­re di pa­ro­le so­pra pa­ro­le che aspet­ta­no pa­ro­le di­strat­te da al­tri ri­chia­mi, do­ve po­tran­no ri­sor­ge­re e vo­la­re il me­de­si­mo so­gno nel tuo son­no, su cui scor­ria­mo co­me bi­glie so­pra il dol­ce sen­ti­men­to dal qua­le ven­go­no ge­ne­ra­te.

    Non ab­bia­mo par­ten­ze né me­te nel cuo­re, ma in­cro­ci di­se­gna­ti sul­le mor­bi­de li­nee del no­stro sen­ti­men­to, da do­ve sem­pre ri­par­ti­re e ri­crear­si den­tro un viag­gio da leg­ge­re d'istin­to, ad oc­chi chiu­si, va­ghi d'in­vi­si­bi­le e ce­la­ti nel pia­ce­re, con lo sguar­do ri­flet­ten­te il fu­tu­ro; al­lo­ra ci di­re­mo dei vel­lu­ti ispi­ran­ti il ba­glio­re del­le stel­le che fa scin­til­la­re me­tri­che e ri­me, co­me ve­li sol­le­va­ti da un ven­to che sof­fia mu­li­nan­ti sab­bie, ada­gia­te sul­le du­ne di cur­vi­li­nee not­ti, che tra le due fac­ce del­la lu­na, av­vol­go­no i no­stri so­gni più se­gre­ti e pro­fon­di.

    Va­go tra mil­le co­lo­ri e mil­le im­ma­gi­ni, re­spi­ran­do pa­ro­le di car­ta e re­spi­ran­do i tuoi stes­si re­spi­ri, per tra­spor­tar­ci ver­so un qual­che im­ma­gi­ni­fi­co viag­gio, a riem­pi­re un vuo­to pie­no di nul­la, a in­ter­ca­la­re dol­ci val­li nei tran­si­ti in­fi­ni­ti dei tuoi oc­chi, nei ri­pe­tu­ti istan­ti do­ve ci sia­mo noi, im­mo­bi­li di at­te­sa; sta per sol­le­var­si dol­ce­men­te un sor­ri­so, men­tre apro il no­stro li­bro po­sa­to so­pra il buio do­ve re­ste­re­mo, os­ser­van­do ciò che an­co­ra non c'è e in­du­gia in ogni sin­go­la pa­ro­la che ho se­dot­to.   

    Di­vie­ne com­ples­so il sen­so del vi­ve­re da por­ta­re sul de­li­rio del­la not­te, sui suoi in­trin­se­chi cam­mi­ni, su­bli­mi e sen­sua­li, men­tre la fu­ne vi­bra sem­pre più in­ten­sa nel­le ve­ne.

    E' smar­ri­to nell'aria del mat­ti­no par­te del di­scor­so.

    Ab­bia­mo ob­be­di­to ad una cer­ta lo­gi­ca nel ten­ta­ti­vo di po­ter pie­ga­re quell'an­sio­sa e ari­da ten­sio­ne che gli sfor­zi di al­cu­ne scel­te com­por­ta­no, de­si­de­ran­do che la vo­lut­ti­va fie­rez­za del no­stro amo­re si im­pa­dro­nis­se del­le ine­lu­di­bi­li con­di­zio­ni di que­sta vi­ta, e co­sì ol­tre­pas­san­do­ne l'in­ces­san­te ri­so­nan­za, ci sia­mo con­fron­ta­ti con gli abis­si del no­stro so­lo san­gue, spi­ri­tua­liz­zan­do la no­stra fu­sio­ne, en­tro la qua­le, nel to­ta­le an­nul­la­men­to in cui il se stes­so non esi­ste, sia­mo si­mi­li.

    Not­te e gior­no tra­smu­ta­no so­spen­sio­ni in equi­li­brio, e la trac­cia si­len­zio­sa del­la no­stra pre­sen­za vi si al­ter­na, col suo pe­ne­tran­te si­gni­fi­ca­to, lad­do­ve si di­vie­ne pro­ie­zio­ne in­tel­let­tua­le da­van­ti al­la fa­sci­no­sa po­ten­za di una ec­ci­ta­zio­ne tut­ta men­ta­le, che met­te in gio­co il va­lo­re di ogni istan­te vis­su­to in­sie­me, co­me un pun­to bril­lan­te la vir­tù del più nu­do sen­ti­men­to, che vuo­le con­ser­var­si den­tro il pet­to.

    Han­no lu­ce le fra­si che si le­va­no lim­pi­de del lo­ro ve­ro sen­so,

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