Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Per essere felici: Norme di saper vivere
Per essere felici: Norme di saper vivere
Per essere felici: Norme di saper vivere
E-book218 pagine3 ore

Per essere felici: Norme di saper vivere

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Non è questo un galateo cattedratico.
Non è un galateo pesante, fatto a suon di citazioni, di regole draconiane, un protocollo di corte spagnola, né un vademecum sociale che regoli ogni vostro atto, ma un libro piacevole che consiglia e guida in ogni circostanza della vita chiunque viva fra la gente, senza leziosità, senza manierismo e soprattutto senza quella cerimoniosità che non ha da far nulla con la buona educazione.
L’arte della cortesia è l’arte di farsi amare.

Ecco riassunto il concetto di questo libro particolarmente adatto alle signorine.

Sane di corpo e di mente,
gentili nei pensieri,
cortesi negli atti,
discrete nelle parole.

Questo testo di buon comportamento per signorine è stato scritto da Rina Maria Pierazzi nel 1922.
L’’autrice nasce ad Acqui (Alessandria) nel 1873.
Scrittrice prolifica di libri per ragazzi è stata dal 1917 al 1935 direttrice della rivista per signorine Cordelia.
Si spegne a Cortona (Arezzo), quasi novantenne, nel 1962.

Prefazione di Francesca Romana Gallerani
LinguaItaliano
Data di uscita28 apr 2020
ISBN9788899332785
Per essere felici: Norme di saper vivere

Correlato a Per essere felici

Ebook correlati

Articoli correlati

Recensioni su Per essere felici

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Per essere felici - Rina Maria Pierazzi

    Nessuna rivoluzione senza educazione

    di Francesca Romana Gallerani

    Questo libro, Per essere felici - Norme di sapere vivere, mi è capitato tra le mani proprio durante un trasloco.

    E non un semplice trasloco da una casa all’altra, ma un trasferimento temporaneo dell’intero contenuto di una casa grande in una più piccola per poi tornare indietro, rimettendo tutto a posto.

    Il primo impulso, quindi, è stato quello di cercare il capitolo Come riuscire a muoversi con grazia tra scatoloni, figli, gatti, operai e scarpe, il tutto rigorosamente sparso a casaccio per casa.

    Chi ha cambiato casa almeno una volta nella vita sa che svuotare armadi e librerie e, contemporaneamente, essere felici è un obiettivo difficile da raggiungere quasi quanto risolvere un’equazione di quarto grado bendati e su una gamba sola.

    Ma sì, sono una donna che ambisce alla felicità, anche quando si rompe il tubo del bagno appena ristrutturato.

    Ovviamente quel capitolo non l’ho trovato e ho dovuto arrangiarmi, cercando di sorridere lo stesso all’idraulico e lasciando ad altri il compito di farlo sparire dalla mia vita.

    Un piccolo aiuto è comunque arrivato da queste pagine.

    Le ho letteralmente divorate, ritrovandomi improvvisamente in un mondo parallelo fatto di garbo, ordine e buona educazione, nel quale ai miei vestiti leopardati e ai sandali glitterati fanno da contraltare consigli su come vestirsi con semplicità, senza troppe manie di originalità, perché se siamo quello che indossiamo, i nostri abiti troppo vistosi e sovraccarichi dimostreranno solo che siamo esibizioniste senza gusto.

    Certo. Giusto, anche. Però il libro è scritto nel 1922, rifletto. Non ci si poteva neanche separare nel 1922, mi ripeto. Erano altri tempi!

    Cerco così un modo per non sentirmi in colpa per aver riempito il guardaroba di lurex, animalier, righe e camicie con improbabili volant.

    Forse nel 1922 sarei stata più attenta, mi sarei vestita anche io con un semplice abitino di lana.

    Forse.

    Intanto non riesco a smettere di leggere.

    Con quanta grazia le immagini di queste signorine perbene, alle quali viene consigliato non solo come vestirsi, ma anche come fare innamorare un uomo e tenerselo stretto tutta la vita, raccontano un mondo di sorrisi consapevoli e determinati.

    Non c’è posto per la lamentela, la stanchezza, l’inadeguatezza. Per essere felice, realizzata e desiderabile, una donna deve avere cura di sé e della casa, senza incertezze.

    Quando un uomo, rientrando in casa, trova la moglie con i capelli perfettamente in ordine, i fiori freschi sul tavolo e il profumo di uno splendido arrosto, beh, quello è un uomo felice.

    La felicità è contagiosa insomma, e si trasmette attraverso gesti quotidiani che forse abbiamo dimenticato, presi come siamo dal trovare l’inquadratura per il selfie migliore, desiderosi di litigare con persone che non abbiamo mai visto in faccia o, peggio ancora, di complimentarci con loro per compiacerne il bisogno di visibilità.

    Potete provare a sostenere la follia di questa prospettiva, l’inutilità di riproporre un testo di quasi cento anni fa che propone un modello superato dalle conquiste che generazioni di donne coraggiose hanno lasciato in eredità alle successive, fino alle millennials apparentemente lontanissime parenti di quelle figurine impolverate.

    Potete farlo, sì, ma non troverete facili argomentazioni: non c’è traccia di moralismo in queste pagine; nessun richiamo alla sottomissione o al sacrificio delle proprie aspettative.

    In un clima di soave leggerezza, la felicità della donna diventa un percorso di condivisione in ogni momento della vita, dalle occasioni speciali, feste e matrimoni che siano, alle situazioni più comuni, come le cene e gli incontri con gli amici o i familiari.

    Concepire oggi un galateo come questo non sembra possibile, eppure, da direttrice del giornale Cordelia (uno dei primi giornali per fanciulle edito in Italia e fondato da un uomo, il poliedrico intellettuale Angelo De Cubernatis, che lo ideò pensando alla figlia) Rina Maria Pierazzi non solo modernizza il formato nella grafica, arricchendolo di fotografie, ma si dimostra anche un’intellettuale in anticipo sui tempi, attenta alle nuove tendenze che assegnano alla donna il diritto all’uguaglianza e alla libertà.

    Per essere felici ci ricorda come, nonostante il passare del tempo, il cambiamento della società e il nuovo ruolo della donna all’interno di questa, qualche regola sia bene cercare di darsela. Sempre.

    Possiamo, anzi, leggere questi capitoli cercando proprio quei consigli senza tempo che rendono una convivenza gradevole e una società più armoniosa. A beneficio di noi stesse e di tutti.

    Come mangiare, come utilizzare le posate, come comportarsi quando si viene ospitati e quando si è la padrona di casa, come intrattenere le conversazioni sono quelle azioni – e, dunque, quei fatti - del vivere quotidiano alle quali fare maggiormente attenzione.

    Non mancano i consigli per ogni aspetto sociale, dal rapporto con i parenti e i vicini, ai vari eventi festosi, con il matrimonio in evidenza - sicuramente il più importante - come momento nel quale usare maggiore attenzione all’etichetta.

    Matrimonio che non è più combinato come una volta, questo l’auspicio dell’autrice, ma scelto in piena libertà personale dalle giovani donne che finalmente hanno, o stanno per conquistare, lo spazio dove poter esprimere i propri sentimenti e trovano nella famiglia quel supporto che in passato spesso mancava, per convenzione o semplice convenienza.

    Non ho potuto fare a meno di ripensare a mia nonna che molti anni dopo, più o meno intorno al 1940, rifiutò un matrimonio combinato per sposare il ragazzo che amava.

    Così ho capito l’importanza di questo libro, che auspicava cambiamenti ancora in divenire e che ha contribuito a costruire un pensiero più libero e autonomo.

    Perché la strada che può portarci alla felicità è proprio quella che affrontiamo da donne libere. E forse potrei dire, per concludere, che non può esserci nessuna rivoluzione senza educazione, senza parole gentili e atti cortesi.

    E tutto questo si impara da piccoli, come ricorda Pierazzi. E noi adulti diamo l’esempio.

    Un bambino e una bambina, che crescono in una famiglia amorevole, tra sorrisi e cortesie, facilmente saranno adulti gentili nell’anima e nel pensiero.

    Due parole tra noi

    Signorine gentili,

    È meglio intenderci subito, non è vero?

    Io non vi presento un galateo cattedratico, pesantuccio, fatto a suon di citazioni e di regole draconiane; non vi espongo un inflessibile protocollo di Corte spagnuola, né un vade mecum sociale che regoli ogni vostro atto, riducendovi allo stato di automi.

    No. I tempi sono mutati e nelle consuetudini d’oggi v’è una libertà che le nostre madri giovinette non si sognavano neppure, e di cui le nostre nonne, di santa memoria, si sarebbero scandalizzate come di una rivoluzione del buon costume. Perciò bisogna uniformarci ai tempi, e nei nostri tempi comporci una forma di cortesia nelle parole e nelle azioni che non degeneri in affettazione ma freni un poco quell’allegro menempimpismo a ogni principio di corretta educazione, sfoggiato, purtroppo, da tanti belli spiriti i quali per rifare il mondo a modo loro tentano di ridurlo a una congrega di screanzati.

    Ed ecco perché l’Editore ed io abbiamo pensato di offrirvi un libro possibilmente piacevole che non sia una formula ma un consiglio che possa guidarvi, in ogni circostanza della vita, fra gente per bene, a disimpegnare con garbo la vostra parte di donnine cortesi, educate, spigliate, senza leziosità, senza manierismo, e soprattutto senza quella cerimoniosità che non ha da far nulla con la buona educazione.

    Sane di corpo e di mente, gentili nei pensieri, cortesi negli atti, discrete nelle parole: quattro piccole profonde leggi infallibili a cui non è difficile sottostare, poiché l’una è la conseguenza di tutte le altre. E giacché non è possibile essere educati con gli altri se non si è educati con noi stessi, così bisogna partire dal principio che mostrarci cortesi e corretti è un atto di deferenza prodigato al nostro Io il quale vuol fare sempre bella figura…

    Signorine gentili: un vecchio adagio ripete: L’arte della cortesia è l’arte del farsi amare ed io aggiungo: L’arte di farsi amare è l’arte della felicità.

    E certamente voi sarete felici.

    Anna Maria Pierazzi

    PARTE PRIMA

    I piccoli doveri

    Come si comincia

    V’è un tema di componimento che da anni ed anni si propone con encomiabile perseveranza agli alunni di tutte le scuole possibili ed immaginabili, e in tutti i paesi possibili ed immaginabili di questo mondo: un tema che non corrode il cervello ma che possiede un certo spirito di opportunità.

    Questo: Il buon dì si conosce dal mattino.

    Parecchie generazioni, io credo, vi hanno profuso sopra mari d’inchiostro, e altri mari vi profonderanno le generazioni venture onde sfoggiare sul solito tema i sottili pensierini già sfoggiati da tutti gli antenati, uomini e donne, i quali si sedettero con più o meno successo sui banchi della scuola.

    Ma questo povero tema, sciupacchiato, arzigogolato, rovinato da migliaia di cervellini pigri, sta a dimostrare una grande, inconfutabile verità: cioè che se non si comincia bene, si prosegue male e si va a finir peggio. Quindi coloro i quali lasciano venir su i ragazzi come Dio non vorrebbe e pretendono, poi, di raddrizzarli tutto in una volta, o magari di vederseli ad un tratto trasformati da scavezzacolli in persone educate, composte e rispettose, sono degli insensati o degli illusi sui quali pesa la grave e terribile responsabilità di un’educazione sbagliata e trascurata; il che equivale a una responsabilità morale di fronte a quello cui può sottostare nell’avvenire una creatura nata per il bene e per l’onestà.

    Per questo l’educazione di un individuo deve cominciare subito e non quando fa comodo agli altri. Lasciar passare i capricci ai bambini, con lo specioso pretesto che sono piccoli, per poi strapazzarli e sculacciarli per lo stesso difetto quando sono più grandicelli è una di quelle forme d’idiozia di cui molte mamme non vanno immuni.

    Ho conosciuto una giovane signora di molto buon senso la quale castigò per un capriccetto la sua bambina di dieci mesi.

    Fu una manna. La piccola ribelle intuì subito, con l’umano istinto che non falla, di non poter fare a modo suo; e ogni qual volta la madre le vietava col dito o con la voce: Questo non si fa; quello non si tocca non ribatteva più senza nemmeno provarsi a piangere.

    La lezioncina valse, l’educazione cominciava.

    

    I tempi, ho detto, sono cambiati; e anche la forma dell’insegnamento infantile non è più la severa disciplina d’un tempo, allorquando i figliuoli davano del lei al babbo e alla mamma, e baciavano loro la mano, e li vedevano sì e no un paio di volte al giorno, affidati com’erano alle cure di governanti e precettori boriosi, generalmente poco istruiti e sempre malcontenti per la paga ingloriosa con cui si retribuivano le loro fatiche di maldestri educatori.

    Ora, per la grazia di Dio, la famiglia è più unita, più affettuosamente concorde nella vicenda quotidiana, il babbo e la mamma allevano i loro figliuoli per proprio conto, li seguono nei loro studi, li indirizzano per la loro via. Ma con questo non è da dire che l’educazione esorbiti e che in molte case i fratelli e le sorelle non si accapiglino e si rispondano male, mentre qualche mamma con poco giudizio grida loro: Ah, se ci fosse il tale o il tal’altro a sentirvi! Bella figura da farmi fare!.

    Dal che si deduce che l’educazione di certi ragazzi è subordinata all’impressione riportabile da persone estranee alla famiglia, mentre la famiglia deve sorbirsi in santa pace, con angelica pazienza, gli urli e gli strilli e le risposte e i malanni dei signorini che fuori di casa cercano di essere bene educati, e di far fare bella figura alla mamma.

    Ora tutto ciò è infinitamente stolido.

    La casa dove viviamo, dove sorridono i nostri cari, dove piangiamo i nostri morti, deve avere da noi tutto il rispetto, tutto l’amore, tutta la reverenza possibili.

    Che cosa vale la gentilezza esteriore, che cosa vale saper salutare con garbo, sapersi comportare convenientemente in società, allorché si risponde male alla mamma e ci si presenta a tavola sciatti e si commettono tante infinite scorrettezze che nessuno userebbe commettere dinanzi ad un estraneo?

    Ed ecco la necessità che l’educazione parta dalla famiglia per restare soprattutto nella famiglia, ove talvolta bisogna soffrire insieme e sopportare con bontà gli uni i difetti degli altri, e affrontare tante dure necessità della vita senza inasprirsi e senza alterarsi.

    Occorre dunque essere severamente per noi quello che dobbiamo essere cortesemente per gli altri. E cominciare subito, da bimbi, perché poi la gentilezza non degeneri in manierismo. E così dare ragione al vecchio tema che ha fatto versare tanti fiumi di inchiostro: Il buon dì si conosce dal mattino.

    

    Un principio di educazione necessario da inculcare nei bambini è questo: La cortesia tra fratelli e sorelle.

    Le creature nate dalla stessa madre, cresciute sotto il medesimo tetto, devono essere avvinte non solo da un affetto a tutta prova, ma devono saperselo dimostrare con tenerezza e con gentilezza.

    I pugni, i graffi, le male parole, non sono assolutamente indizi di fraternità e finiscono col disporre l’animo a una troppo facile dimenticanza del doveroso amore che dovrebbe avvincer fra loro, i bimbi. Ed è assai imprudente e leggera quella madre che definisce certe baruffe da monelli con questa bella frase: Carezze di fratelli…

    No. Sono carezze da cui può nascere il peggio. E benché la prima coppia fraterna apparsa sulla faccia del mondo non abbia fatto prove di andar eccessivamente d’accordo, tuttavia bisogna inculcare nei bimbi il sentimento che è il più profondo nella vita e si chiama Fraternità.

    Le bimbe, soprattutto, devono dimostrarsi buone, pazienti, sollecite coi fratelli; e aiutarli se sono più piccoli di loro, e trattarli con gentilezza se maggiori.

    In questi tempi in cui prevale l’abitudine di lasciar andar soli i ragazzi a scuola, è bene che i maschietti accompagnino le sorelle e non le trattengano a bighellonare per la strada, studiando con maggior entusiasmo di quanto non studino la grammatica e la storia i cartelloni cinematografici appiccicati alle mura cittadine, o seguano con eccessivo interesse la corsa di una bicicletta o il pugilato di due monelli.

    Il fratello sarà non il peso ma l’aiuto della sorella, la quale più fragile di lui potrà avere nella vita la necessità di un sostegno, allorquando la sventura batterà loro la porta; e questo sentimento deve essere inculcato nel bimbo fin dai più teneri anni, affinché cresca con lui, diventi sangue del suo sangue principio della sua fede, perché se la prova dovesse venire egli non consideri il suo aiuto come generosità, ma come dovere.

    E soprattutto occorre difendere le piccole anime dalla tabe della gelosia. Troppe volte nelle famiglie si dimostra più tenerezza per l’uno che per l’altro dei figliuoli, forse senza alcuna ragione. E questo è un male terribile perché le piccole anime hanno talora la sensibilità che nessuno sospetta e, o soffrono silenziosamente, nascostamente, compromettendo anche la loro salute, o s’inaspriscono, diventano scontrosi e dispettosi e invidiosi, alienandosi, senza lor colpa, sempre più l’animo altrui.

    La gioia di uno sia la gioia di tutti; il dolore di uno sia il dolore di tutti.

    Purtroppo la fraternità, al giorno d’oggi in cui tutti si chiamano fratelli per amor di rettorica, è ridotta così male!

    

    Un altro punto essenziale nell’educazione infantile. Evitare, per quanto possibile, i bimbi fenomeno.

    È raro entrare in qualche famiglia ove vi sieno dei ragazzi e non trovarne almeno uno magnificato dai parenti come un prodigio in diciottesimo. E ve lo conducono in sala, dopo una prefazione pomposa che sembra una conferenza, a recitarvi qualche squarcio poetico o a deliziarvi con la sonatina, o a leggervi, né più né meno, qualche componimento che manda in visibilio il parentado.

    La madre, la nonna, la zia, le sorelle, magari persone educatissime e distinte, non esitano a imporre ai loro ospiti questo tormento, scambiandosi fra loro occhiate trionfanti, o suggerendo a bassa voce qualche parolina, perché è facile che il fenomeno finisca con l’impappinasi e resti lì a bocca aperta, guardandovi con occhi imbambolati.

    Agli ospiti, s’intende, non rimane altra via di escita che quella di prorompere in esclamazioni ammirative e di aiutare i parenti a empir di vana gloria le testoline di quei piccoli mostri che finiranno, probabilmente, a riescire a venti anni dei poeti senza rima e senza fortuna o delle dattilografe sbagliate.

    Signorine, per carità! Ove nella vostra famiglia esistesse disgraziatamente un bimbo fenomeno, non esibitelo mai all’altrui ammirazione. Vi è una forma di cortesia a cui non si può transigere e che vieta di importunare le persone dalle quali riceviamo una gentilezza poiché ci vengono a visitare, ripagandole così malamente e costringendole prima a mentire con voi, perché ai prodigi

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1